Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 671
Cessate il fuoco – La resa dei conti è rinviata
di Konrad Nobile
I sorprendenti sviluppi che hanno portato al cessate il fuoco tra Israele e Iran mi spingono a fare il punto della situazione e fare un bilancio di questa guerra dei 12 giorni e delle sue possibili conseguenze.
Ovviamente premetto che si tratta di considerazioni fatte a caldo e ancora sotto l’effetto di un forte coinvolgimento emotivo. Inoltre, mi rendo conto che dalla posizione di spettatore lontano, sicuro e privilegiato non si possa comprendere appieno la situazione reale.
Sicuramente per capire veramente quel che è successo e le sue ripercussioni ci vuole del tempo, calma e una lucidità e una profondità che mi mancano.
Qualche giorno or sono ho scritto un articolo per ComeDonChisciotte dal titolo “GUERRA ALL’IRAN: I NODI VENGONO AL PETTINE”, nel quale ho sostenuto che lo scontro apertosi in Asia occidentale sia da interpretare come uno scontro esistenziale (per tutte le parti coinvolte).
Nonostante lo sviluppo del cessate il fuoco, riconfermo questa lettura, per quanto lo scontro venga ora “congelato” e rinviato nuovamente.
Ad ogni modo, la soluzione trovata da Trump con la mediazione del Qatar è stata sorprendente: è stata smentita la tesi, espressa nel mio precedente articolo, che sosteneva che “Lo scontro apertosi il 13 giugno con l’aggressione israeliana alla Repubblica Islamica è ormai molto difficile possa rientrare per lasciare spazio a nuovi compromessi e negoziati.”.
Alla fine, invece, almeno per ora, è stata trovata proprio quella “improbabile de-escalation” che non ritenevo di facile realizzazione.
Ho l’impressione che la mossa di Trump, aiutata dalla Russia e dalla Cina, sia stata abilissima per tutelare i suoi interessi e salvaguardare il sistema economico-commerciale globale.
Il presidente americano è riuscito a venirne fuori alla grande, anche se i risultati finali si potranno trarre nel medio-lungo periodo.
- Details
- Hits: 2959
Il bluff del 5%: come la NATO all’Aia si è condannata all’irrilevanza
di Maurizio Boni
Il vertice NATO dell’Aia del 25 giugno 2025 passerà alla storia non per i suoi successi, ma per aver messo in luce tutte le contraddizioni e l’inadeguatezza di un’alleanza che sembra aver perso il contatto con la realtà geopolitica contemporanea. In meno di 24 ore – una durata record per la sua brevità – i leader occidentali hanno raggiunto accordi che appaiono più come illusioni collettive che come strategie concrete per la sicurezza europea.
Il fulcro del vertice è stato l’accordo sull’aumento della spesa militare al 5% del PIL entro il 2035, una decisione che già al momento della sua adozione appare destinata al fallimento. Nessun membro NATO ha finora raggiunto l’obiettivo di spesa del 5% (la Polonia è la più vicina, al 4,7%) e alcuni sono altamente propensi a trascinare i piedi quando si tratta di raggiungere quella pietra miliare. La Spagna, con il primo ministro Pedro Sanchez, ha già chiarito che Madrid non dovrà rispettare l’obiettivo del 5%.
I numeri parlano chiaro: se gli stati NATO avessero tutti speso il 3,5% del PIL per la difesa lo scorso anno, ciò avrebbe significato circa 1,75 trilioni di dollari. Quindi, raggiungere i nuovi obiettivi potrebbe eventualmente significare spendere centinaia di miliardi di dollari in più all’anno, rispetto alla spesa attuale. Una cifra astronomica che appare politicamente ed economicamente insostenibile per la maggior parte degli alleati europei.
- Details
- Hits: 2659
Il vero lavoro sporco di Israele
di comidad
La dichiarazione del cancelliere tedesco a proposito di Israele che farebbe il lavoro sporco per noi, ha suscitato alternativamente approvazione o indignazione; in entrambi i casi per lo stesso motivo, cioè il fatto che Merz abbia affermato la necessità della violenza più estrema. Una violenza che viene poi voyeuristicamente affidata a uno specialista del settore di cui ammirare le gesta. Insomma, Israele come porno-divo della violenza “hard”. Un esempio di questa pornografia della violenza è la famigerata poesia “Oh Israele”, scritta nel 2006 da Paolo Guzzanti per celebrare l’invasione israeliana del Libano.
Il mantra del “lavoro sporco” risulta narrativamente efficace, poiché unisce pretesti utilitaristici e suggestioni morbose; infatti lo slogan non è un’invenzione di Merz, e da molti anni ci si fa ricorso per magnificare la funzione terroristica di Israele nell’area medio-orientale. Nel 2019 ci si raccontava che le “pressioni” di Israele avrebbero ammorbidito l’Iran e lo avrebbero indotto a sedersi al tavolo negoziale con Trump. Sennonché oggi scopriamo che il tavolo negoziale viene fatto saltare da Israele e sarebbe poi Trump a dover fare il lavoro sporco per conto di Israele; che quindi spetterà sempre di più ai militari americani rischiare la pelle per parare il posteriore di Netanyahu. La ritorsione meramente simbolica attuata dall’Iran con il bombardamento della base USA in Qatar, ha offerto a Trump una via d’uscita e la possibilità di parlare di cessate il fuoco. Ma per Israele cessate il fuoco significa che il fuoco lo cessino gli altri, non Israele.
- Details
- Hits: 2442
Il 5% del PIL per la spesa in armi: cosa vuol dire realmente
di Il Pungolo Rosso
Grande allegria al vertice NATO all’Aia: hanno appena deciso un balzo storico della spesa per le guerre in corso e in programmazione. Programmano morte, distruzione, devastazione dell’ambiente su scala globale. Bisogna fermarli!
Aumentare in modo esponenziale gli stanziamenti in armi è un obbligo per tutti i paesi aderenti alla Nato. L’ha decretato l’internazionale dei signori della guerra riuniti all’Aja. La spinta, è noto, viene dagli Usa, ed è brutale. Addirittura è un’azione al continuo rialzo perché agli inizi della sua carriera di politicante per conto dei grandi produttori di armi Trump richiamava alla parità di “investimenti” militari con quelli della quota che gli Usa conferisce all’Alleanza atlantica, chiedendo ai paesi europei di portarsi al 2% del Pil per ognuno di loro.
Ripercorriamo brevemente la vicenda, le motivazioni addotte e infine cosa realmente c’è dietro questa pressione crescente. Nessun mistero, s’intende, ma la storia e la prospettiva di guerre e immani sofferenze per le popolazioni di tutti i paesi.
La vicenda inizia ai tempi del primo governo Conte nel biennio ’18-’19. Allora Trump 1, nel suo intervento a Bruxelles, minacciò di ritirarsi dalla Nato se i partner non si fossero impegnati a mettersi alla pari con gli Usa. Fu nel corso del summit Nato (11 luglio ’18) che furono pubblicati i dati sulla graduale diminuzione della spesa per armi nei paesi Ue.
- Details
- Hits: 2529
Le vere origini del caos bellico
di Barbara Spinelli
Pubblichiamo l’intervento integrale di Barbara Spinelli di cui ieri è stata letta una sintesi durante la manifestazione organizzata dal M5S all’Aja
Si ripete che il riarmo UE è la conseguenza dell’intervento russo in Ucraina, nel febbraio 2022. Un intervento che ha radici molto precise, e che né i governi occidentali né la Commissione hanno mai in questi anni riconosciuto e neanche lontanamente pensato. Alla sua radice: la minaccia di un’estensione delle forze e dei missili Nato fino alle porte della Russia, intollerabile per Mosca come lo sarebbe l’installazione di basi militari russe o cinesi alle porte degli Stati Uniti.
La vera svolta, se siamo interessati alla genealogia del conflitto ucraino e del riarmo europeo, è avvenuta dopo la guerra fredda e in concomitanza con l’allargamento dell’Unione all’Est Europa. L’Occidente si comportò da vincitore, e gli Stati Uniti decisero che a quel punto se l’Urss era morta tutto era permesso, a partire dalle sue basi che sono 750 in almeno 80 Paesi nel mondo. Anche la creazione di un “nuovo Medio Oriente” egemonizzato dall’unica potenza atomica della regione, Israele, nacque in quel periodo, quando nel 1996 andò al governo Netanyahu: ben prima dell’11 settembre 2001. Il diritto internazionale è stato messo in questione non nel 2022 ma negli anni Novanta del secolo scorso.
Il risultato è stato che non solo la Nato è restata in piedi (retrospettivamente penso che sarebbe stato saggio scioglierla fin dal 1991, in contemporanea con la fine dell’Urss e del patto di Varsavia) ma è divenuta protagonista di una serie di guerre di regime change, tutte fallite ma sempre ricominciate.
- Details
- Hits: 2631
L'Impero del Caos alza l'asticella per la guerra contro i BRICS
di Pepe Escobar – Sputnik Globe
Vennero. Bombardarono (con bombe bunker buster). Fuggirono. E poi hanno preparato il terreno per controllare la narrazione attraverso una massiccia operazione di pubbliche relazioni.
Il presidente degli Stati Uniti ha salutato la “spettacolare” vittoria dei B-2 che hanno volato dagli Stati Uniti all'Asia occidentale per sganciare dei MOP (Massive Ordnance Penetrators) su Fordow nel cuore della notte del 22 giugno (significativamente, la stessa data dell'inizio dell'Operazione Barbarossa nel 1941).
I funzionari di Trump 2.0 hanno esultato dicendo che il programma nucleare iraniano era ormai finito.
Quello è il reality show. Ora passiamo alla realtà. Mannan Raisi, membro del Majlis (Parlamento) iraniano della città santa di Qom, ha riassunto così la situazione: "Contrariamente alle dichiarazioni del presidente bugiardo degli Stati Uniti, gli impianti nucleari di Fordow non hanno subito danni gravi. Sono state distrutte solo le strutture in superficie, che possono essere ripristinate. Inoltre, tutto ciò che poteva rappresentare un pericolo per la popolazione è stato evacuato in anticipo. Non ci sono segnalazioni di emissioni nucleari. Le false affermazioni di Trump sulla 'distruzione di Fordow' sono smentite dal fatto che gli attacchi sono stati così superficiali che non ci sono state nemmeno vittime nella struttura."
Ciò che conta davvero è che l'Impero del Caos, con un unico raid –spettacolare e criminale – ha bombardato (ancora una volta) la Carta delle Nazioni Unite, il diritto internazionale (ancora una volta), il TNP (forse per sempre), la Costituzione degli Stati Uniti, la “comunità internazionale” e la stessa base MAGA di Trump.
- Details
- Hits: 677
Iran-Usa, a che punto è la guerra mondiale non dichiarata?
di nlp
La prima pagina della Handelsblatt di pochi giorni fa titolava sulla esistenza di guerra mondiale non dichiarata poche ore prima dell’attacco degli Usa all’Iran. Per il quotidiano tedesco si tratta della guerra tra democrazie e autocrazie, esprimendo una visione del conflitto globale ferma al conflitto tra stati e piegata alla contingenza politica. Allo stesso tempo, proprio se guardiamo alla contingenza, l’attacco Usa all’Iran lascia diversi dubbi su quanto siano reali gli effetti fine-di-mondo dichiarati da Washington come conseguenza dei bombardamenti di questi giorni. Ma capire cosa sta accadendo bisogna uscire dalla contingenza, quella degli schieramenti degli stati e quella degli effetti dei bombardamenti visto che da metà degli anni ’10, specie in Medio Oriente, di attacchi fatti più di messaggio politico che di distruzione materiale, ce ne sono stati e la guerra del mondo non dichiarata si è comunque estesa su scala planetaria come se il contenuto diplomatico di alcuni bombardamenti (dalla Siria del 2017 allo scambio di missili Israele-Iran di questa primavera) praticamente non esistesse.
Quindi la guerra mondiale non dichiarata esiste, si tratta di capire cosa è, a che punto siamo in questo genere di guerra e quali sono le prospettive che ha davanti a sé. Dall’inizio degli anni ’90 la guerra, come da sua costante antropologica, ha alimentato le rivoluzioni tecnologiche (dalla microelettronica alla rete fino alla AI) si è estesa fino ai confini temporali (guerra permanente), ha raggiunto ogni attività umana (guerra senza limiti), ha moltiplicato i piani di realtà sui quali si esercita necessitando di una strategia che li sincronizzasse (guerra ibrida). La guerra mondiale non dichiarata emerge da questo contesto di moltiplicazione delle mutazioni dei conflitti basati su una violenza sia esplicita, tradizionale fino a sembrare ancestrale, che mimetica o innovativa tanto da sembrare magica a causa della performatività tecnologica che la pervade. È quindi analiticamente necessario parlare oggi di “guerra mondiale non dichiarata”.
- Details
- Hits: 1008
La guerra all'Iran è una lotta per il controllo unipolare del mondo da parte degli Stati Uniti
di Michael Hudson, Geopolitical Economy
L’economista Michael Hudson spiega come la guerra contro l’Iran miri a impedire ai paesi di liberarsi dal controllo unipolare degli Stati Uniti e dall’egemonia del dollaro, e a interrompere l’integrazione eurasiatica con Cina e Russia
Gli oppositori della guerra con l’Iran affermano che la guerra non è nell’interesse americano, dato che l’Iran non rappresenta alcuna minaccia visibile per gli Stati Uniti.
Questo appello alla ragione trascura la logica neoconservatrice che ha guidato la politica estera degli Stati Uniti per oltre mezzo secolo e che ora minaccia di travolgere il Medio Oriente nella guerra più violenta dai tempi di Corea.
Questa logica è così aggressiva, così ripugnante per la maggior parte delle persone, così in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale, delle Nazioni Unite e della Costituzione degli Stati Uniti, che c’è una comprensibile timidezza negli autori di questa strategia nello spiegare chiaramente cosa è in gioco.
Ciò che è in gioco è il tentativo degli Stati Uniti di controllare il Medio Oriente e il suo petrolio come baluardo del potere economico statunitense e di impedire ad altri paesi di muoversi per creare una propria autonomia dall’ordine neoliberista incentrato sugli Stati Uniti e amministrato dal FMI, dalla Banca Mondiale e da altre istituzioni per rafforzare il potere unipolare degli Stati Uniti.
Gli anni ’70 videro un ampio dibattito sulla creazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO). Gli strateghi statunitensi lo consideravano una minaccia e, poiché il mio libro “Super Imperialismo” fu usato ironicamente dal governo come una sorta di libro di testo, fui invitato a commentare come, a mio avviso, i paesi si sarebbero liberati dal controllo statunitense.
Lavoravo all’Hudson Institute con Herman Kahn e, nel 1974 o 1975, mi chiamò per partecipare a una discussione sulla strategia militare dei piani già elaborati all’epoca per un possibile rovesciamento dell’Iran e la sua frammentazione etnica. Herman scoprì che il punto più debole era il Belucistan, al confine tra l’Iran e il Pakistan.
- Details
- Hits: 596
Il resettaggio bellico del sistema-mondo
di Geraldina Colotti
Di fronte a un'escalation bellica che sta superando tutti i livelli di guardia, i richiami alle norme che regolano i conflitti a livello internazionale per evitare una guerra nucleare (tra i quali quello dello scienziato italiano, Giorgio Ferrari, e il tardivo ripensamento dei vertici dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica -Aiea -), sembrano destinati al vuoto, consegnati a un deserto, di sordità o di impotenza.
Intanto perché i due principali attori che spingono il mondo verso la catastrofe - gli Stati uniti e il regime sionista, il padrone imperiale e il suo cane da guardia, sempre scalpitante e ora senza freni - si considerano al di sopra delle regole, avendo rifiutato di firmare qualunque trattato che ne limitasse l'azione.
Né gli Usa né la sua rabbiosa propaggine, messa a guardia degli interessi occidentali in Medioriente, hanno infatti ratificato i Protocolli aggiuntivi del 1977 della convenzione di Ginevra, che vietano il bombardamento dei siti nucleari. “Israele” (al pari di India e Pakistan) non ha d'altronde firmato neanche l'originario Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Tnp), entrato in vigore nel 1970 e sottoscritto da quasi tutti i paesi del mondo, e considerato il punto più alto del contenimento collettivo deciso nel secolo scorso. E ha continuato a sviluppare il suo arsenale nucleare e quello di menzogne, coperte dagli Usa, dalla Francia e poi dall'Unione europea.
L’Italia, per esempio, il cui governo erede del fascismo non ha votato per il riconoscimento dello Stato di Palestina, ritenendo che debba avvenire “nel quadro di negoziati diretti tra israeliani e palestinesi e non unilateralmente”, si è spesso astenuta nelle votazioni all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite su risoluzioni che avrebbero potenziato i diritti della Palestina come Stato osservatore. In concreto, fa grossi affari con il regime sionista, e gli fornisce elicotteri, cannoni navali ed altri armamenti, ma anche componenti dei caccia F-35, vettori di armi nucleari.
Bisogna ricordare che il Tnp, in uno dei suoi tre punti principali riconosce il diritto di tutti gli stati che fanno parte del trattato di sviluppare la ricerca, la produzione e l'uso dell'energia nucleare per scopi pacifici, con la supervisione dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) per garantire che tale tecnologia non venga deviata per scopi militari.
- Details
- Hits: 3027
La guerra, l’Iran e noi
di Militant
Mentre scriviamo sembrerebbe essersi conclusa la guerra dei 12 giorni tra Israele e l’Iran, anche se mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo. Con i bombardamenti israeliani iniziati il 13 giugno e poi con quelli statunitensi della notte tra sabato e domenica, abbiamo assistito a quella che può essere definita tranquillamente un’aggressione imperialista in purezza, e proprio da questo dovremmo partire per comprendere quale posizione assumere nei confronti dell’Iran.
Per molto tempo infatti il concetto stesso di imperialismo era stato eliminato dalla cassetta degli attrezzi della sinistra occidentale perché ritenuto ormai obsoleto e inutile per analizzare le dinamiche di un mondo sempre più interconnesso e globalizzato.
Con la guerra tra la Nato e la Russia (per interposta Ucraina) il termine è stato però progressivamente rispolverato e utilizzato con disinvoltura anche dal sistema informativo mainstream, generando più di qualche fraintendimento persino tra i compagni. Per questo prima di proseguire crediamo sia utile, anche a costo di sembrare ridondanti, ribadire schematicamente almeno due cose.
La prima è che l’imperialismo non è una categoria morale, non è un sostantivo che può essere adoperato per descrivere quanto sia “cattivo” questo o quel dittatore o quanto siano esecrabili le mire espansionistiche di questo o quello stato. L’imperialismo descrive una fase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico e come tale dev’essere maneggiato.
- Details
- Hits: 2689
Ogni “pace” ha almeno uno sconfitto. Stavolta tocca a Israele
di Dante Barontini
Facciamo finta che ora ci sia “la pace”. E facciamo anche finta di prendere per buone le dichiarazioni di giubilo di tutti e tre i protagonisti della “guerra dei dodici giorni”: Usa, Israele e Iran.
Primo problema: si smentiscono una con l’altra. Del resto è inevitabile, visto che tutti e tre dicono di “aver vinto” e “raggiunto tutti propri obiettivi”.
L’analisi dei fatti è un po’ meno ecumenica, com’è giusto che sia per essere credibile.
Trump ha raggiunto certamente l’obiettivo di far capire a tutti, soprattutto dentro l’”Occidente collettivo”, che sono gli Stati Uniti il capotreno di questo convoglio, non certo Israele e in primo luogo Netanyahu.
La reprimenda allo scolaretto indisciplinato che voleva continuare a bombardare anche dopo “l’ordine di tregua” arrivato da Washington, ha chiarito che Tel Aviv è stata e resta un “proxy” della politica Usa in Medio Oriente. Un proxy che si era montato la testa illudendosi di poter costringere “il cervello della piovra” occidentale a seguire le proprie finalità.
Il rapporto era apparso decisamente invertito quando Trump, rovesciando la sua posizione, aveva dato infine l’ordine di bombardare con le bunker-buster i tre siti nucleari iraniani più noti. Poi si è visto – stante anche alle sue stesse dichiarazioni – che l’attacco Usa era stato “telefonato” in tempo, così come aveva poi fatto Tehran quando, “costretta” a dare una risposta, ha spedito un numero di missili nei pressi della base statunitense in Qatar.
- Details
- Hits: 2773
È tregua
di Enrico Tomaselli
Una cosa va detta subito, e senza esitazioni. Che il conflitto Israele-USA-Iran si sia concluso è un bene. Pur consapevoli che la sicumera trumpiana circa la durata sempiterna del cessate il fuoco è ridicola, e che siamo di fronte a una tregua, che reggerà quanto reggerà. E che le cause del conflitto sono ancora tutte lì, e quindi torneranno prima o poi a manifestarsi.
Ciò detto, proviamo a fare un primo bilancio di questo veloce scontro – durato solo dodici giorni – che può in effetti essere considerato come una estensione dei due precedenti scambi tra Iran e Israele; non a caso, Teheran ha denominato questa operazione True Promise III, ricollegandola direttamente alle due precedenti.
Sotto il profilo dei danni reciprocamente inferti, possiamo tranquillamente affermare che sono stati importanti ma non significativi; probabilmente, in termini assoluti, sono maggiori quelli subiti dall’Iran ma, considerando la diversa capacità di assorbimento dei due paesi (soprattutto sotto il profilo psicologico), si può considerare lo scambio di colpi come sostanzialmente equilibrato. Nessuno dei due ha subito perdite materiali che non siano ripristinabili in tempi relativamente brevi. Anche gli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani hanno fatto danni abbastanza limitati, e comunque non tali da fermare il programma di arricchimento – che sia per scopi civili o, come potrebbe ora diventare, per scopi militari. Certo l’Iran ha subito la perdita di alcuni scienziati impegnati nel programma (non è purtroppo una novità, e non vale a fermare alcunché), così come di alcuni alti ufficiali (tutti peraltro abbastanza anziani, che sono già stati sostituiti).
- Details
- Hits: 2812
Se Israele e Ucraina cominciano ad assomigliarsi anche nella propaganda
di Gianandrea Gaiani
Negli ultimi tempi si è molto parlato di similitudini nel modo di combattere di Ucraina e Israele, complice anche l’impiego spettacolare di droni imbarcati su veicoli civili occultati precedentemente in territorio russo e iraniano dai rispettivi servizi d’intelligence.
Complice forse pure l’ammissione dell’ambasciatore israeliano a Kiev che Israele ha fornito missili Patriot all’Ucraina, anche se Tel Aviv ha smentito tale fornitura lasciando intendere che le vecchie armi anti missili balistici fornite allo Stato ebraico durante la Guerra del Golfo del 1991 sarebbero state restituite agli USA (che a Israele dopo il 7 ottobre 2023 hanno dato il sistema THAAD) e da lì poi triangolate in Ucraina.
A ben guardare, Kiev e Tel Aviv si assomigliano sempre di più anche nella narrazione propagandistica delle rispettive guerre e dopo l’attacco all’Iran del 12 giugno anche Israele, come l’Ucraina, per sensibilizzare noi europei utilizza messaggi spesso grossolani se non imbarazzanti.
Certo la propaganda di Israele non ha raggiunto finora le vette inarrivabili di quella ucraina, diffusa a piene mani dai vertici politici e dai servizi di intelligence interna (SBU) e militare (GUR) ma ripresa e amplificata senza dubbi né valutazioni critiche da migliaia di tifosi e ultras schierati in forze nelle redazioni d’Italia e d’Europa.
- Details
- Hits: 2764
Forza militare per coprire debolezza economica
Al b-movie di Trump pare credere solo l’Europa
di Alessandro Volpi
Di fronte allo sgretolamento dei beni rifugio simbolo degli Stati Uniti, ovvero il dollaro e il debito, il presidente, mettendosi un cappellino rosso in testa e creando una war room da film di quart’ordine, ha pensato di persuadere il mondo del “Primato” statunitense, schierando la potenza militare, ormai l’unico vero elemento di forza degli Usa. Che però sanno, a queste condizioni, di potersi permettere ancora per poco. L’analisi di Alessandro Volpi
Uno dei motivi principali dell’attacco degli Stati Uniti all’Iran è stato probabilmente la volontà di Donald Trump di dimostrare la propria forza militare nel tentativo di riconquistare la “fiducia” del mondo, o di una parte di esso, nei confronti dei simboli dell’economia statunitense, costituiti dal dollaro e dai titoli del debito pubblico.
In realtà non si tratta solo di simboli perché il dollaro sta perdendo sempre più rapidamente la condizione di valuta di riserva e di scambio internazionale; una condizione che permetteva alla Federal reserve (Fed) di stampare dollari a suo piacimento per finanziare la spesa federale americana, dunque per coprire gli investimenti militari, per fare giganteschi salvataggi come nel caso delle banche dopo la crisi economica del 2007-2008, per stimolare i consumi interni con continui incentivi e per evitare di aumentare le imposte.
Oggi questa prerogativa, di fatto, non esiste più: solo nei confronti dell’euro il dollaro è ormai ben sotto la parità, con un cambio sceso da 0,95 a 0,86 in pochissimo tempo e non si tratta solo di una manovra di voluta svalutazione ma di vera perdita di credibilità, ancora più marcata verso altre monete mondiali.
- Details
- Hits: 1417
Il disumano tra Knesset e Bilderberg. Culti di guerra. Culti di Dittatura. Culti biblici?
di Fulvio Grimaldi
Medioriente, ma non finisce qui
A dispetto della conclamata volatilità del carattere e delle pronunce di Trump, di cui è diventato luogo comune rilevare lo stop and go, il tutto e il contrario di tutto, il no di oggi e il sì di domani, le due settimane di meditazione sull’attacco all’Iran che diventano 24 ore per una decisione evidentemente già presa, in tutto questo c’è coerenza e logica. È il muoversi necessariamente erratico di un soggetto che, come Arlecchino, deve rispondere a due padroni.
Trump, con le due settimane aperte a ogni ipotesi, aveva rassicurato il suo elettorato, nazionalista, isolazionista, manufatturiero, ceto medio declassato, mondo operaio e sottoproletario, il cui orizzonte sta in quanto è racchiuso tra Oceano Atlantico e Oceano Pacifico. Ora, con la decisione presa (apparentemente) nel giro di 24 ore, ha placato le ansie dell’altro suo referente, l’ebraismo sionista che gli ha garantito due elezioni e che costituisce la massima potenza economico-finanziaria mai apparsa sulla Terra.
La tragedia planetaria è che nell’equilibrio tra MAGA e Sion, il peso maggiore sta sul secondo piatto della bilancia, tanto da fare di Trump il vero, inesorabile, ostaggio di Netanyahu. MAGA non gli si rivolterà conto, la sua avversione a guerre esterne è temperata da quanto riveste i caratteri di una vera idolatria: è il capo e ci sta bene tutto, a prescindere.
Si aggiunga che dall’Europa, dalla quale ci si sarebbe potuti attendere una presa di posizione alternativa, razionale, finalmente riferita ai propri veri interessi economico-politico-sociali, si sentono le stesse voci che risuonano a favore di Israele e di Netanyahu. Quelle di Blackrock, Merz, di Rothschild, Macron, e della City, ormai dependance di Wall, Street, Starmer.
Ma non finisce qui. Gli imprevisti si moltiplicano. Si arriverà, forse, in un Consiglio di Sicurezza e in un’Assemblea Generale dell’ONU, dove certe cose non passano, a più miti consigli. Almeno qui, due grandi potenze, altrimenti alla finestra, possono pesare.
- Details
- Hits: 881
La natura deterministica di questa guerra
di ALGAMICA*
Di fronte alla aggressione terrorista dello Stato di Israle contro l’Iran, che fa il lavoro sporco per conto dell’Occidente, e agli Stati Uniti, che dopo tanto tentennare, sono intervenuti con i loro bombardieri B-2, molti temono che si sia oltrepassata una linea rossa. Tutto sta precipitando improvvisamente verso gli scenari politici, sociali e militari del secolo scorso?
Prima di addentrarci su questa domanda vogliamo chiarire un punto. Israele aggredisce perchè insieme all’Occidente, si è ficcato in un vicolo cieco nel genocidio del popolo palestinese, nella deportazione di tutti i palestinesi da Gaza. In sostanza agisce in preda a una crisi esistenziale infiammando l’intera area mediorientale. Gli Stati Uniti, che non vorrebbero impantanarsi in guerre che non possono vincere fino in fondo – basta vedere come è andata a finire per l’invicibile armada contro lo Yemen degli Houthi – di fronte a un pazzo che getta una bomba dentro una sala dove stai negoziando, è assalito dal dubbio amletico: « vorrei rilanciare l’american dream smettendo di promuovere guerre infinite, ma la guerra infinita è arrivata a me, mi lascio trascinare o non mi lascio trascinare? Temporeggio due settimane oppure agisco immediatamente sperando di risolvere il tutto con un paio delle mie super bombe? »
Dietro alla retorica anche per gli Stati Uniti e, di conseguenza, per l’insieme dell’Occidente, si pone lo stessa dilemma esistenziale. Sotto i colpi di una crisi generale dell’accumulazione e una crisi demografica, la cosiddetta civiltà occidentale si trova a dover segnare il passo in Africa, in Medio Oriente in Asia e in America Latina. La questione palestinese, anch’essa irrisolvibile nell’attuale quadro. Nonostante questi mesi abbiano segnato passaggi a favore di Israele, nel genocidio di Gaza e nella frantumazione della Siria cannibalizzata, lo Stato sionista non è in grado di reinvertire il corso della sua crisi. Circa l’aggressione militare israeliana all’Iran, Steve Bannon lucidamente sintetizzava il dilemma che continua a logorare gli Stati Uniti attraverso una domanda rivolta all’establishment israeliano:
- Details
- Hits: 1009
Utopie letali 2
di Carlo Formenti
Quasi dodici anni fa (ottobre 2013) usciva, per i tipi di Jaka Book, Utopie letali, un saggio in cui analizzavo gli svarioni teorici, le derive ideologiche e i miti che stavano sprofondando le sinistre radicali nella più totale incapacità di analizzare, e ancor meno di contrastare, le strategie di ricostruzione egemonica del progetto neoliberale che, dopo la crisi del 2008 che ne aveva evidenziato contraddizioni e debolezze, era impegnato a restaurare il consenso delle larghe masse occidentali, in parte tentate dalle insorgenze populiste. In quelle pagine accusavo, nell’ordine, le teorie postoperaiste che rimpiazzano la lotta di classe con fantasmatiche “moltitudini”; l’idiosincrasia dei movimenti libertari nei confronti di qualsiasi forma di organizzazione e potere politico (stato e partito eletti a simboli del male assoluto); la fascinazione delle tecnologie digitali gabellate per strumenti di democratizzazione economica, politica e sociale; l’eurocentrismo incapace di prendere atto dello spostamento dell’asse antimperialista verso l’Est e il Sud del mondo; il dirottamento dell’impegno politico e sociale verso obiettivi rivendicativi di carattere particolaristico (libertà civili e individuali versus interessi e libertà collettive).
Da allora l’offensiva capitalista si è incattivita, assumendo i connotati di un liberal fascismo di nuovo conio (confuso, ahimè, con il liberalismo e il fascismo “classici”, e quindi affrontato con i vecchi arnesi del frontismo). Abbiamo assistito a una reazione rabbiosa di fronte all’impossibilità di restaurare il sogno di una pax atlantica e di un nuovo secolo americano, accarezzato dopo il crollo dell’Unione Sovietica; una reazione che ha sfruttato la pandemia del Covid19 per imporre un ferreo disciplinamento ideologico, politico e sociale; che ha avuto ragione con relativa facilità dei populismi di sinistra (Syriza, Podemos, Sanders, Corbyn, M5S, di Mélenchon diremo più avanti), mentre ha integrato quelli di destra (Trump in testa) nel proprio progetto; che ha identificato nella Terza guerra mondiale (di cui abbiamo visto i prodromi in Ucraina, in Siria, nel genocidio di Gaza e nella guerra che Israele e Stati Uniti hanno scatenato contro l’Iran) la soluzione finale alla crisi secolare iniziata negli anni Settanta del Novecento.
- Details
- Hits: 2781
La situazione del dollaro dietro la decisione di Trump
di Alessandro Volpi*
Il vero pericolo. Penso che uno dei motivi principali dell'attacco di Trump all'Iran sia la volontà di dimostrare la forza militare degli Stati Uniti nel tentativo di riconquistare la "fiducia" del mondo, o di una parte di esso, nei confronti dei simboli dell'economia americana, costituiti dal dollaro e dai titoli del debito pubblico. In realtà non si tratta affatto solo di simboli perché il dollaro sta perdendo sempre più rapidamente la condizione di valuta di riserva e di scambio internazionale; una condizione che permetteva alla Federal Reserve di stampare dollari a suo piacimento per finanziare la spesa federale americana, dunque per coprire le spese militari, per fare giganteschi salvataggi come nel caso delle banche dopo il 2008, per stimolare i consumi interni con continui incentivi e per evitare di aumentare le imposte.
Oggi questa prerogativa, di fatto, non esiste più: solo nei confronti dell'euro il dollaro è ormai ben sotto la parità, con un cambio sceso da 0,95 a 0,86 in pochissimo tempo e non si tratta solo di una manovra di voluta svalutazione ma di vera perdita di credibilità, ancora più marcata verso altre monete mondiali. In queste condizioni se gli Stati Uniti emettessero carta moneta per affrontare la crisi - cosa che non fanno peraltro dal 2020 - è molto probabile che il dollaro vedrebbe ulteriormente ridotto il proprio valore.
Nel caso del debito, la situazione Usa è ancora più critica. Oggi per collocare un titolo a dieci anni il Tesoro degli Stati Uniti deve pagare il 4,38 contro il 2,53 della Germania, l'1,69 della Cina e l'1 del Giappone. Nel giro di un anno, per effetto di ciò, il costo degli interessi è passato da 753 miliardi a 1235 miliardi di dollari, superando ampiamente la spesa militare.
- Details
- Hits: 2573
Il comunismo nel buio (2)
di Ezio Partesana
L’intervento di Fortini su cosa sia “comunismo” è una forma sublime di dialettica, purtroppo la dialettica mal sopporta il sublime; l’idea è raccontata come se fosse in movimento, ma dentro al motore è nascosto un abilissimo nano. La storia non è questa.
La lotta per il comunismo non è già il comunismo. Se un’anticipazione del futuro è entrata nell’esistenza dei compagni, lo ha fatto nonostante il furore, non grazie a esso. L’esperienza che “una volta per sempre” ci mosse, è stata tuttavia anche quella dei limiti, della finitezza, umana; non sono scorsi latte e miele e il deserto non è fiorito.
Lo scritto di Fortini – che ritrovo in Extrema Ratio (Garzanti, 1990) – uscì originariamente per un supplemento satirico dell’Unità, non senza ragione come ricorda in introduzione lo stesso autore, e se fu “una sfida, come una scommessa metrica” la stesura, non lo è meno la decifrazione dei nessi che reggono la certezza e il dubbio intorno a quel concetto.
Non si tratta di mettere ordine e neanche certo di “esattezza”; se nessun pensiero è immune dalla sua espressione, certo quello di Fortini si è vaccinato come pochi altri per studi, autocritica e, si ammetta, una virtù letteraria fuori del comune. L’idealismo, la mossa della volontà che ferma le cantilene sulla “liberazione”, sta tutto nell’invocazione di un passaggio da una contraddizione, oggi dominante (e cioè quella tra capitale e lavoro), a “una contraddizione diversa” che sarà reale una volta raggiunto un luogo più alto, “visibile e veggente”.
- Details
- Hits: 2594
Le due manifestazioni contro la guerra ci dicono cose importanti
di Sergio Cararo
Le due manifestazioni contro il riarmo e la guerra che hanno sfilato nelle strade di Roma sabato scorso, inducono a qualche considerazione utile per il presente e per il futuro.
Nel paese c’è una forte sensibilità contro le minacce di guerra che incombono nelle relazioni internazionali e nella tenuta democratica del “fronte interno”. Come questa sensibilità troverà la strada per darsi rappresentanza politica nel paese è ancora una incognita e una sfida tutta aperta.
La partecipazione di massa, niente affatto scontata ma visibile a tutti, rende superflua ogni guerra di cifre tra le due manifestazioni, anche perché i due cortei hanno indicato una composizione sociale – oltre che piattaforme e prospettive politiche – diverse tra loro.
La composizione sociale del corteo partito da Porta San Paolo non è andata oltre i soggetti tradizionali dell’associazionismo, del terzo settore, dei sindacati concertativi e di qualche residuale partito e realtà della sinistra radicale. Una composizione vista e ripetuta nel tempo che ripropone un consueto perimetro sociale, politico e culturale che si riproduce ma non si espande.
- Details
- Hits: 2359
Sull’avvenire intelligente delle nostre scuole
di Giorgio Mascitelli
A partire dagli scorsi mesi si è cominciato ad assistere anche in Italia a una campagna mediatica sommessa ma costante sull’uso dell’Intelligenza artificiale a scuola. Dall’appello a non trascurare l’occasione eccezionale e irrinunciabile fino al richiamo del rischio di perdere il treno del futuro passando per la denuncia della paura dell’innovazione, una serie di argomenti già usati nel passato per abituare l’opinione pubblica all’ineluttabilità di altre innovazioni tecnologiche è tornata a circolare. Sarebbe riduttivo spiegare questo fatto con il tentativo di creare una domanda per questo genere di prodotti magari intercettando fondi o creando un consenso per stanziamenti pubblici in tal senso, non perché interessi del genere non esistano ma perché queste reazioni esprimono uno dei punti chiavi dell’ideologia contemporanea in cui la fiducia razionale nella tecnologia produce atteggiamenti irrazionali nei confronti delle conseguenze sociali che le innovazioni generano.
I toni sono ragionevoli e moderati: si ricorda che in ogni caso l’IA non sostituisce l’insegnante, ma è un prezioso strumento in grado di rinnovare la didattica, addirittura in un supplemento dedicato all’argomento del Corriere della sera, Paolo Ferri con indubbia abilità persuasiva nei confronti del mondo docente arriva a suggerire che chatGpt potrebbe incaricarsi della stesura di verbali e di altre corvée burocratiche che infestano la vita dell’insegnante.
- Details
- Hits: 2721
Putin come Netanyahu. Lo dice anche Potere al Popolo…
di Fabrizio Marchi
E’ quanto meno singolare che una forza sedicente antagonista e antimperialista che sostiene di appoggiare il processo verso un mondo multipolare, equipari il leader di uno dei due bastioni dei BRICS, la Russia, al macellaio nazista/sionista Netanyahu.
Eppure è proprio quello che è accaduto e che accade. Cito testualmente uno stralcio del comunicato di Potere al Popolo pubblicato poco dopo una delle due manifestazioni che si sono svolte ieri a Roma contro la guerra e il riarmo:”Non saranno generici “No alla guerra” a fermare i Netanyahu, Trump, Von der Leyen, Rutte, Putin e Meloni ma la capacità di individuare i nemici dei nostri popoli…” ecc.
Ora, se è ovviamente legittimo non nutrire particolare simpatia per Putin e per il sistema sociale e politico vigente in Russia, è decisamente e politicamente idiota (e grave) porre il leader russo sullo stesso piano del segretario generale della NATO e soprattutto del criminale genocida Netanyahu, per ragioni talmente ovvie che non dovrebbe neanche esserci il bisogno di spiegarle. Sorvolo sulla equiparazione fra Putin e Netanyahu che è a dir poco di pessimo gusto e resto all’analisi politica.
PaP chiede a gran voce l’uscita dell’Italia dalla NATO contro la quale la Russia sta combattendo, non a chiacchiere, e sappiamo che USA, Israele e NATO – che sono pressoché la stessa cosa – hanno appena sferrato un violento attacco all’Iran e quindi indirettamente (ma neanche tanto) alla Russia e a tutti i paesi BRICS.
- Details
- Hits: 904
Il Re del Mondo nichilista
di Geminello Preterossi
L’America sembra irredimibile, soprattutto quando c’è di mezzo Israele. Ma il vero tema è: Netanyahu pensa di essere il Re del Mondo sionista, e agisce di conseguenza. In realtà è l’Anticristo. Qual è il katechon oggi? L’unico che si intravede è forse Putin, ma non è in grado di impegnarsi su più fronti. Alla Cina è estranea questa logica, e poi – almeno per ora – sembrano interessati a gonfiarsi sfruttando la globalizzazione e a presidiare Taiwan. Per questo, ferocemente, il capo mondiale dei liberal-nichilisti neocon fa quello che vuole, e impone l’agenda all’Occidente.
Israele ha bisogno del nemico: essendosi costituito come Stato-guerra, non può farne a meno, verrebbe meno la sua ratio. Nel frattempo, questa norma fondamentale dell’inimicizia, che fonda la costituzione materiale dello Stato ebraico, si è fatta sempre più assoluta, generando una totalizzazione culturale e politica che spiega almeno in parte i mutamenti intervenuti all’interno della società israeliana (nel senso dell’estremismo, del fanatismo e dell’assuefazione alla disumanità), la politica di colonizzazione aggressiva dei territori palestinesi, gli slittamenti teocratici e anticostituzionali del suo ordinamento, che un pezzo di società israeliana contrastava, prima dell’escalation bellicista (molto funzionale a puntellare il potere di Netanyahu e a scongiurare il benché minimo cambiamento).
Robert Kaplan ha sostenuto di recente che “il diritto internazionale è un inganno” e che Israele vive sotto una minaccia esistenziale, ciò che non possono dire gli europei, grazie agli Usa (e non all’ONU). Kaplan è il politologo neocon il cui cavallo di battaglia è rappresentato dallo schema “Marte contro Venere”: gli americani, figli di Ares, sono diversi dagli europei ormai divenuti venusiani (dopo la seconda guerra mondiale), e perciò incapaci di combattere, adagiatisi come sono sulla sicurezza garantita dallo zio Sam. Uno schema un po’ semplicista e brutale, ma in parte vero, che viene riproposto oggi. Peccato che Kaplan lo abbia elaborato per giustificare la seconda guerra in Iraq, basata sulle bugie relative alle armi di distruzione di massa di Saddam (le uniche trovate furono quelle portate dagli americani invasori).
- Details
- Hits: 791
Bernard-Henri Lévy: ideologo dell’Occidente?
Ritratto di un disturbatore diplomatico.
di Paolo Mossetti
Il sogno è stato quello di raccogliere l’eredità di Voltaire, Zola e Sartre, incarnando l’ideale del grande intellettuale pubblico francese. Per quasi quarant’anni Bernard-Henri Lévy, filosofo più a suo agio come performer che dietro a una cattedra, ci è riuscito. Con una clausola, secondo i suoi nemici: diventando un abile ideologo, capace di travestirsi da paladino dell’umanesimo per difendere l’esistente. Un globetrotter da 150 milioni di euro sul conto in banca le cui parole hanno funzionato, con straordinaria costanza, come proiettili sparati sempre nella stessa direzione: quella dei nemici dell’Occidente. Polemista, reporter, esteta, seduttore, consigliere di presidenti e soprattutto disturbatore diplomatico, BHL ‒ l’acronimo con cui lo chiamano in Francia ‒ continua a dominare la scena intellettuale europea come una figura mitologica.
Nato a Beni Saf, in Algeria, nel 1948, Lévy appartiene a una famiglia ebraica sefardita che si trasferì in Francia quando lui aveva sei anni. Figlio di un ricco industriale del legno, Lévy è cresciuto in un contesto agiato, intellettualmente esigente e profondamente consapevole del proprio privilegio. Ha frequentato l’École Normale Supérieure, sotto la guida di intellettuali come Louis Althusser e Jacques Derrida. Invece di restare nell’ambito del mondo accademico, però, Lévy ha deciso presto di fare della figura pubblica la sua vera opera. È diventato giornalista e corrispondente di guerra, coprendo la guerra di indipendenza del Bangladesh nel 1971. Nei primi anni Settanta è stato anche tra i fondatori del movimento dei Nouveaux philosophes, una corrente antitotalitaria che si scagliava contro il marxismo, l’URSS e i dogmi della sinistra radicale ereditati dal maggio del Sessantotto.
È stato in quegli anni che, secondo il suo stesso racconto, nasceva il filosofo engagé. Insieme ad André Glucksmann, Alain Finkielkraut e Pascal Bruckner ha rivendicato la sua partecipazione alla lotta studentesca per farne un ingrediente biografico decisivo, salvo poi attaccarla nei decenni successivi, per il suo lascito nella morale sessuale, i diritti umani, la religione e l’antisemitismo.
- Details
- Hits: 872
Il caso del caso Moro ep. 7
Complotti di ieri e di oggi
di Davide Carrozza
In quel mare magnum impazzito che rappresenta l’epopea del complottismo sul caso Moro, in quella selva di teorie strampalate e di scienza incompiuta, a cui è dedicata questa serie di articoli, ci occupiamo oggi di due teorie complottiste (chiamarle così sembra quasi un complimento) di ieri e di oggi. La loro dislocazione temporale (1995 e 2025) contribuisce alla comprensione della vastità del fenomeno e di quanto duratura sarebbe stata l’eredità storica di quel tragico evento. Mi viene in mente Cassio davanti al corpo di Giulio Cesare, appena pugnalato a morte dai congiurati, che esclama “In quante epoche future questa nostra scena solenne verrà recitata di nuovo, in nazioni ancora non nate e in lingue ancora sconosciute”. Vera fu questa premonizione per il Giulio Cesare di Shakespeare e per il regicidio più famoso della storia. Altrettanto vera potremmo dire sarebbe questa affermazione per il più famoso “regicidio” della nostra storia repubblicana, il sequestro e l’assassinio dell’On. Aldo Moro, evento per il quale in 47 anni si inonderanno fiumi di inchiostro, si produrranno centinaia di migliaia, secondo alcuni milioni di pagine di documenti ufficiali (spesso ignorate) e si racconteranno una serie innumerevoli di balle con vari scopi funzionali (per le molteplici motivazioni del complottismo si veda l’episodio 2 di questa serie). Le due storie potrebbero annoverarsi fra quelle che non ce l’hanno fatta, il cui eco è stato talmente irrilevante da non potersi annoverare forse nemmeno realmente fra le teorie complottiste “ufficiali”, talmente insensate a volte da non convincere nemmeno chi le aveva sdoganate, in uno dei due casi per ammissione stessa del suo creatore, quelle che Vladimiro Satta con un tocco un po’ romantico chiamerebbe romanzi d’appendice del caso Moro.
Complotti di ieri
Nel lontano 2000 l’ex agente dei servizi segreti Antonino Arconte, nome in codice G-71, viene attraversato da un’improvvisa epifania, ricordandosi a 22 anni di distanza di essere stato destinatario di un compito delicatissimo e urgentissimo attinente al caso Moro.
Page 16 of 603