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Questione meridionale in Europa
"Eurolandia" implode
L. Amendola (Il Denaro) intervista Emiliano Brancaccio
Dopo la questione meridionale quella mediterranea. Un economista del Sud avverte che sussistono serie probabilità che l’Eurozona imploda a causa delle insanabili divergenze economiche con cui è stata concepita. Emiliano Brancaccio, docente di Fondamenti di Economia politica e di Economia del Lavoro all’Università del Sannio, lancia l’allarme: “E’ in atto la ‘mezzogiornificazione’ dei Paesi periferici europei. L’esito finale di questo processo potrebbe essere l’implosione stessa di tutto il sistema di Eurolandia”.
Lei parla di ‘mezzogiornificazione’ dell’Europa: di che cosa si tratta?
L’espressione ‘mezzogiornificazione’ è stata coniata dall’economista americano Paul Krugman, ma il suo significato profondo può esser fatto risalire ad alcuni economisti italiani, tra cui Augusto Graziani. Essa indica che il dualismo economico che ha caratterizzato i rapporti tra il Nord e il Sud Italia si sta riproponendo oggi, su scala allargata, nei rapporti tra i Paesi ‘centrali’ e i Paesi ‘periferici’ di tutta l’Unione monetaria europea.
La ‘mezzogiornificazione’ è in atto o è terminata con l’unificazione europea?
La ‘mezzogiornificazione’ è tuttora in atto.
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La metamorfosi del signor P(otere)
di Paolo Ercolani
Parafrasando un celebre frammento di Eraclito, in cui il grande filosofo antico si riferiva alla natura, potremmo dire che l’epoca della società in rete, o della globalizzazione, è quella in cui il Potere ha subito una trasformazione tanto poco percettibile quanto sostanziale e profonda: siamo infatti passati dal Potere che nasconde, censura, manipola o coarta il flusso delle informazioni (o disinformazioni), a quello che ama nascondersi, trasfigurare i propri meccanismi di funzionamento e influenza, mascherare i luoghi del proprio abitare e operare. Lo scopo è sempre lo stesso, la perpetuazione del Potere stesso, ma le modalità mutate debbono indurre a più di una riflessione
1. Luci e ombre
Il Potere che ama nascondersi è quello a cui non importa più se e quanto la popolazione possa o debba sapere, perché il suo essere nascosto, tale per cui non si sa bene chi lo detiene, da dove e con quali modalità di esercizio, gli consente comunque di attuare un dominio sulla pubblica opinione (nonché sulle menti e sui corpi degli individui), ancora più capzioso perché in grado di inserirsi nei meandri della mente collettiva e assurgere al rango di senso comune consolidato, pensiero unico difficilmente smentibile se non al prezzo di essere tacciati di follia o paranoia.
A un livello squisitamente tecnico la questione non deve sorprendere più di tanto, se è vero che già Platone ci aveva insegnato che le malattie degli occhi, per cui essi finiscono col non riuscire più a vedere, sono di due tipi e hanno due cause: «il passaggio dalla luce all’ombra e dall’ombra alla luce»[1].
Tanto l’oscurità più totale, quanto un eccesso di luce producono degli esseri umani incapaci di pervenire alla distinzione chiara delle cose e quindi alla conoscenza, limitandoli bene che vada a una pallida percezione di ombre scambiate per oggetti reali.
E qui entra in gioco la Rete, onnipotente e generosissima dispensatrice di informazioni infinite e di ogni genere, in cui è possibile rintracciare l’avallo a qualsiasi ipotesi anche strampalata e al suo contrario.
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La trappola della liquidità europea
Alessandro Morselli*
Il governatore della BCE ha abbassato il tasso per le operazioni di rifinanziamento, vale a dire il valore che le banche pagano quando prendono in prestito del denaro dalla BCE, allo 0,25%. Certamente il credito è importante per la ripresa di un’economia, ma soltanto se esso confluisce nel circuito dell’economia reale invece che in quello finanziario. Tagliando il costo del denaro, la BCE aumenta la convenienza per le banche a richiedere moneta, con l’auspicio che quest’ultime approvvigionino l’economia reale contribuendo a contrastare la crisi.
A ben vedere, i tassi d’interesse delle principali banche centrali del mondo si aggirano intorno allo zero e ciò può risultare pericoloso. Infatti, un limite che incontra la banca centrale nell’utilizzo della leva monetaria è che il tasso d’interesse nominale non può scendere sotto lo zero, poiché se ciò accadesse sarebbe come dire che chi presta del denaro deve offrire anche degli interessi a chi lo richiede. Se le aspettative inflazionistiche sono in diminuzione o gli agenti si aspettano una deflazione, il costo del denaro può risultare non sufficientemente basso per tirare fuori l’economia da una recessione. In altri termini, quando il tasso d’interesse nominale raggiunge lo zero, un incremento dell’offerta di moneta non è efficace.
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Proust e Freud: una rivoluzione copernicana
di Mario Lavagetto
[Cent’anni fa, il 14 novembre 1913, l’editore Bernard Grasset pubblicava, a spese dell’autore, Du côté de chez Swann di Marcel Proust, il primo volume di un’opera che avrebbe cambiato la storia del romanzo e della cultura. Pubblichiamo le pagine finali di Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust, di Mario Lavagetto, uscito per Einaudi nel 2011 (il titolo originale del capitolo è Rivoluzione copernicana). Ringraziamo l'autore e l'editore (gm)]
Non è, io credo, un arbitrio cogliere nella parabola creativa di Marcel Proust quello che con una terminologia forse desueta, ma funzionale e cara a Thomas Stearn Eliot, potremmo definire un “correlativo oggettivo” del radicale sovvertimento a cui, negli stessi anni, Freud sottoponeva la concezione pre-analitica dell’io sostituendo ad essa una nozione tanto sconvolgente da meritare, ha detto Lacan, “che si introduca a suo riguardo l’espressione di rivoluzione copernicana…”[1]
Quella nozione o quella funzione era certo stata messa in crisi dalla filosofia con Locke, Kant e – dice ancora Lacan – soprattutto con gli psico-fisici i quali avevano cercato di ridurre a un puro miraggio e di screditare l’idea che l’io fosse una sostanza a cui venissero trasmesse le prerogative (in specie l’immortalità) che, nella visione religiosa, competevano all’anima. E tuttavia il colpo definitivo, destinato a pregiudicare in modo irreparabile quello che potremmo chiamare il primato, o la centralità, dell’io, fu inferto da Freud:
Abbiamo usato il termine di rivoluzione copernicana per qualificare la scoperta di Freud. Non che ciò che non è copernicano sia assolutamente univoco. Gli uomini non hanno sempre creduto che la Terra fosse una specie di piano infinito, le hanno imputato anche dei limiti, delle forme diverse, a volte quella di un cappello da signora. Ma tutto sommato avevano l’idea che vi fossero cose che stavano in basso, al centro diciamo, e che il resto del mondo si edificasse sopra.
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Scenari dell’euro. Democrazia e sovranità nazionale
di Enrico Grazzini
La casa brucia e gli abitanti cercano disperatamente l'acqua per spegnere l'incendio, mentre i filosofi dibattono su come sarebbe bello avere una nuova meravigliosa abitazione. Come spegnere l'incendio della crisi europea? Quali scenari attendono i cittadini europei? Quali potrebbero essere le possibili risposte della sinistra alla crisi?
La sinistra dovrebbe adottare la proposta del filosofo Jurgen Habermas, che di fronte alla drammatica crisi dell'euro e al grave deficit democratico dell'Unione Europea, propone la fuga in avanti dell'unione politica [1]? O invece dovrebbe promuovere il progetto del sociologo Wolfgang Streech, che di fronte al fallimento di questa UE propone un passo indietro, cioè il ritorno alla sovranità nazionale e il recupero della sovranità monetaria da parte dei paesi europei [2]? Chi ha ragione? Chi suggerisce – come più o meno fanno le forze socialiste e di centrosinistra in Europa – di tentare di riformare questo sistema dell'euro per allentare l'austerità che strangola la UE; o chi invece, come Frederic Lordon su Le Monde Diplomatique, propone il ritorno alle monete nazionali mantenendo però l'euro come moneta comune verso le valute extraeuropee, come il dollaro e lo yen [3]?
In questo articolo suggeriamo che quest'ultima sia la soluzione più realistica, meno dannosa e più credibile, anche nei confronti di un'opinione pubblica sempre più contraria a questo euro e a questa Europa che impone in maniera autoritaria politiche di austerità a senso unico.
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Al cuore della Terra e ritorno
Comprendere la crisi sistemica
di Redazione
Pubblichiamo in formato PDF scaricabile liberamente il monumentale libro in due tomi di Piero Pagliani: "Al cuore della Terra e ritorno". L'opera, divisa in due parti, idealmente è la continuazione, dieci anni dopo, del volume «Alla conquista del cuore della Terra. Gli USA dall'egemonia sul "mondo libero" al dominio sull'Eurasia» (Punto Rosso, Milano, 2003).
Dieci anni fa l'autore cercava di comprendere i motivi più profondi della ripresa di iniziativa imperiale degli Stati Uniti dopo l'11/9, senza fermarsi alle prime facili considerazioni legate al neo-colonialismo e rifuggendo da popolari formulazioni che giudicava sciagurate, come la nota "guerre delle multinazionali". La ricerca fu guidata dall'ipotesi di Giovanni Arrighi di essere in presenza della crisi sistemica del rapporto di scambio politico tra il Potere del Denaro e il Potere del Territorio che sotto il segno degli Stati Uniti aveva dominato la scena a partire dalla fine della II Guerra Mondiale. Una crisi che induceva gli USA a intraprendere quella che Pagliani definì una politica di "imperialismo preventivo", cioè in previsione di un futuro scontro con le grandi potenze emergenti, in particolare la Cina.
Oggi l'autore, che è un frequente collaboratore della nostra testata, rilegge i dieci anni trascorsi come un susseguirsi di tentativi inizialmente riusciti ma alla fine falliti, di gestire una crisi sistemica iniziata circa quarantacinque anni fa e che affonda le sue radici nella grande espansione materiale del dopoguerra.
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Sul “marxismo” di Gramsci
di Fabio Frosini
1. L’albero del marxismo
Il marxismo di Gramsci: in questa espressione si annida un’intera serie di questioni aperte, fonti di equivoci e di dispute. Gli equivoci in realtà scaturiscono da una duplice sorgente, vale a dire la nozione di “marxismo” e quella di “affiliazione” o “appartenenza”. Anche solo pochi decenni fa ‒ lo spartiacque può essere fissato per comodità, almeno in Italia, al giro di boa del centenario del 1983 ‒ entrambe queste sorgenti sembravano essere per un verso troppo calda materia del contendere, per un altro scenari illuminati di una luce eccessivamente viva e ravvicinata, perché se ne potessero cogliere la profondità e i contorni, cioè le implicazioni e i limiti. Oggi tutto ciò è possibile: la materia si è raffreddata ed è stata “sistemata” in grandi opere collettive, che hanno comportato anche una certa riflessione su cosa comporti scrivere una storia del marxismo. Le pagine da questo punto di vista più interessanti sono probabilmente quelle premesse da Eric J. Hobsbawm alla monumentale Storia del marxismo da lui diretta per Einaudi, e datate 1978. Per l’interesse metodologico che esse presentano, sarà il caso di ripercorrerne rapidamente l’intelaiatura.
La definizione di «marxismo» inizialmente proposta è: «la scuola teorica che nella storia del mondo moderno ha avuto maggiore influenza pratica (e le più profonde radici pratiche), [...] al tempo stesso un metodo per interpretare il mondo e per cambiarlo»[1].
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Politica monetaria della BCE e dinamiche finanziarie
È possibile un “occupy BCE?”
di Andrea Fumagalli
La decisione della BCE di abbassare il tasso d’interesse di rifinanziamento (Tre) è stata salutata come una “decisione storica”, precondizione per poter avviare una politica di crescita economica per l’Europa. E soprattutto è stato rilevato come tale politica monetaria sia volta ad acquisire una propria autonomia decisionale rispetto alle dinamiche finanziarie, sino al punto di poter aprire uno spazio per una nuova governance economica europea. L’opposizione della Germania e dei paesi suoi alleati potrebbero confermare questa ipotesi. Ma è proprio così? E che spazi, se fosse così, si potrebbero aprire per le iniziative dei movimenti? Con questo articolo, scritto da A. Fumagalli, ma anche frutto di un dibattito collettivo interno ad Effimera (con la partecipazione di O. Costantini, G. Giannelli, S. Lucarelli, C. Marazzi e C. Vercellone), si cerca di fare il punto della situazione.
* * * * *
La Banca Centrale Europa in questi giorni è stata al centro dell’iniziativa economica e, seppur in modo minore, di un dibattito che ha interessato il pensiero critico eterodosso all’interno dei movimenti, pro e contro Euro.
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Cacasotto a Cinque Stelle
di Davide Grasso
Di fronte ad atti criminali quali le guerre cui l’Italia partecipa e ha partecipato, l’opposizione nel nostro paese c’è stata ora più ora meno, e non sempre ha saputo essere all’altezza nella critica all’intervento militare. Spesso il pacifismo ha rivelato caratteristiche ipocrite, se non addirittura razziste: popoli bambini, quelli delle regioni colpite dai bombardamenti, che avrebbero dovuto essere “diversamente educati” alla democrazia dalle istituzioni occidentali (o dai pacifisti stessi, se non altro tramite sprezzanti condanne delle loro forme di resistenza). L’ostilità alla guerra, inoltre, non è stata giustificata, sovente, politicamente e moralmente, come sarebbe giusto, ma giuridicamente (mancata sanzione dell’ONU, art. 11 della costituzione italiana), lasciando aperta la porta all’idea che l’azione dell’esercito, se portata avanti con tutti i crismi del diritto nazionale e internazionale, sarebbe stata legittima. In questo quadro l’unica vera forma di opposizione mondiale alla guerra permanente di Bush e soci/successori sono state e sono le resistenze delle popolazioni occupate che, partendo dall’esigenza materiale e concreta di resistere all’espropriazione economica, umana e politica di cui sono oggetto, agiscono con tutti i mezzi che hanno a disposizione.
In oltre dieci anni, in quei paesi (senza che i nostri media si siano degnati di raccontarlo con un minimo di onestà, neanche quando le guerre facevano notizia) si sono svolte manifestazioni di dissenso all’occupazione militare dei territori in mille forme, per lo più pacifiche (preghiere, cortei, astensione dal voto, sabotaggi) ma anche violente (guerriglia, azioni armate).
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Salario o reddito?
Militant
Quello che segue è un primo nostro contributo al dibattito su salario e reddito. Comprendiamo benissimo che potrebbe risultare un po’ ostico, anche per via della lunghezza, ma confidiamo nella pazienza di chi ci legge e facciamo nostre le parole di Gramsci quando ammoniva che a voler esprimere concetti difficili in maniera troppo semplice si corre solo il rischio di scadere nella demagogia.
I.
Lottare per il salario o lottare per il reddito? E’ inutile girarci attorno, queste due parole d’ordine agitate con alterne fortune dalla sinistra anticapitalista alludono a concezioni politiche, pratiche sociali e analisi teoriche che se per molti aspetti coincidono per molti altri sono invece così distanti da risultare difficilmente conciliabili, tanto da destinare al fallimento ogni tentativo ecumenico di tener dentro tutto. Insomma, come spesso accade in politica, arriva un momento in cui un’organizzazione o un movimento si trovano di fronte ad un bivio in cui o si va da una parte o si va dall’altra. Oppure, ma è la peggiore delle opzioni, si resta fermi. A voler essere onesti fino in fondo oggi come oggi la lotta per il salario, sociale e globale (ossia diretto, indiretto e differito), non gode di particolare appeal, almeno non nel campo dell’estrema sinistra o quantomeno non a queste latitudini. Se è vero che l’egemonia che un pensiero o una corrente teorica esercitano su un dato campo politico si misura anche dal vocabolario che bene o male tutti sono portati/costretti ad utilizzare, allora basta guardare agli slogan sugli striscioni e sui manifesti e far caso ai termini adoperati, spesso anche impropriamente, su volantini e documenti per rendersene conto.
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Scioperi nella catena logistica: i porti*
di Sergio Bologna
Il trasporto di merci, al pari del trasporto delle persone e delle informazioni, rappresenta nel processo di valorizzazione multinazionale, uno degli aspetti centrali e essenziali del processo di accumulazione del capitalismo contemporaneo. L’analisi di questi flussi (logistica) è una delle chiavi di volta per comprendere sia le dinamiche capitalistiche che le dinamiche conflittuali. In questo articolo Sergio Bologna, che da anni analizza il trasporto via mare (shipping), evidenzia come negli ultimi mesi questo macro-settore globale è stato attraversato da lotte che hanno interessato i principali hub internazionali (Hong Kong, Rotterdam, Los Angeles, Vancouver e Newcastle – Australia). I motivi di fondo riguardano sia la resistenza alla deregulation del lavoro (grazie anche alla pratica delle misdeclaration, ovvero la fraudolenta dichiarazione nella documentazione di viaggio della natura e del peso della merce trasportata) che la richiesta di maggiori salari e migliori condizioni di lavoro in un settore che ha visto negli ultimi anni crescenti livelli di profittabilità. Il settore della logistica tende così a rappresentare, pur nelle differenze sostanziali, similari dinamiche di conflitto degli anni ’60 ai tempi dell’operaio di massa nella fabbrica taylorista. Ma il successo di alcune di queste lotte ci insegna anche che a queste pratiche di insubordinazione devono essere aggiunti anche nuovi strumenti e forme di conflitto che hanno a che fare con gli aspetti della comunicazione e del sabotaggio virtuale in un contesto di speculazione finanziaria.
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Il governo dell’uomo indebitato
di Marco Bascetta
È dall’inizio della crisi e poi con sempre crescente insistenza che in Europa si sente parlare di «virtù». Ne parlano i governi, ne parlano gli organismi dell’Unione, ne scrivono quotidianamente gli editorialisti della grande stampa. Di espressioni come «paesi virtuosi», «politiche virtuose», «bilanci virtuosi», «comportamenti virtuosi» siamo letteralmente subissati. Il ritorno alla virtù è la promessa che i governi «responsabili» rivolgono ai mercati , alla Bce, alle agenzie di rating, a Berlino e a Bruxelles e, paradossalmente, anche alle proprie cittadinanze per le quali la vita virtuosa si traduce perlopiù in una vita grama fatta di bassi salari e disoccupazione, di smantellamento dello stato sociale e consumi declinanti, di un divario sempre più abissale tra i primi e gli ultimi, di una desolante mancanza di prospettive. Del resto, il connubio tra povertà e virtù è un tema classico della predicazione d’ogni tempo.
Vizi come virtù
C’è davvero da rimpiangere, nel dilagare di queste retoriche del sacrificio virtuoso, quella narrazione delle origini (suggestivamente riassunta ne La favola delle api di Bernard de Mandeville,1704) che faceva onestamente discendere il rigoglio dell’industria e dei mercati dai vizi e dall’avidità che mettevano – e tutt’ora mettono – in movimento la macchina economica.
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Anti-europeisti, non anti-europei
di Sergio Cesaratto
In un suo articolo su Sbilanciamoci dal titolo significativo “Euro, l’uscita è destra”, ripreso anche dalla Newsletter del PRC e da Micromega, Roberta Carlini mostra di condividere le preoccupazioni di Enrico Letta e di Eugenio Scalfari (Repubblica di domenica) circa il pericolo che il prossimo Parlamento europeo veda una forte presenza di forze anti-euro il cui “segno dominante” sarebbe populista e di destra.
Negligentemente la Carlini strascura l’esistenza di forze non irrilevanti come Syriza in Grecia o di Melenchon in Francia, non certo tenere con l’Europa, mentre assimila il M5S alle forze populiste e di destra. Peraltro Grillo ha sui temi europei più di una confusione, basti leggere un suo recente post “Draghi mago Silvan”. Dal 4 novembre i “cittadini” M5S hanno però lodevolmente cominciato una serie di audizioni parlamentari, aperte a tutti, con economisti di vario orientamento per capire di più. Nel nostro paese c’è inoltre una galassia di forze anti-euro che non ha connotati di destra.
Gli economisti italiani più solidamente eterodossi e di sinistra, sebbene non unanimi sulle scelte da compiere, si illudono assai poco su una svolta delle politiche europee in quanto queste non sono frutto di mere sbandate ideologiche, ma riflettono interessi nazionali configgenti.
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Cambia il tempo
La giornata lavorativa, le giornate d'autunno, i giorni che ci aspettano
di L., del Laboratorio Baracca
(Big Bill Haywood)
1.
Il capitalismo affranca dai limiti di un consumo circoscritto da angusti confini materiali e culturali, ha fatto un mondo a sua immagine e somiglianza, ha sostituito all'antica autosufficienza e all'antico isolamento locale e nazionale uno scambio universale, una interdipendenza universale, ha affermato l'illimitatezza di principio della produzione. Il lavoro umano non deve necessariamente riferirsi ad un oggetto particolare, può bensì esercitarsi universalmente – nel senso proprio che l'intero universo diventa il suo oggetto potenziale. Potendosi astrarre rispetto dal modo in cui si dispiega concretamente questo lavoro, esso stesso acquista un carattere generale, diventa un'astratta potenza in grado di insinuarsi in ogni meandro della realtà, trasformandola, rendendola oggetto appropriabile all'uomo, nella forma di merce consumabile secondo il suo valore d'uso e scambiabile secondo il suo valore di scambio.
Il denaro, espressione di quest'ultimo, diventa l'incarnazione di questo potenza; esso può arrivare a comprare la stessa capacità di lavorare degli individui.
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Euro, Europa, debito pubblico
Le alternative all’attuale sistema
R. Monacelli intervista Francesco Gesualdi
Ci vuole parlare del Centro Nuovo Modello di Sviluppo?
Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo è un centro di documentazione nato nel 1985 a Vecchiano, vicino Pisa. Nel corso del tempo abbiamo affrontato vari temi. Inizialmente siamo partiti dagli squilibri nord/sud, che ci ha portato a capire le grandi responsabilità che hanno le imprese, sviluppando il tema del consumo critico. Poi siamo andati avanti lungo questa strada, occupandoci del tema del debito di cui erano vittime i paesi del sud del mondo e, oggi, ci stiamo rendendo conto che i processi di impoverimento in casa nostra, oltre a essere provocati dai processi di globalizzazione, sono provocati anche dall’attuale gestione del debito pubblico, tutta orientata soltanto a soddisfare le richieste dei creditori. Siamo, dunque, una realtà che si occupa di vari temi, ma tutti a carattere sociale, che chiede ai cittadini di darsi da fare, di reagire per cercare di superare l’attuale situazione.
Lei è stato allievo di Don Milani. Ce ne vuole parlare? Secondo lei cosa ci ha lasciato e cosa ha da insegnare per il futuro?
Io sono stato a Barbiana per tutta la mia giovinezza, dai 7 ai 18 anni fino a quando lui non è morto, è stata l’unica scuola che ho frequentato nel corso della mia vita. Cosa ci ha lasciato? Secondo me ci ha lasciato dei messaggi che sono intramontabili, oltre alla denuncia fatta rispetto alla scuola pubblica, alla scuola classista, alla scuola che non è organizzata secondo lo spirito della Costituzione che dovrebbe formare dei cittadini sovrani, ma come tribunale per continuare quella selezione che già avviene all’interno della società, per cui i ricchi devono continuare a essere mandati avanti mentre i poveri devono essere respinti e, in qualche modo, mantenuti ignoranti.
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Contro il liberoscambismo di sinistra*
di Emiliano Brancaccio e Marco Passarella
Esiste una via d’uscita dall’incubo di una germanizzazione europea foriera di austerity, deflazione, depressione e mezzogiornificazione delle periferie? E’ giunto il tempo di azzardare una risposta a questo urgente interrogativo politico. Prima di affrontare l’argomento occorre tuttavia fare preliminarmente i conti con un ossimoro tentatore che svariati eredi del movimento operaio novecentesco hanno per lungo tempo considerato parte imprescindibile del loro credo politico.
Non si tratta, beninteso, del cosiddetto “liberismo di sinistra”, che a nostro avviso ha goduto di un successo relativamente superficiale e le cui contraddizioni interne sono sempre state troppo evidenti per immaginare che potesse tramutarsi in effettivo senso comune. In fondo, nel liberismo di sinistra riecheggia l’ideologia del sogno americano, di un ipotetico modello di capitalismo anglosassone temperato nel quale le opportunità possano sostituire le tutele del lavoro. Ma in questo modo il liberismo di sinistra finisce per esaltare le prerogative di una società inesistente. Volendo individuare un alter-ego cinematografico si potrebbe citare La ricerca della felicità, il film di Gabriele Muccino interpretato da Will Smith, padre tenero e responsabile che riesce a compiere una vertiginosa scalata dai sobborghi poveri di San Francisco ai vertici di una importante società finanziaria grazie a un notevole ingegno e a una fede incrollabile nelle proprie capacità. Storia vera e a suo modo struggente, fintamente critica e di fatto apologetica, ma in ogni caso statisticamente priva di qualsiasi rilevanza, considerato che gli Stati Uniti si situano ormai agli ultimi posti nelle classifiche OCSE sul tasso di mobilità sociale (assieme al Regno Unito e all’Italia). Il liberismo di sinistra è in fondo questo: un’apologia raffinata, ma senza agganci con la realtà.
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Nel cervello della crisi
La «storia militante» di Sergio Bologna tra passato e presente
di Damiano Palano
Proprio quarant’anni fa, mentre esplodeva la prima crisi dell’economia post-bellica, a Milano veniva dato alle stampe il primo numero di «Primo maggio», una delle riviste più importanti nella storia dell’«operaismo italiano». Quella rivista aveva il proprio punto di riferimento in Sergio Bologna, attorno al quale si erano raccolti alcuni giovani storici provenienti da differenti esperienze politiche della sinistra extra-parlamentare, ma vicini all’istanza di quella che veniva definita come una «storia militante». Da qualche anno il ricchissimo Dvd che accompagna un volume curato da Cesare Bermani su quell’esperienza (La rivista «Primo maggio» (1973-1989), Derive Approdi, Roma, 2010) ha rimesso in circolazionetutti i ventinove numeri della rivista, insieme ad alcuni rari documenti complementari. D’altronde, nel lavoro di riscoperta dei classici dell’operaismo italiano promosso in questi ultimi anni da editori come Derive Approdi e Ombre corte, «Primo maggio» non poteva davvero essere dimenticata. Non solo perché, a causa di tormentate vicende editoriali, i fascicoli della rivista erano diventati ben presto introvabili, scomparendo così (quasi totalmente) anche dallo sguardo delle nuove generazioni e da ciò che rimaneva della ricerca critica sulle trasformazioni sociali.
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Fuori dall'Unione Europea
Una proposta politica per il cambiamento
Rete dei Comunisti
Forum Euromediterraneo, Roma 30 Novembre – 1 Dicembre 2013 (ore 10.30,ex Mattatoio, via Monte Testaccio 22) promosso dalla Rete dei Comunisti*
Le nostre tesi storiche e politiche
a) Un nuovo polo imperialista
La costruzione dell’Unione Europea è indubbiamente un evento storico per il mondo e per la storia del continente anche se i caratteri che ha assunto fin dall’inizio negli anni ’90 sono stati quelli di una area capitalistica competitiva a livello internazionale. Non a caso il terreno su cui cementare la prospettiva unitaria è stato quello monetario con la nascita dell’Euro quale moneta di riserva internazionale ed in diretta concorrenza con il Dollaro statunitense. Dunque l’Unione Europea, a differenza di come viene dipinta, è un elemento di instabilità internazionale come aveva detto già negli anni ’90 il falco americano Martin Feldstein preconizzando rischi di guerra mondiale.
Con sicurezza a tutt’oggi possiamo dire che questa unione sta destabilizzando gli assetti economici e sociali interni ai paesi che vi partecipano. Sono in corso forti processi di concentrazione e centralizzazione delle imprese assurte ad una dimensione sovrannazionale e conseguenti processi di ristrutturazione, viene ridimensionato dappertutto lo Stato Sociale, viene ridotto il potere contrattuale del lavoro dipendente e subordinato aumentando lo stato di precarietà occupazionale soprattutto per i settori giovanili, insomma vengono applicate sempre più rigidamente le leggi dello Modo di Produzione Capitalista che si basa sullo sfruttamento.
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La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze
Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore
di Ricardo Antunes
1. Introduzione
L’ampio processo di ristrutturazione del capitale, scatenato su scala globale agli inizi degli anni Settanta, mostra chiaramente un significato multiforme, presentando tendenze di intellettualizzazione della forza lavoro, specialmente nelle cosiddette tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e, su scala globale, accentuando i livelli di precarizzazione e informalità dei lavoratori e delle lavoratrici. La nostra ipotesi centrale è che, al contrario della retroazione o descompensazione della legge del valore, il mondo capitalista contemporaneo sta assistendo a un significativo ampliamento dei suoi meccanismi di funzionamento, in cui il ruolo svolto dal lavoro – o ciò che vado denominando nuova morfologia del lavoro – è emblematico.
Nell’era della finanziarizzazione e della mondializzazione, l’analisi del capitalismo ci obbliga a comprendere che le forme vigenti di valorizzazione del valore mantengono saldi nuovi meccanismi generatori di lavoro eccedente, attraverso i quali, nello stesso tempo, un’infinità di lavoratori vengono espulsi dalla produzione, diventando eccedenti, scartabili e disoccupati. E questo processo è molto ben funzionale per il capitale, perché permette l’ampliamento, su larga scala, della bolla di disoccupati. Questo riduce ancora di più, su scala globale, la remunerazione della forza lavoro, attraverso la retroazione salariale di quei salariati e salariate che si trovano occupati.
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Euro: si può uscire a sinistra
di Mimmo Porcaro
Un recente articolo di Roberta Carlini suggerisce fin dal titolo che l’uscita dall’euro può essere pensata ed attuata solo da destra, argomentando la tesi col dire che, se all’inizio dell’unione monetaria qualche borbottio si era fatto sentire anche a sinistra, ormai il discorso anti-euro è decisamente egemonizzato dalle formazioni politiche di area opposta. Ma questa, mi spiace dirlo, non è una notizia. La vera notizia è piuttosto che, dopo decenni di inebetita accettazione della moneta unica, anche all’interno della sinistra qualcuno comincia a proporre di consegnare l’euro alle nostalgiche raccolte dei numismatici. Ne parla la sinistra francese, con dovizia di argomenti. Ne parla, con la serietà di chi vive momenti drammatici, la stessa Syriza. Ne discute addirittura anche la Linke, e addirittura grazie ad uno dei suoi padri nobili: proprio quell’Oskar Lafontaine che aveva salutato positivamente la nascita della nuova moneta. E, qui da noi, nell’imminente congresso di Rifondazione Comunista si discuterà un emendamento che propone l’uscita dall’euro, legandola al progetto di una soluzione tendenzialmente socialista della crisi italiana. La vera notizia, quindi è che si delinea finalmente un’uscita a sinistra dall’euro. E che questa proposta è talmente sensata che anche chi vi si oppone, immaginando improbabili terze vie, è costretto a riconoscere, il carattere nefasto della moneta unica, mentre chi pure continua, come Christian Marazzi, a vedere un futuro per l’euro come moneta comune accanto alle monete nazionali, deve ormai dire con una certa nettezza che l’euro è la quintessenza del monetarismo, che esso non è assolutamente riformabile e che ci si deve attrezzare a gestirne l’inevitabile e “naturale” rottura.
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Sul cosiddetto «Capitolo sesto inedito» di Marx
Appunti di lettura e considerazioni critiche
Giovanni Sgro'
1. Premessa
Il cosiddetto Capitolo sesto inedito rappresenta ‒ insieme ai Grundrisse ‒ uno di quei manoscritti marxiani che nel corso degli anni Settanta del secolo scorso hanno avuto grande diffusione e notevole recezione in Francia, in Germania e anche in Italia, dove fu tradotto per la prima volta nel 1969 da Bruno Maffi per i tipi de La Nuova Italia[1] e fu poi oggetto di una fortunata serie di lezioni di Claudio Napoleoni (Torino, Bollati Boringhieri, 1972).
Nel presente contributo cercherò di offrire una sorta di “percorso di lettura” personale (§ 3) del denso testo del Capitolo sesto, al fine di mettere in luce alcune caratteristiche specifiche della sua trama teorica e alcuni suoi elementi di grande attualità politica (§ 4). Prima di passare all’analisi specifica dei contenuti del Capitolo sesto, mi sembra opportuno collocarlo brevemente nel progetto marxiano di critica dell’economia politica (§ 2).
2. Il ruolo e la posizione del Capitolo sesto inedito nel progetto marxiano di critica dell’economia politica
I curatori del volume 4.1 della seconda sezione della MEGA2 hanno stabilito che il Capitolo sesto è stato scritto da Marx tra l’estate del 1863 e l’estate del 1864[2]: esso si colloca dunque all’altezza del terzo tentativo marxiano di esporre la sua critica dell’economia politica.
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Il Grande "Déjà vu” delle rassicurazioni economiche
di Sebastiano Marino
Da metà Settembre 2008 ad oggi non sentiamo altro che parlare di crisi e di recessione su tutti i media.
La crisi, esplosa negli Stati Uniti a causa della bolla immobiliare dei mutui subprime, si è poi riverberata in Europa minando seriamente le fragili fondamenta dell’Eurozona e provocando una vera e propria depressione economica nei paesi del Sud Europa. Tuttavia, dopo l’ultimo importante scossone delle borse valori nell’estate 2011 con la famosa crisi degli spread sulle obbligazioni sovrane dei PIIGS, è tutto un susseguirsi di dichiarazioni dei politici e burocrati nazionali e sovranazionali a proposito di riprese che dovrebbero arrivare e luci in fondo al tunnel che dovrebbero spuntare.
Le borse valori sembrano essere oggi del tutto slegate all’economia reale. Se, ad esempio, consideriamo l’indice azionario di riferimento americano, lo S&P 500, vediamo che dal minimo toccato a Marzo 2009 ha avuto un incremento del 164%, mentre l’Eurostoxx 50, l’indice di riferimento europeo, ha avuto nello stesso periodo un incremento del 74%. Non male per due aree geografiche in cui la crisi rispettivamente è nata ed è ancora in corso (anche se si potrebbe discutere sul fatto che gli USA ne siano usciti del tutto).
Per parafrasare un celebre libro sulle crisi finanziarie, si potrebbe dire che “questa volta non è diverso” rispetto alle passate crisi e, segnatamente, non lo è rispetto alla Crisi del ’29 e alla Grande Depressione seguente, non solo per quanto riguarda le caratteristiche proprie ai fenomeni finanziari ed economici, ma anche per quanto concerne le consuetudini degli uomini di potere che dovrebbero gestire queste dure fasi sociali.
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L’agire comune e i limiti del Capitale
di Toni Negri*
1. È nel secondo dopo guerra che si afferma l’intuizione di Pollock – elaborata nell’epoca weimariana – che il mercato capitalista non possa essere considerato in maniera semplicista e retorica come libertà (se non addirittura anarchia) di circolazione e realizzazione del valore delle merci bensì al contrario e fondamentalmente come unità di comando sul livello sociale, come “pianificazione”. Questo concetto socialista, aborrito dal pensiero economico capitalista, rientrava gloriosamente fra le categorie della scienza economica. Il concetto di “capitale sociale” (e cioè di un capitale unificato nella sua estensione sociale, dentro e al di sopra del mercato ed inteso come dispositivo di garanzia del funzionamento del mercato stesso), insomma come sigla di una effettiva direzione capitalista della società, viene sempre più largamente sviluppato.
Particolarmente importante da questo punto di vista è il dibattito che si svolge nella sinistra comunista occidentale, con riferimento all’Unione Sovietica. La dissidenza operaista nel troskismo elabora negli anni 40 il concetto di “capitalismo di stato” per definire il regime sovietico, assumendo il Termidoro della Rivoluzione Russa non come passaggio contingente nella transizione al comunismo ma come funzione specifica e progressiva della riorganizzazione stessa del capitalismo maturo.
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Effetto comune per la ricchezza
di Christian Marazzi
Lo spessore non solo scientifico di un economista si svela nella sua interpretazione dello stato di cose presenti, nella sua attività giornalistica confrontata con eventi politici, economici e finanziari in continuo divenire. In questo esercizio da columnist Marcello De Cecco è il più bravo, superiore addirittura a Paul Krugman che, settimanalmente, dice la sua sul New York Times con lucidità e non poco coraggio. Ma la competenza storica, geopolitica e finanziaria di De Cecco è davvero unica, ed è condensata nel suo Ma cos'è questa crisi (Roma, 2013, Donzelli, pp. 284, euro 18,50), dove sono ripubblicati i suoi interventi apparsi sulla Repubblica tra il 2007 e il 2013.
«La crisi attuale è squisitamente finanziaria», ed è una crisi che ha negli Stati Uniti la sua vera variabile indipendente, il motore che determina il comportamento di tutti gli altri. De Cecco è fra i pochi, se non l'unico, ad aver richiamato, nell'analizzare gli inizi della crisi attuale (2007), quel che accadde nel 1907, la «conclusione di un ciclo di sviluppo mondiale altrettanto vorticoso di quello che l'economia mondiale sperimenta da più di un quindicennio (...) Anche un secolo fa, l'epicentro della crisi fu il sistema finanziario americano e l'economia reale degli Stati Uniti fu coinvolta quanto sembra esserlo già ora (col settore immobiliare) e minaccia di diventarlo ancor più nei prossimi mesi».
Questo scrive De Cecco nel suo articolo del 17 settembre 2007 (le date sono importanti), forte del suo lavoro Moneta e impero.
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Il grande gioco ai tempi della Rete
Intervista a Massimiliano Guareschi
Per capire qualcosa in più dopo il caso Snowden e l'emergere dell'entità dell'attività dell'Nsa, abbiamo rivolto alcune domande a Massimiliano Guareschi, docente all'università di Genova e già animatore della rivista «Conflitti Globali»
Prima di tutto una premessa, ovvia quanto necessaria. Non sono un esperto di intelligence e non dispongo di rivelazioni particolari, magari provenienti da fonti confidenziali, in grado di sciogliere gli arcani incomprensibili per i comuni mortali. Di conseguenza, mi limiterò ad avanzare alcune congetture a partire dall’idea che mi sono fatto circa le dinamiche istituzionali che caratterizzano quei mondi. Certo, il campo dell’intelligence presenta una serie di caratteristiche che lo rendono assai sfuggente. Del resto, i servizi segreti, se non operassero nel segreto, non sarebbero tali. Di conseguenza, su una serie di questioni, specie legate all’attualità più immediata, non si possono che formulare ipotesi. Tuttavia, non tutto è segreto e misterioso. Specie per quanto riguarda gli Stati uniti, non manca una certa trasparenza. Su vicende del passato si dispone di un’ampia messe di documenti declassificati, disponibili su siti come quello della Cia o della Nsa che peraltro consiglio a tutti di visitare. In essi si possono trovare tantissime cose interessanti: analisi di scenario, saggi storici, esperimenti futurologici, dibattiti su che cosa ha funzionato e che cosa no nel recente passato. Certo, chi cercasse rivelazioni sensazionali su complotti vari o la prova che gli extraterrestri sono fra noi non può che restare deluso. Diversamente, se uno vuole farsi un’idea circa le dinamiche istituzionali, le retoriche, le rappresentazioni e i conflitti che caratterizzano quei mondi il materiale offerto risulta decisamente utile. Per chi fosse interessato, poi, c’è anche un’apposita subdirectory per chiedere lavoro: si può scegliere fra varie tipologie di impiego, dall’analista all’agente sotto copertura…
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