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Rappresaglia contro l’Unrwa
di Seraj Assi
I paesi occidentali hanno sospeso i finanziamenti all'Agenzia dell'Onu che si occupa di rifugiati in Palestina. È una scelta che suona come una vendetta dopo il recente pronunciamento della Corte internazionale di giustizia
Appena un giorno dopo che la Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di fermare l’uccisione di civili a Gaza – ritenendo plausibile l’accusa secondo cui il paese potrebbe violare la Convenzione sul genocidio – i paesi occidentali, guidati dagli Stati uniti, hanno sospeso i finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, meglio conosciuta come Unrwa.
È stata una mossa sorprendentemente vendicativa, uno sfrontato atto di punizione collettiva nel contesto della carestia a Gaza, dove più di due milioni di persone dipendono dall’Unrwa per la sopravvivenza di base. L’Unrwa gestisce rifugi per oltre un milione di persone, fornendo cibo e assistenza sanitaria di base ai palestinesi sfollati. Circa tremila membri dello staff, la maggior parte dei quali rifugiati palestinesi, continuano a operare a Gaza sotto gli incessanti bombardamenti israeliani (Almeno 156 lavoratori dell’Unrwa sono stati uccisi da Israele negli ultimi tre mesi, e Israele ha anche bombardato innumerevoli rifugi e scuole dell’Unrwa, uccidendo migliaia di civili sfollati).
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Israele è una proiezione della cleptocrazia statunitense
di comidad
Fanpage è una testata giornalistica online che può essere considerata la Radio Maria della religione del politicamente corretto. Nella scorsa settimana Fanpage si è occupato del modo in cui le comunità ebraiche hanno affrontato mediaticamente la questione del confronto tra la Giornata della Memoria dell’Olocausto con quanto sta avvenendo a Gaza per opera delle bombe sganciate da Israele e pagate dal contribuente americano. Fanpage ci fa sapere che criticare quei massacri commessi da Israele a Gaza non è antisemitismo, quindi non si fa peccato contro il politicamente corretto; cosa che ci permetterà finalmente di dormire la notte. Ma forse quando si parla di Israele, “quella” Giornata della Memoria c’entra poco o nulla, mentre sarebbe il caso di coltivare la memoria di tutti i soldi statunitensi che mantengono artificiosamente gonfia una bolla sionista che da sola si affloscerebbe all’istante.
Per tutto il suo mandato Barack Obama è stato considerato uno dei presidenti statunitensi più critici nei confronti di Israele, perciò nel 2016, quando stava proprio lì per lasciare la Casa Bianca, il poverino pensò bene di redimersi e decise di riscattarsi da quella brutta fama.
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Strangelove a Fort Alamo
di Nico Maccentelli
In questi giorni mi viene in mente il ritornello del soundtrack finale di Strangelove di Stanley Kubrick, quando il capitano cowboy si lancia dal B52 a cavallo della bomba atomica.
Mai titolo fu più calzante di questo lp sui film di guerra americani: “Hollywood goes to war” e Kubrick lo sapeva bene. Lo sappiamo pure noi che su un film di fiction abbiamo subìto l’attacco dei war boys american and ucrainian per Il Testimone (1), un film di fiction. Solo il grande ufficio stampa del sogno americano che è la guerra dei “buoni” è depositario della narrazione unica: da “Patton”, “Il grande uno rosso” a “Salvate il soldato Ryan”, passnado per “Rambo” nei suoi molteplici sequel.
Il resto è censura o, una volta storicizzata una vicenda, roba da cinema d’essai. Ma torniamo al ritornello che mi ronza in testa, perché un motivo, e non è solo musicale, c’è: ed è la Seconda Guerra Civile Americana alle porte, con il Texas che sfida lo Stato Federale e 25 stati in mano ai repubblicani che lo appoggiano. E già Nord Carolina, Oklahoma e Florida sono in procinto di inviare la propria guardia nazionale in appoggio a quella texana (2).
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L'obsolescenza programmata dell'uomo
di Giuseppe Sapienza
All'inizio del dopoguerra, un gruppo di grandi produttori di lampadine si unì per formare il cartello Phoebus, con l'obiettivo di standardizzare e controllare la produzione e la distribuzione delle lampadine a incandescenza. Il cartello stabilì un accordo per ridurre la durata media delle lampadine a incandescenza da circa 2.500 ore a sole 1.000 ore.
Progettando le lampadine in modo che si guastassero più rapidamente, i produttori potevano garantire un maggiore turnover delle vendite.
Alfred P. Sloan Jr., un dirigente della General Motors, propose di introdurre modifiche annuali al design per incoraggiare i proprietari di veicoli ad acquistare nuovi ricambi ogni anno. Nonostante si fosse ispirato al settore delle biciclette, e avesse coniato il termine di "obsolescenza dinamica", l’origine del termine ‘obsolescenza programmata’ veniva attribuita a Sloan, con intenti detrattivi. Nel 1932 l'economista Bernard London propose il concetto di obsolescenza programmata come una potenziale soluzione alle difficoltà economiche durante la Grande Depressione.
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Stati Uniti e Cina allo scontro globale
Epilogo
di Raffaele Sciortino
"Pubblichiamo il capitolo di aggiornamento al volume di Raffaele Sciortino "Stati Uniti e Cina allo scontro globale", redatto nello scorso settembre per l'edizione inglese del libro che uscirà per Brill il prossimo aprile."
Questo capitolo, che aggiungiamo alla traduzione dell’edizione originale uscita nell’ottobre del 2022, mira a dar conto sinteticamente delle principali novità (relative) che si sono date nell’ultimo anno. Ne risulta confermata, crediamo, la tendenza alla disconnessione US-Cina e alla riconfigurazione del mercato mondiale (in senso marxiano) ma ancora al di qua di quelle precipitazioni drammatiche che possono portare a una sua vera e propria frammentazione attraverso crisi economiche, sociali e geopolitiche senza ritorno. La globalizzazione, così, sempre meno vale come cornice data dell’accumulazione mondiale, e sempre più come terreno di aspra competizione che dal livello dei singoli capitali trascresce a quello tra stati nazionali nel quadro della contrapposizione di fondo tra Occidente imperialista e Cina.
Inizieremo dalla principale novità: il cambio di passo impresso da Washington alla strategia del decoupling anti-cinese, sullo sfondo delle crescenti difficoltà statunitensi e occidentali nello scenario di guerra ucraino. Ne rintracceremo i primi effetti evidenti sulla dinamica già ben delineata di rallentamento generale della globalizzazione. Concluderemo con alcune osservazioni sulla risposta cinese, che a fronte dell’acuirsi dello scontro con gli Stati Uniti sta mostrando una continuità di linea strategica, e sulle prospettive di un’economia mondiale segnata dall’incertezza ma non (ancora) in recessione generale. Il che contribuisce a dar corpo a quella che abbiamo definito una sfida “riformista” sui generis all’ordine internazionale egemonizzato da Washington.
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Rileggere oggi il “Manifesto contro il lavoro”
di Paolo Lago
Gruppo Krisis, Manifesto contro il lavoro e altri scritti, introduzione di M. Maggini, prefazione di A. Jappe, postfazione di N. Trenkle, Mimesis, Milano-Udine, 2023, pp. 164, euro 16,00
È sicuramente un’esperienza interessante rileggere oggi il Manifesto contro il lavoro (Manifest gegen die Arbeit) del Gruppo Krisis, uscito in Germania nel 1999 e tradotto per la prima volta in italiano nel 2003 per DeriveApprodi1. Come ci informa Massimo Maggini nell’introduzione di questa nuova edizione uscita per i tipi di Mimesis, il Manifest ebbe in Germania altre tre edizioni, la seconda già nel settembre del 1999, la terza nell’ottobre del 2004 e la quarta ed ultima nel 2019. Le teorie esposte nel Manifest appartengono alla corrente di pensiero chiamata Wertkritik, cioè “Critica del Valore”, secondo la quale la crisi che sta investendo il sistema del capitale è irreversibile ed è determinata proprio dalla crisi del lavoro, provocata a sua volta dalle varie ‘evoluzioni’ che esso stesso ha subito nel tentativo di aumentare e rendere migliori le sue applicazioni tecnico-scientifiche. Ciliegina sulla torta è stata la “rivoluzione micro-elettronica”, che ha espulso e reso inutili enorme masse di forza lavoro umana, ormai improduttive dal punto di vista della valorizzazione capitalistica. Naturalmente, come ricorda anche l’autore dell’introduzione, il lavoro che attaccano gli studiosi della “Critica del Valore” non è tanto l’operare umano in sé quanto invece quello che Marx definisce “lavoro astratto”, non finalizzato al benessere degli individui ma all’aumento del profitto e all’accumulazione monetaria in vista di nuovi investimenti.
Gli autori del Manifesto sono tre fra gli studiosi di spicco del Gruppo Krisis: Robert Kurz, Norbert Trenkle e Ernst Lohoff. La presente edizione2 ripropone, insieme al Manifesto, dei saggi significativi di questi studiosi (ai quali si aggiunge un saggio di Anselm Jappe) già presenti nella traduzione italiana del 2003.
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La resa dei conti
di Alberto Burgio
Nell'articolo di oggi, Alberto Burgio sviluppa i ragionamenti già espressi nel suo ultimo articolo «Salute al duce!». La reazione alle conquiste delle lotte operaie e del movimento operaio che si è sostanziata negli ultimi trenta/quaranta anni, arriva a compimento oggi con una radicalizzazione delle nuove logiche di dominio che si può comprendere come processo di neo-fascistizzazione delle liberaldemocrazie, ci dice l'autore. L'avanzata di Alternative für Deutschland in Germania e le riforme che sta portando avanti il governo Meloni sono, in tal senso, paradigmatiche.
* * * *
Approfitto dell’ospitalità di Machina per tornare sui temi trattati nell’intervento precedente e provare a svilupparli.
Chiarisco subito il punto: sono convinto che oggi in Italia (come in larga parte dell’Europa e dell’Occidente) sia in atto un processo di neo-fascistizzazione delle liberaldemocrazie, e che in questo processo giunga a compimento una fase (ultra quarantennale) di reazione organica alle conquiste che il movimento operaio e i movimenti anticoloniali avevano ottenuto nei «Trenta gloriosi» (sino alla metà degli anni Settanta).
Sul piano economico la reazione alle conquiste del movimento operaio e alle lotte anticoloniali nel trentennio post-bellico (conquiste salariali e politiche; in termini di diritti, indipendenza e influenza politica) si è basata (1) sulla mondializzazione del sistema di accumulazione, che ha disarmato il lavoro salariato e (2) sull’egemonia del capitale finanziario, che ha sradicato la sovranità economica degli Stati nazionali.
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Il “piano segreto” di Israele per il dopoguerra
di Giacomo Gabellini
Secondo il quotidiano israeliano «Maariv», Israele avrebbe elaborato con grande discrezione un piano per il dopoguerra. Il piano prevede per un verso l’istituzione di un governo militare israeliano provvisorio nella Striscia di Gaza, incaricato di rapportarsi con la popolazione locale e preposto sia alla gestione dell’ordine pubblico, sia alla distribuzione del materiale umanitario. Per l’altro, la nascita di una coalizione di Stati composta dai firmatari degli Accordi di Abramo più l’Arabia Saudita, che dovrebbe occuparsi di rifondare l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) inserendovi funzionari sia privi di qualsiasi connessione con Hamas, sia estranei alla “cerchia” dell’anziano e screditatissimo leader dell’Anp Abu Mazen.
Questo nuovo organismo, indicato come Nuova Autorità Palestinese, assumerebbe la responsabilità politica della Striscia di Gaza soltanto una volta ultimato il processo di stabilizzazione affidato al governo militare israeliano, destinato a dissolversi all’atto del trasferimento dei poteri. Fermo restando che Tel Aviv si riserva il diritto di continuare ad agire unilateralmente per ragioni di sicurezza ogni qualvolta se ne presenti la necessità (o, forse, l’opportunità), nell’ambito di operazioni assimilabili a quelle condotte nel 2008 (Piombo Fuso) e nel 2014 (Margine Protettivo). I famigerati tagli periodici dell’erba, come li qualifica il gergo militare israeliano.
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Contadini
di Miguel Martinez
E’ da un po’ che mi manca il tempo per scrivere: un buon segno, vuol dire che sto facendo molte cose interessanti.
Ieri sera comunque abbiamo parlato tra amici e complici della grande rivolta contadina che è scoppiata in queste settimane in Europa.
Piccola scena commovente: i contadini francesi che sequestrano il cibo importato ai camion che lo stanno portando ai supermercati perché costa ancora di meno di quello francese, e lo distribuiscono ai Restos du coeur per sfamare i senza tetto.
La premessa: alla base di tutta la nostra vita c’è la produzione agricola.
Che è rappresentata da due vicini di casa.
Il primo è Giovanni da Montespertoli, che ieri sera ci faceva assaggiare il vino, il formaggio e la soprassata che lui cresce, cura e vende al mercato contadino alla Gavinana.
Il secondo è il suo vicino di campo: un imprenditore del rame con base a Milano.
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Il nuovo piano pandemico ricalca "la migliore gestione"
di Il Chimico Scettico
La logica è sempre quella: di nuovo si ribalta sui cittadini responsabilità che sarebbero di governi che si susseguono uno dopo l’altro lasciando la sanità sempre meno in grado di far fronte alle richieste quotidiane. Figuriamoci di fonte alla prossima emergenza pandemica.
Meloni ha ribadito nei fatti, se ce ne fosse ancora bisogno, che la politica odierna – quantomeno quella esercitata da un ceto dirigente pavido e confuso – può solo abbracciare i diktat neoliberisti, per i quali le emergenze sono occasioni di profitto e di riorganizzazione autoritaria dello spazio pubblico. Gli investimenti sulla sanità non sono solo inadeguati, largamente inferiori a quanto necessario, ma si accompagnano a una progressiva svendita dell’intero sistema di servizi. Il privato si lecca i baffi e, sulla scia dell’esempio a stelle e strisce, allunga le mani sulla medicina pubblica, preparando in tema di salute quello che l’autonomia differenziata sta realizzando sul versante dei rapporti tra sud e nord nel nostro Paese.
Le diseguaglianze sono così destinate a crescere, e una sanità lasciata alle brame degli agenti di profitto potrà solo divaricare ulteriormente le condizioni di vita che separano ricchi (pochi) e poveri (sempre di più).
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Il sogno americano: la Germania fuori dall'Euro
di Vincenzo Maddaloni
“Alternativa per la Germania” (AfD) starebbe valutando la possibilità di proporre un referendum sull'uscita della Germania dall'Euro (Dexit). Dopo la Brexit, l’ipotetica uscita dei tedeschi dall’Eurozona comporterebbe il ritorno ai compartimenti economici ermetici in pratica alla balcanizzazione dell'Europa
Come sottolinea Joel Kotkin sulla rivista Forbes, da decenni “i paesi del Nord (Germania, Norvegia, Svezia, Danimarca, Olanda, Finlandia e Regno Unito) hanno compensato i tassi di fertilità molto bassi e il calo della domanda interna con l’arrivo degli immigrati e la creazione di economie orientate all’esportazione altamente produttive”. Seguendo così la dottrina dello Schuldenbremse (freno al debito) che la Germania ha introdotto nella sua Costituzione nel 2009 con l’obiettivo imprescindibile che “ogni generazione paghi le sue spese e non consumi le tasse che i suoi figli pagheranno sotto forma di debito”.
La Germania avrebbe ottenuto successivi surplus economici negli ultimi cinque anni perché i tassi di interesse pari a zero o negativi applicati dalla BCE richiedevano meno soldi per pagare il debito pubblico e le permettevano di accumulare riserve per affrontare la crisi sociale COVID-19 con un massiccio impulso agli investimenti stimato in 20 miliardi di euro per rilanciare l’economia.
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La vergognosa strumentalizzazione del Giorno della Memoria
di Lorenzo Vagni
Il 27 gennaio 1945 è una data fondamentale, una ricorrenza che non va dimenticata e il cui significato è necessario tramandare alle nuove generazioni. Quello che è stato internazionalmente istituito come Giorno della Memoria commemora la liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di concentramento di Auschwitz, nei pressi della città polacca di Oświęcim, il cui complesso di campi di concentramento e di sterminio fu il più grande realizzato dalla Germania e in cui si stima persero la vita oltre un milione di persone. La celebrazione della giornata fu stabilita dalle Nazioni Unite nel 2005, in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione del campo, per commemorare le vittime dell’Olocausto, lo sterminio di due terzi della popolazione ebraica europea, oltre che di una serie di minoranze considerate inferiori dall’ideologia hitleriana.
Senza soffermarsi sugli eventi storici che portarono alla liberazione di Auschwitz da parte dei soldati sovietici, che segue cronologicamente la presa dei campi smantellati dai tedeschi di Majdanek, Chełmno, Bełżec, Sobibor e Treblinka, è necessaria una riflessione sul Giorno della Memoria e sul suo significato. La liberazione dei campi di concentramento e di sterminio rese possibile la scoperta degli orrori commessi nei lager nazisti, per lo più rimasti celati fino alla controffensiva sovietica e occultati dalle SS, che si affrettarono a distruggere quante più prove del genocidio non appena l’avanzata dell’URSS in quei territori si rivelò inarrestabile. La conseguente diffusione delle immagini, delle notizie e delle testimonianze dei sopravvissuti ebbe un notevole impatto sull’opinione pubblica in tutto il mondo, provocando sgomento per le atrocità commesse dai fascisti in tutta Europa e per ogni forma di genocidio, segregazione e discriminazione razziale.
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La dialettica dell’ecologia, un’introduzione
di John Bellamy Foster
Pubblichiamo dal sito Antropocene.org, rassegna internazionale di ecosocialismo, la traduzione di un importante saggio di John Bellamy Foster dal numero di gennaio della rivista Montly Review
L’intera natura si trova in un perpetuo stato di flusso…
Non vi è nulla che sia chiaramente definito in natura…
Ogni cosa è legata a tutto il resto…
Denis Diderot [1]
Come ha osservato l’ecologo di Harvard e teorico marxiano Richard Levins, «probabilmente la prima indagine di un oggetto complesso studiato come un sistema è stato il capolavoro di Karl Marx, Il capitale», che ha esplorato sia la base economica che quella ecologica del capitalismo, inteso come sistema socio-metabolico.[2] La premessa della Dialettica dell’ecologia, così come affrontata in quest’articolo, è che troviamo soprattutto nel materialismo storico classico/naturalismo dialettico, il metodo e l’analisi che ci permette di collegare “la storia del lavoro e del capitalismo” alla storia della “Terra e del pianeta”, consentendoci di indagare da un punto di vista materialista la crisi dell’Antropocene propria del nostro tempo.[3] Nelle parole di Marx, l’umanità è sia “una parte della natura”, che una “forza della natura”.[4] Nella sua concezione non era presente alcuna rigida divisione tra storia naturale e storia sociale. Piuttosto, «La storia della natura e la storia dell’uomo [umanità]» erano pensate come «l’una in dipendenza dall’altra sin tanto che l’uomo esisterà».[5]
Da questa prospettiva, la relazione tra lavoro, capitalismo e metabolismo terrestre, è al centro della critica dell’ordine esistente. «Il lavoro», scriveva Marx, «è, anzitutto, un processo che passa tra l’uomo e la natura, un processo attraverso il quale l’uomo, per mezzo delle sue stesse azioni, media, regola e controlla il metabolismo tra sé e la natura.
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Il fango e le stelle
di Giorgio Agamben
Tutti ricordano l’aneddoto, narrato da Socrate nel Teeteto, della servetta trace, «arguta e graziosa», che ride osservando Talete che, tenendo fisso lo sguardo verso il cielo e le stelle, non vede quel che gli sta sotto i pedi e cade in un pozzo. In un appunto del Quaderno genovese, Montale rivendica in qualche modo il gesto del filosofo, scrivendo: «Chi trascina i piedi nel fango e gli occhi nelle stelle; quello è il solo eroe, quello è il sol vivente». Che il poeta ventunenne compendi e anticipi in questo appunto l’essenza della sua futura poetica, non è sfuggito ai critici; ma altrettanto importante è che questa poetica, come ogni vera poetica, implichi per così dire una teologia, sia pure negativa, che uno studioso attento ha drasticamente riepilogato nella formula «teologia della briciola» («Solo il divino è totale nel sorso e nella briciola» – si legge in Rebecca, «Solo la morte lo vince se chiede l’intera porzione»).
La teologia che è qui in questione, com’è evidente già nel dualismo «fango/stelle» dell’appunto giovanile e nelle «buie forze di Arimane» evocate in un intervento del 1944, è certamente gnostica. Come in ogni gnosi, i principi – o gli dei – sono due, uno buono e uno malvagio, uno assolutamente estraneo al mondo e un demiurgo che lo ha invece creato e lo governa. Nelle correnti gnostiche più radicali, il dio buono è così estraneo al mondo, che nemmeno si può dire che esista: secondo i Valentiniani, egli non è esistente, ma pre-esistente (proon), non è principio , ma pre-principio (proarche), non padre, ma pre-padre (propator). E come è estraneo al mondo, è anche estraneo al linguaggio, paragonabile a un abisso (bythos) intimamente congiunto al silenzio (sige):
«Il silenzio, madre di tutto ciò che è emesso dall’abisso, in quanto non poteva dire nulla dell’ineffabile, tacque; in quanto comprendeva, lo chiamò incomprensibile».
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"È chi non denuncia i crimini di Israele che favorisce l'antisemitismo"
di Elena Basile
Mi ero ripromessa di non personalizzare il dibattito, come avvenuto in passato, con Paolo Mieli e altre note voci del microcosmo mediatico, in quanto la difesa delle posizioni politiche ed etiche non deve essere contaminata da polemiche avvilenti. Ma non posso non rispondere all’editoriale di Mieli sul Corriere della Sera del 22 gennaio. Sono convinta che non otterrò risposte alle obiezioni razionali che pongo alle sue argomentazioni, ma spero che i lettori trarranno beneficio dallo smascheramento di alcune operazioni culturali di moda oggi.
Il potere fragile nelle dittature risponde al dissenso con la violenza, quello forte e radicato delle democrazie si limita a oscurare il pensiero non in linea con la narrazione dominante. È quanto di comune accordo i media mainstream fanno nei confronti della sottoscritta. Capisco che Mieli abbia un particolare affetto e rispetto per la storia di Israele. È in buona compagnia. Molti altri sono i giornalisti in auge che, talvolta per rispetto reverenziale verso una lobby potente e talvolta per convinzione, illustrano al lettore le ragioni di Tel Aviv.
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La sadica vendetta dei complici
di Rafael Poch
Italia, Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Canada, Olanda, Francia, Svizzera, Australia, Giappone, Finlandia e Romania. Cos’è questa se non una vendetta del genocidio e dei suoi complici? La domanda di Rafael Poch non lascia spazio ad alcuna esitazione. Il pretesto della “denuncia” israeliana verso 12 persone tra i 13mila dipendenti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi che il 7 ottobre avrebbero partecipato alle violenze seguite all’apertura della breccia nelle recinzioni della Striscia di Gaza (e dunque – chissà a quale titolo? – alle stragi) in altre circostanze susciterebbe ilarità.
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Gaza FREEstyle. SOS GAZA: mandiamo alcune foto dei luoghi dove stiamo distribuendo aiuti umanitari ed aiutando le persone come possiamo. Da Gaza, ci è arrivata la richiesta di mandare fondi per comprare forni a legna e tende. Ci stiamo attrezzando. Se volete donare https://gofund.me/871465b2 E grazie di cuore per la fiducia e i messaggi che ci mandate. Spesso, aiutano noi e i palestinesi ad andare avanti. Grazie. ACS – Associazione di Cooperazione e Solidarietà
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Gaza. Le trattative di Parigi: spiragli e ostacoli
di Piccole Note
Hamas si dice disponibile ad "esaminare" lo schema di tregua. Spaccature nel governo israeliano. Attacco alla base Usa: scongiurato, per ora, un attacco all'Iran
Alti funzionari del Qatar, dell’Egitto, di Israele e degli Stati Uniti, rappresentati questi ultimi dal pragmatico capo della Cia William Burns, riuniti a Parigi, hanno assemblato uno schema di accordo per arrivare a una tregua a Gaza in cambio della liberazione degli ostaggi. Lo schema ora è al vaglio di Hamas e sui media circola un tenue ottimismo, anche se non per l’immediato.
La tregua a Gaza
Il nodo gordiano resta la natura della tregua. Per Hamas è condizione ineludibile che sia duratura, mentre la politica israeliana resta divisa tra gli irriducibili della guerra a oltranza, disposti a concedere solo una pausa temporanea, e quanti sono aperti a un cessate il fuoco duraturo pur di riportare indietro gli ostaggi.
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Israele non può nascondersi dalla Corte internazionale di giustizia
di Jeffrey D. Sachs
La Palestina sopravviverà all’attuale terribile prova, profondamente ferita ma con un forte sostegno mondiale. Il futuro di Israele, invece, è in bilico, perché potrebbe presto ritrovarsi bandito dalla comunità delle nazioni in quanto violatore del diritto internazionale. Israele ha urgentemente bisogno di leader che facciano prevalere il diritto internazionale sulla forza militare, l’umiltà sull’arroganza e la pacificazione sulla brutalità. E Israele — non meno degli Stati Uniti — deve comprendere l’inutilità autodistruttiva del dispiegamento della forza militare per negare giustizia e diritti politici al popolo palestinese
È facile essere cinici nei confronti dello Stato di diritto internazionale. Non appena la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio contro il popolo palestinese, il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato: “Continuiamo a credere che le accuse di genocidio siano infondate e notiamo che la Corte non ha fatto una constatazione di genocidio né ha chiesto un cessate il fuoco nella sua sentenza…”. I leader israeliani hanno dichiarato che il caso è “oltraggioso” e “antisemita”.
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Israele e l'apertura del Fronte Nord
di Giuseppe Masala
La narrativa del mainstream occidentale in merito alla crisi innescata con l'invasione di Gaza da parte israeliana è semplice e di facile presa: dopo gli attentati terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023 (data immediatamente contrabbandata dagli spin doctors israeliani come l'11 Settembre del paese) Israele aveva acquisito il diritto di intentare una grande invasione di terra a Gaza che è un'area governata da Hamas. L'operazione di terra inevitabilmente si è immediatamente trasformata in una carneficina di civili palestinesi: ma anche questo elemento non ha fermato il governo di Netanyahu che è rimasto totalmente indifferente alle enormi pressioni internazionali che sono anche sfociate in una denuncia, da parte del Sud Africa, alla Corte Internazionale di Giustizia, massimo organo giurisdizionale dell'ONU che proprio in questi giorni ha deliberato che Israele sarà messo sotto processo addirittura per possibile genocidio del popolo palestinese.
Siamo stati facili profeti, il disastro diplomatico (che avrà costi enormi per Israele) ma anche la non facile operazione militare costata ingenti perdite umane e materiali non è stata vantaggiosa e anzi, non pare azzardato sostenere, che ha un trade-off assolutamente in perdita per Tel Aviv.
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Riflessioni sulla Palestina
di Comitato Antimperialista Arezzo e Collettivo Millepiani Arezzo
1. Resistenza e Rivoluzione in Palestina
Il genocidio che lo Stato neocoloniale israeliano sta perpetrando sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, un genocidio che strazia le sue vittime con tutta la sproporzione tecnica dei suoi mezzi offensivi, a cominciare dal calcolato piano generale – amministrativo, militare ed etnico – inflessibilmente seguito, si scontra tuttavia con un ostacolo, poiché viene contrastato, e quindi indebolito, nella sua furia genocida, dalla irriducibile Resistenza di mobilissime formazioni di fedayyin, che spuntano improvvise e che scompaiono prontamente in quelle distese di macerie che una volta erano gli edifici di Gaza. Il genocidio sta dentro una guerra implacabile: una guerra di sterminio, da una parte; una guerra di liberazione dall’altra. Questo è il senso storico e politico di quanto sta avvenendo in Palestina, dal quale non si può assolutamente prescindere, in un’azione di massa che miri a dare forza e valore all’espressione “Palestina libera”, gridata in tutte le piazze. Infatti, se non si appoggia, se non si rende visibile, se non si dà un volto politico alla “lotta di liberazione armata” del popolo palestinese, la parola d’ordine “Palestina libera” diviene semplice coreografia. Occorre pertanto rendere netto e inconfondibile il profilo della lotta di liberazione armata dei palestinesi e, contemporaneamente, occorre adoperarsi con tutte le nostre forze per conquistare le masse popolari occidentali a un deciso e completo “riconoscimento” di questa guerra popolare di liberazione. Come per la Repubblica spagnola, aggredita nel ’36 dall’imperialismo nazifascista, e per il Vietnam bombardato con il Napalm dall’imperialismo statunitense negli anni Sessanta, una mobilitazione internazionalista sostenne il peso di una lotta comune, così oggi, di fronte alla “soluzione finale” avanzante a Gaza con gli aerei e i blindati israeliani, diventano urgenti le idee e le parole d’ordine internazionaliste per sostenere fino in fondo e senza perifrasi la Resistenza palestinese.
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I guerrafondai, i sonnambuli e i movimenti per la pace
di Alfonso Gianni
Non era mai successo nulla di simile: un impero (la Gran Bretagna) promette una terra non sua a un popolo che non ci vive senza chiedere il permesso a chi ci abita1
Gideon Levy
Cessate il fuoco! Ora! Questo grido, rivolto in particolare alle due più sanguinose guerre in corso - tra le 60 attualmente in atto nel mondo -, in Ucraina e in Palestina, ha attraversato le piazze e le strade delle principali città del Sud e del Nord del globo terrestre. Il popolo della pace, variegato e multiforme, è tornato a farsi, sentire, a imporsi all’opinione pubblica, malgrado i tentativi di nasconderne o sminuirne la forza e l’estensione da parte dei mass media mainstream. Non siamo di fronte a quella dimostrazione di grande forza e compattezza, pur nell’articolazione geografica, che contraddistinse le celebri manifestazioni del 15 febbraio del 2003 e che fecero scrivere al New York Times che aveva preso corpo una seconda potenza mondiale. Neppure quella straordinaria prova di forza fermò la guerra, ovvero l’aggressione degli Usa e dei paesi volenterosi all’Iraq. Ma essa entrò nella storia, sedimentò una diffusa coscienza civile, trasformò il pacifismo da una opzione morale e individuale in un obiettivo politico condiviso da milioni di persone disposte ad attivarsi per il suo conseguimento. Le manifestazioni che si sono susseguite in centinaia di città lo scorso 13 gennaio2 e che continueranno a riproporsi e ci auguriamo a crescere, non sarebbero potute avvenire senza poggiare sull’humus fertilizzato da quella storica giornata di inizio di secolo. E a farlo in condizioni assai più difficili di allora. Nel 2003 l’obiettivo era chiaro: impedire agli Usa di fare quello che poi hanno fatto in Iraq, sconvolgendo quel territorio e l’insieme del Medio Oriente, con conseguenze che proprio ora mostrano i loro devastanti effetti.
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L’ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici internazionali
di Andrea Vento*
La complessa questione della dedollarizzazione
Il Sistema Monetario Internazionale (Smi) uscito dagli Accordi di Bretton Woods ha riservato al dollaro statunitense la duplice funzione di moneta nazionale e di valuta di riferimento nelle transazioni internazionali, concedendo alla Federal Reserve il privilegio di poter indirizzare le politiche monetarie dell’intero campo capitalistico tramite l’orientamento delle manovre sul tasso di riferimento.
L’utilizzo del dollaro come arma politica
A partire dal febbraio 2022, con l’escalation del conflitto in Ucraina, è tuttavia emersa nella sua piena dimensione anche una terza dirompente funzione, peraltro già utilizzata in passato con portata più limitata ai danni di 22 paesi: quella sanzionatoria. Le draconiane misure coercitive imposte dal 23 febbraio 2022 unilateralmente alla Russia, in 12 tranche successive, hanno infatti determinato “la trasformazione del dollaro in arma”, espressione giustappunto coniata nell’anno in questione.
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Karl d’Arabia
di Marcello Musto
In tarda età, Marx trascorse un po’ di tempo ad Algeri. Gli scritti e le annotazioni di quel periodo confermano il suo sostegno alle lotte contro l’oppressione coloniale
Nell’inverno del 1882, durante l’ultimo anno della sua vita, Karl Marx ebbe una grave bronchite e il suo medico gli consigliò un periodo di riposo in un luogo caldo. Gibilterra fu esclusa perché Marx aveva bisogno del passaporto per entrare nel territorio e, in quanto apolide, non ne era in possesso. L’impero tedesco di Otto Von Bismarck era coperto dalla neve e gli era proibito in ogni caso. L’Italia era fuori discussione poiché, come afferma Friedrich Engels, «la prima condizione per quanto riguarda i convalescenti è che non vi siano seccature da parte della polizia».
Engels e Paul Lafargue, genero di Marx, convinsero il paziente a recarsi ad Algeri. All’epoca, la capitale dell’Algeria francese godeva della reputazione di buona destinazione per sfuggire ai rigori dell’inverno europeo. Come ricordò in seguito la figlia di Marx, Eleanor Marx, ciò che realmente lo spinse a intraprendere questo viaggio insolito fu il suo obiettivo numero uno: completare Il Capitale.
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Ucraina. Gli Usa e la guerra decennale
di Piccole Note
Dalla "riconquista dei territori perduti" si è passati alla, ennesima, "guerra infinita". La tragedia del popolo ucraino
“I piani di guerra degli Stati Uniti per l’Ucraina non prevedono più la riconquista del territorio perduto”. Questo il titolo di un articolo del Washington Post che spiega come gli Usa stiano rimodulando la strategia per l’Ucraina. Infranta tragicamente l’utopia coltivata finora della riconquista del Donbass, si tratta di portare avanti una guerra di logoramento e di impedire ai russi di avanzare.
La guerra infinita in Ucraina
Così il WP: “Il piano degli Stati Uniti è parte di uno sforzo multilaterale da parte di quasi tre dozzine di paesi che sostengono l’Ucraina per garantirne la sicurezza a lungo termine e il sostegno economico […] come dimostrazione di una risolutezza duratura nei confronti del presidente russo Vladimir Putin”. Ognuno di questi Stati “sta preparando un documento che delinea i propri impegni specifici per il prossimo decennio. La settimana scorsa la Gran Bretagna ha reso pubblico il suo accordo decennale con l’Ucraina”, un impegno simbolicamente suggellato dalla visita di Rishi Sunak a Kiev. E presto, spiega il WP, sarà la volta della Francia, anch’essa prossima a suggellare tale impegno con la visita a Kiev di Macron.
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Teatro e politica
di Giorgio Agamben
È quanto meno singolare che non ci si interroghi sul fatto, non meno imprevisto che inquietante, che il ruolo di leader politico sia nel nostro tempo sempre più spesso assunto da attori: è il caso di Zelensky in Ucraina, ma lo stesso era avvenuto in Italia con Grillo (eminenza grigia del Movimento 5 stelle) e ancor prima negli Stati Uniti con Reagan. È certo possibile vedere in questo fenomeno una prova del tramonto della figura del politico di professione e dell’influsso crescente dei media e della propaganda su ogni aspetto della vita sociale; è però evidente in ogni caso che quanto sta avvenendo implica una trasformazione del rapporto fra politica e verità su cui occorre riflettere. Che la politica avesse a che fare con la menzogna è, infatti, scontato; ma questo significava semplicemente che il politico, per raggiungere degli scopi che riteneva dal suo punto di vista veri, poteva senza troppi scrupoli dire il falso.
Quel che sta avvenendo sotto i nostri occhi è qualcosa di diverso: non vi è più un uso della menzogna per i propri fini politici, ma, al contrario, la menzogna è diventata in se stessa il fine della politica. La politica è, cioè, puramente e semplicemente l’articolazione sociale del falso.
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