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L'ignoranza è speranza
di Il Pedante
Nel cosmo immaginario de Il Signore degli anelli, il capolavoro narrativo di John R. R. Tolkien pubblicato tra il 1954 e il 1955, i palantíri sono sfere di cristallo fabbricate dagli Elfi di Valinor «in giorni così lontani che il tempo non può misurarsi in anni» per osservare e comunicare a distanza. Le sfere potevano collegarsi tra di loro (esisteva anche un «server» centrale che le controllava tutte, il palantír custodito nella Cupola di Stelle, a Osgiliath) e persino mostrare eventi lontani nello spazio e nel tempo, da cui il loro appellativo di «Pietre Veggenti». Dei molti esemplari realizzati e poi perduti o distrutti nel corso dei secoli, all’epoca in cui si svolgono i fatti narrati ne risultavano attivi soltanto tre, rispettivamente al servizio di Sauron, lo spirito malvagio che minaccia i popoli liberi della Terra di Mezzo, lo stregone Saruman e l’umano Denethor, sovrintendente del regno di Gondor. Tra gli oggetti magici che appaiono nel racconto, i palantíri occupano un ruolo preminente nello sviluppo narrativo. È proprio dopo avere scrutato in una di queste pietre che il saggio Saruman si allea con l’Oscuro Signore e il valente Denethor rinuncia a combattere contro le truppe del male, finendo suicida.
Il palantír è anche letteralmente una televisione. In Quenya, la lingua elfica immaginaria di cui Tolkien ha composto una grammatica e un vocabolario, palan significa «lontano» (come il greco τῆλε) e tír «guardare» (come il latino vīsĭo). Per la sua versatilità può anche apparentarsi con le più moderne webcam, i videotelefoni e le altre applicazioni della rete internet che permettono appunto di «vedere lontano e trasmettersi i pensieri» da distanze inaccessibili ai sensi. Le sue stesse presunte proprietà divinatorie anticipano l’ambizione di prevedere gli eventi raccogliendo e analizzando in tempi rapidi enormi quantità di dati messi a disposizione dalle reti informatiche.
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I falsi miti della transizione energetica e la pace necessaria
di Giorgio Ferrari*
La questione energetica è divenuta l’argomento prioritario dell’agenda politica mondiale, ma il modo in cui viene affrontata in sede internazionale pone seri interrogativi sull’esito finale che ne potrà risultare.
Più volte ho espresso il mio disaccordo sulle aspettative riposte, anche da buona parte del mondo ambientalista, nella transizione energetica, la quale altro non è che una surrogazione di fonti di energia nell’ambito del modello di sviluppo consolidato che, secondo gli auspici di tutte le istituzioni nazionali ed internazionali, è atteso incrementare il consumo delle risorse naturali della Terra, sia per l’avvento della IV rivoluzione industriale, sia perché il passaggio dal ciclo dei combustibili fossili a quello delle energie rinnovabili comporterà un aumento considerevole dell’estrazione di materie prime. Quest’ultimo aspetto, inoltre, si presenta come un vero e proprio “detonatore planetario” in grado di scatenare nuove guerre, per il fatto che molti minerali (le Terre Rare, ma non solo) assolutamente indispensabili alla produzione delle rinnovabili e dell’idrogeno, sono concentrate in paesi come Cina, Russia e Vietnam, in cui la Cina detiene anche il monopolio mondiale della raffinazione (Terre Rare).
Questa situazione, già prima dell’apertura del conflitto ucraino, aveva determinato ritardi ed aumento dei costi nella produzione di auto elettriche con effetti analoghi nel settore delle turbine eoliche, sintomi non trascurabili di una generale difficoltà a realizzare nei tempi previsti gli obiettivi principali della transizione: -45% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e zero emissioni entro il 2050. Tanto era evidente questa difficoltà che la Commissione europea, pressata da Francia e Germania, aveva introdotto nella Tassonomia UE il nucleare e il gas come “energie di transizione” e quindi finanziabili con fondi pubblici, sia pure a determinate condizioni.
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Filosofia e metafisica critica
di Salvatore Bravo
Vi sono autori trattati come “cani morti”, poiché le loro analisi permettono di svelare le contraddizioni cariche di potenzialità rivoluzionaria del proprio tempo storico. La filosofia è attività teoretica e politica mai conclusa. La riflessione sulla totalità storica in cui si è implicati consente di valutarne non solo la qualità, ma anche le contraddizioni ma anche i processi strutturali in atto. Filosofare è operazione metodologica e logica, è metodo d’indagine in quanto capacità di tessere assieme le parti ideologicamente separate dal potere, è logica in quanto il tessere le parti ideologicamente separate comporta la comprensione razionale del proprio tempo concettualizzato nella sua verità. L’ostilità e l’ostracismo colpiscono solo i veri filosofi, gli accademici e gli eruditi che si limitano alla specializzazione filosofica sono favorevolmente accolti dal potere, in quanto alla coscienza critica del proprio tempo hanno sostituito l’adattamento opportunistico e carrieristico. Massimo Bontempelli1 è stato filosofo del nostro tempo, attraverso le analisi sulla condizione della scuola dopo la caduta dell’Unione Sovietica pone in evidenza la decadenza dell’intero tessuto sociale privatizzato e saccheggiato dalle logiche privatistiche comuni alla destra e alla sinistra. L’annichilimento di un’istituzione non si può astrarre dal suo contesto storico. Massimo Bontempelli fu un pensatore hegelo-marxiano, la sua metodologia di indagine è stata concreta, ovvero metafisica nel senso alto della parola. La metafisica non è un trascendere oltre lo spazio e il tempo, ma un oltre che ricongiunge la complessità storica costituita da dati, istituzioni e modi di produzione. Per poter concettualizzare è necessario ricongiungere ciò che appare diviso per ricostruirlo nei suoi nessi storici e strutturali, sono in tal modo “l’oltre” si rivela nel “con” per dare senso alla totalità.
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La Cina, il conflitto russo-ucraino e il nuovo ordine multipolare
di Giambattista Cadoppi*
La posizione ufficiale della Cina sulla questione ucraina è a sostegno agli accordi di Minsk, che stabilivano un compromesso accettabile per le parti. Pechino non si è pronunciata esplicitamente sul riconoscimento della Crimea come parte della Russia, in quanto è portata a sostenere solo accordi bilaterali tra i contendenti e non situazioni di fatto. Il ministro della Difesa cinese ha affermato però che gli Stati Uniti sono “colpevoli dell'escalation del conflitto” in Ucraina e, dunque, della sua “sirianizzazione"
Critiche dell’azione sovversiva americana
La Cina ha criticato il colpo di stato a Kiev che ha destituito il legittimo presidente Janukovyć e il doppio standard, applicato sempre dagli americani, per cui se la Russia si lamenta quando le vengono messe basi ai suoi confini allora gli Stati indipendenti possono fare ciò che vogliono. La Cina, invece, se mette delle basi navali alle Isole Salomone oppure nella Guinea Equatoriale minaccia la sicurezza degli USA, anche se queste sono a migliaia di chilometri di distanza e a volte a decine di migliaia di chilometri.
La Cina si è astenuta dal condannare la Russia, disapprovando le sanzioni illegali che gli Stati Uniti e i suoi vassalli hanno inflitto a Mosca. Gli Stati Uniti possono rubare i soldi di altre persone o di Stati in qualsiasi momento, quando non gli piace qualcosa, come insegna anche l’Afghanistan, ma gli altri Paesi non possono opporsi.
È evidente che gli Stati Uniti hanno calcolato male le conseguenze della guerra. Le sanzioni occidentali si sono basate sulla falsa premessa che l’economia russa fosse altamente vulnerabile. I cambiamenti dell’economia russa negli ultimi anni sono stati ignorati. Gli occidentali hanno creduto in un mito creato da loro stessi. Invece di schiacciare la Russia, le loro sanzioni hanno portato a un’inflazione dilagante in casa propria e Biden è quasi certo di perdere le elezioni di medio termine. L’Europa è anche in condizioni peggiori. Il sostegno all’Ucraina sta soffocando l’Occidente con l’inflazione, come non si vedeva da anni.
Il presidente cinese Xi Jinping ha criticato le sanzioni unilaterali, definite “arbitrarie”, e le loro ricadute sui Paesi in via di sviluppo, incitando i “principali Paesi sviluppati” ad adottare politiche economiche “responsabili”.
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Guerra in Ucraina e Nuovo Ordine Mondiale
di Raffaele Picarelli
Proponiamo gli atti del seminario “Guerra in Ucraina: effetti nell’economia, nella finanza e nelle relazioni internazionali” tenuto dal dr Raffaele Picarelli al Circolo Arci di San Giuliano Terme sabato 4 giugno su iniziativa del Comitato Popolare Sangiulianese in collaborazione con le seguenti associazioni: Ita-nica di Livorno, il Laboratorio della solidarietà di Livorno, Codice Rosso e la Libera Università Popolare di Livorno.
Raffaele Picarelli, saggista ed esperto di questioni economico-finanziarie e di relazioni internazionali, ha offerto una approfondita e organica disamina a 360° dei processi in corso ormai da anni nell’economia occidentale e degli effetti provocati dalla guerra in Ucraina e, soprattutto, dalle sanzioni comminate alla Russia dai Paesi occidentali che consente di comprendere parte delle verità sottaciute dalla narrazione mediatica main stream, ma anche di avere una quadro organico delle dinamiche geopolitiche che sottostanno al conflitto.
Questo il breve abstract della prima parte della relazione che risulta estremamente utile oltre che per la comprensione degli scenari in essere, anche per fornire strumenti di analisi e di lotta politica per gli attivisti.
“La guerra in Ucraina ha amplificato e accelerato processi già in corso in Occidente, legati agli anni della pandemia ed agli effetti della crisi sistemica cominciata nel 2008.
Inflazione, primi segni di recessione, blocco o difficoltà nelle catene di approvvigionamento di materie prime, semilavorati e merci, aumento dei tassi di interesse, caduta di valore di tutti gli asset finanziari: queste tendenze risultavano già in atto a partire dal terzo trimestre del 2021.
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Fredric Jameson, Dossier Benjamin
di Luca Mozzachiodi
Fredric Jameson, Dossier Benjamin, trad. it. di F. Gasperetti, Milano, Treccani, 2022
Dossier Benjamin è il titolo del libro di Fredric Jameson edito da Treccani per la cura di Massimo Palma, che di Benjamin ha preparato in Italia diverse opere e antologie di scritti, da Scritti politici per gli Editori Internazionali Riuniti nel 2011 a Esperienza e povertà nel 2018. Il libro è stato meritoriamente tradotto con una rapidità senza precedenti rispetto alle opere di Jameson, che in generale sono arrivate in Italia con diversi anni di ritardo sugli originali e questo, oltre che alla scelta del curatore, ritengo sia da ascrivere in parte all’oggetto del libro: l’opera di Walter Benjamin, in parte alla modalità compositiva che Jameson ha adottato.
Non è questa la sede per proporre una storia della ricezione di Benjamin in Italia, naturalmente strettamente connessa con le vicende politico culturali del paese, ma gioverà ricordare che dopo la fase fondativa della traduzione da parte di Solmi di un’antologia di scritti con il titolo Angelus Novus,1 selezione di saggi dagli Schriften preparati da Adorno per Suhrkamp nel 1955 e che Jameson mette a contrasto con quella di Arendt nella disputa sull’eredità di Benjamin – presentata dal critico americano tra le righe come una storia di fraintendimenti e esplicite correzioni –, il cammino italiano dello scrittore tedesco sarà lento ma costante per tutto il secolo. Quando negli anni Settanta gli si affiancherà Cases, ciò porterà a scoprire il Benjamin critico letterario con gli scritti raccolti in Avanguardia e rivoluzione e poi con Il dramma barocco tedesco.
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La logica della crisi corrente
di Andrea Zhok
Per cercar di comprendere la situazione attuale e le sue tendenze di sviluppo è necessario alzare lo sguardo almeno all’altezza degli ultimi tre lustri, ricollegandoci alla crisi finanziaria del 2007-2008.
La crisi subprime ha mostrato, innanzitutto, nella maniera più chiara, chi detiene la sovranità effettiva nel mondo odierno. Alle origini della crisi sta la deregolamentazione del sistema finanziario americano avvenuto almeno a partire dall’abolizione dello Glass-Steagall Act (1999, presidenza Clinton), con cui si sono aperte le ultime dighe al predominio della finanza speculativa (processo iniziato sin dagli anni ’70). Quell’atto di delegificazione era stato auspicato da tempo dai principali attori finanziari statunitensi, ma solo alla soglia del 2000 le pressioni ottennero pienamente l’esito desiderato.
Da allora si è avviata una stagione di speculazione ruggente che ha prodotto un incremento costante del peso dell’economia finanziaria rispetto all’economia reale, promuovendo la creazione della pazzesca bolla immobiliare esplosa a fine 2007.
In quell’occasione per il sistema finanziario si trattava di capire una sola cosa, ovvero se, o in quale misura, gli stati avrebbero compensato per i rischi speculativi privatamente presi. Quando il governo americano decise (con molti tentennamenti) di lasciar fallire la Lehman Brothers, come "esempio" contro il "moral hazard" del sistema bancario, i vertici del sistema finanziario presero un discreto spavento. Per qualche lunghissimo giorno si percepì la possibilità di un effetto domino, di un collasso totale con il successivo fallimento del gigante AIG, che sarebbe stato incontenibile nelle conseguenze. Questa propagazione venne sventata dal governo USA all’ultimo momento, con la prima di una prodigiosa serie di “iniezioni di liquidità”.
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L’ordo-liberalismo e il «77-pensiero»
di Leo Essen
I
Per il 1978-79 Foucault aveva deciso di tenere un Corso sulla Biopolitica. Nel résumé del corso, redatto per l’Annuaire del Collège de France – i résumés sono gli unici testi riguardanti i corsi resi pubblici dallo stesso autore – Foucault dice quanto segue: In origine il tema stabilito per il corso era la Biopolitica, termine con il quale intendevo fare riferimento al modo con cui si è cercato, dal XVIII secolo, di razionalizzare i problemi posti alla pratica governamentale dai fenomeni specifici di un insieme di esseri viventi costituiti in popolazione: salute, igiene, natalità, longevità, razze. È noto quale spazio crescente abbiano occupato questi problemi a partire dal XIX secolo e quali poste politiche ed economiche abbiano costituito sino a oggi.
Nel Corso, contrariamente a quanto annunciato dal titolo, Foucault non si occuperà direttamente della biopolitica. E ciò in quanto, dice, mi è sembrato che la biopolitica non potesse essere dissociata dal quadro della razionalità politica entro cui sono apparsi e hanno assunto il loro rilievo, vale a dire il «liberalismo».
Il liberalismo tedesco della scuola di Friburgo, raccolto intorno alla rivista Ordo – da qui ordo-liberalismo o neo-liberalismo – e il neo-classicismo economico austriaco (soprattutto Mises e Hayek) sono al centro dell’analisi.
Foucault si avvicina a questo tema con tutta la cautela che gli è propria. Il liberalismo, dice, non è una teoria, non è un’ideologia, non è un modo di rappresentarsi, non è una rappresentazione, non è una tecnica del governo, governo inteso in quanto istituzione o momento istituzionale. Il neo-liberalismo è una pratica di governo, se si intende per pratica un modo di fare e di comportarsi, un modo di agire che non è un praticismo, che non esclude un intento teorico ma che non si riduce alla mera teoria o a una teorizzazione su una presunta pratica – è una pratica-teorica di governo delle popolazioni.
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Note sulla questione comunista in Italia
di Fausto Sorini
Credo che abbia fatto bene Marco Pondrelli, direttore del nostro sito, ad aprire con un editoriale il dibattito sulla questione comunista, con una particolare attenzione all’Italia. Perchè se è vero – come scrive – che “oggi nell’Unione europea la forza dei comunisti è marginale, … se guardiamo al caso italiano la situazione è ancora peggiore, desolante” e “di scissione in scissione oramai gli iscritti ed i militanti dei tanti partiti sono sempre meno e i gruppi dirigenti sono sempre più litigiosi e lontani dal mondo del lavoro”, privi di autentico radicamento nella società e nei luoghi del conflitto sociale.
Sappiamo bene che le ragioni più profonde di questa situazione, nel Paese che pure fu patria del partito di Gramsci, di Togliatti, di Longo, di Secchia, vengono da lontano e rimandano ai processi degenerativi insiti nella “mutazione genetica” del PCI, nella sua dissoluzione, nella incapacità dei gruppi dirigenti sorti dopo la fine del PCI di ricostruire una forza comunista anche piccola nelle sue dimensioni, ma solida ed espansiva, relativamente omogenea sul piano ideologico, della collocazione internazionale, della concezione dell’organizzazione, espressione dei settori di avanguardia del mondo del lavoro, dei giovani, degli intellettuali (cioè leninista non solo a parole).
A oltre 30 anni dalla fine del PCI – essendo pure stati alcuni di noi protagonisti di esperienze che risalgono già agli anni ’70 del secolo scorso (Interstampa nel PCI, l’Ernesto in Rifondazione, MarxXXI prima serie nel PdCI) – possiamo dire responsabilmente che tutti questi tentativi sono falliti o sono stati sconfitti: sia per limiti soggettivi interni a loro stessi, sia per una inferiorità troppo grande nei rapporti di forza con chi è sceso in campo per osteggiarli, dall’interno e dall’esterno.
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La guerra e il lato oscuro dell’Occidente
di Fabio Ciabatti
Qui i capitoli 1. e 2.
3. A proposito di oligarchie
Nella saga di Star Wars, vera e propria fabbrica di moderni archetipi, l’intero universo è permeato e governato da una sorta di misterioso campo di energia, la “forza”. Questa però ha anche il suo lato scuro, che, in ultima istanza, genera il più terrificante dei nemici, l’Impero. C’è un momento di verità in questo modo di concepire il nemico. Ed è per questo che può essere utilmente applicata alla Russia di Putin che, al di là dei punti di scontro, condivide con l’Occidente l’accettazione dei principi del capitalismo neoliberista, a differenza di quanto avveniva con l’URSS che proponeva un sistema socioeconomico diverso da quello capitalistico (quanto poi fosse migliore è un’altra questione). Rimanendo all’allegoria cinematografica, possiamo considerare la forza come i flussi di valore capitalistici che oramai attraversano e plasmano l’intera realtà producendo anche il tenebroso capitalismo russo. Ovviamente il meccanismo narrativo e quello ideologico funzionano finché lo scontro tra il bene e il male è raffigurata come la lotta tra Davide e Golia. Nella realtà i rapporti di forza sono ribaltati, ammesso che la guerra attuale è uno scontro tra Usa e Russia per interposta Ucraina.
Potrebbe sembrare frivolo, di fronte alle tragedie della guerra, chiamare in causa Hollywood, ma la guerra si combatte anche sul piano dell’immaginario. Continuiamo perciò ad approfondire gli elementi che la metafora del nemico come lato oscuro ci consente di cogliere. A questo proposito un’obiezione sorge immediata: cosa c’entra un sistema statalista, oligarchico, autoritario con l’Occidente caratterizzato da mercato, concorrenza e democrazia?
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Il Grande Contraccolpo: ascesa e prospettive del neostatalismo
di Marco Duò
Recensione di Paolo Gerbaudo: Controllare e proteggere. Il ritorno dello Stato, Milano, Edizioni nottetempo, 2022 (ed. orig. The Great Recoil: Politics After Populism and Pandemic , Brooklyn, Verso Books, 2021)
Chi ultimamente ha prestato attenzione alla cronaca avrà forse notato uno shift notevole nel comportamento delle più grandi istituzioni economiche, finanziarie e governative incaricate di gestire la crisi attuale; la Bce, ad esempio, la cui principale prerogativa è sempre stata la solidità dell’euro e il contenimento dei prezzi, sembra oggi aver assunto un atteggiamento più che tollerante nei confronti dell’inflazione. Tale atteggiamento può lasciare perplesso chi ha sempre creduto che la Banca centrale europea fosse un baluardo delle politiche economiche ultraliberiste improntate sull’austerity. Tuttavia, le motivazioni dietro a questa scelta sono chiare: l’unico modo per far ripartire l’economia sono gli investimenti e l’accesso facilitato al credito, ma, com’è noto, questo richiede che i tassi d’interesse rimangano il più possibile vicino allo zero, il che, a sua volta, implica un aumento dell’inflazione dovuto alla crescente quantità di moneta in circolazione. Questa situazione viene a crearsi, fra le altre cose, con il ricorso al Quantitative Easing (Qe) e alla continua introduzione di spese per il sostegno della domanda e misure d’assistenza sociale, fattori che non sono di certo mancati negli ultimi mesi. Sebbene, proprio in questi giorni, la Fed abbia deciso di distaccarsi da questo indirizzo, annunciando un imminente rialzo dei tassi d’interesse, si ricorderà senza dubbio il ruolo che essa ha giocato nel finanziamento dello stimulus check trumpiano e dei recenti piani multimiliardari di Biden. Insomma, pare che di comune accordo banche e governi abbiano abbandonato le politiche di contenimento della spesa degli ultimi anni, arrivando persino a sospendere il Patto di Stabilità, il tutto in nome della ripresa postpandemica.
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Sulla guerra in Ucraina, dal punto di vista dell’internazionalismo
di Pietro Basso
Questo è il testo di un intervento che il compagno Pietro Basso (della redazione di questo blog e della rivista Il Cuneo rosso) ha tenuto a Lucca venerdì 24 giugno ad un’iniziativa sulla guerra in Ucraina, volta a denunciare il bellicismo pro-NATO che ogni giorno di più impazza in Italia, con i suoi risvolti maccartisti tra l’orrido e il grottesco. Essendo un intervento di 15-20 minuti, non poteva essere, né pretende di essere in alcun modo, esauriente – tanto per dirne solo una, non tratta delle questioni dell’autodeterminazione degli ucraini e degli abitanti del Donbass. Ma intende, questo sì, guardare alla guerra in corso dal punto di vista dell’internazionalismo militante. Ed è, perciò, del tutto fuori dai cori. Contro, anzitutto, l’assordante coro militarista e bellicista del capitale nazionale e dell’imperialismo occidentale; ma senza concessioni ai piccoli, molteplici cori campisti e simil-campisti, anch’essi soggiogati dalle logiche e dagli interessi statuali (capitalistici, cioè), e lontani, se non lontanissimi, dalla logica e dagli interessi di classe. (Red.)
* * * *
Ho da fare tre premesse. La prima, ovvia; la seconda, un po’ meno; la terza, insolita.
La prima. Quella che si sta combattendo in Ucraina non è una guerra tra Russia e Ucraina. È una guerra tra NATO/Occidente e Russia (con dietro la Cina), ed è il seguito dell’infausto 2014 di Euromaidan, lo sbocco della contesa globale cominciata nel 1991 per arraffare le smisurate ricchezze naturali e di forza-lavoro dell’Ucraina. Una contesa in cui la “nostra” squallida Italia è stata ed è in prima fila, appropriandosi della vita di 200.000 donne di ogni età e di terre fertili, impiantandovi più di 300 aziende, seminando corruzione e germi di guerra.
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La requisitoria di Sahra Wagenknecht e i suoi limiti
di Carlo Formenti
Il titolo del libro di Sahra Wagenknecht - dirigente storica della Linke, partito di cui è stata vicepresidente dal 2010 al 2014 – rischia di suscitare aspettative eccessive: Contro la sinistra neoliberale (Fazi editore) evoca infatti una svolta radicale, una presa di congedo netta e senza tentennamenti da ciò che le sinistre – non solo la tedesca, bensì tutte le sinistre occidentali – oggi rappresentano. Ci si aspetterebbe, insomma, di leggere una condanna senza appello, del tenore di quella contenuta nella lettera aperta di Hans Modrow alla Linke che abbiamo rilanciato su questa pagina https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2022/02/lettera-di-hans-modrow-alla-linke-hans.html
Viceversa il punto di vista della Wagenknecht è più sfumato e contraddittorio. Non che manchino accenti durissimi nei confronti di quella che l’autrice definisce “sinistra alla moda”: come vedremo fra poco, la sua requisitoria è lunga, dettagliata e argomentata, così come è corretta la sua analisi delle radici di classe del fenomeno politico in oggetto. A lasciare perplessi è però il tentativo di tracciare un confine fra neoliberalismo “di sinistra” e liberalismo tour court; un approccio che legittima l’idea secondo cui il liberalismo di sinistra tradizionale, o liberal socialismo, non è il grembo che ha partorito l’attuale sinistra neoliberale, bensì qualcosa di completamente diverso, un patrimonio di idee e valori da cui si potrebbe trarre il materiale per rifondare una “vera” sinistra. Ma procediamo con ordine.
Il bersaglio della Wagenknecht sono coloro che non pongono più al centro della propria attenzione i problemi sociali e politico-economici bensì le tematiche relative allo stile di vita, alle abitudini di consumo e ai giudizi morali sui comportamenti.
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Cina, Italia, BRICS, mondo multipolare
Pasquale Cicalese intervista Fausto Sorini
Ho già ospitato Fausto Sorini su questo blog con un suo intervento. Il più letto in assoluto. 4 settimane fa gli ho chiesto un’intervista, mi ha fatto attendere ma vi assicuro che ne è valsa la pena, come potete leggere. Fausto Sorini, dirigente Pci e Rifondazione poi, responsabile esteri del Pdci, decenni di relazioni con tanti paesi al mondo, in primis Urss e Cina, dice la sua sulla situazione attuale. Sono felice che me l’abbia concessa, voglio bene a Fausto, ogni tanto lo faccio penare, ma lui, uomo di mondo, si fa scivolare il tutto. E’ tramite lui, assieme a Vladimiro Giacchè, che ho avuto una lunga collaborazione con Marx 21. Molti di quei scritti fanno parte del libro Piano contro mercato. Fausto mi ha invitato come relatore diverse volte a convegni con accademici cinesi di cui sono tuttora molto orgoglioso. Non collaboro da un pò con Marx 21, ogni tanto mando materiali, ma il rapporto con Fausto non è mai venuto meno. Parla bene de Lantidiplomatico dove scrivo da anni, mi sostiene e mi aiuta. Un amico, insomma. Buona lettura.
* * * *
1-Nell’intervista che ho concesso all’Antidiplomatico mi contesti il quadro che dò della Cina nel periodo denghista, vedendolo come un approccio sindacalese e non politico. La tua opinione della Cina di quel periodo qual’è?
Non ho detto “sindacalese”, ma troppo economicistico.
Esistono almeno due fasi della direzione di Deng. La prima è quella che inizia con le riforme annunciate nel 1978, che traggono la loro origine da una considerazione critica sul modello sovietico di statalizzazione integrale dell’economia.
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Il futuro del lavoro
di Michael Roberts
Parte I. Il lavoro a distanza
Poche settimane fa, l'uomo più ricco del mondo Elon Musk, CEO di Tesla, ha detto ai suoi dipendenti che dovevano tornare in ufficio o lasciare l'azienda. Musk ha scritto in un'e-mail che tutti in Tesla devono trascorrere almeno 40 ore a settimana in ufficio. “Per essere super chiari: l'ufficio deve essere il luogo in cui si trovano i tuoi colleghi effettivi, non uno pseudo ufficio remoto. Se non ti presenti, daremo per scontato che ti sia dimesso". Ha poi continuato a lodare i lavoratori nelle sue fabbriche cinesi per aver lavorato fino alle 3 del mattino, se necessario. Nel 2021, l'amministratore delegato di Goldman Sachs, David Solomon, ha affermato che "il lavoro a distanza non è l'ideale per noi e non è una nuova normalità" e ha previsto che sarebbe stata "un'aberrazione che correggeremo il più rapidamente possibile " . Un anno dopo, tuttavia, meno della metà dei dipendenti della banca si recava regolarmente alla sede di New York, costringendo Solomon a supplicare nuovamente il personale di tornare. Anche l'anno scorso, Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan Chase, ha affermato che lavorare da casa “non funziona per la generazione spontanea di idee. Non funziona per la cultura". Dimon alla fine cedette e disse che il 40% dei 270.000 dipendenti della banca poteva lavorare solo due giorni alla settimana dall'ufficio. Nella sua lettera annuale agli azionisti, ha affermato“è chiaro che il lavoro da casa diventerà più permanente negli affari americani”. Musk e questi altri boss sono come Re Canuto che cerca di invertire la tendenza. Dopo la pandemia, molti lavoratori si rifiutano di tornare a una settimana di cinque giorni a tempo pieno. Più di un terzo della forza lavoro in ufficio del Regno Unito lavora ancora da casa.
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Prefazione a Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica
di Giovanni Sgrò
Karl Marx: Scritti di critica dell'economia politica, Pgreco/Filo Rosso, 2022
1. Presentazione dei testi
Il presente volume ripropone in veste invariata la raccolta di testi marxiani, allora veramente “inediti” in Italia, pregevolmente curata da Mario Tronti nel 1963. I testi sono i seguenti:
1) Il commento di Marx agli estratti, risalenti al 1844-1845, dalla traduzione francese del libro di James Mill, Elemens d’économie politique (Paris 1823).
2) La parte superstite (risalente al periodo settembre-ottobre 1858) del secondo e del terzo capitolo, dedicati rispettivamente al denaro e al capitale, del “testo primitivo” (Urtext) di Per la critica dell’economia politica (1859).
3) L’appendice sulla forma di valore per i lettori “non dialettici”, che Marx su consiglio di Friedrich Engels (1820-1895) e di Louis Kugelmann (1828-1902) preparò per la prima edizione del primo libro de Il capitale (1867). Nella seconda edizione (1872) Marx fuse poi insieme il primo capitolo della prima edizione e l’appendice per i lettori “non dialettici” nell’unica nuova versione del primo capitolo, che sarà alla base anche dell’edizione francese (1872-1875) e della terza (1883) e quarta (1890) edizione, pubblicate queste ultime due postume da Engels.
4) Le glosse, risalenti al 1881, alle parti della seconda edizione (1879) del Manuale di economia politica del “socialista della cattedra” Adolph Wagner (1835-1917), in cui erano contenuti riferimenti espliciti alla prima edizione del primo libro de Il capitale (1867).
5) L’inchiesta operaia preparata personalmente da Marx nel 1880 per il movimento rivoluzionario francese.
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Vertice Brics e vertice Nato, un nuovo mondo contro l’imperialismo
di Geraldina Colotti
Oltre il 40% della popolazione mondiale e quasi un quarto del prodotto interno lordo globale. Questo rappresentano i cinque paesi appartenenti ai Brics, acronimo di un gruppo di mercati emergenti composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica –, che si sono riuniti a Pechino il 23 e il 24 giugno, per un vertice dal titolo “Dialogo di alto livello sullo sviluppo globale”. Quest’anno, il commercio tra la Cina e gli altri Paesi del gruppo, fondato nel 2009, ha registrato un aumento del 12,1% rispetto al 2021. Il volume degli scambi commerciali è in crescita, si è detto nella riunione d’apertura, e basato su una cooperazione complementare in materia di sanità, medicina tradizionale, ambiente, scienza e tecnologia, innovazione, agricoltura, istruzione e formazione tecnica e professionale, micro, piccole e medie imprese.
Un campo destinato ad ampliarsi ulteriormente perché la Cina, a cui spetta ora la presidenza di turno, sta lavorando a una piattaforma che coinvolga le economie emergenti, e i principali paesi in via di sviluppo, in alternativa al blocco occidentale a guida Usa, e in nome di una cooperazione su scambi commerciali ed economia. Alcuni di questi paesi, come Kazakhistan, Arabia Saudita, Argentina, Iran, Egitto, Indonesia, Nigeria, Senegal, Emirati Arabi Uniti, Algeria e Tailandia, sono stati invitati ai lavori del vertice come potenziali nuovi soci, e hanno partecipato alla riunione Brics+.
L’acquisizione più importante sarà quella dell’Argentina, che cerca una sponda forte per uscire dal ricatto del Fondo Monetario Internazionale e aggirare le limitazioni nell’accesso al credito internazionale.
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Un reset al servizio delle persone
di Ellen Brown
Invece di accettare il distopico “Great Reset” del World Economic Forum, possiamo costruire un sistema alternativo con il mandato di servire le persone
Questa è la seconda parte del articolo del 17 giugno 2022 intitolato ” Un ripristino monetario in cui i ricchi non possiedono tutto “, il cui succo era che i livelli di debito nazionale e globale sono insostenibili. Abbiamo bisogno di un “reset”, ma di che tipo? Il “Great Reset” del World Economic Forum (WEF) lascerebbe le persone come inquilini non proprietari in una tecnocrazia feudale. Il ripristino dell’Unione economica eurasiatica consentirebbe alle nazioni partecipanti di rinunciare del tutto al sistema capitalista occidentale, ma che dire dei paesi occidentali rimasti? Questa è la domanda qui affrontata.
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I nostri antenati avevano alcune soluzioni innovative
Fortunatamente per gli Stati Uniti, il nostro debito nazionale è in dollari USA. Come ha osservato una volta l'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan , "Gli Stati Uniti possono pagare qualsiasi debito che hanno perché possiamo sempre stampare denaro per farlo. Quindi non c'è nessuna probabilità di default". Pagare il debito pubblico semplicemente stampando il denaro era la soluzione innovativa dei governi coloniali americani a corto di liquidità. Il problema era che tendeva ad essere inflazionistico. Il tagliando di carta che emettevano era considerato un anticipo contro le tasse future, ma era più facile emettere il denaro che tassarlo dopo e un'emissione eccessiva svalutava la moneta. La colonia della Pennsylvania ha risolto il problema formando una " banca fondiaria " di proprietà del governo . Il denaro è stato emesso come credito agricolo che è stato rimborsato. La nuova moneta è uscita dal governo locale e vi è tornata, stimolando l'economia e il commercio senza svalutare la moneta.
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La parabola dell’economia politica
Parte V: Marx, la crisi e le leggi di movimento del capitalismo
di Ascanio Bernardeschi
L’ultimo articolo su Marx riguarda la spiegazione della crisi economica e le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico: concentrazione e centralizzazione dei capitali, finanziarizzazione, polarizzazione della ricchezza e impoverimento relativo dei lavoratori. Qui la parte I, qui la parte II, qui la parte III, qui la parte quarta
Le cause delle crisi
Ai tempi di Marx, gli economisti borghesi ortodossi erano convinti che la crisi non potesse esistere. Ciò vale non solo per l’economia volgare, ma anche per i primi, grandi economisti classici. Secondo Adam Smith, per esempio, i meccanismi del mercato sono perfetti: dobbiamo il nostro benessere all’egoismo degli operatori economici e alla mano invisibile del mercato, mentre lo Stato, per non compromettere questo idillio, dovrebbe limitarsi a svolgere alcune funzioni, pur importanti, quale l’istruzione, la difesa ecc., astenendosi dall’interferire nell’economia.
David Ricardo, da parte sua, aderisce alla cosiddetta legge di Say, o legge degli sbocchi, secondo cui le crisi generali di sovrapproduzione sono impossibili in quanto ogni offerta di prodotti crea la propria domanda. Possono esserci quindi solo sovrapproduzioni settoriali, non generali, e per i brevi periodi necessari al raggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta.
Nei precedenti articoli abbiamo avuto occasione di esporre la confutazione marxiana della legge di Say e quindi la possibilità della crisi.
Tuttavia essa, per Marx, non è solo possibile, ma necessaria, un dato fisiologico del modo di produzione capitalistico, è anche il modo violento con cui tale sistema economico risolve le sue contraddizioni. Quindi occorre esporre gli argomenti di Marx che spiegano come questa possibilità sia anche effettualità. L’argomento fondamentale è che il profitto, la valorizzazione del capitale, l’accumulazione di ricchezza astratta, è l’unico scopo perseguito dai capitalisti e che essi interrompono la loro attività, tolgono il denaro dalla circolazione, non lo reinvestono in attività produttive, lo tesaurizzano o lo investono in attività puramente finanziarie e speculative, quando non ci sono le condizioni per una sua sufficiente remunerazione, innescando effetti a catena per cui le disgrazie di qualche capitalista si ripercuotono con un effetto domino su altri capitalisti che vedono restringere la loro fetta di mercato.
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Chakrabarty, “Clima, storia e capitale”
Invito alla lettura
di Massimo Canella
Dipesh Chakrabarty: Clima, Storia e Capitale, Nottetempo, 2021
“Finora la maggior parte delle nostre libertà sono state ad alto consumo energetico. Il periodo della storia umana solitamente associato a ciò che noi oggi riteniamo essere le istituzioni della civiltà – l’avvio dell’agricoltura, la fondazione delle città, l’emergere delle religioni conosciute, l’invenzione della scrittura – ha avuto inizio circa diecimila anni fa, proprio quando il pianeta stava passando da un periodo geologico, l’ultima era glaciale o Pleistocene, al più recente e caldo Olocene. Noi dovremmo essere nell’Olocene: ma la possibilità del cambiamento climatico antropogenico ha sollevato la questione della sua fine. Ora che gli umani – grazie al nostro numero, all’utilizzo di combustibili fossili e ad altre attività collegate – sono diventati un agente geologico sul pianeta, alcuni scienziati hanno proposto che dovremmo riconoscere l’inizio di una nuova era geologica: un’era in cui gli umani agiscono come i principali fattori determinanti dell’ambiente del pianeta. Il nome che hanno inventato per questa nuova epoca geologica è Antropocene” (Dipesh Chakrabarty, “Clima Storia e Capitale”, Milano 2021, p. 69-70).
Nei densi articoli pubblicati nel 2009 e nel 2014 su Critical Inquiry a proposito del riscaldamento globale, pubblicati da Nottetempo di Milano nel 2021 col titolo “Clima Storia e Capitale”, oltre che in numerosi interventi successivi compreso il volume collettaneo su “La sfida del cambiamenti climatico. Globalizzazione e Antropocene” pubblicato in traduzione nel 2021 da Ombrecorte di Verona, Denis Chakrabarty svolge argomentazioni che sostengono:
1) l’impossibilità di continuare a trattare separatamente storia naturale e storia umana, che induce a una critica radicale delle correnti filosofie della storia e dello statuto che gli storici ritengono conveniente al proprio ambito disciplinare;
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Dugin o non Dugin
di Michele Castaldo
Scrivo queste note prendendo spunto dalle polemiche di alcuni interventi su sinistrainrete.info circa l’utilità di leggere o meno Dugin. Dico subito che molte domande ed altrettante risposte sono mal poste. Chi mi conosce sa che non vado per il sottile e sono solito affrontare le cose di petto, come dovrebbe fare chiunque ama richiamarsi alle ragioni del comunismo.
Anche un uomo di destra può dire cose interessanti? Posta in astratto la domanda chiunque può dire delle cose interessanti, anzi Pirandello dice che per conoscere certe verità di un villaggio bisogna ascoltare il personaggio ritenuto « lo scemo del villaggio », ma Dugin non è « lo scemo del villaggio » e se si apre un dibattito sulle sue tesi vuol dire che le questioni che stanno a monte sono molto più complicate di come le vogliamo rappresentare. Non meniamo il can per l’aia e veniamo perciò alla questione teorica a monte. Prometto di non fare sconti e parto con un esempio.
Molti compagni della mia generazione (i canuti nei paraggi degli ottanta ormai) hanno letto La città del sole di Tommaso Campanella, il filosofo calabrese vissuto tra il ‘500 e il ‘600. Un filosofo apprezzato e stimato. Bene. Ne La città del sole quando parla della procreazione – cito a memoria – indica un criterio di selezione della specie umana, ovvero che i figli devono essere generati da coppie sane preventivamente accertate. Un criterio molto prossimo a Campanella lo esprimeva Hitler, o i filosofi di regime del nazionalsocialismo tedesco. Il nazionalismo tedesco è stato eletto a « male assoluto », mentre Tommaso Campanella continua a essere stimato nella sinistra come un grande filosofo idealista.
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Le scelte paradossali e ipocrite dei paesi imperialisti
di Alessandra Ciattini
Nonostante tutti i tentativi l’Unione Europea non riesce a rendersi indipendente dalle risorse energetiche russe e tutte le conseguenze negative delle sue scelte nefaste ricadono su noi lavoratori
Se disinformare oggi vuol dire affermare qualcosa che i media dominanti non rendono noto, stiamo facendo disinformazione, ne siamo perfettamente consapevoli e ce ne assumiamo tutte le responsabilità. Arriviamo addirittura a citare, tra le altre, fonti russe, anche se questo non significa automaticamente che apprezziamo la Russia attuale, così come si è strutturata con la dissoluzione dell’Urss, le cui straordinarie risorse hanno sollecitato gli appetiti degli imperialisti, che pensavano di potersene approfittare senza colpo ferire. E Infatti hanno guidato la mano dei cosiddetti oligarchi a far man bassa delle proprietà collettive, appropriandosene di una parte consistente, frazionata in pacchetti azionari, e controllando direttamente il rilevante apparato militare ex sovietico. Purtroppo per loro questo processo distruttivo ha avuto termine, la Russia ha ripreso nelle proprie mani il suo destino e si è riaffacciata sullo scenario internazionale facendo presenti i suoi interessi, come fanno tutte le grandi potenze, anche se li nascondono dietro la retorica dei valori e degli ideali, la cui consistenza è più fragile della neve al sole.
Naturalmente non ci richiameremo solo a fonti russe, ma faremo dei parallelismi per verificarne l’attendibilità. Invitiamo “i guardiani della verità” a rispondere con degli argomenti ai nostri argomenti, anche per evitare di fare la figura pietosa della Sarzanini, che non è stata capace di rispondere alle semplici domande postele da Giorgio Bianchi e Manlio Dinucci sulla loro “attività disinformativa”. Sappiamo bene che l’invito è inutile, ma la buona creanza e la logica ci ispirano; sappiamo anche che i suddetti guardiani hanno ragione solo perché hanno dalla loro parte la forza, ossia lo straordinario apparato mediatico, che però comincia a convincere sempre meno persone.
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Figli di Eichmann?
di Finimondo
«L’ingenua speranza ottimistica del diciannovesimo secolo, quella secondo cui con la crescita della tecnica cresce automaticamente anche la “chiarezza” dell’uomo, dobbiamo cancellarla definitivamente. Chi oggi si culla ancora in una tale speranza, non solo è un semplice superstizioso, non solo è un semplice relitto dell’altroieri […] quanto più alta è la velocità del progresso, quanto più grandi sono gli effetti della nostra produzione e quanto più è intricata la struttura dei nostri apparati, tanto più rapidamente la nostra immaginazione e la nostra percezione non riescono a stargli dietro, tanto più rapidamente cala la nostra “chiarezza” e tanto più diventiamo ciechi»
Gunther Anders, Noi figli di Eichmann (1964)
La nostra concezione della storia è rimasta fondamentalmente lineare. A dispetto di mostruose smentite quali Auschwitz o Hiroshima, rapidamente rimosse grazie all'incoscienza macchinica, il mito del progresso ha retto bene negli ultimi decenni. Si è mostrato in grado di incassare colpi, di accettare di includere qualche sfumatura e ancora oggi sembra perfettamente attrezzato per resistere al disincanto ispirato dalla catastrofe climatica che sta accelerando sotto i nostri occhi. «Sotto i nostri occhi» forse non è una bella espressione, essendosi creato da molto tempo un «dislivello» tra le azioni che svolgiamo all'interno dell'apparato produttivo e le conseguenze di tali azioni. Non perché siano impercettibili, troppo insignificanti per essere individuate dai nostri sensi e dalla nostra mente, ma al contrario, perché sono diventate troppo enormi.
L'ondata di caldo — un eufemismo che traduce bene la limitatezza del linguaggio, e quindi della nostra capacità di rappresentare le cose nell’ambito del sensibile e del razionale — che si sta oggi abbattendo su vaste aree del globo è tristemente indicativa a tale proposito.
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La nocività del lavoro all’epoca della produzione digitalizzata
Un libro di Dario Fontana. Intervista all’autore
Negli anni più recenti sono state pubblicate alcune ricerche, nel campo delle scienze sociali (nella fattispecie, la sociologia del lavoro), che pure focalizzate su realtà in divenire o ancora in parte da indagare (e dunque quanto mai «attuali»), comunicano una sensazione di proficua inattualità, laterali come sono (per categorie utilizzate e postura di ricerca) dal senso comune che orienta gli interessi più diffusi dei ricercatori. Digitalizzazione Industriale. Un’inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute (Franco Angeli, 2021) di Dario Fontana è una di queste. Il bersaglio dell’indagine è condensato nel titolo del volume, che restituisce i risultati di una ricerca pluriennale, realizzata con un impianto metodologico solido, un lavoro in profondità sulle dimensioni analitiche e sull’operazionalizzazione delle variabili, tecniche di analisi multivariate, a supporto di risultati che potrebbero risultare intuitivi, ma apparirebbero paradossali per quanti si avvicinassero ai materiali trattati con il filtro delle idee dominanti sul rapporto tra cambiamento tecnologico e lavoro. Superfluo consigliarne la lettura agli addetti ai lavori e ai praticanti di studi organizzativi e del lavoro, ma anche a sindacalisti, militanti, attivisti, medici, se non fosse per la barriera del costo (l’editoria scientifica ha le sue regole, che non possono essere imputate ai ricercatori!).
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Il rapporto tra scienza, tecnologia, organizzazione e contenuto del lavoro, ma potremmo altrimenti parlare di nessi tra conoscenza, potere e sfruttamento, ha occupato uno spazio centrale nell’esperienza del movimento operaio e fino a qualche decennio addietro (retaggio del lungo ’68 italiano e del residuo egemonico che ancora esercitava sul mondo intellettuale) anche all’interno delle scienze sociali.
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Fine del lavoro come la fine della storia?
di Sergio Bologna
Parte I
Era il 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, quando Francis Fukuyama abbozzava su una rivista la sua teoria della fine della storia, quella che avrebbe poi esplicitato nel libro, dallo stesso titolo, che lo ha reso famoso, pubblicato nel 1992. Tre anni dopo Jeremy Rifkin pubblicava il suo “La fine del lavoro”.
Sollecitato da un vecchio compagno, ho letto alcuni pezzi di un dibattito riguardante il lavoro che ha percorso le pagine de “Il Manifesto” all’inizio dell’estate 2019. Vi ho trovato molte somiglianze con discorsi che sono circolati largamente altrove, più o meno nello stesso periodo, per esempio nelle iniziative della Fondazione Feltrinelli con il ciclo di conferenze-dibattito dal titolo Jobless Society. L’idea che il lavoro sia destinato a sparire con l’automazione o che sia già scomparso per lasciare il posto a non so quali altre cervellotiche forme di rapporti sociali mi ha riportato alla memoria le teorie di Fukuyama o, meglio, l’interpretazione volgare e banale che di quelle teorie è stata data, perché Fukuyama era molto meno stupido dei suoi fans e intendeva per fine della storia il processo di modernizzazione concluso.
Ora, se noi interpretiamo il salto tecnologico in atto (digitalizzazione, IoT, blockchain ecc.) come un processo di modernizzazione, può andar bene, anzi è persino banale, ma se pretendiamo di qualificarlo come un processo concluso o come una frontiera oltre la quale non c’è più nulla, cadiamo nel ridicolo.
Innanzitutto dobbiamo esigere da coloro che parlano di lavoro di essere espliciti su un punto: si sta parlando del lavoro come generica attività umana o di lavoro per conto di terzi in cambio di mezzi di sussistenza? Si parla di lavoro come espressione di sé, delle proprie aspirazioni, dei propri talenti, o si parla di lavoro salariato, cioé retribuito da un soggetto terzo?
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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
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A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
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Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
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Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto