Dopo Sanchez cosa?
di Manolo Monereo
In Spagna il governo Sanchez traballa. Monereo osserva che “Siamo di fronte a un processo destituente e, nel frattempo, quel che resta della sinistra alza gli occhi al cielo e prega gli dei che Pedro Sánchez sopravviva. Non sembra un granché”.
Pensare al ritmo dei media, lasciarsi condizionare da una quotidianità sempre più volatile, mancare di criteri chiari davanti alla fase politica che stiamo vivendo, ciò porta dritti alla sconfitta. Non c’è alcuna strategia, si rimane indietro rispetto agli eventi, che, a loro volta, sono governati dai tribunali. Lo abbiamo già visto con il PSOE e il PP. Tempo, per cosa? Lo scenario europeo e internazionale non induce all’ottimismo. La parola chiave è la militarizzazione della politica e della società, il riarmo generale, l’aumento del debito pubblico e una profonda messa in discussione di ciò che resta dello Stato sociale. Putin come nemico funziona bene, anzi benissimo; le élite al potere continuano a credere che sia una buona copertura per legittimare una maggiore centralizzazione del potere in un’Unione Europea politicamente orientata dalla NATO, per riconvertire il vecchio apparato produttivo del nucleo centrale dominato dalla Germania e, soprattutto, per allinearsi più che mai con gli Stati Uniti che esigono urgentemente il pagamento immediato del costo della loro protezione passata, presente e futura. Niente è gratis.
Non molto tempo fa, Wolfgang Münchau ha parlato, in un altro contesto, dell’importanza di avere una strategia chiara e di mettere in atto tattiche appropriate per realizzarla, di non lasciarsi governare da un’agenda imposta dai vari partiti di opposizione.
Dalla sinistra tedesca, Michael Brie ha auspicato un dibattito strategico di fronte a un cambio d’epoca. È di questo che si tratta. E della fine, diciamolo francamente, del ciclo politico del governo di Pedro Sánchez. Dobbiamo porci le domande giuste: cosa resterà del PSOE? Cosa resterà di quel poco che resta alla sua sinistra? Come possiamo affrontare la ricostruzione di un progetto alternativo di potere e di società nelle condizioni di una lunga, estenuante e complessa traversata del deserto? Ora la partita è attesa, guidata e al fianco del superstite Sánchez. Tutto tranne che elezioni. Guadagnare tempo, per cosa? Il dibattito deve essere aperto ora. Il problema è chiaro e distinto: la fine del governo Sánchez potrebbe significare la fine della sinistra nel nostro Paese. Possiamo vivere senza la sinistra: guardiamoci intorno.
Per capire cosa sta succedendo, è necessario comprendere quattro questioni vagamente collegate che vanno ricollegate. Primo, l’esaurimento storico del movimento 15M e il fallimento di Podemos come alternativa al sistema bipartitico. Secondo, il secessionismo catalano e l’ascesa di un nazionalismo spagnolo di massa attorno a Vox . Terzo, la maggioranza di destra nella società e nella politica, e il governo sulla difensiva e senza una visione. Quarto, i poteri di fatto che hanno deciso di porre fine a questo governo e di entrare in una nuova era.
Si tratta di quattro questioni: due del passato recente che determinano in larga misura il presente, e due sopraggiunte che lo cambiano. C’è sempre spazio per ulteriori approfondimenti. Cosa le unisce? La crisi del regime. Si potrebbe dire che sia finita; io non credo; è ancora presente, ma sotto una luce diversa. In altre parole, non viene più da sinistra, dalla difesa e dallo sviluppo della democrazia; ora viene da destra, dalla modifica della vera Costituzione e dalla restrizione delle libertà pubbliche e dei diritti sociali. Siamo, qui e ora, di fronte ad un processo destituente [1] e, nel frattempo, quel che resta della sinistra alza gli occhi al cielo e prega gli dei che Pedro Sánchez sopravviva. Non sembra un granché.
Il regime del 1978 è in fase di cambiamento da tempo e presto cambierà ancora di più. Sta accadendo ovunque, in tutti gli stati. L’Unione Europea svolge il suo ruolo sia internamente (abrogando il costituzionalismo sociale e imponendo un liberalismo sempre più autoritario) sia esternamente (militarizzandosi e approfondendo la propria dipendenza dagli Stati Uniti). È curioso quanto si parli di Europa e si brandisca l’europeismo come un’arma, senza stabilire un collegamento concreto tra l’UE e le sue politiche e la crisi delle democrazie costituzionali nei singoli stati. Con l’erosione e la disintegrazione della sovranità popolare, le democrazie realmente esistenti stanno diventando “comunità autonome” di una forma di dominio (l’Unione Europea) essenzialmente autoritaria, saldamente controllata dalle grandi potenze finanziarie e sempre più subordinata a un Occidente collettivo guidato da Donald Trump. Per (ri)cominciare, dobbiamo guardare la realtà così com’è e non confondere i desideri con la realtà.
Dobbiamo andare a fondo della questione: perché i poteri forti hanno deciso di porre fine al governo di Pedro Sánchez? La risposta immediata: perché non sono d’accordo con le sue politiche. Non parlo di corruzione; per chi è al potere e non si candida, la corruzione serve i propri interessi, e l’hanno sempre praticata. Periodicamente, i loro media – sempre i loro media – la portano a galla e riescono a intervenire con decisione nella vita pubblica. Il gioco è fatto: corrompendo i politici, incassano enormi profitti, neutralizzano i partiti critici del sistema di potere e, incredibilmente, dimostrano alle classi lavoratrici che la politica è corrotta per definizione; che tutti sono uguali e che la migliore linea d’azione è ognuno per sé. L’idea centrale: non c’è salvezza nella politica, e ancor meno nell’azione collettiva. Per dirla senza mezzi termini: perché non votare per i ricchi? Perché non votare per i signori? Perché non votare per chi ha già il potere? Sono corrotti, sì, senza dubbio, ma almeno fanno qualcosa. Lo “Stato delle opere” ha lasciato un segno culturale e ritorna sempre quando la politica (la vera politica, come etica della collettività, come autodeterminazione democratica e programmatica) entra in crisi.
La questione appare chiara: chi è al potere ha deciso che Pedro Sánchez ha già svolto il suo ruolo e che è necessario allinearsi a un’UE che sta attraversando, l’ennesimo, processo di rifondazione e una svolta radicale, insisto, verso la militarizzazione; questo è il dato politicamente rilevante che segnerà la fase. Non dobbiamo illuderci né ingannarci. Non stanno cacciando il governo di coalizione perché ha attuato politiche che democratizzano sostanzialmente i rapporti di potere sociale, che modificano progressivamente il modello produttivo dominante, che promuovono i diritti della maggioranza sociale o una reale redistribuzione del reddito e della ricchezza del Paese. Loro, chi è al potere, ne sanno di più. Lo stanno cacciando perché è necessaria e urgente una svolta radicale a destra, rispettando le direttive che vengono dall’alto (NATO, UE, USA), imponendo politiche di austerità per garantire il riarmo e, soprattutto, riducendo la spesa sociale. A mio avviso, questo governo di VOX e PP cercherà di limitare il potere contrattuale delle classi lavoratrici, indebolire ulteriormente il ruolo dei sindacati e accelerare la decostruzione dello Stato sociale. VOX, al governo o all’opposizione, gli darà un’impronta particolare: approfondire la battaglia culturale in una prospettiva nazional-cattolica, promuovendo ed esercitando un forte “liberalismo autoritario”, combinato, come sempre, con il nazionalismo spagnolo dei consumi interni e una chiara e distinta dipendenza dall’UE e, soprattutto, dagli Stati Uniti e dalla NATO. Georgia Meloni ci insegna molto.
Un fatto essenziale viene sempre dimenticato. Il neoliberismo è stato ed è una (contro)rivoluzione di massa contro le conquiste storiche delle classi lavoratrici. Il suo obiettivo era rendere irreversibile il suo modello economico e di potere. Ci sono riusciti ovunque. Quello che sta arrivando ora è qualcos’altro, una forma fortemente autoritaria di liberalismo che cerca di cancellare le classi lavoratrici come soggetto politico e culturale, ponendo fine al conflitto sociale e ai diritti dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Il nuovo regime che arriverà assomiglierà molto a una “democrazia militante” che proibisce le forze estremiste e lascia a Santiago Abascal il compito di definire cosa sia o dovrebbe essere una democrazia aggiornata.
La “sovranità” dell’estrema destra è artificiale: si oppone agli effetti e difende fanaticamente le cause. Trump, Meloni e Abascal guadagnano forza e voti opponendosi alle conseguenze delle politiche neoliberiste e, paradossalmente, difendendole molto più dei (neo)liberisti. Loro, l’estrema destra, sono il sostituto necessario di questa UE a guida NATO. I cosiddetti federalisti europei non riescono a capire (il PSOE in primis) che legittimano un'”altra Europa” che porta inevitabilmente a governi “pro-Trump”. Chi meglio di loro può rappresentarla?
Sono tornato all’inizio. Sto ancora discutendo molto del governo Sánchez in questi giorni. Sento la stessa retorica: Sánchez è essenziale e deve continuare a prescindere da tutto; tutto tranne che le elezioni. Ha un piano? Non sembra. Passerà all’offensiva? Non è chiaro. Pensano che la mossa di Montoro gli dia un po’ di respiro, gli faccia guadagnare tempo. Tempo per fare cosa? Non possiamo affrontare le elezioni separatamente; sarebbe una tragedia. I più realisti tra noi sostengono che sia meglio usare questo tempo per costruire qualcosa. C’è consenso sulla diagnosi: alla base, c’è sempre meno organizzazione, meno attivismo e si stanno perdendo i legami sociali. Il sistema finanziario dell’organizzazione è estremamente debole e l’unica cosa che ci rimane – molto poco – sono i media legati alle azioni del governo.
Bisogna prendere delle decisioni. O il governo passa all’offensiva su questioni cruciali (guerra, riarmo, diritti sociali e del lavoro, democratizzazione della magistratura) oppure è meglio abbandonarlo subito e schierarsi all’opposizione. Non è facile, ma bisogna dare un segnale chiaro: siamo impegnati su qualcosa di diverso e affrontiamo le sfide a testa alta, con coraggio e fermezza. Non si tratta di lasciar cadere il governo, ma di difendere una proposta coerente e, soprattutto, di dedicare tutte le energie disponibili alla costruzione di un programma alternativo. Ora è il momento; più tardi sarà troppo tardi. Costruire sulla sconfitta? Riuscite a immaginarlo?
La questione di cosa fare ora è drammatica. Il problema più complesso è affrontare un cambio d’epoca che richiede un nuovo inizio, la fondazione di un intero progetto storico e, allo stesso tempo, rispondere alle urgenti e decisive esigenze della fine di un ciclo politico spagnolo segnato da debolezza, frammentazione e mancanza di idee. Alcuni pensano che non ci siano gli elementi necessari. Io non credo. Il primo compito sarà porre fine alla rassegnazione, rompere con la consapevolezza che non c’è alternativa e che siamo destinati, ancora una volta, a perdere.
Una settimana fa, Héctor Illueca parlava di costruire un “terzo spazio” politico per contrastare il sistema partitico dominante a due blocchi. C’è molta verità in questo. Ora è il momento dell’autonomia, dell’unità e della differenziazione, per la costruzione di un nuovo soggetto politico, uno spazio democratico-socialista, repubblicano e plebeo. Al centro: un programma per un’azione consapevole, collettivamente organizzata, e una solida proposta unitaria. Le battaglie non combattute sono sempre perse. La lotta continua.