Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 4168

Gli economisti e le “formule magiche”
di Roberto Petrini
La crisi economica ha riaperto la questione del rapporto tra matematica ed economia. La teoria mainstream ha fondato l'“equilibrio del sistema” su complesse costruzioni matematiche. Ma è incappata in clamorosi scivoloni: l’economia, infatti, non è una scienza esatta, ma una scienza storico-sociale.
Nel giugno del 2000 un gruppo di studenti di economia pubblicò sul web una petizione. I capi d’accusa che il documento formulava contro il modello di insegnamento dell’economia erano due: a)l’assenza di realismo; b. l’uso incontrollato e fine a se stesso della matematica. Il risultato - scrivevano gli studenti - era che l’economia stava correndo il rischio di diventare una scienza «autistica»: di qui l’esigenza impellente di bloccare questa nefasta tendenza. Da quell’appello nacque un vero e proprio movimento dal nome suggestivo ed evocativo: «Autisme-Economie».
Ma non sono solo gli studenti a denunciare il disagio dell’eccesso di matematizzazione dell’economia: già nel settembre del 1988, in una lettera a “Repubblica”, i maggiori economisti italiani lanciarono un severo ammonimento: “Economisti di varia tendenza e provenienza”, scrissero Paolo Sylos Labini, Giorgio Fuà, Giacomo Becattini, Onorato Castellino, Sergio Ricossa, Siro Lombardini e Orlando D’Alauro, “sentono il dovere di prendere pubblicamente posizione contro un pericolo che insidia gli studi di economia politica” ossia “che l’uso di strumenti raffinati di analisi venga scambiato, a prescindere dai contenuti, per una prova di maturità e competenza professionale o, peggio ancora, per il segno di riconoscimento del moderno studioso di economia politica”.[1]
- Details
- Hits: 2817

Allo specchio
di Nicola Lagioia
Per chi voglia provare a comprendere qualcosa del caos italiano, cioè della solo apparentemente inconciliabile orgia di conformismo e anarchia che ci sovrasta e ci attraversa e ci appartiene con grande evidenza negli ultimi tempi – quella frana stucchevole che qualcuno prova a stringere al collare troppo stretto di formule (a propria volta molto furbe e molto povere) quali “declino” o “perdita di competitività” – un tentativo di messa a fuoco può consistere nel guardare all’oggi attraverso quattro vecchie opere d’ingegno che dell’Italia fecero la propria ragion d’essere.
Come quando, dall’oculista, la sovrapposizione di varie lenti (nessuna esclusa) porta a decrittare la successione di lettere che prima ci apparivano indistinte, osservare la scena italiana attraverso la lastra del Gattopardo, a propria volta piantata davanti a quella dei Viceré, dei Promessi sposi, e dietro questa quella che tutte le precede (il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani di Leopardi) dà finalmente a ciò che sembrava piatto e impenetrabile un’idea di tridimensionalità. A essere poco chiaro non è infatti ciò che accade in scena – le maschere di Grillo, Minetti, Berlusconi, Bossi, Polverini, D’Alema e così via sono di un’autoevidenza che lascia senza appigli – ma la possibilità stessa che un simile spettacolo non solo sia rappresentabile, ma trovi pure un pubblico pagante. Alla scena appartengono infatti anche comprimari e spettatori. Come dice il cantautore: “nessuno si senta escluso”.
- Details
- Hits: 7730

Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere
Riccardo Bellofiore
Intervento al convegno L'Europa verso la catastrofe?
Come hanno detto i relatori che mi hanno preceduto, la situazione in cui viviamo è una situazione invernale, gelida. Penso che alcuni di voi, certamente i più anziani come me, abbiano visto il film Frankenstein Junior e quindi si ricorderanno la scena in cui il giovane Frankenstein e il gobbo Igor vanno a scavare in un cimitero per esumare il cadavere del mostro e Frankenstein jr dice “che lavoro schifoso” e Igor risponde “potrebbe andare peggio”. Frankenstein jr chiede “come?” e Igor risponde “potrebbe piovere”. Subito si sentono tuoni e inizia una pioggia violenta. Questa è la situazione in cui sono convinto da tempo che ci troviamo a vivere. E in effetti ho intitolato “Potrebbe piovere” uno scritto ormai di due dicembre fa firmato con Joseph Halevi.
Cercherò di rispondere alle sollecitazioni avanzate da Raparelli e Casarini, oltre che dai relatori che mi hanno preceduto. Non è facile da farsi in così breve tempo. Cercherò sostanzialmente di svolgere tre argomenti, dandovi soltanto una sorta di schema di un ragionamento possibile. Primo: cercherò di chiedermi in che tipo di crisi del capitalismo globale ci troviamo, e su questo sarò veramente telegrafico. Dopo, cercherò di discutere dell’euro, dell’euro così come si è costruito nella realtà, non come spesso ce lo raccontiamo, e del tipo di crisi dell’euro e dell’Europa che viviamo adesso. In terzo luogo, cercherò di entrare nel terreno di discussione, complicato, delle possibili politiche economiche, e di qui svolgerò alcune considerazioni politiche. Sarò estremamente schematico. Chi fosse interessato trova lo sviluppo del ragionamento in due libretti che ho pubblicato recentemente [n.d.r. La crisi capitalistica, la barbarie che avanza e La crisi globale, l’Europa, l’euro, la sinistra, editi entrambi da Asterios, Trieste, nel 2012].
- Details
- Hits: 4191

Costituzione e virtù politica
Mario Dogliani
1. Ci stiamo inabissando. Stiamo correndo a grandi passi verso un qualcosa di molto simile a una regressione verso un primitivismo politico: il paese continua a dimostrarsi attratto (certo, provocato da comportamenti politici vergognosi) da forme, diciamo così, semplificate ed elementari di organizzazione e legittimazione del potere, mostrando di non avere alcuna fiducia nel conflitto democratico. Continua a resistere, mutate le forme, il richiamo esercitato da un potere illusionistico (non sprechiamo l'aggettivo "carismatico") fondato sulla affabulazione e sulla manipolazione - quello descritto con precisione da Thomas Mann ne Mario e il mago (Mario und der Zauberer) nel 1930 - i cui interessi sono stabilmente sincronizzati con quelli dei poteri extrasociali (i signori dell'oro, nazionali e internazionali, e i signori dello spirito, tutori dei credenti non adulti).
La causa di questo inabissamento non è immediatamente economica, perché non si può affermare che le crisi economiche portino di per sé, ineluttabilmente, alla crisi della democrazia. Il New Deal rooseveltiano lo prova; e d'altra parte non si può sostenere che l'avvento nei fascismi in Europa sia stato direttamente determinato da ragioni economiche. Anche di fronte all'impoverimento diffuso, alla paura, all'avvilimento, alla miseria la causa della deriva autoritaria è politica, perché si risolve nella incapacità del potere rappresentativo di reagire in modo razionale ed economicamente efficace alla crisi attraverso gli strumenti che gli sono offerti dalla stessa democrazia che lo ha costituito.
Ma che cosa ha prodotto questa incapacità?
- Details
- Hits: 20613

Una repubblica fondata sull'ozio
In difesa di Keynes
di Luigi Cavallaro
Risparmio, austerità. Il mantra dell'Unione Europea ha valore per gestire un bilancio familiare, ma non indicano nessuna possibile uscita dalla crisi. Un percorso di lettura a partire da un volume dell'economista greco Yanis Varoufakis
«Ha una ricetta per salvare le casse dello stato?», chiesero una volta ad Alberto Sordi. «È una ricetta semplicissima», rispose l'Albertone nazionale: «Si chiama risparmio. Si prendono i conti dello stato e si dice per esempio: tu, magistrato, guadagni un milione al mese di meno; tu, deputato, due milioni di meno; tu, ministero, devi diminuire le spese per la carta, il telefono, le automobili (il che sarebbe anche positivo per il traffico e l'inquinamento), e così via, informando mensilmente gli italiani, alla televisione e sui giornali, dei risparmi ottenuti. Allora si potrebbero chiedere sacrifici a tutti: diventerebbe una gara a chi è più bravo».
Era il 1995 e c'era ancora la lira, ma quella ricetta di politica economica ha lasciato il segno. Si dovrebbe chiamarla Sordinomics, in omaggio alla lingua madre della «scienza triste», perché non c'è dubbio che ad essa si ispirano le prescrizioni dell'Unione europea e, qui da noi, il loro esecutore (alias l'esecutivo) e i suoi tanti corifei, che non mancano un solo giorno d'informarci non solo dei risparmi ottenuti, ma soprattutto di quelli che si potrebbero ottenere se solo non avessimo sul groppone una «casta» di nullafacenti affamati e corporativi.
Nel paese della banane
In effetti, è una constatazione di senso comune supporre che un individuo che si sia indebitato oltre il limite consentitogli dal proprio reddito debba ridurre i propri consumi e risparmiare di più per ripagare gli interessi e il capitale preso a prestito.
- Details
- Hits: 2376

La crisi del lavoro
di Rinaldo Gianola
La crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti nel 2008 è diventata una prolungata scossa sistemica dell’intera economia mondiale, in cui è stata coinvolta direttamente e drammaticamente anche l’Italia. La nostra economia è stata travolta da una profonda recessione che, alimentata inizialmente da speculazioni e manomissioni finanziarie, si è rivelata non più una semplice crisi momentanea, che arriva e dopo un anno o due se ne va come era successo in passato, ma una bufera continua, imprevedibile nella sua durata e nella sua estensione.
Questo terremoto nasce dal fallimento delle politiche neoliberiste che da trent’anni ci opprimono e che proprio nel momento più drammatico del disastro riescono a trovare nuovi predicatori, aitanti sostenitori, fedelissimi adepti i quali, anziché finire sul banco degli imputati come meriterebbero, “scoprono” nei debiti sovrani, nell’insufficiente produttività del lavoro, nell’eccessiva protezione sociale garantita dai sistemi di Welfare, negli sprechi veri e presunti dello Stato o delle svariate “caste” le autentiche cause della caduta dell’economia, delle condizioni di vita di milioni di cittadini, dell’impoverimento di intere nazioni arrivate sulla soglia del fallimento.
A fronte di questo ribaltamento della verità, la politica, la società, la cultura si adeguano tristemente all’elogio dei tecnocrati che, come conoscitori della tecnica, sono in grado di sostituirsi alle classi di governo tradizionali, quelle politiche ma anche quelle imprenditoriali ormai assai poco affidabili, riducendo la democrazia, comprese le elezioni, a un semplice, innocuo, alla fine inutile esercizio.
- Details
- Hits: 2930

La politica è finita e la democrazia è una finzione
Luigi Pandolfi
Il disastro economico che pervade da un capo all’altro l’Europa, la stessa crisi del modello europeo fondato sul primato e sui vincoli dell’unione monetaria, ripropongono, con maggiore vigore rispetto al recente passato, il tema della funzione della politica nelle nostre società e quello della sua autonomia rispetto agli altri poteri.
Nel secolo trascorso l’autonomia della politica si è inverata nell’esercizio collettivo di una critica dell’esistente attraverso i partiti di massa, nel conflitto tra visioni diverse, antitetiche, del mondo, tra differenti progetti di società.
Oggi i partiti, quelli di massa che abbiamo conosciuto nel corso del Novecento, non esistono più: sono stati sostituiti da simulacri di partito politico, dietro cui predominano soltanto le carriere personali dei leader ed il loro rapporto diretto con la massa elettrice, naturalmente passiva ed amorfa.
In quanto all’indipendenza di questi leader, e delle loro organizzazioni, rispetto al potere dei mercati, delle istituzioni bancarie e dei grandi gruppi industriali, è inutile dire che è inesistente: la loro è una funzione asseveratrice della ineluttabilità del modello economico in cui le nostre esistenze sono immerse.
Ogni giorno siamo inondati da notizie sull’andamento delle borse, sul rendimento dei titoli di Stato. Parole come spread, default, listini, indici, sono entrati ormai nel linguaggio corrente delle persone.
- Details
- Hits: 2082

Grillo è il gatto che può mangiare il topo
nique la police
Si comincia sempre volentieri dalle frasi celeberrime di Mao. Frasi famosissime ma dotate di una tale grazia che non sembrano logorarsi nonostante l’uso e lo scorrere del tempo. Eppure la frase utile per spiegare quanto accaduto in Sicilia è di Deng Xiao Ping e compie giusto mezzo secolo: “non importa di che colore sia il gatto purché mangi il topo”. La frase di Deng va collocata nel contesto della durissima lotta, apertasi nel partito comunista cinese, dopo la tremenda carestia a cavallo degli anni ’50 e ’60 causata dal disastroso processo di industrializzazione forzata promosso proprio da Mao. Deng, con quella frase, suggeriva un approccio prudente e maggiormente pragmatico ai problemi dell’economia cinese rispetto al modello maoista di mobilitazione totale. Si tratta in fondo dell’approccio che lo ha portato a governare la Cina dopo l’esaurirsi della rivoluzione culturale. La frase di Deng, come quelle di Mao, va però anche intesa come un’allegoria, un qualcosa che trascende potentemente il suo primo significato. Nel nostro caso quindi possiamo interpretare benissimo nell’allegoria del topo la persistenza italiana di un ceto politico istituzionale fatto prevalentemente di disperati, pronto a vendere il paese all’incanto secondo le regole della governance liberista continentale. Il gatto, quello che può mangiare il topo, sembra essere il movimento 5 stelle con dei risultati elettorali semplicemente impensabili, almeno per i non avvertiti, pochi mesi fa. La storia italiana sembra così prendere le sembianze della filosofia di Deng: ci suggerisce un corso degli eventi nel quale il gatto può davvero mangiare il topo.
- Details
- Hits: 4153
A che punto è la notte?
Marx come bussola nel caos capitalistico
Claudio Valerio Vettraino
Il problema drammatico del marxismo degli ultimi trent’anni riguarda il fatto che il marxismo è stato sempre più considerato come un semplice punto di vista, un’ideale, o peggio un’idea, una Welthanschauung soggettiva, un’etica sociale personale avulsa dalla storia e delle necessità della trasformazione pratica, un’opinione tra le altre mille che affollano, anzi affossano, il dibattito pubblico; una pia volontà di cambiamento, di benessere auspicabile per tutta l’umanità, fumosa nostalgia di un glorioso passato di lotta.
In questo modo, venendo meno la sistematicità scientifica del marxismo come modello, “cassetta degli attrezzi”, universo complesso e contraddittorio di categorie e linguaggio, di epistemologia ed ermeneutica applicata alla realtà concreta, di grammatica strategica delle forze in campo, della lotta tra le classi, analisi critica delle leggi di funzionamento della formazione economico-sociale capitalistica, riducendosi cioè a mera opinione, a mera volontà, a intelletto senza azione, concetto senza strategia, interpretazione senza organizzazione, esso può essere dichiarato – idealisticamente, senza un’attenta e concreta dimostrazione scientifica – morto e sepolto da chiunque abbia l’interesse a insudiciare e demolire una storia, una tradizione, le conquiste sociali, politiche ed economiche che il marxismo ha permesso.
Se il marxismo dunque viene fruito e rappresentato come un’idea tra idee, opinione tra opinioni, pura e semplice gnoseologia astratta, accademico-letteraria, pedante filologia, è già morto.
- Details
- Hits: 2296

Le fragili basi teoriche dell’austerità
di Guglielmo Forges Davanzati
I sacrifici chiesti agli italiani dal governo dei tecnici non sono un “male necessario”: aggravano l’indebitamento pubblico, riducono la domanda interna, incentivano processi di ‘finanziarizzazione’. Insomma, allontanano quella ripresa economica in nome della quale sono portati avanti.
La manovra fiscale contenuta nella Legge di Stabilità, considerata nel suo complesso, costituisce un ulteriore segnale rilevante della volontà – da parte del Governo – di perseguire lungo la linea delle politiche di austerità. L’Ufficio Studi della CGIL stima, a riguardo, un incremento della tassazione a carico di un contribuente medio di circa 125 euro annui, con significativi effetti redistributivi a danno delle famiglie più povere, soprattutto a ragione dell’aumento dell’IVA. In quanto imposta diretta, l’IVA viene, infatti, pagata nello stesso ammontare da percettori di redditi elevati e da percettori di redditi bassi, ovvero è un’imposta “regressiva”. Al di là degli interessi materiali che sono alla base di queste scelte, occorre chiedersi se esse trovano una motivazione razionale (o quantomeno ragionevole) sul piano teorico. Giacché, se così fosse, e se ne dimostrasse la piena validità, i sacrifici che queste scelte comportano sarebbero legittimati sul piano scientifico e giustificati sul piano politico.
Le politiche di austerità vengono motivate fondamentalmente con due argomenti.
- Details
- Hits: 2172

C'era una volta la governance
Marco Bascetta
Il declino dei dispositivi che dovevano garantire la partecipazione della società civile all'interno del rispetto dei vincoli imposti dal capitalismo. E nel vuoto creato dalla sua scomparsa, crescono il populismo e il nazionalismo
Tra le numerose vittime della crisi che stiamo vivendo ve ne è una il cui cadavere, pur sotto gli occhi di tutti, ci si sforza in ogni modo di occultare. Si tratta della «governance», quella parola magica che nell'ultimo ventennio interveniva in ogni occasione a delegittimare e soffocare il conflitto sociale, proponendosi come versione tecnicamente efficiente e socialmente aperta della «partecipazione democratica». Priva cioè di quegli elementi caotici e imprevedibili che accompagnano ogni esercizio di democrazia non riassorbito nella rappresentanza. In poche parole, il volto gentile ma non per questo meno disciplinante della politica «postnovecentesca». Qualcosa di cui, forse tra breve, non sentiremo più parlare.
Il termine di «governance», onnipresente, sfumato nei suoi contorni, soggetto alle più diverse interpretazioni e mutevole nei suoi significati, secondo gli ambiti cui veniva applicato (economico, politico, sociale, manageriale), comprende tuttavia un certo numero di caratteristiche che la gestione della crisi ha manifestamente spazzato via, altre che si sono invece rivelate ben diverse dalle virtù relazionali che prometteva. La prima tra queste caratteristiche è l'articolazione dei poteri e delle sedi negoziali, nonché la moltiplicazione degli interlocutori coinvolti nei processi decisionali, in contrapposizione alla natura verticale e centralistica del governo dello stato.
- Details
- Hits: 3384

A proposito di costituzione e capitale finanziario
di Antonio Negri
Organizzerò il mio intervento su tre punti fondamentali. Cercherò innanzitutto di definire la convenzione finanziaria che oggi ci domina e come essa abbia modificato il rapporto tra privato e pubblico. In secondo luogo cercherò di analizzare come il privato e il pubblico siano stati fissati nella costituzione del 1948, ma soprattutto come essi si presentino nel farsi della costituzione europea. Infine, cercherò di capire come, in nome del comune, possa essere rotta la convenzione costituzionale che ci lega, opponendo dispositivi antagonisti all’esercizio del potere finanziario, costruendo una “moneta del comune” – insomma, che cosa significa, dentro/contro l’attuale convenzione finanziaria europea, procedere nella costruzione del comune?
1.1
La convenzione collettiva che oggi domina il rapporto costituzionale è una convenzione finanziaria. Laddove una volta era posto il valore-lavoro come norma regolatrice e misura delle attività sociali e produttive, ora è stata eletta la regola finanziaria.
Analizziamo quindi la relazione capitale finanziario / costituzione materiale. Il capitale finanziario, nella situazione attuale, si pone come autorità legitimante la costituzione effettiva della società postindustriale.
- Details
- Hits: 3746

Piccola guida all’autodistruzione post-comunista
Matteo Pucciarelli
Dove vi eravate persi? Al 1991? O al 2008? No perché riannodare i fili non è facile. Ma questo post dimostrerà che niente è impossibile. Certo, a furia di scissioni e giravolte è rimasta solo la casa del popolo dell’Ardenza e la salma di Lenin, ma comunque sia un giorno lo vedremo sorgere questo benedetto sol dell’avvenire. Basta solo aspettare.
Allora, in Italia fino al 1991 c’erano due partiti comunisti: il Pci (una corazzata vera) e Dp (piccola ma agguerrita). Poi il Pci capì che non era più comunista e diventò Pds. Ma siccome non tutti nel Pci volevano essere altro, insieme a quelli di Dp fecero il Prc. Più tardi i comunisti del Prc si divisero in due: quelli che non ci stavano più ad allearsi con gli ex comunisti del Pds e quelli che invece pensavano che invece no, bisognava stare insieme con gli ex comunisti anche a costo di rompere con quelli sempre tali. Così nacque il Pdci.
Il Prc era forte, ma non era un partito di massa. Si accontentava di rappresentare quelli dei centri sociali che alla fin fine tanto comunisti non sono, i giovani fricchettoni e gli ex rivoluzionari con giacche di velluto. Il Pdci era più piccolo, ma compensava con seggi e assessorati, più o meno uno ogni tre iscritti. Gli operai intanto cominciavano a votare Lega.
- Details
- Hits: 2832

Il keynesianesimo geneticamente modificato dei neoliberisti
di Riccardo Achilli
Premesso che certamente la ripresa degli investimenti pubblici è fondamentale, a mio avviso il massimo dell'elaborazione in materia di crescita non può essere quella sorta di keynesianesimo alterato, impoverito, che sembra essere l'unica strada possibile di ripresa di un minimo di flessibilità di bilancio per Monti e la Commissione Europea. In questa impostazione, basata sulla golden o sulla copper rule, gli unici investimenti pubblici che possono essere sdoganati rispetto alla regola del pareggio di bilancio sono quelli che agiscono sui fattori di competitività dell'offerta (R&S, infrastrutture strategiche, istruzione e formazione, reti Ict ed energetico/ambientali) e che quindi hanno effetti sulla produttività, nell'ipotesi sottostante che lo shock di produttività comporti effetti di sostituzione e di reddito in grado di riportare verso l'alto la curva della crescita, quindi l'occupazione e la domanda.
Questo tipo di keynesianesimo "povero" è infatti aggiustato per essere coerente con gli schemi neoclassici più moderni, come quelli elaborati da Lucas e Sargent nella NMC. Sono infatti perfettamente coerenti con le teorie del "real business cycle" emerse negli anni ottanta come applicazioni della NMC e della cosiddetta critica di Lucas ai modelli macroeconometrici utilizzati dalla programmazione economica keynesiana, quindi coerenti con una rifondazione microeconomica delle teorie del ciclo, utile a supportare un approccio neoliberista di politica economica.
- Details
- Hits: 2905

La sinistra Keynesiana e il suo cocktail di desideri
di Claus Peter Ortlieb
In Germania, stavolta, saranno guai per i ricchi. La coalizione "Per una ripartizione equa" ha lanciato un'iniziativa, chiamando, non senza una certa audacia grammaticale, ad una giornata d'azione nazionale:
"C'è una via d'uscita alla crisi economica e finanziaria: redistribuzione! Noi non vogliamo più soffrire per la mancanza di prestazioni sociali e di servizi pubblici, e non vogliamo che la grande maggioranza della popolazione venga penalizzata. E' piuttosto la ricchezza eccessiva, e la speculazione finanziaria, che deve essere tassata. Non si tratta solo di denaro, ma anche di solidarietà concreta in questa nostra società."
In tal modo, la coalizione reclama un'imposta permanente sulle fortune eccessive dei contribuenti eccezionali, alfine di "finanziare in tutta equità la spesa pubblica e sociale indispensabile e ridurre il debito", senza dimenticare la "lotta costante contro l'evasione fiscale ed i paradisi fiscali, ed in favore della tassazione delle transazioni finanziarie, contro la speculazione e contro la povertà, dappertutto nel mondo".
Alcune frazioni dell'SPD e dei Verdi hanno accolto con favore la campagna e la sua concretizzazione, per mezzo dei loro rispettivi programmi, che dovrebbero in line adi principio aumentare il tasso più alto di imposizione fiscale, dal 42% al 49%. Deliberatamente, dimenticano di ricordarsi che, negli anni '90, loro stessi hanno abbassato tale tasso, che allora si attestava sul 53%.
- Details
- Hits: 6796

Mobilitazione della Scuola Pubblica contro il DDL Stabilità
Una lettera aperta ai Genitori
Ai Genitori degli alunni dell’I.C. Zagarolo
Lo scopo di questa lettera è quello di informare ogni utente della scuola dei provvedimenti nei confronti della classe docente, e quindi di tutto il sistema della scuola pubblica, proposti dal governo nel DDL Stabilità in discussione in questi giorni alla Camera. Noi docenti della scuola secondaria di primo grado intendiamo illustrare brevemente alcuni dei punti focali oggetto della proposta di legge, alcune considerazioni sui nostri orari di lavoro ed infine comunicare ai genitori l’immediato provvedimento di sospensione delle attività didattiche non obbligatorie.
Il testo del DDL Stabilità al comma 42 decreta l’aumento dell’orario frontale (quello destinato alle lezioni in classe) dei docenti di tutte le discipline, nonché di sostegno, della scuola secondaria di primo e secondo grado da 18 a 24 ore settimanali. Tali ore in più andrebbero a coprire gli spezzoni di cattedra dei singoli istituti, le supplenze temporanee e le varie ore aggiuntive di insegnamento. Un aumento di un terzo dell’orario di lavoro a parità di stipendio. La proposta di legge è motivata dal ministro con la necessità di portare il livello di impegno dei docenti sugli standard europei. Si tratta di una palese falsità: i docenti italiani della scuola secondaria hanno un carico settimanale di ore di lezione pari o in alcuni casi superiore alla media europea. Gli alunni svolgono lo stesso numero di giorni di lezione (circa duecento) ed hanno lo stesso numero di settimane di vacanza cadenzate in modi differenti nel corso dell’anno (circa undici).
- Details
- Hits: 3317

Mai più figli di troika*
di Luciano Vasapollo
Tutto quello che appare come qualcosa di nuovo, come il possibile default di vari paesi europei, ma addirittura degli stessi USA, in realtà vede l’origine dal 1971 con la fine degli Accordi di Bretton Woods. Da tale data gli Usa decidono in base al loro potere politico e militare di imporre il proprio modello di sviluppo basato sull’import attraverso l’indebitamento, facendo così pagare il costo agli altri: debito privato, debito pubblico, e consumo sostenuto dal mix tra debito interno ed esterno, avendo molto deboli i cosiddetti fondamentali macroeconomici e una economia reale che già da allora mostrava alcuni caratteri tipici della crisi strutturale.
Già a partire dagli anni ‘80 si era verificato in Europa, anche se in maniera diversificata nei differenti paesi, un vero e proprio intenso processo di privatizzazione, con l’intento di ridimensionare la presenza pubblica nell’intero sistema produttivo. Le azioni dei Governi di questi anni confermano la volontà di attuare un programma completo di dismissione delle aziende pubbliche, con la motivazione ufficiale di risolvere i problemi produttivi ed economici.
A ciò hanno fatto eccezione alcuni paesi, ad esempio la Francia e in parte la Germania, che hanno difeso la presenza pubblica nei settori strategici, strutturando in tal modo un modello produttivo più forte ed equilibrato nella competizione globale, più centrato sull’export.
Questo processo si è avviato in concomitanza alla costituzione del Mercato Unico Europeo (1992) e poi dell’Unione Europea con i pesanti sacrifici imposti al mondo del lavoro.
- Details
- Hits: 3546

Gli squilibri europei e la lezione di Keynes
di Alessandro Bramucci
La crisi economica mondiale esplosa nel 2007 negli Stati Uniti con lo scoppio della bolla immobiliare e il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers nel Settembre del 2008 affonda le sue radici nella finanza. La deregolamentazione del settore bancario, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, ha permesso la trattazione di prodotti finanziari altamente rischiosi il cui fallimento, scatenato dal default dei mutui sub-prime e dal collasso dei prezzi nel settore immobiliare americano, ha aperto enormi voragini nei bilanci delle più grandi banche d’affari del mondo.
Tuttavia in Europa la crisi finanziaria si è presto evoluta in crisi del debito sovrano. Tra il 2010 ed il 2011 molte economie dell’Euro zona hanno visto il carico del debito pubblico aumentare consistentemente come conseguenza sia dei piani di salvataggio per il settore bancario, sia per l’ausilio di politiche fiscali espansive per far fronte alla recessione nell’economia reale. L’aumento eccessivo del debito ha poi innescato la speculazione finanziaria. Gli stati periferici dell’area Euro come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, si sono trovati nella condizione di dover pagare tassi di interesse insostenibili sull’emissione del debito sovrano per potersi finanziare sul mercato dei capitali privati.
- Details
- Hits: 2639

Nuova governance Ue: il tentativo di uscire da destra dalla crisi
di Alfonso Gianni
In uno dei suoi consueti articoli domenicali sul Sole24Ore Guido Rossi ha scritto che nel contesto dell’attuale globalizzazione «la sovranità degli Stati nazione ha dunque abdicato e lo Stato di diritto si è trasformato in uno Stato dell’economia». Questa citazione - che sembra riecheggiare il passaggio dall’homo aequalis all’homo oeconomicus per dirla alla Louis Dumont - potrebbe a tutti gli effetti essere apposta come lapide all’idea dell’Europa politica dei popoli sepolta dopo il vertice di fine giugno.
In effetti la tanto attesa, e pour cause temuta, riunione del Consiglio Europeo del 28-29 giugno a Bruxelles ha portato a un primo significativo compimento di un percorso non breve che ha condotto le elites europee - più che malgrado, grazie alla più grave crisi economica della storia del capitalismo in Europa - a dotarsi di un sistema compiuto di governance continentale in campo economico e politico. Con molto amaro in bocca si potrebbe persino dire che l’evento almeno un suo piccolo lato positivo ce l’ha, dal momento che da questa data in poi a nessuno dovrebbe essere più consentito di reclamare la costruzione di un governo del sistema economico europeo, quasi che questo fosse in quanto tale un elemento intrinsecamente positivo. Ora la governance c’è, è dotata di snelle articolazioni e robuste rigidità, come si conviene a ogni costruzione sistemica, e corrisponde certamente al tentativo organico di un’uscita da destra dalla crisi, grazie a l rilancio in grande stile di un neoliberismo aggiornato e corretto.
- Details
- Hits: 2029

La concertazione è finita
Per una discussione su sindacato, lotte e organizzazione
∫connessioni precarie
«La concertazione è finita». Nonostante lo scandalo – acceso ed effimero come un fuoco di paglia – provocato a luglio da queste parole, pronunciate non a caso davanti ai banchieri riuniti, Mario Monti si è limitato a registrare un dato di fatto. L’approvazione dell’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio e la riforma del mercato del lavoro stabiliscono le condizioni materiali della fine di una lunga stagione di politica economica e di relazioni industriali. Con tecnica chiarezza, Monti ha aggiunto che la concertazione è alla radice di tutti i mali presenti, soprattutto delle difficoltà che, a causa delle colpe concertative dei loro genitori, incontrano i figli e i nipoti di lavoratori e lavoratrici quando cercano un lavoro. Avendo così chiarito i fondamenti ultimi della crisi dei rapporti tra generazioni, Monti ha potuto stabilire che la concertazione non è altro che un moltiplicatore della spesa pubblica da cancellare con un tratto di penna assieme a una buona parte di quella spesa. La concertazione è soprattutto un ostacolo presente alle politiche di investimento, e dunque alla produzione di profitto. Le parti sociali sono solo parti, alle quali il potere pubblico non è tenuto a trasferire in outsourcing responsabilità politiche e che perciò devono, con logica e letterale evidenza, farsi da parte.
Si può persino capire lo sgomento di chi per due decenni ha legittimato la propria azione politica e sindacale sulla base del fatto che c’era qualcosa da concertare. Si può capire la rabbia di chi legge giustamente nelle parole di Monti la delegittimazione di ogni difesa organizzata degli interessi dei lavoratori, siano essi precari, operai, migranti o impiegati pubblici.
- Details
- Hits: 2399

A mani nude e a volto scoperto?
di Elisabetta Teghil
Le stesse soggettività, più o meno, che hanno organizzato la manifestazione del 15 ottobre dello scorso anno, ne hanno indetta un’altra per il prossimo 27 ottobre.
L’appello ricorda da vicino la Lettera d’intenti del PD/PSI/SEL che è così generica da poter essere sottoscritta da tutti/e.
E, siccome, nella divisione capitalistica del lavoro politico ,gli organizzatori hanno il compito di gestire la dissidenza e l’alterità politica, hanno introdotto una serie di parole d’ordine tanto accattivanti quanto prive di sostanza.
Una volta il problema era Berlusconi, adesso è Monti, non è mai il neoliberismo, versione attuale del capitalismo.
Perciò, il 15 ottobre, avremmo dovuto dare una spallata a Berlusconi per mandare al governo Monti, adesso dovremmo darla a Monti per mandare al governo Bersani e per avvicinarci alla realizzazione compiuta, in questo paese, dei dettami neoliberisti.
Perché è questo che si propongono i partitini della così detta sinistra radicale reggicoda del PD.
Per essere più suadenti hanno messo nell’appello tutto ed il contrario di tutto, comprese le abusate “pace, giustizia ,democrazia”. Si sono dimenticati il Sud che in Italia ci sta sempre bene nei discorsi dei politici di ogni risma e colore.
- Details
- Hits: 3198

Una libertà post-liberale e post-comunista
Riflessioni sull’etica del riconoscimento
Roberto Finelli
1. Le due libertà.
La ricerca della più recente filosofia pratica tedesca, in particolare grazie ai lavori di Axel Honneth, è sbocciata nel risultato di ridefinire alcune categorie fondamentali della teoria sociale e politica.
L’acquisizione teorica più originale e significativa appare concernere l’allargamento del concetto di libertà, definibile ora, non solo come assenza o riduzione dei limiti che il mondo esterno pone all’attività di un soggetto, ma anche – e nel verso di una pari importanza - come riduzione dei limiti che il mondo emozionale interno pone allo stesso soggetto. “Libertà” è infatti concepibile oggi, dopo un secolo di psicoanalisi, e secondo quanto teorizza Honneth rifacendosi all’opera dello psicoanalitista inglese Winnicot, anche come la capacità di star soli, di avere cioè un rapporto di confronto e di interazione con la propria emotività, che non sia caratterizzato da terrori, rimozioni e difese, che costringano il soggetto in questione in ripetizioni rituali e patologiche, sottraendolo alla sperimentazione del mondo e a un possibile godimento della vita.
Tale complicazione interiore del concetto di libertà mette immediatamente in gioco per altro il concetto di riconoscimento, nel senso che non è possibile che un soggetto riconosca se stesso, il proprio mondo di bisogni, affetti ed emozioni, senza che in tale discesa verticale sia accompagnato da un riconoscimento orizzontale: dall’appoggio, cioè, dalla stima e dal sostegno di altri, che lo confermino e lo rassicurino in questo processo di individuazione.
- Details
- Hits: 1938

I disperati
nique la police
Il grandissimo Elias Canetti parlava della disperazione come dell’unica forma disinteressata di esistenza. Insomma, un sentimento così profondo da superare, in importanza, l’interesse e il potere. Si trattava di un modo di esistenzializzare la disperazione. Come se fosse esclusivamente legata alla viva percezione della mortalità e al deperimento, alla caducità del senso del proprio agire. Nell’Italia della politica istituzionale la disperazione è invece legata al mantenimento, ad ogni costo, di ciò che si pensa essere interesse e potere. Persino a prescindere dal fatto che, una volta portato a compimento un piano, interesse e potere ci siano davvero. La disperazione rappresenta così i tratti complessivi di una antropologia del declino della ragione strumentale della politica mainstream, sedimentatasi nell’Italia dell’ultimo trentennio, quella dove le forme di soggettivazione si riproducono solo in tattiche di potere senza visione e senza uscita. Infatti, come non definire un disperato Mario Monti che parla di uscita dalla crisi entro pochi mesi?
Le revisioni delle stime del Fmi sull’Italia, che si presume conosca, proiettano al ribasso sia la recessione del 2012 che quella del 2013. Non solo: almeno due fattori globali, il rallentamento della “crescita” cinese (ai tassi più bassi dall’inizio degli anni ’90) e il fiscal cliff americano (la fine delle agevolazioni fiscali alla “crescita”, pari al 4% del Pil, entro il 2012) fanno capire che, a differenza di altri periodi anche recenti, la stagnazione non è solo italiana ma riguarda le locomotive economiche globali.
- Details
- Hits: 2412

Alienati di tutto il mondo unitevi
di Marcello Musto
L’alienazione è stata una delle teorie più dibattute del XX secolo. La prima esposizione filosofica del concetto avvenne già nel 1817 e fu opera di Georg W. F. Hegel. Nella Fenomenologia dello spirito, egli ne fece la categoria centrale del mondo moderno e adoperò il termine per rappresentare il fenomeno mediante il quale lo spirito diviene altro da sé nell’oggettività. Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, l’alienazione scomparve dalla riflessione filosofica e nessuno tra i maggiori pensatori vi dedicò attenzione.
La riscoperta di questa teoria avvenne con la pubblicazione, nel 1932, dei Manoscritti economico filosofici del 1844, un inedito appartenente alla produzione giovanile di Karl Marx, in cui, mediante la categoria di «lavoro alienato», egli aveva traghettato la problematica dalla sfera filosofica a quella economica. L’alienazione venne descritta come il fenomeno attraverso il quale il prodotto del lavoro si manifesta «come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente». Contrariamente a Hegel, che l’aveva rappresentata come una manifestazione ontologica del lavoro, che coincideva con l’oggettivazione in quanto tale, Marx concepì questo fenomeno come la caratteristica di una determinata epoca della produzione: quella capitalistica.
Le concezioni non marxiste
Ci sarebbe voluto ancora molto tempo, però, prima che una concezione storica, e non ontologica, dell’alienazione potesse affermarsi.
- Details
- Hits: 2804

Affamare la bestia del nostro debito
Guido Viale
«Affama la bestia» è lo slogan con cui Ronald Reagan aveva inaugurato il trentennio di liberismo di cui oggi stiamo pagando le conseguenze. La «bestia» per Reagan era il governo: che - è un altro suo celebre detto - «non è la soluzione ma il problema». La bestia da affamare è in realtà la democrazia, l'autogoverno, la possibilità per i cittadini e i lavoratori di decidere il proprio destino. Il programma è di mettere tutto in mano ai privati, che si appropriano così delle funzioni di governo e le gestiscono in base alle leggi del profitto.
Quel programma è stato ora tradotto dall'Ue e dai governi dell'eurozona in due strumenti micidiali: il pareggio di bilancio e il fiscal compact. Con queste due misure in Italia verranno prelevati ogni anno dalle tasse, cioè dai bilanci di chi le paga, quasi 100 miliardi di interessi e altri 45-50 di ratei, per versarli ai detentori del debito: in larga parte banche e assicurazioni sull'orlo del fallimento per operazioni avventate e altri grandi speculatori nazionali ed esteri, e solo in minima parte singoli risparmiatori. L'assurdità di queste misure non va sottovalutata: nessun paese al mondo, nemmeno la Germania di Weimar, condannata al pagamento dei danni di guerra, ha mai rimborsato un proprio debito: che è stato sempre ridimensionato o riassorbito dalla «crescita» del Pil - quando c'è stata - o dall'inflazione, o da un condono, o da un default. Sottoporre a un salasso del genere un paese come il nostro, con un debito di oltre il 120 per cento del Pil, vuol dire condannarlo alla rovina.
Page 525 of 614