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Gianluca Solla, Memoria dei senzanome
di Eleonora de Conciliis
Gianluca Solla
Memoria dei senzanome.
Breve storia dell’infimo e dell’infame
Ombre corte, Verona 2013,pp. 172
euro 16,00 ISBN 9788897522577
Aprendo con una splendida analisi della fotografia di uno straccivendolo scattata da Atget agli inizi del Novecento, e utilizzando il metodo benjaminiano del montaggio – montaggio di istantanee, di affondi teorici e critici, di paesaggi urbani e spirituali – Gianluca Solla costruisce un testo di filosofia politica, ma anche, e soprattutto, un percorso di filosofia morale che ha come oggetto gli scarti umani dell’economia capitalistica: coloro che, in una triste specularità mimetica, vivono dei rifiuti di questa economia (cfr. pp. 11-16), ma anche i vinti, gli abietti, i rivoltosi che sono apparsi per un istante sulla scena della “storia dei vincitori” (Benjamin) per poi ripiombare nell’anonimo inferno della loro quotidiana umiliazione, e ai quali nessuna visione dialettico-progressiva degli eventi sembra in grado di rendere giustizia, o almeno donare l’onore del ricordo.
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La lezione di Augusto Graziani
Emiliano Brancaccio
In ricordo del grande economista recentemente scomparso, per molti anni collaboratore di «Critica marxista». Ci ha insegnato che la lotta di classe c’è, persino quando non se ne ha coscienza. E che la disoccupazione non si combatte con la deregolamentazione del lavoro. Lo sguardo preoccupato sull’euro, a partire dalla sua introduzione
Augusto Graziani è morto il 5 gennaio scorso, a Napoli, pochi mesi dopo le celebrazioni per i suoi ottant’anni. Scompare così il maestro di una intera generazione di economisti italiani, raffinato innovatore delle idee di Marx e Keynes e acutissimo critico dei luoghi comuni su cui regge il consenso verso la politica economica dominante. Nato a Napoli nel 1933, esponente di punta delle scuole italiane di pensiero economico critico, già senatore e accademico dei Lincei, nell’arco di quasi mezzo secolo di pubblicazioni Graziani si è cimentato con successo nella infaticabile opera di tessitura di una sottile trama logica, in grado di tenere coerentemente assieme ricerca teorica pura, didattica e divulgazione1. Per questa sua missione gramsciana, riuscita a pochi altri e oggi considerata impossibile dalla stragrande maggioranza degli economisti, Graziani ha saputo farsi apprezzare non solo da studenti e colleghi ma anche da un più ampio pubblico di estimatori, tra cui i lettori dei suoi editoriali pubblicati sul manifesto, sul Corriere della sera e su varie altre testate nazionali2.
All’interno della comunità scientifica Graziani si è distinto per l’originalità e la vastità delle sue ricerche, dagli studi dei primi anni ’60 dedicati ai problemi del Mezzogiorno e del relativo sviluppo dualistico italiano, alle interpretazioni definite “conflittualiste” della crisi e della ristrutturazione degli anni ’60 e ’70, fino ai più recenti contributi degli anni ’80 e ’90 volti alla costruzione di uno schema di “teoria monetaria della produzione”.3 Il terreno della ricerca non è tuttavia l’unico sul quale Graziani si è cimentato. A esso si affianca quello, non meno congeniale, della didattica.
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Perché la gente non si ribella?
di Marino Badiale
Se “gente” suona troppo populista alle vostre orecchie, potete tirare in ballo il popolo, le masse, il proletariato, la classe operaia, i ceti subalterni, come meglio vi piace. Comunque sia, il problema è chiaro, ed è fondamentale. Dopo tante analisi sociopoliticoeconomiche, possiamo dire di aver capito, almeno in linea general, cosa “lorsignori” stanno facendo, e perché. Ma la possibilità di una politica di contrasto ai ceti dominanti è appesa a questa domanda: perché la gente non si ribella?
Non ho risposte, lo dico subito. Mi sembra però di poter argomentare che alcune delle risposte che più comunemente vengono ripetute sono poco convincenti. Proverò allora a spiegare questo punto, nella convinzione che togliere di mezzo le spiegazioni deboli o incomplete possa aiutare ad elaborare spiegazioni migliori.
Risposta n.1: “La gente sta bene, o meglio, non sta ancora abbastanza male”. Il sottinteso di questa risposta è che l'ora della rivolta scocca quando si sta davvero male, quando arriva la fame. Ma questa idea è sbagliata. Se fosse corretta, il lager hitleriano e il gulag staliniano sarebbero stati un ribollire di rivolte, e sappiamo che non è andata così
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L'Europa ipocrita e l'Euro-sclerosi
di Pier Giorgio Ardeni
Il concetto di euro-sclerosi fu coniato negli anni 80 per indicare un mercato del lavoro sclerotico. Oggi le arterie della vecchia europa sono di nuovo intasate. E la più grave crisi da ottanta anni a questa parte non ha ancora trovato una chiave di lettura
Forse in pochi ricordano un termine venuto di moda in certi circoli negli anni '80 – Euro-sclerosi – per indicare un mercato del lavoro "sclerotico", come fossero le arterie otturate della vecchia Europa, a fronte di un'economia comunque in crescita che non lasciava fluire i lavoratori dentro e fuori, a differenza di quello americano a quel tempo più "dinamico". Ne parlarono Olivier Blanchard e Larry Summers, allora "giovani economisti" promettenti, in un famoso articolo del 1986 sull'isteresi della disoccupazione europea (agli economisti è sempre piaciuto rifarsi ai fisici e prenderne a prestito i termini con ben altro significato). L'Euro-sclerosi come sinonimo di alta disoccupazione e bassa mobilità. Non che gli Stati Uniti stessero poi così meglio, a quel tempo, e con il senno di poi lo si può ben dire, visto che il productivity slowdown cominciato alla fine degli anni '70 faceva ancora sentire i suoi strascichi. E, anche lì, giù a dare la colpa al mercato del lavoro. Gli anni sono passati, e di acqua sotto i ponti ne è passata al punto di allagare, esondare, ritirarsi in siccità e cambiare il mondo.
Oggi siamo nel mondo del post, il postmoderno, il post-capitalismo, il post-comunismo (ce lo siamo già dimenticati).
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Combattere la crisi: la proposta di ATTAC?
di Ernesto Screpanti
È in libreria per le Edizioni Alegre un’opera collettanea dal titolo ambizioso: “Come si esce dalla crisi”. Senza punto interrogativo. Dunque vuole essere una risposta alla domanda che tutti ci poniamo: Come si esce dalla crisi? Però, forse turbati dall’eccesso di ambizione, gli autori ridimensionano subito le aspettative nel sottotitolo: “Per una nuova finanza pubblica e sociale”. In realtà né il titolo né il sottotitolo sono del tutto veritieri: Il primo promette troppo il secondo troppo poco.
In questo articolo non voglio fare una semplice recensione. Piuttosto proverò a sviluppare una riflessione su alcune problematiche sollevate dal libro e dare qualche suggerimento. E comincerò con l’enucleare le proposte di riforma, rielaborandole nella veste di un programma politico. Non credo di andare lontano dalla realtà se dico che questo libro presenta una bozza di programma di un’area di movimento che gravita intorno ad ATTAC. Tuttavia non sarebbe corretto considerarlo come il programma di ATTAC, non solo perché quest’associazione non è un partito politico, ma anche perché solo alcuni degli autori del libro vi appartengono. Ciononostante, perpetrando una sineddoche che mi sembra più chiarificante che deformante, mi riferirò alla bozza di programma come se fosse ispirata alla visione politica dei compagni attacchini.
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Capitalismo predatore
Il paradosso del calabrone
Bruno Amoroso, Nico Perrone
Nella sua seconda lezione di Roskilde, in Danimarca, Federico Caffè ricordava agli studenti che quando si parla dell’economia italiana è necessario fare riferimento al calabrone, un particolare animale che secondo le leggi della dinamica non potrebbe volare, ma che nei fatti continua a volare. E di questo paradosso Caffè fornì alcune indicazioni centrate sull’attenzione eccessiva data, a suo avviso, agli aspetti congiunturali utilizzati come strumento di «allarmismo economico», con fini economici e politici manipolatori, mettendo così in ombra aspetti strutturali come la distribuzione dei redditi, le politiche industriali, energetiche, dell’edilizia popolare, del problema giovanile, dell’evasione fiscale, dell’agricoltura e dell’occupazione. Una manipolazione alla quale, osservava stizzito, si sono piegati anche i sindacati e le forze politiche progressiste che di questi aspetti dovrebbero essere i maggiori custodi.
In un recente articolo dal titolo Qual è il problema dell’Italia?, l’economista statunitense Paul Krugman rivela di essere al lavoro a un progetto di ricerca che lo appassiona da tempo e che riguarda l’interrogativo su cosa sta succedendo in Italia. Un interrogativo da sciogliere, a suo avviso, perché il confronto che viene spesso fatto con la situazione di Spagna e Grecia all’interno dell’eurozona non è affatto convincente.
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Fast and Furious
L’ultimo atto della politica istituzionale italiana andato in scena in questi giorni ha offerto al grande pubblico uno spettacolo da cinema hollywoodiano, c’è chi l’ha chiamato Italian jobs , chi Gangs of Pd mentre assisteva ad una guerra per bande fatta esclusivamente per il potere nel più cieco disinteresse verso un paese stracotto e sfinito. Nel nostro piccolo ne proponiamo un terzo: Fast and furious.
Fin dall’infanzia ci è stato insegnato che ci sono due categorie dalle quali non possiamo prescindere: lo spazio ed il tempo.
La prima è facilmente archiviabile, con tutte le banalizzazioni del caso, nella fortezza Europa che se al suo esterno si presenta così (a lato) al suo interno si traduce nella famigerata Troika che non è organismo esclusivo riservato ai soli greci! Osservare il proliferare di colori nazionali (verde, bianco, rosso) che maculano immancabilmente simboli e cartelloni elettorali è chiaro sintomo dell’inconsapevole finzione alla quale partecipiamo. Apparteniamo a un’altra scala e sarebbe ora di cominciare a ricordarlo senza troppe nostalgie o rigurgiti nazionalisti.
Il tempo, al contrario, è ciò che ci interessa maggiormente e che sarebbe bene analizzare perché tirato in ballo da più parti e forse, perché protagonista principale di questa fase.
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Riflessioni sul voto svizzero
I limiti di una lettura razzista e l’esigenza di una riposta internazionale di classe
Collettivo Scintilla
Torniamo nuovamente sul voto svizzero dello scorso 9 febbraio e lo facciamo con il contributo a firma dei compagni e delle compagne del Collettivo Scintilla (Ticino). Un contributo interessante perché evidenzia, a nostro avviso, come il caso svizzero sia meglio comprensibile se guardato da un punto di vista più ampio (e di classe), capace di tenere dentro la discussione la complessità dei rapporti tra la Confederazione svizzera e l’Unione Europea. A loro vanno i nostri ringraziamenti per il contributo; buona lettura!
Il 29 novembre 2009, gli elettori svizzeri accettavano l’iniziativa popolare : “Contro la costruzione di minareti”. Questa iniziativa, destinata ad avere ampio risalto nelle testate giornalistiche di tutta Europa, iscriveva nella Costituzione Federale l’esplicito divieto di edificazione delle caratteristiche “torri” dalle quali i muezzin sono soliti chiamare alla preghiera i fedeli mussulmani. All’epoca della votazione esistevano in Svizzera, ed esistono tuttora d’altronde, quattro moschee provviste di minareto, nessuna delle quali eseguiva appelli pubblici alla preghiera.
L’iniziativa venne approvata contro ogni previsione. Portata avanti dalla sola Unione Democratica di Centro (UDC) [1] contro il parere di tutte le altre formazioni politiche e autorità istituzionali, fu salutata dalla destra xenofoba autoctona e straniera come il trionfo della volontà popolare e della democrazia (semi)diretta: Il popolo, di nuovo sovrano, rispondeva alla “minaccia” dell’”islamizzazione” e dell’inforestieramento, utilizzando lo strumento del voto per imporre il proprio volere ad un esecutivo giudicato troppo tollerante e passivo.
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Rossobruni maior e rossobruni minor
Perché, perché sì e perché no
di Piero Pagliani
1. Per capire che cos’è il cosiddetto “rossobrunismo” attuale occorre innanzitutto mettere a fuoco l’approdo ideologico e politico della sinistra storica in Occidente.
Questo approdo è stato sintetizzato dall’economista statunitense Michael Hudson in una semplice domanda che si trova ad un punto di snodo del suo libro “Super Imperialism -The Origin and Fundamentals of U.S. World Dominance”. La domanda è così formulata: «Quale altro compito hanno oggi i partiti di sinistra se non quello di tradire i propri patti costitutivi?».
E’ una domanda molto pertinente.
Diverse volte ho dovuto sottolineato un fatto che spesso sfugge: i partiti storici della sinistra europea hanno assunto, a volte in modo quasi estatico come in Italia, un’ideologia politico-economica che nata negli anni Cinquanta a Chicago fu per la prima volta sperimentata in corpore vili in Cile su richiesta del dittatore Pinochet e sotto la protezione delle sue armi fasciste. Si tratta del neoliberismo-monetarismo.
Basta questo dato di fatto storico per comprendere che siamo di fronte a una potente forma di commistione tra destra e sinistra che possiamo battezzare “rossobrunismo maior”.
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Disoccupazione tecnologica e negazione della domanda nel mondo dell'"Intelligenza Artificiale"
Le nuove frontiere supply side della politica italiana
di Quarantotto
Della presunta spinta "hi-tech" verso la disoccupazione ne avevamo già parlato nel finale di questo post.
Questa versione ci viene ora riproposta in maggior dettaglio dallo stesso commentatore.
Le sue argomentazioni possono, grosso modo, così riassumersi:
1- l'innovazione tecnologica è così veloce e tumultuosa da mettere in pericolo ormai il 47% dei posti lavoro;
2- ciò si era già verificato alla fine dell'800, ma allora era risultato più agevole la sostituzione dell'occupazione perduta con nuovi "mestieri", aspetto che, in questo frangente non sarebbe riproponibile;
3- le "nuove tecnologie" incidono specialmente su certi settori dei servizi, acuendo le distanze tra i "più esperti" e i "colletti bianchi, i più esposti all'ascesa della intelligenza artificiale" (robot e Internet diffuso);
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Cripto-moneta del comune e "acciarpature monetarie"
di Sebastiano Isaia
L’esistenza del denaro presuppone la reificazione del contesto sociale (1).
Dove c’è la moneta, insiste sempre e necessariamente un rapporto sociale di dominio e di sfruttamento.
Alla ricerca, in precario equilibrio tra il chimerico e il comico, di «una moneta del comune come possibile embrione della costruzione di un circuito finanziario alternativo, che sfugga al controllo e alle imposizioni delle oligarchie finanziarie», il comunardo Andrea Fumagalli fa una serie di scoperte davvero sorprendenti. Egli scopre ad esempio che «la moneta è un’invenzione umana [che] non cresce sugli alberi», che essa «ci dimostra che l’essere umano è un animale sociale» (2). Non ditemi che queste cose le aveva già scoperte non pochi secoli fa un antico filosofo greco perché non ci credo! Lasciamo cadere ogni invidia, e seguiamo con fiducia Fumagalli lungo la via che mena al Comun(e)ismo. «Comun(e) che?». Insomma, abbiate fede!
Vediamo dunque con animo aperto alla speranza le altre perle nel sacco del nostro amico: «La moneta è relazione sociale [e qui mi tolgo il cappello in segno di approvazione]. Una relazione sociale che oggi non è paritaria, ma che potrebbe diventarlo [qui invece inizio a nicchiare]. La moneta è la dimostrazione dell’esistenza di una comunità, perché la moneta è frutto di un rapporto di fiducia». Prescindendo da ogni altra considerazione critica volta a mettere in discussione il quadro abbastanza confuso appena visto, mi chiedo: una relazione sociale «paritaria» non presuppone la scomparsa della moneta? Vediamo come risponde il Nostro: «La moneta è, soprattutto, potere. Potere di decisione, potere di arbitrio. E oggi è potere capitalistico. Per questo la moneta non è un bene comune». Se ho bene inteso, oggi la moneta «è potere capitalistico», mentre domani essa potrebbe esprimere un ben diverso potere, e precisamente quello comunardo.
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Necessario un progetto sovranazionale per rompere l'Europa dei mercati
N.Fragiacomo intervista Franco Russo
Franco Russo, classe 1945, vanta una lunga e coerente militanza a sinistra: iscrittosi nel 1961 alla FGCI - da cui venne espulso sei anni dopo per aver promosso il Centro antimperialista Che Guevara - ha preso parte al movimento del ’68 romano; cofondatore di Democrazia Proletaria (del cui gruppo parlamentare è stato presidente) e tra gli animatori della sinistra rosso-verde, ha poi aderito a Rifondazione Comunista, ricoprendo dal 2006 al 2008 la carica di deputato. E’ stato anche attivo nel Social Forum europeo da ‘Firenze 2002’. Nel 2012, assieme a Giorgio Cremaschi e ad altri, ha dato vita a Ross@.
Non è il classico politico che parla di tutto senza approfondire nulla: Russo conosce come pochi – non solo a sinistra – la complessa materia dei trattati e del diritto europeo. La sua posizione è chiara: il 14 dicembre, all’assemblea di Ross@, ha letto una relazione intitolata “Rompere l’Unione Europea” – unica via, sostiene, “per battere centrosinistra e centrodestra, al governo insieme in Italia, che portano avanti le politiche antipopolari dell’austerità. L’altro nostro nemico è il populismo.”
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Marx a Casa Pound?
Scritto da Diego Fusaro
Diego Fusaro risponde alle dure critiche a lui rivolte da Contropiano e Antiper per la partecipazione, poi ritirata, al convegno di CasaPound su Marx[n.d.r.]
Sul “Corriere della Sera” di sabato (15 febbraio, p. 29) ho spiegato che l’aver accettato da parte mia l’invito di “Casa Pound” a discutere a Roma il 21 febbraio del pensiero di Marx ha suscitato un moto d’indignazione in alcuni ambienti antifascisti. Purtroppo, le mie intenzioni di filosofo sono state fraintese in senso politico e sono stato addirittura tacciato di avere simpatie fasciste e quindi, in quanto “nemico del popolo”, condannato all’ostracismo. Ho perfino ricevuto insulti e minacce contro la mia persona e la mia incolumità. Rimbomba una caccia alle streghe di marca staliniana che pensavo fosse stata superata da un pezzo. La buona fede mi faceva sperare in un dialogo serio e pacifico, tra posizioni diverse ma animate dalla volontà di confrontarsi. Questo era lo spirito con cui avevo aderito all’iniziativa. Ma evidentemente non è la situazione opportuna per dialogare con chi la pensa diversamente. Speravo e spero sempre nel dialogo, perché rifiutarsi di dialogare significa perdere in partenza: le idee si sconfiggono con le idee.
Non sono mai stato fascista, né mai lo sarò. Socrate mi ha, però, insegnato a dialogare con tutti.
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Globalizzazione, capitale, lavoro
di Giovanna Cracco
“Per riassumere: nello stato attuale della società, che cosa è dunque il libero scambio? È la libertà del capitale. quando avrete lasciato cadere quei pochi ostacoli nazionali che raffrenano ancora la marcia del capitale, non avrete fatto che dare via libera alla sua attività. […] Il risultato sarà che l’opposizione fra le due classi [capitalisti e lavoratori salariati, n.d.a.] si delineerà più nettamente ancora. […] signori, non vi lasciate suggestionare dalla parola astratta di libertà. Libertà di chi? non è la libertà di un singolo individuo di fronte a un altro individuo. È la libertà che ha il capitale di schiacciare il lavoratore.” Karl Marx, Discorso sulla questione del libero scambio, pronunciato il 9 gennaio 1848 all’Associazione democratica di Bruxelles.
Ci sono parole che fanno la loro comparsa nei ristretti circoli economici, migrano nei discorsi politici e vengono infine proposte e riproposte dai mass media fino a farle diventare parte del lessico comune dei cittadini; ma ogni passaggio le semplifica, le riveste con l’abito adatto allo scopo e all’occasione. Così, i primi utilizzatori sono e restano ben consapevoli del loro nudo significato, gli ultimi ne hanno appena una vaga idea. E quando il tempo sbiadisce i lustrini e lacera il vestito, quando presenta il conto, gli ultimi si ritrovano a non capire per cosa pagano. Ed è ben difficile contestare il risultato di una somma quando non si è in grado di fare le addizioni.
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“Dual mandate” per la Bce
di Agenor
Banche da legare/5 L'ossessione della grande finanza per il tapering, il programma di acquisto di titoli di stato americani da parte della Federal Reserve
Mentre a Bruxelles e Francoforte si continua a discutere di indefinite e “infalsificabili” riforme strutturali per risolvere gli squilibri macroeconomici e finanziari causati da trent'anni di ideologia neoliberista e pessimo senso dello Stato, nei circoli della grande finanza si sente parlare sempre più di 'tapering' e dei rischi che questo possa comportare per l'economia globale e I mercati emergenti.
Ciò che si vuole gradualmente ridurre (per l'appunto 'tapering'), è un programma di acquisto di titoli di stato americani da parte della Federal Reserve – la banca centrale americana - volto a sostenere l'economia domestica, la casse dello stato e l'occupazione. Sembrerà strano a chi legge la stampa italiana, ma tutte le principali banche centrali del mondo, dalla Banca d'Inghilterra alla Fed, alla Banca del Giappone, stanno da diverso tempo acquistando quantità massicce di debito pubblico o garantito dal pubblico nel mercato secondario. Tutte ad eccezione della Banca Centrale Europea.
Come documentato in un precedente articolo, risale a circa un anno fa il tanto conciso quanto epocale annuncio con cui la federal reserve comunicava che avrebbe mantenuto i tassi d'interesse vicini allo 0% ed acquistato debito pubblico americano e obbligazioni private in mano ad agenzie statali (prevalentemente mortgage-backed securities) al ritmo di $85 miliardi al mese finché il tasso di disoccupazione sarebbe rimasto sopra il 6,5% e le aspettative di inflazione ancorate attorno al 2%.
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Di seguito due interventi di Stefano G. Azzarà e del collettivo Antiper sul "dialogo socratico" tra Diego Fusaro e CasaPound
Sul "dialogo socratico" con CasaPound
di Stefano G. Azzarà
Sono stato invitato a partecipare assieme a Diego Fusaro a un dibattito su Marx a CasaPound. Ecco la mia risposta.
... Come forse sapete, ho tradotto e commentato Das Recht der juengen Voelker di Arthur Moeller van den Bruck. Sto per pubblicare un libro su Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla rivoluzione conservatrice che traduce 4 saggi di Moeller su Nietzsche. Ho scritto su Juenger e il socialismo nazionale. Sto lavorando a un libro su Heidegger e la "rivoluzione" nazista. Ho frequenti contatti con Marco Tarchi, che ho difeso pubblicamente piu volte, attirandomi in passato la reazione di molti miei compagni idioti. Anche sul piano biografico, nel 1991 io e i miei compagni occupammo la facoltà di lettere dell'università di Messina assieme a un gruppo di filiazione ordinovista - assumendocene i rischi e mettendo in conto che ci saremmo presto scannati, come puntualmente avvenne -, perche' altrimenti nessuno ne avrebbe avuto la forza. Inoltre sono allievo di Domenico Losurdo, che più volte ha parlato insieme a Ernst Nolte, ha difeso Garaudy, ha criticato tutte le proposte di legge contro il cosiddetto negazionismo.
Insomma non mi scandalizza affatto parlare con i fascisti.
E però conosco molto bene la storia di questi confronti e di tutti i tentativi di elaborare una "terza posizione" andando oltre destra e sinistra. Proprio la rivoluzione conservatrice weimariana, che e' tra i miei principali oggetti di studio, ne è il prototipo.
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L’innocenza perduta della produttività
Claus Peter Ortlieb
“Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, in quanto tende a ridurre al minimo il tempo di lavoro, mentre d’altro canto pone il tempo di lavoro come l’unica misura e fonte di ricchezza.”
Marx, Grundrisse.
Il cosiddetto progresso tecnico e l’aumento costante della produttività sono frequentemente presentati come il cammino potenziale per una vita agiata e come soluzione di tutti i problemi dell’umanità. Guardando a come la produttività sia raddoppiata negli ultimi 30/40 anni, ciò che significa che con la stessa quantità di tempo speso a lavorare oggi è prodotta una quantità di merci doppia di quella degli anni ‘70, se ne dovrebbe concludere che camminiamo a grandi passi verso una vita di abbondanza. Evidentemente, chiunque oggi affermasse ciò, di fronte alle attuali crisi simultanee e crescenti dell’ambiente, delle risorse, dell’economia e della finanza, sarebbe giustamente considerato un sognatore. C’è qualcosa dunque di sbagliato nel suo calcolo e nella sua promessa.
Dove sta l’errore? Un primo indicatore per una risposta a questa questione ci è dato da uno slogan spesso ripetuto in questo contesto: competitività. Il significato di produttività si basa, innanzitutto, sul confronto: l’impresa più produttiva realizza più prodotti e li può quindi vendere a un prezzo più basso, spingendo in questo modo i suoi concorrenti fuori dal mercato.
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La "mandrakata"
di Leonardo Mazzei
Verso il "governissimo Renzi"? Macché! L'ennesimo "governicchio" di una classe dirigente che non sa che pesci prendere e che alla fine dovrà ubbidire ai diktat delle tecno-oligarchie europee e applicare politiche antipopolari.
Chissà perché lo chiamano Renzi 1, come se il "2" fosse cosa scontata. In realtà la confusione sotto il cielo è grande, e per ora siamo semmai al Renzi zero, un oggetto per adesso senza forma, con una maggioranza pittoresca, ed un programma certo immaginabile ma che ancora non c'è.
Molte cose si chiariranno nei prossimi giorni, limitiamoci perciò ad alcune note su questo ennesimo Colpo di Palazzo, dopo i due precedenti del novembre 2011 (arrivo di Monti) e dell'aprile 2013 (governo Napo-Letta).
1. Disegno sistemico o guerra per bande?
Per prima cosa bisogna domandarsi da cosa nasca questa accelerazione, questa spinta fortissima verso un governo Renzi. Si tratta di un vero e proprio disegno sistemico, con il coinvolgimento ed il sostegno attivo dei principali poteri in gioco, od è semplicemente un episodio della guerra per bande che, frutto della crisi della politica secondo-repubblichina, imperversa ormai da anni?
Probabilmente entrambi i fattori giocano la loro parte ma, per quel che è possibile dire oggi, il secondo (la guerra per bande) ha un ruolo prevalente.
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Jean-Claude Michéa e i "misteri" della sinistra
Mario Cecere
Professore di filosofia nei licei e autore di numerose opere dedicate all'analisi del pensiero liberale e agli esiti politici e culturali totalitari delle sue premesse individualistiche, Jean-Claude Michéa è tra i piu' interessanti esponenti di una tendenza controcorrente che, in Francia e in Italia, (pensiamo a Diego Fusaro e al filosofo Costanzo Preve recentemente venuto a mancare), si sta segnalando per lo sforzo generoso di riuscire nell'opera titanica di dissodamento della crosta ideologica che rende attualmente impensabile l'uscita dall' asfissiante impasse "post-moderna" della fine della storia capitalistica, indicando coraggiosi percorsi alternativi di ricerca, di emancipazione e di affrancamento, posti sotto il segno di un rinnovato modello politico etico ed economico di esistenza in comune.
Nel testo di cui ci apprestiamo a esporre e a commentare alcune preziose linee guida, Les mystères de la gauche: de l'idéal des Lumières au triomphe du capitalisme absolu, apparso in Francia nel marzo del 2013 e ancora non tradotto in italiano, Michéa riassume il lavoro di anni di riflessione storica e filosofica che lo hanno condotto ad affermare, tra l'altro, l'assoluta organicità della "sinistra" al progetto di dominazione capitalista, spiegando che è l'equivocità del termine "sinistra", di cui l'autore ricompone la genesi storica contraddittoria, a generare i numerosi fraintendimenti e la paralisi attuale di molti sinceri anticapitalisti.
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Aporie della moltitudine
Carlo Formenti
Parto da Bifo, non solo perché il suo è l’intervento più lungo, ma anche perché mi consente di rendere ancora più chiara e puntuta l’intenzione polemica del mio libro. Franco mi rende l’onore delle armi: 1) riconoscendo che la mia analisi della mutazione del modo di produzione capitalistico è ineccepibile; 2) lodando l’utilità del mio lavoro di catalogazione di un ampio ventaglio di teorie, sforzo che, appunta ironicamente, risparmia ad altri la fatica di leggere tutti quei libri; 3) sostenendo che quando analizzo i processi sono «formidabile» (captatio benevolentiae?), ma aggiungendo che quando cerco di trarne conclusioni critiche cado nel vizio – «futile» e anche un po’ antipatico – di procedere per confutazioni, pretendendo di dimostrare che tutti sbagliano. Quindi, visto che viceversa rivendico e considero irrinunciabile il metodo della confutazione, procederò a confutare, tanto sul piano del metodo, quanto su quello della realtà di fatto, le sue argomentazioni.
Confutare è inutile, scrive Bifo, seguendo la lezione di Deleuze, perché non esistono verità da affermare né falsità da confutare, bensì solo «visioni». Ebbene, questa «visione» è esattamente il mio primo bersaglio polemico (non a caso ho scelto il sottotitolo Contro le ideologie postmoderne).
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Il populismo è democratico
Machiavelli e gli appetiti delle élite
di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli
L’anti-populismo può facilmente diventare un’arma nella mani delle élite, un’arma che pone a rischio la stessa convivenza democratica. Questo ci può insegnare Machiavelli attraverso un dibattito anglosassone sui rapporti tra i Discorsi e il neo-repubblicanesimo contemporaneo
L’accusa di populismo ricorre spesso nel lessico pubblico italiano. Interi movimenti politici sono spesso ricondotti a questa categoria. È il caso per esempio del Movimento 5 Stelle e, per alcuni aspetti, del cosiddetto berlusconismo, oltre che di vari soggetti dediti alla contestazione politica, inclusi i vari Occupy e le loro declinazioni locali.[1] A detta di quelli che lo criticano, il populismo consiste nella semplificazione eccessiva di questioni pubbliche complicate, ridotte a caricature adatte a soddisfare gli appetiti dei più e a suscitare in essi irrazionali e controproducenti istinti contestatori. Tale semplificazione agitatoria danneggerebbe non solo il perseguimento del bene collettivo ma anche quello degli interessi di coloro che si fanno attrarre da tale semplificazione. È implicita in questa concezione del populismo un’immagine negativa delle moltitudini: il “popolo” è spesso disinformato, distratto, disinteressato al bene comune, volatile nelle preferenze e nel giudizio politico, attratto dalle semplificazioni concettuali, estraneo alla razionalità e al senso civico richiesto dall’analisi dei problemi sociali ed economici più urgenti e complessi. Non solo: in tale accusa è implicita una valorizzazione paternalistica del ruolo delle élite tecnocratiche, considerate le più adatte a identificare e interpretare le vere esigenze e i veri interessi delle persone comuni. La maggioranza dei cittadini vivrebbe, secondo gli anti-populisti, in una sorta di falsa coscienza indotta da mancanza di competenze, da pigrizia cognitiva, e da un uso smodato della TV o dei social media, che non permetterebbero alle persone comuni di giudicare da sé del proprio destino politico.
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Attenti ai gattopardi
Giovanni Bucchi intervista Emiliano Brancaccio
Euro, disegnato per la Germania: in cinque anni l’occupazione tedesca cresciuta di 1,5 mln, nei paesi periferici calata di 6 milioni. Il disastro non si può evitare col buonismo comunitario. Sì a un “piano B” di uscita dall’euro ma attenzione ai gattopardi del liberismo
L’Italia ha bisogno di un “piano B” per uscire dall’euro, ma bisogna intendersi su come intraprendere questo percorso. Parola di Emiliano Brancaccio, docente all’Università del Sannio, uno di quegli economisti ai quali non si può addebitare la colpa di non aver previsto la crisi, viste le sue ricerche del decennio scorso che avanzavano dubbi sulla tenuta dell’eurozona. Nel settembre 2013 Brancaccio ha promosso un “monito” pubblicato sul Financial Times e sottoscritto da alcuni tra i principali esponenti della comunità accademica mondiale (www.theeconomistswarning.com), dove si legge che le politiche di austerity portano dritto all’uscita dall’euro. Gli abbiamo chiesto un parere sul manifesto del prof. Paolo Savona, che propone un “piano B” di uscita dall’eurozona, sia pure come ipotesi estrema.
Professor Brancaccio, quali sono i motivi di questa avversità crescente verso la moneta unica?
“Negli auspici dei padri fondatori, l’Unione monetaria europea avrebbe dovuto creare più collegialità nelle decisioni di politica economica, in modo da arginare il potere soverchiante della Germania unificata. Oggi sappiamo che quelle speranze erano vane.
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Lavorare tutti, lavorare meno (come in Germania)
Stefano Perri
Che l’occupazione e il lavoro siano la questione centrale che dobbiamo affrontare non è più messo in discussione da nessuno[1]. Nei primi anni dallo scoppio della crisi il tasso di disoccupazione dell’Italia è stato più basso di quello della media europea, ma negli ultimi anni il fenomeno si è drammaticamente aggravato fino a raggiungere, secondo le ultime rilevazioni ISTAT, relative al novembre 2013, un tasso di del 12,7%, superando il dato medio europeo[2].
L’andamento dei tassi di disoccupazione per l’area Euro e le tre maggiori economie europee è mostrato nel grafico 1. Sono riportati nel grafico anche la stima da parte dell’ AMECO del tasso di disoccupazione del 2013 (che risulta per l’Italia leggermente inferiore a quello calcolato dall’Istat) e le proiezioni per il 2014 e il 2015. Come si vede è impressionante l’accelerazione che la crescita del tasso di disoccupazione ha avuto a partire dal 2011.
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Quel gran “pasticcione” di Marx?
di Diego Giachetti
In difficoltà a trovare la “classe perduta” hanno provato a interrogare Marx ma si sono presto ritratti. Marx sembrerebbe non aiutare, invece di semplificare complica le cose e quando, dopo più di mille pagine de Il Capitale, si chiede finalmente cosa sono le classi, non va oltre le due paginette, poi s’interrompe. In altre opere invece “pasticcia”, scrive e ragiona rispettivamente di due classi antagoniste oppure individua cinque, sei, sette e anche otto classi. Marx sarebbe quindi la dimostrazione che le classi sono un oggetto indefinibile, contraddittorio, possibile di varie interpretazioni, tutte insufficienti: il mistero di cosa esse siano resta così insoluto.
Lenin in uno scritto del 1919 provò a fare un po’ di chiarezza definendo le classi come «quei grandi gruppi di persone che si differenziano per il posto che occupano nel sistema storicamente determinato della produzione sociale, per i loro rapporti (per lo più fissati e sanzionati da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell’organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo e la misura in cui godono della ricchezza sociale di cui dispongono» ( Opere, vol. 29, Roma, Editori Riuniti). Avendo letto un po’ di Marx e di Engels, questa sua sintesi era il frutto di quelle letture e ad essa si ispirava: ma si ispirava ad un “pasticcio” appunto. Invece di semplificare la strada ai ricercatori delle classi perdute la complicò. Chiamava in causa troppe variabili, parlava di produzione sociale e non industriale o manifatturiera e di organizzazione sociale del lavoro e non di fabbrica. Non contento, vi aggiungeva i rapporti, in gran parte giuridici, con i mezzi di produzione e la natura e l’ammontare del reddito.
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Un futuro
di Francesco Ciafaloni
In un mondo che cambia rapidamente colpisce la mancanza di progetto non solo delle forze politiche maggiori, che ci hanno abituato al peggio, ma di tutti. Per i giovani senza lavoro o precari (i vecchi intrinsecamente hanno poco futuro e fanno progetti brevi) è una conseguenza della condizione materiale. Per i soggetti collettivi forse è una conseguenza, o una causa, del declino del paese. L’unico fine rimasto sembra la stabilità, la governabilità. E non è un bel fine. Quando le acque sono agitate bisogna navigare con una direzione, non provare a stare fermi. Stabilità, insieme a comunità e identità, era uno dei principi che reggevano Il mondo nuovo, la società dei consumi gerarchica, biologicamente predeterminata, totalitaria, descritta da Aldous Huxley nel 1932 e molto più simile al mondo attuale che non la società totalitaria povera descritta in 1984 da George Orwell nel 1948. Di 1984 abbiamo realizzato perfettamente solo la neolingua e alcuni suoi principi: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. Del Mondo nuovo, negli ultimi trent’anni, quasi tutto: il primato dei consumi e il sesso di consumo, gli psicofarmaci come rimedio globale, la interiorizzazione felice, soddisfatta, del proprio ruolo gerarchico, e la governabilità, la stabilità, come dovere-piacere supremo. I ricchi non li contrastiamo, gli obbediamo.
Ma è difficile citare un momento nel passato in cui “l’alterna onnipotenza delle umane sorti” sia stata all’opera con più vigore di adesso.
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