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Il futuro è oggi. L’urgenza di un modello di sviluppo alternativo
di Fabrizio Venafro
Il recente ennesimo disastro ecologico causato dall’affondamento di una nave cargo al largo delle coste dello Sri Lanka, ripropone prepotentemente la questione ambientale e in particolare dell’enorme quantità di plastica prodotta e dispersa nelle acque del globo. Dopo giorni di incendio, la nave affonda disperdendo enormi quantitativi di plastica e petrolio nell’oceano e sulle spiagge. È stato stimato che negli oceani la quantità di materiale inorganico immesso dall’uomo è ormai maggiore di quella di materia organica, costituita da pesci e alghe. Le microplastiche presenti nel ciclo dell’acqua sono ormai diffuse ovunque e fanno parte dell’alimentazione dei pesci (costituendo una sorta di plancton tossico) e tramite questi della nostra. L’invenzione della plastica, salutata quale grande progresso del XX secolo, si sta rivelando un vero e proprio cavallo di Troia per la salute umana. Un materiale che ha insitauna contraddizione dovuta al fatto che, a dispetto della lunga durata, viene impiegato per la produzione di oggetti usa e getta. Quello della plastica è solo uno dei problemi ambientali che ci vengono posti dalle sfide per il futuro e che pongono l’attuale modello di sviluppo sul banco degli imputati. La cosa bizzarra, quasi uno scherzo del destino, è che continuando secondo il modello espansivo perseguito finora, la catastrofe si abbatterà sullo stesso genere umano che ne subirà direttamente le conseguenze e potrebbe autoestinguersi. La Terra sopravvivrà a tutti gli stress cui la stiamo sottoponendo, ma si può dire la stessa cosa per il genere umano? Il nostro è un genere che provoca la propria estinzione e questa è una peculiarità della nostra specie, che pur si distingue per l’uso della razionalità.
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Michel Foucault filosofo del secolo
di Rocco Ronchi
Jules Vuillemin, insigne storico della filosofia che molto aveva contribuito alla elezione di Michel Foucault al Collège de France nel 1970, a distanza di appena un anno da quell’evento, nutriva più di un dubbio sulla bontà di quella scelta. Era stata ottenuta al prezzo di non poche negoziazioni con una Accademia poco incline ad accogliere tra le sue file l’autore di un libro inclassificabile come Folie et déraison (in italiano tradotto con il titolo Storia della follia nell’età classica, che era il sottotitolo francese), libro nato da una tesi dottorato che aveva consacrato il giovane studioso proveniente dalla provincia francese (Foucault era nato a Poitiers il 15 Ottobre del 1926) nell’Olimpo della cultura parigina. In Michel Foucault. Il filosofo del secolo. Una biografia, Feltrinelli 2021 (trad. it. Lorenzo Alunni; ed. originale 2011), Didier Eribon racconta di una telefonata preoccupata di Vuillemin a Georges Dumézil, il grande storico delle religioni, che era stato il nume tutelare della carriera di Foucault fin dagli anni del suo apprendistato filosofico all’École Normale. Sembra che gli chiedesse sgomento “Cosa abbiamo fatto? Mio Dio, cosa abbiamo fatto?” (p. 291). Sfogliando i giornali, Vuillemin vi trovava le immagini del neoletto che insieme a Sartre, al quale, però, tutto era a priori perdonato, e ai maoisti, che erano egemoni sulla scena studentesca, si faceva interprete delle rivendicazioni sociali e politiche più radicali. Non mancavano poi imbarazzanti episodi di cronaca.
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Il “lupo marxicano”
di Giorgio Gattei
Giorgio Gattei, docente e storico del pensiero economico ed economista marxista italiano, che ha partecipato al dibattito apertosi nella Sezione Quadri di "Cumpanis" sulla questione Sraffa - Marx, ci invia questo suo prezioso contributo, con Sraffa ancora protagonista
Come fu che Pierino Sraffa chiuse in gabbia il “lupo marxicano”, ma lasciandoci la chiave per ridargli la libertà ("Dianoia", giugno 2018)
Quando nel 1988 ho letto per la prima volta Pierino e il lupo di Gianfranco Pala (dono graditissimo dell’autore) adesso ripubblicato da Franco Angeli, mi sono divertito come non mai: brillante, intelligente, irriverente, prendeva a pretesto l’omonima favola sinfonica (1936) di Serghei Prokofiev (la cui storia è riportata integralmente, a spizzichi, nel corso del libro) per servirsene come il canovaccio per narrare, come recita il sottotitolo, «come fu che Pierino (Sraffa) riuscì a catturare il lupo marxicano salvandolo dai fucili dei cacciatori, epperò facendolo rinchiudere in gabbia».
Tuttavia il libro è prolisso, zeppo di note e di due appendici che fanno quasi un volume a parte, e poi tratta di un argomento, quale la “teoria del valore-lavoro e dintorni”, che oggi pare questione d’archeologia. Ci sono, insomma, troppe parole e troppi animali, col richio che il lettore poco addentro alle segrete cose della “triste scienza” (la political economy di un tempo) finisca per perdersi in tanto zoo. Certamente una ristampa alleggerita di alcune parti polemiche (su temi che allora erano oggetto di feroci dibattiti, ma che adesso non dicono più nulla) avrebbe favorito, ma tant’è: lo si è voluto ripubblicare tale e quale. Trattandosi tuttavia di un libro importante che riporta in scena argomenti cruciali (“critici”, come avrebbe detto il lupo marxicano) che mai andrebbero dimenticati dagli economisti, azzardo un riassunto della trama e ci ricamo un po’ sopra per dar conto anche del seguito della storia di Pierino e del suo lupo, che fortunatamente non si è fermata al 1988, vigilia del più tristo 1989.
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L’illusione della globalizzazione fiscale
di Giacomo Gabellini
Il gigantesco pacchetto di stimoli fiscali elaborato dall’amministrazione Biden e recentemente approvato dal Congresso ha suscitato grandi speranze, nonostante gli enormi problemi legati alla sua applicazione pratica. In concreto, il governo prevede di finanziarlo tramite «il più grande aumento delle tasse mai visto dal 1942», a carico delle fasce alte della società e delle aziende. Secondo i calcoli di Washington, i circa 2.000 miliardi di dollari richiesti dal piano dovrebbero essere rastrellati mediante l’innalzamento delle aliquote relative ai prelievi sugli utili societari (dal 21 al 28%) e sui profitti delle imprese multinazionali Usa realizzati all’estero (dal 10,5 al 21%). Per evitare che l’inasprimento della pressione fiscale all’interno dei confini statunitensi accentui ulteriormente la già spiccatissima propensione delle imprese Usa a spostare la propria sede fiscale all’estero e a ricorrere al fenomeno dell’estero-vestizione per sfuggire al fisco nazionale, Biden e il suo segretario al Tesoro Janet Yellen hanno cercato di richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla necessità di porre fine alla competizione fiscale in cui gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti quantomeno dal 2010.
In quell’anno, mentre annunciavano pubblicamente l’intenzione di porre l’abolizione del segreto bancario in cima alla scala delle priorità, governo e Congresso ufficializzavano l’introduzione del Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), una legge che impone a qualsiasi istituzione finanziaria, sia statunitense che straniera, di fornire alle autorità tutte le informazioni riguardanti i clienti statunitensi.
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Una nuova internazionale nera, dalla Spagna all’America Latina
di Geraldina Colotti
L’attualità dell’America latina mette in primo piano le elezioni di domenica 6 giugno in Messico e in Perù, mentre continuano le proteste in Colombia, a cui il governo Duque risponde con massacri silenziati dai media occidentali.
Al riguardo, iniziamo col raccogliere l’invito del filosofo messicano Fernando Buen Abad che si occupa di semiotica radicale e combattiva e che, alle sue riflessioni sulle elezioni in Messico, ha premesso la vignetta di un cervello in gabbia come invito a non ottundere il pensiero critico seguendo le menzogne mediatiche. In Messico, che conta 129 milioni di abitanti, andrà alle urne un totale di 94 milioni di aventi diritto. Voteranno per il rinnovo della Camera dei Deputati, dove si eleggeranno 500 nuovi membri. A livello locale, si vota in 15 governazioni, 30 municipi e 30 congressi locali.
Morena, il partito del presidente Lopez Obrador, si presenta in una coalizione denominata Juntos Hacemos Historia, e composta anche dal Partido del Trabajo (PT), dal Partido Verde Ecologista de México. I due partiti di destra, il Pri e il Pan, vanno invece uniti nell’alleanza Va por Mexico. Un dato significativo per un paese nel quale le violenze patriarcali e omofobiche sono molto elevate, è il record di candidati alla Camera dei movimenti LGBTIQ+ , e il fatto che quasi il 2% degli oltre 5.300 candidati ai diversi incarichi ha dichiarato in un’inchiesta di identificarsi come parte della comunità. In queste elezioni, vi sono candidati che si definiscono transgender, omosessuali e muxe, un terzo genere riconosciuto all’interno della cultura degli zapotechi di Oaxaca, nel Messico meridionale, che indica una persona alla quale è stato assegnato individualmente il sesso maschile, ma che si veste e si comporta con modalità femminili.
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Perché ho parlato contro i lockdowns
Sulla necessità di sfidare il senso comune sul Covid
di Martin Kulldorff
Nota introduttiva a cura della Redazione de La Fionda
Dall’inizio dell’epidemia di Sars-Cov-2, abbiamo assistito all’amplificarsi e all’imporsi di un approccio e di una dinamica politica, mediatica e scientifica, che ha fatto della censura e della politicizzazione di dubbi argomentati, di opinioni, posizione scientifiche autorevoli o addirittura di farmaci e protocolli terapeutici, una forma di gestione di ciò che nel discorso pubblico e nello spazio sociale delle democrazie occidentali, può esser considerato legittimo e dicibile, e di ciò che invece deve essere rifiutato come fake. Si tratta di un metodo di controllo o, per meglio dire, di governo della pubblica opinione e del suo spazio di accettabilità e di legittimità: metodo che era già radicato e praticato nell’era pre-Covid, rispetto, ad esempio, a temi riguardanti l’Unione Europea, le questioni economiche e monetarie, o ancora i rapporti geo-politici tra gli Stati o i problemi legati all’immigrazione, ma che ha fatto dell’epidemia e della questione sanitaria il nuovo campo d’azione e di delimitazione del discorso pubblico.
Questo metodo di governo della pubblica opinione, così come delle posizioni scientifiche, ha sostanzialmente racchiuso le maggiori questioni problematiche riguardanti l’epidemia, delimitando il campo del discorso considerato legittimo perché certificato da autorità politiche, TV, giornali e social media come vero, e costruendo, al tempo stesso, una cappa di indicibilità su chi ha sollevato dubbi e interrogativi capaci di mettere in discussione quella narrazione ufficiale. La sola possibilità di espressione libera che non incorra né nel meccanismo di delegittimazione pubblica e mediatica, né nella conseguente censura, consiste nel presentare le tesi opposte alla narrazione certificata e vera, come delle pure ipotesi senza alcuna pretesa veritativa.
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Trump, Fort Detrick e il Covid 19
Il colpevole silenzio degli Stati Uniti sulla vera origine del coronavirus
di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Tutta una serie di variegate informazioni e di fatti concreti, combinati strettamente tra loro a partire da alcune clamorose anomalie, provano e attestano oltre ogni dubbio che:
1. Il coronavirus ha iniziato a contagiare e devastare il mondo trovando il suo luogo di origine e di propagazione nella base militare e nel laboratorio batteriologico di Fort Detrick, collocato nello stato del Maryland degli Stati Uniti, fin dal luglio del 2019 e quindi più di tre mesi in anticipo rispetto ai casi riportati a Wuhan e in Cina;
2. Il governo Trump, gli apparati statali americani e l’amministrazione Biden in carica dal gennaio del 2021, hanno via via cercato, coscientemente e costantemente, di coprire e nascondere tale gravissimo evento di contaminazione durante il periodo compreso tra il luglio del 2019 e il presente, ossia per due lunghi e sanguinosi anni: una menzogna permanente e perfettamente consapevole di Washington che ha direttamente causato e prodotto il dilagare della paurosa strage di più di tre milioni di esseri umani, insanguinando dall’estate del 2019 quasi tutto il nostro pianeta e provocando circa 600.000 vittime innocenti nella stessa America.
Fin dal 1943 e senza soluzione di continuità uno dei principali siti militari statunitensi per la guerra batteriologica, Fort Detrick, registrò al suo interno una prima e innegabile “fuga” verso il mondo esterno del batterio che causa l’antrace (una gravissima infezione, con sintomi molto simili a quelli creati dalla polmonite) già il 18 settembre 2001, ossia solo una settimana dopo gli attentati dell’11 settembre.1
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Alla ricerca dell’alleato: la Agrarfrage di Karl Kautsky
di Eros Barone
La Questione agraria (1899) di Karl Kautsky si compone di tre parti distinte, anche se fra loro logicamente connesse: una prima parte generale e prevalentemente teorica; una seconda parte dedicata all’analisi degli aspetti specifici dell’agricoltura sul finire del secolo XIX, con una particolare attenzione alla Germania; una terza parte conclusiva in cui sono formulate le grandi linee del programma politico della socialdemocrazia tedesca nei confronti dei contadini e riguardo ai problemi dell’agricoltura. Il fine che viene esplicitamente perseguito dall’autore è quello di «… studiare se e come il capitale si impadronisce dell’agricoltura, la trasforma, rende insostenibili vecchie forme di produzione e di proprietà e crea la necessità di nuove forme. Soltanto quando avremo risposto a queste questioni potremo vedere se la teoria di Marx è applicabile all’agricoltura o no…». 1 In altri termini, Kautsky si è prefisso di sottoporre Il Capitale ad una specie di verifica, e quanto questa sia stata positiva è testimoniato dall’influsso durevole di quest’opera sull’ala sinistra della socialdemocrazia e sul pensiero di Lenin in particolare. 2 Nelle note seguenti si cercherà di porre in luce le categorie teoriche, i contenuti più rilevanti e il metodo dialettico che caratterizzano il ‘magnum opus’ kautskiano e, grazie anche al confronto con l’elaborazione di Lenin sullo stesso tema, ne rendono quanto mai ricca ed istruttiva la lettura.
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Infrastrutture e globalizzazione: una sfida strategica
di Francesco Giuseppe Laureti e Stefano Guarrera
Fin dall’antichità, le infrastrutture riflettono la capacità, tipica dell’essere umano, di rimodellare il territorio secondo le proprie necessità. Se è vero che, in origine, era il fabbisogno di beni di prima necessità e di materie prime a guidare i commerci dall’Europa attraverso le rotte del Mediterraneo e, in seguito, su distanze ben più lunghe, fino all’Estremo Oriente, ecco che l’esigenza di facilitare gli spostamenti, velocizzare il flusso di merci, semplificare le comunicazioni e collegare gli angoli più remoti del globo emerge prima di quanto si sia portati a credere.
Eppure, c’è chi offre una versione più prudente e attenta alle sfide e ai rischi che possono derivare dalle dinamiche economiche e geopolitiche innescate e catalizzate dalle opere infrastrutturali di carattere strategico.
Nel suo The Great Convergence: Information Technology and the New Globalization, Richard Baldwin, professore di Economia internazionale al Graduate Institute di Ginevra, racconta di come la pax mongolica che vigilò sulla Via della Seta tra XIII e XIV secolo non fu soltanto fattore di sviluppo dei commerci tra Occidente e Oriente, ma anche motivo di rapida diffusione della peste bubbonica. L’epidemia senza precedenti che spazzò via tra un quarto e metà della popolazione europea era stata veicolata dai traffici commerciali di un tentativo di globalizzazione, secoli prima della comparsa di treni e battelli a vapore. L’Europa sarebbe uscita prostrata da questa terribile crisi.
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Alla lotta contro i licenziamenti e contro il governo Draghi!
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Siamo ad un passo dallo sblocco dei licenziamenti di massa, e sulla stampa di regime, il regime-Draghi, è partito il battage propagandistico dell’“andrà tutto bene”, che già ci assordò tempo fa, e abbiamo visto com’è andata. Al megafono il forzista Brunetta, ministro della p.a.: “Siamo alla vigilia di un nuovo boom economico. Stiamo vedendo all’opera gli ‘spiriti animali’ della nostra Italia. Con le nostre riforme (…), una rivoluzione gentile. È il momento Italia” (la Repubblica, 30 maggio). Il capo di Bankitalia Visco ha lanciato l’identico messaggio.
C’è euforia nei palazzi del potere
Il boom di cui parlano sarebbe in realtà un semplice rimbalzo dal fosso (-8,9%) in cui è caduta nel 2020 l’economia italiana insieme a quella mondiale; un rimbalzo che, se andasse “tutto bene” (+4,3% nel 2021, +4,0% nel 2022), la riporterebbe nel 2023 ai livelli del 2019, che erano inferiori a quelli del 2007. Ma non è detto che vada come prevedono.
La loro euforia si fonda sull’ipotesi di una ripartenza a razzo di Stati Uniti e Cina in grado di trainare l’intera economia mondiale. Su questa ripartenza a razzo gravano, in realtà, diverse incognite, che potrebbero farla cortocircuitare anche piuttosto a breve. A cominciare dall’andamento della pandemia da covid-19 nel mondo, e dalla non remota possibilità di nuove pandemie in arrivo.
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L’obbedienza alla ragione è un invito alla rivolta. La proto-Grammatologia di Hamann
di Leo Essen
Nel 1756 Johann Georg Hamann, concittadino e amico di Kant, si reca a Londra per una missione segreta. La ditta Berens (Isaiah Berlin, Il mago del Nord) gli affida una missione la cui esatta natura è a tutt’oggi un mistero. Il compito di Hamann sarebbe stato quello di proporre agli inglesi un eventuale distacco dell’area baltica «tedesca» dall’Impero russo e la nascita di uno Stato autonomo o semiautonomo. La missione si conclude con un nulla di fatto.
A Londra Hamann abita in casa di un insegnante di musica, inizia a suonare il liuto e si vota a una vita di terribile dissipazione. Dopo solo 10 mesi accumula debiti per 300 sterline, versa in uno stato di prostrazione, miseria e solitudine. Poi lascia la casa del musicista e si trasferisce in una modesta pensione, dove, da buon pietista, il 13 marzo 1758 inizia a rileggere le Bibbia. Annota i suoi progressi spirituali giorno per giorno.
Tornato in Germania rifiuta l’invito di Kant di scrivere un manuale di fisica a quattro mani, e nel 1767 accetta un posto di funzionario all’Amministrazione generale delle imposte e dei dazi.
Nel Settecento, la Prussia di Federico il Grande, è, tra tutte le provincie tedesche, la più progressista. La burocrazia di Berlino deve raggiungere il livello di quella francese. Esperti stranieri, soprattutto francesi, vengono invitati alla corte di Potsdam e messi al lavoro. La lingua della corte è il francese.
Ai francesi (Voltaire, Maupertuis e La Mettrie, solo per citare i più famosi), dice Berlin, vengono assegnati gli incarichi intellettuali di maggior prestigio. Sono messi a capo degli uffici amministrativi dello Stato, con grave onta di tutti i veri prussiani (specie nella zona orientale del paese, roccaforte del tradizionalismo), che brontolano, ma obbediscono.
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L’analisi concreta della situazione concreta
Appunti su “L’Imperialismo” di Lenin
di Alberto Lombardo*
Il contributo di Lenin alla teoria marxista è stato inestimabile. Egli ha vissuto il trapasso definitivo dalla fase prevalentemente concorrenziale del capitalismo a quella imperialistica. Nel suo famoso L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo, dell’aprile del 1917, egli delinea gli aspetti storici di questo trapasso.
Dice Lenin:
Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industria, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi.
L'”unione personale” delle banche con l’industria è completata dall'”unione personale” di entrambe col governo.
Inoltre
Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli è diventata caratteristica l’esportazione di capitale.
Lenin poi fornisce le celebri 5 caratteristiche che definiscono l’imperialismo.
«Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo.
… i suoi cinque principali contrassegni [sono]:
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Lo Stato ecologico
di Erald Kolasi
Il problema centrale dell'economia è la scarsità, o almeno è così che si racconta la storia. L'argomento di base è che abbiamo desideri infiniti ma risorse limitate, e poiché non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, dobbiamo necessariamente ideare un sistema per distribuire beni e risorse. [1]
Entrare nell'economia di mercato efficiente, con i suoi prezzi e salari fissati dalle forza magica della domanda e dell'offerta, presunti guardiani del magazzino del nirvana economico. C'è un nocciolo di involontaria verità dietro questa narrazione. I limiti naturali impongono certamente scarsità assolute impossibili da superare. Ad esempio, nel sistema solare la quantità di uranio è fissata, e anche se sintetizziamo determinate sostanze utilizzando altre sostanze, la quantità totale che possiamo produrre sarà comunque limitata dalla disponibilità delle materie prime che entrano nel processo di produzione. Non possiamo andare contro al principio di conservazione dell’energia.
Sebbene i vincoli naturali sull'offerta siano importanti, la maggior parte delle scarsità economiche che governano le nostre vite sono in realtà sociali e artificiali. La domanda e l’offerta non sono forze naturali che fluttuano nell'aria; sono realtà artificiali stabilite da un ambiente sociale interattivo che coinvolge governi, corporazioni, istituzioni e classi. I cicli di domanda e offerta sono costrutti sociali progettati per rispondere a una domanda fondamentale: chi ottiene cosa?
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Il falso mito del banchiere eroe
“Basta con la retorica sul whatever it takes: Draghi alla Bce strozzò la Grecia per salvare le banche tedesche”
Enrico Mingori intervista Emiliano Brancaccio
Intervista all'economista Emiliano Brancaccio: "La verità è che con il whatever it takes Draghi smentì se stesso e le teorie liberiste di cui era ed è portatore. Il premier è un tecnocrate di destra. Sul blocco dei licenziamenti deve essersi perso tutti gli studi empirici che dimostrano come la flessibilità ostacoli l'occupazione. Sul Fisco non farà mai quella riforma in senso progressivo che ha promesso e vi spiego anche perché. Il Recovery? Scordatevi i 209 miliardi, saranno al massimo 60. E saranno usati più per incentivi che per investimenti. Intanto in Europa si stanno già preparando al ritorno dell'austerity"
L’austerity? Chi la crede morta e sepolta si sbaglia. I falchi del rigore sono stati costretti dalla pandemia a prendersi una pausa, ma sono già pronti a tornare. L’avvertimento arriva dall’economista Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica all’Università del Sannio, che in questa intervista a TPI boccia sonoramente le politiche economiche del “tecnocrate” Mario Draghi e smonta la retorica del “whatever it takes”: con quella frase, dice, “Draghi, in realtà, smentì se stesso”.
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Professore, durante un recente dibattito con il suo collega Daron Acemoglu del Mit di Boston, lei ha esibito una serie di ricerche empiriche secondo cui la flessibilità del lavoro non favorisce la crescita dell’occupazione ma al contrario la ostacola. Le chiedo: il blocco dei licenziamenti negli ultimi 15 mesi è servito a contenere l’emorragia di posti di lavoro oppure – come dicono Draghi, Confindustria e l’Ue – ha inquinato il mercato favorendo i garantiti a scapito dei precari?
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Ex Ilva, “Vendola colpevole perché debole con i più forti”
Rita Cantalino intervista Michele Riondino
L’attore tarantino commenta la sentenza del processo “Ambiente Svenduto”: “La classe politica e imprenditoriale è responsabile di crimini contro un’intera comunità. La difesa di Nichi Vendola? Ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci”
Il 30 maggio a Taranto è stata una giornata molto importante. Dopo sei anni e più di trecento udienze la Corte d’Assise ha emesso la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto, che ha sancito il disastro ambientale e sanitario in città, distribuendo circa 300 anni di carcere a imprenditori, politici e tecnici coinvolti nei fatti.
Abbiamo intervistato Michele Riondino, attore da sempre molto attento alle dinamiche della propria città e tra coloro che ogni anno portano avanti la manifestazione Uno Maggio, festival cittadino che è divenuto, dal 2013, palco per gran parte delle vertenze ambientali del Paese.
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Michele, cosa è successo a Taranto la scorsa settimana?
La sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto ha condannato una classe politica e imprenditoriale, colpevole di crimini contro la città e contro un’intera comunità. Si tratta di una sentenza che certifica ciò che la società civile ha sempre sostenuto: avevamo ragione nelle nostre battaglie, quando chiedevamo giustizia ambientale e sociale. Anche se, nonostante la condanna, anche adesso il sistema Impresa Italia continua a fare orecchie da mercante.
Ti riferisci alle reazioni dell’ex Presidente della Regione Nichi Vendola? Come commenteresti le sue uscite?
Sulla forma in cui le ha espresse preferisco non esprimermi nemmeno. La sua dichiarazione parla da sé, ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci e solo per questo dovrebbe porsi delle domande.
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Sblocco dei licenziamenti e liberalizzazione del subappalto
Un attacco frontale alla dignità e alla sicurezza dei lavoratori
di Domenico Cortese
Nel decreto legge Sostegni-bis è stato stabilito che il blocco dei licenziamenti non andrà oltre il 30 giugno per le grandi aziende e fine ottobre per le piccole e medie imprese. L’unica “concessione” che il governo Draghi sembra fare alla classe lavoratrice coinciderebbe con l’istituzione di una Cassa integrazione agevolata per le aziende accompagnata dal divieto, per queste, di licenziare. In altre parole, vince Confindustria su tutta la linea, con il solo ammortizzatore sopravvissuto per i lavoratori concesso a patto di espungere totalmente ogni voce di costo per il padronato.
Infatti, dal 1° luglio 2021 i datori di lavoro che non potranno più utilizzare la cassa integrazione ordinaria Covid-19 prevista dal decreto Sostegni (i.e. massimo 13 settimane tra il 1° aprile 2021 ed il 30 giugno 2021) potranno accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria prevista dal D.Lgs. n. 148/2015 senza tuttavia pagare contributi addizionali fino al 31 dicembre 2021. Durante l’utilizzo dei predetti ammortizzatori, le imprese resteranno allora vincolate al divieto di licenziamenti.
Il quadro che si profila lungo l’estate del 2021 diviene perciò estremamente pesante per i lavoratori, non tanto e non solo per le conseguenze occupazionali che lo sblocco apporterà (si va dai 150 mila posti di lavoro che si perderanno secondo la Fondazione Adapt1 ai quasi 600 mila stimati da Bankitalia e ministero del lavoro2, che si aggiungerebbero ai 900 mila occupati in meno da inizio pandemia) quanto per il crollo del potere politico e negoziale che risulta già evidente da un intervento dei sindacati confederali fiacco e convenzionale.
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Discussioni circa la teoria della crisi di Itoh
di Bollettino Culturale
La letteratura marxista dedicata allo studio delle crisi economiche è piuttosto ampia e poco condivisa. I diversi filoni teorici tendono a concentrarsi su un solo aspetto del processo di riproduzione del capitale ed a collocarlo come elemento determinante della crisi. Il sottoconsumismo cerca di spiegare la crisi adducendo l'incapacità della società di consumare tutto ciò che produce; i teorici della sproporzione sottolineano che lo squilibrio tra i vari settori produttivi impedisce la piena realizzazione del valore prodotto; la teoria della carenza di manodopera sostiene che l'aumento dei salari può essere una barriera all'accumulazione, e così via. Tutte queste spiegazioni puntano ad aspetti osservabili dell'apparenza del fenomeno, ma non riescono a identificare i nessi causali sottostanti in modo tale da riunire le contraddizioni del capitalismo in un corpo teorico coerente e consistente.
Lo scopo di questo articolo è analizzare, alla luce della legge generale dell'accumulazione del capitale e di altri sviluppi teorici di Marx, gli argomenti della teoria della crisi basata sulla scarsità di forza lavoro (nota anche come profit squeeze). Makoto Itoh, il principale rappresentante di questo filone teorico, intende dimostrare che l'aumento dei salari, derivante dall'esaurimento dell'esercito industriale di riserva, costituisce una barriera all'accumulazione e, quindi, l'elemento causa della crisi. Questa proposizione contraddice la tesi fondamentale dell'opera di Marx secondo cui il capitalismo produce inevitabilmente una sovrappopolazione relativa che tende a ridurre i salari, anche se presenta, in alcuni periodi, un aumento dei tassi salariali.
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Che farcene del “Che fare?” di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij
di Mariano Guzzini
Mi si consenta di ricordare a me stesso ed al “lettore perspicace” (come lo chiama Černyčevskij) le circostanze che mi misero in contatto con l’edizione italiana del “Che fare?” di Černyševskij, edito nel febbraio 1977 dagli Editori Riuniti. Quaranta quattro anni fa.
Per me quello fu un anno di svolta.
Dal giugno dell’anno prima ero segretario – a 33 anni – della federazione provinciale del Pci di Ancona (14.300 iscritti, veri), avevo in agenda il viaggio in Unione Sovietica che spettava ai segretari di federazione dei capoluoghi di regione appena eletti, per farsi conoscere al Cremlino, e soprattutto per conoscere dall’interno la sorgente dell’ “Oro di Mosca” (Cervetti), e stavo preparando un congresso provinciale in vista del primo congresso regionale, di Pesaro, sull’onda dell’entusiasmo per l’avanzata elettorale dei comunisti del 20 e 21 giugno 1976, il migliore risultato della storia del Pci. Arrivammo al 34,37%, guadagnando oltre sette punti. La Dc si attestò sul 38,71, perdendo qualcosa (4 seggi, mentre noi ne conquistammo ben 49) e cominciando a sentire il fiato dei comunisti sul collo.
Quel libro arrivò in federazione nel solito pacco che gli Editori riuniti spedivano a tutti i componenti del Comitato centrale per far circolare tutto quello che erano in grado di stampare, grazie al sullodato “oro di Mosca” e al nostro lavoro di autofinanziamento. Non ho mai fatto parte del Comitato centrale, ma ero in grado di intercettare quei pacchi dono e di alleggerirli di qualche volume, grazie alla benevola indifferenza del destinatario, Paolo Guerrini, che proprio in quella tornata del 15 giugno era entrato in Parlamento proponendomi alla segreteria da lui tenuta fino a quel momento.
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L'intelligenza in lotta
Su Hans-Jürgen Krahl
di Mimmo Sersante
L’intelligenza in lotta è il titolo di alcuni testi di Hans-Jürgen Krahl, tratti da Costituzione e lotta di classe del 1971, di recente riproposti dalla casa editrice ombre corte. In questo articolo Mimmo Sersante non si limita a una recensione del nuovo volume, ma ripercorre i tratti centrali del pensiero e della prassi del militante tedesco, il suo atipico rapporto con la Scuola di Francoforte, le grandi anticipazioni contenute nelle riflessioni sul ruolo nella produzione contemporanea dell’intelligenza tecnico-scientifica, la sua ricezione nel contesto politico italiano, le assonanze e le divergenze con la costellazione operaista. Per scoprire e riscoprire che delle letture di Krahl c’è ancora oggi bisogno per addentrarci nei caotici enigmi della composizione di classe.
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Se non un déjà vu, certamente un-già-visto questa riproposizione da parte di ombre corte – titolo: L’intelligenza in lotta. Sapere e produzione nel tardo capitalismo – di taluni scritti di Hans-Jürgen Krahl tratti da Costituzione e lotta di classe, l’edizione italiana di Konstitution und Klassenkampf del ’71 e prontamente tradotto in italiano dalla Jaca Book. Eravamo nel ’73 e la casa editrice affiliata a Comunione e Liberazione da qualche anno non mancava di stupire i compagni con le sue proposte editoriali come quella che ospitava per l’appunto Krahl: Saggi per una conoscenza della transizione. Qualche nome e qualche titolo, tanto per ricordare: S. Amin (L’accumulazione su scala mondiale), P. Naville (I rapporti di produzione nelle società socialiste), E. Preobrajensky (La nuova economia), H. Jaffe (Processo capitalista e teoria dell’accumulazione), C. Bettelheim (Pianificazione e sviluppo accelerato) e poi Althusser, Flechtheim, Serge, finanche Bachelard ecc.
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Il conflitto sociale al tempo del Covid
Mario Michele Pascale intervista Patrizio Paolinelli
La pandemia da Covid-19 sta allentando la morsa. Le vaccinazioni procedono a ritmo spedito e già si intravede la luce alla fine del tunnel. Ma mettere tra parentesi gli anni 2020-2021 potrebbe essere un errore. La pandemia ha messo a nudo molte criticità di sistema: economiche, politiche, sociali.
Patrizio Paolinelli, sociologo e giornalista, autore di Rabbia. Polemos e il Leviatano, uscito recentemente per i tipi di Asterios editore, indaga i punti in cui il sistema si incrina generando rabbia sociale.
Se nella prima fase del contagio l’Italia intera cantava piena di speranza dai balconi, nella seconda fase il malcontento è montato, l’entusiasmo e la fiducia sono scemati, la rabbia ha invaso le strade. Ed è paradossale come Polemos, il padre di tutte le cose secondo Eraclito, abbia accompagnato la trasformazione della protesta da online, quindi baricentrata sull’uso intensivo ed estensivo dei social network, a offline, portando in piazza le categorie maggiormente colpite dalla crisi economica conseguente al lockdown.
Paolinelli, dopo aver tracciato un quadro generale, chiama in causa una serie di analisti. Attraverso lo strumento dell’intervista porta avanti un’operazione maieutica: solo attraverso Socrate si può analizzare Polemos. L’autore dialoga con Francesco Schettino, docente di economia politica, Maria Grazia Gabrielli, Segretaria generale FILCAMS CGIL, Marino Masucci, Segretario Generale FIT CISL, Giovanni Sgambati, Segretario generale UIL Campania e Napoli, Giulio Sapelli, storico dell’economia, Paolo Ferrero, vice presidente del partito della sinistra europea.
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Un punto di vista "autonomo" dalle fabbriche
di Commonware
Intervista a un operaio a cura di Kamo Modena ripresa dall’omonimo blog
Quella che segue è una chiacchierata che abbiamo fatto con un lavoratore di un’azienda metalmeccanica della nostra città. Una specie di “carotaggio atipico” su quello che si muove nelle fabbriche e nella composizione operaia “tradizionale” che per la maggiore caratterizza il nostro territorio. Il nostro interlocutore è una figura mediana, politicizzata, che incorpora saperi e attitudini sedimentati dalla vicinanza o partecipazione a cicli di lotta ed esperienze politiche esauriti, ma che al contempo non è inquadrata in percorsi all’interno di sindacati, organizzazioni partitiche o strutture specifiche. Proprio per questo ci ha interessato la “sua versione” liminale, che evita da una parte quella distanza ideologica o quei filtri (sia “politicisti” che “sindacalisti”) che spesso dividono l’attivista, il delegato o il funzionario da uno sguardo lucido sul livello di massa, e dall’altra quell’aderenza al punto di vista dell’interesse generale che è il senso comune delle classi dominanti. Crediamo che queste parole possano essere utili per approfondire un’analisi di fase e di tendenza oltre gli slogan e le semplificazioni, per “misurare la temperatura” in determinati settori e per dare un punto di vista alternativo – o elementi per un ragionamento – rispetto alla questione della lotta di classe nel suo rapporto con la sindacalizzazione del conflitto. Buona lettura.
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Ciao. Partiamo questa conversazione chiedendoti di presentarti sommariamente prima di iniziare con qualche domanda più specifica.
Lavoro in una fabbrica metalmeccanica emiliana, di media grandezza, sicuramente non piccola, come operaio, quindi tutto parte da questo mio punto di vista, sicuramente parzialissimo, e da quello che tocco con mano e vedo ormai da diversi anni.
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Iran e Vicino Oriente. Rompicapo regionale e grandi potenze
di Alberto Bradanini*
Una sana adesione al principio di complessità consiglia la massima cautela quando si tenta di dare un senso agli eventi che si dipanano nel cosiddetto Grande Medio Oriente, definizione con la quale definiamo solitamente la regione che dall’Iran, attraversando i territori mediorientali propriamente detti, abbraccia anche i paesi del Nord-Africa che si affacciano sul Mare Nostrum.
Come altrove, anche qui i fattori identitari sono costituiti dalla lingua, l’etnia, il colore della pelle, la religione – questa a sua volta suddivisa in confessioni (o famiglie religiose) talora ostili l’una all’altra – che interagiscono in modo diverso a seconda dei tempi e dei luoghi. La religione, messaggera di orizzonti messianici, occupa un posto centrale nelle identità di quelle popolazioni, vittima e insieme protagonista di settarismi, arretratezze socioculturali e posture antimoderne, cui si aggiunge un’endemica instabilità politica che impedisce l’affermarsi di priorità centrate sullo sviluppo umano, il controllo pubblico delle risorse e la giustizia sociale. A quanto sopra si sommano poi le pesanti interferenze esterne dell’Occidente americano-centrico, di stampo neocoloniale e imperialista, che soffiano sul fuoco delle diversità storiche, etniche e religiose, con la complicità delle oligarchie locali, civili o ecclesiastiche fa poca differenza, per imporre come sempre la propria agenda di potere ed estrazione di risorse.
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L’irrazionalismo come fenomeno internazionale nel periodo dell’imperialismo
Prefazione a La distruzione della ragione
di György Lukács
Questo libro non pretende affatto di essere una storia della filosofia reazionaria o addirittura un trattato sul suo sviluppo. L’autore sa bene che l’irrazionalismo, di cui viene qui presentato l’affermarsi e l’estendersi a indirizzo dominante della filosofia borghese, è solo una delle tendenze importanti nella filosofia reazionaria borghese. Benché non vi sia praticamente filosofia reazionaria che non celi un determinato elemento irrazionalistico, il campo della filosofia reazionaria borghese è molto più ampio di quanto non sia quello della filosofia irrazionalistica, nel senso proprio e rigoroso del termine.
Ma neppure questa limitazione basta a circoscrivere il nostro compito. Anche in quest’ambito più ristretto, non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e più tipici. Questa linea principale va presentata come la risposta più significativa e grave di conseguenze data dalla reazione ai grandi problemi degli ultimi centocinquanta anni.
La storia della filosofia, alla stessa maniera della storia dell’arte e della storia della letteratura, non è mai, come pensano i suoi storici borghesi, semplice storia di idee filosofiche o magari di personalità. I problemi e i modi di risolverli vengono stabiliti per la filosofia dallo sviluppo delle forze produttive, dall’evoluzione sociale, dallo svolgersi delle lotte di classe.
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Le pandemie nella ratio epocale
di Giovanna Morelli
Uno sguardo ampio, critico e profondo sul virus che si è abbattuto, a scala planetaria, sull’orrore che eravamo arrivati a considerare normalità, esaltandone alcuni dei tratti peculiari. Uno sguardo che consente di provare a leggere la crisi del nostro tempo non come fenomeno isolato ma di farne “archeologia del presente”, secondo la grande lezione del più impietoso critico novecentesco dell’espropriazione della salute. Giovanna Morelli, appassionata studiosa del pensiero di Ivan Illich, racconta la sua lettura dei diversi saggi che compongono “Transitare le pandemie“, un libro essenziale per cercare una chiave ermeneutica, un’occasione di nuova consapevolezza per affrontare molti dei nodi che avvolgono il caos mediatico che avvolge il Covid 19 e, soprattutto, i suoi contesti. Dalla stigmatizzazione del mito della Scienza come entità monolitica alla capacità di leggere il presente nelle tracce segnate dal passato, passando per la nefasta deresponsabilizzazione intellettuale ed etica tanto preziosa per affermare la naturalizzazione delle logiche dell’emergenza.
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Accomunati dall’eredità umana e intellettuale di Ivan Illich, i cinque firmatari di questo prezioso libro affluiscono da diversi ambiti di ricerca e luoghi di provenienza: Italia, Messico, Canada e Pennsylvania. Amici e stretti collaboratori di Illich, cui si accompagna Fabio Milana, curatore dell’edizione italiana dell’opera omnia. Attraverso i vari saggi[1] (le cui date, dall’aprile 2020 al febbraio 2021, incorniciano un anno di Covid-19) il testo sviluppa un pensiero lucidamente critico, supportato da una ricca documentazione, ed elabora incertezze, certezze più o meno millantate, dolori, speranze, commozione e rabbia che ci hanno attraversato in questo “momento storico atroce” abbattutosi sulla storia del pianeta con violenza distopica e ciò non pertanto maledettamente reale.
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Virus come metafora
Che parole usare, per questa crisi?
di Franco Palazzi*
La metafora non è mai innocente. Essa orienta la ricerca e fissa i risultati”, scriveva Jacques Derrida. Apparentemente, non vi è nulla di più banale di una metafora: l’atto di trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro, per ricorrere alla definizione aristotelica. Un gesto che ognuno di noi compie innumerevoli volte nel corso di una giornata – il mare ci sembra una tavola, il tempo viene convertito senza battere ciglio in denaro…
La leva che Derrida utilizzava per scardinare in un sol colpo il linguaggio e l’uso completamente trasparente che la filosofia voleva farne era, nella formulazione di Aristotele, la parola proprio, che rimanda alla necessità di una metafora di essere appropriata: se diciamo “il mare è una tavola” intuiamo facilmente che il richiamo è alla piattezza della sua superficie, ma cosa significherebbe una frase come “il mare è un anatomopatologo”? Il suo senso non è chiaro, ma al tempo stesso è impossibile stabilire se esso sia completamente assente – e se il mare, alla stregua dell’anatomopatologo, facesse riemergere sulla battigia i corpi dei naufraghi, riconsegnandoli alla storia proprio come fa il medico legale nell’atto di identificare un cadavere sfigurato? La metafora, ci suggerisce questo esempio, deve fare i conti con il rischio ineliminabile dell’incompletezza, della mancanza di un punto di approdo pienamente soddisfacente.
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