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Fare debito è di sinistra?
di Marco Bertorello e Danilo Corradi
Anche le forme dell'indebitamento hanno un segno di classe, riflettono i rapporti di forza. Quelle di questi anni hanno accresciuto le disuguaglianze
Dipende. Non intendiamo, con il pretesto di una provocazione, ribaltare il senso delle cose come fecero Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ascrivendo il liberismo al campo della sinistra in un celebre libro, ma provare a fare qualche riflessione sugli ultimi decenni.
Per ragioni anagrafiche chi scrive è cresciuto in uno schema del dibattito politico abbastanza consolidato. Da una parte le politiche europee vocate al «rigore» di bilancio, cementate dal trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio del 1992, dall’altro l’opposizione alle politiche di austerity portata avanti dai movimenti sociali, da alcuni settori sindacali radicali, poi dal movimento antiglobalizzazione e dalla sinistra politica antiliberista che lo appoggiava (e di cui chi scrive faceva parte attivamente). Un’opposizione che via via si è allargata a forze politiche e intellettuali crescenti, seppur contraddistinte da tonalità differenti. Le ragioni dell’opposizione erano semplici: le politiche di austerity bloccavano la spesa sociale e gli investimenti pubblici, comprimevano diritti e riducevano il salario indiretto. Molti riproponevano un tradizionale e generico orientamento keynesiano, una politica in deficit spending che avrebbe permesso maggiore redistribuzione, ma anche maggiore crescita, che avrebbe ripagato (almeno in parte) il deficit iniziale.
La cosa interessante di questo schema politico sta nel risultato a trent’anni di distanza. Un risultato che ha il gusto forte del triplo paradosso.
I paradossi dell’austerity
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Palestina–Ucraina: il realismo imperialista e le assurdità di certe compagnerie a sinistra
di Algamica*
Diviene necessario dover affrontare alcune questioni teoriche e politiche con la dovuta chiarezza con risvolti che sembreranno come pugni nello stomaco a chi aspira a una alternativa di sistema ideale attraverso i fantasmi ideologici di quel che rimane della sinistra occidentale incapace di considerare i processi materiali reali e il saldo della storia. Non tenerne conto – a essere buoni – porta lì dove non si pensa di arrivare.
Proprio perché la storia è il vero giudice inappellabile siamo obbligati a cercare di separare il grano dal loglio, o la farina dalla crusca, in modo particolare in una fase come quella attuale, cioè di crisi generale del modo di produzione capitalistico, mostrando la pericolosità di certe posizioni teorico-politiche nella prospettiva di una decomposizione generale del modo di produzione capitalistico.
È buona abitudine chiamare a testimoniare sempre i fatti per essere credibili e ci riferiamo, perciò, a chi usa lo stesso metodo nel campo avverso, cioè non di parlare a vuoto o di mestare in ideologia, per capire in che direzione si sta andando. Ci riferiamo a quanto sta accadendo in Palestina e in Ucraina ultimamente.
Chiediamo perciò pazienza al lettore se citiamo anche lunghi strali di quello che scriveva il 19 febbraio 2024 Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera in modo schietto e chiaro come lui sa fare.
«[…] una merce sempre assai rara è il realismo: cioè la conoscenza dei fatti e della loro storia, l’analisi obiettiva degli interessi in gioco» prendano bene nota le varie compagnerie «la valutazione delle soluzioni concretamente possibili fondata sui due fattori ora detti.
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Atun: fuggito al rave attaccato il 7 ottobre, ucciso dai soldati israeliani
di Piccole Note
Un'altra crepa nella narrazione ufficiale di quel drammatico giorno
Haaretz racconta la storia Ofek Atun, sfuggito all’attacco del rave di Re’im a opera di Hamas del 7 ottobre scorso e ucciso poi dalle forze israeliane. Scampato all’attacco del rave rifugiandosi in un bunker, Atun si era diretto in automobile con la sua ragazza, Tamar, verso Nord, “mentre i razzi cominciavano a volare sopra di essi”. E aveva trovato rifugio presso il Kibbutz Alumim.
“La coppia – continua Haaretz – ignara che i soldati israeliani avevano già cacciato tutti i terroristi dal kibbutz, bussò freneticamente a diverse porte prima di fare irruzione nella casa di una coppia di anziani, che si era rifugiata in una stanza sicura”. Avendoli scambiati per terroristi, però, gli anziani chiesero aiuto alla sicurezza, intervenuta prontamente.
Dopo aver fatto evacuare i due residenti, un soldato entrò in casa, armato di una pistola, mentre l’altro gli copriva le spalle dalla finestra. Quanto accaduto successivamente non è chiaro. Scrive Haaretz: “Secondo un membro della squadra di sicurezza della comunità, Atun e il soldato hanno litigato e il soldato gli ha sparato più volte, scambiandolo per un terrorista”.
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Mondo in frantumi eredità della Cia
di Jeffrey Sachs
TRAMARE SENZA PAGARE. I suoi metodi sono segreti e doppi. L’assenza di responsabilità permette ad agenzia e presidente di gestire la politica estera senza alcun controllo pubblico: il Congresso è uno zerbino
Esistono tre problemi fondamentali con la Cia: gli obiettivi, i metodi e la mancanza di responsabilità.
I suoi obiettivi operativi sono quelli che la Cia o il presidente definiscono essere nell’interesse Usa in un determinato momento, indipendentemente dal diritto internazionale o dalle leggi statunitensi. I suoi metodi sono segreti e doppi. L’assenza di responsabilità significa che la Cia e il presidente gestiscono la politica estera senza alcun controllo pubblico. Il Congresso è uno zerbino. Come ha detto un recente direttore della Cia, Mike Pompeo, parlando del suo mandato: “Ero il direttore. Mentivamo, imbrogliavamo, rubavamo. Avevamo interi corsi di formazione. Tutto questo ti ricorda la gloria dell’esperimento americano”.
La Cia fu istituita nel 1947 come successore dell’office of Strategic Services (Oss). L’Oss aveva svolto due ruoli distinti durante la Seconda guerra mondiale, l’intelligence e la sovversione. La Cia assunse entrambi i ruoli. Da un lato, doveva fornire informazioni al governo.
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Il “peccato originale” dell’economia aziendale
di Eugenio Donnici
Alla Scuola di specializzazione di Roma3, il Professor Manni, nei suoi sermoni liturgici sull’economia aziendale, era solito richiamarsi a uno dei fondatori di questa disciplina, vale a dire Gino Zappa, allievo di Fabio Besta, evidenziandone il metodo scientifico, nell’analizzare i fatti di gestione. Tale disciplina ha avuto la sua espansione a macchia d’olio, nei primi anni 90 del secolo scorso, quando gli ospedali vennero trasformati in aziende, le USL in ASL, quando il modello aziendalista incorporò tutti gli Enti del Terzo settore e inglobò le stesse famiglie nel modello di aziende di consumo. A completare il quadro, ci pensò la scuola pubblica, che rimodulò la docimologia sui crediti e sui debiti.
Il far di conto è un’attività che affonda le sue radici nel mondo antico e prende corpo là dove si presenta la necessità di misurare le transazioni commerciali. Nella divisione del lavoro assunsero importanza e prestigio sociale lo scriba in Egitto, il logista in Grecia e il rationale a Roma, ma le tecniche contabili fecero un notevole passo in avanti, quando nel Medioevo Leonardo Fibonacci sostituì i numeri romani con quelli arabi e in pieno Rinascimento, quando Fra’ Luca Pacioli formulò per la prima volta il metodo della partita doppia.
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Nord comanda Sud ? Anche no
di Marco Cattaneo
La tesi di parecchi euroausterici è che la garanzia integrale della BCE sui debiti pubblici dei vari Stati aderenti all’Eurozona sarebbe possibile solo se agli Stati del Nord fosse esplicitamente attribuito il controllo sulla finanza pubblica degli Stati del Sud.
Motivo ? Il Sud ha livelli di debito pubblico più alti, e percepiti come più rischiosi dai mercati. Se il Nord si deve sobbarcare un costo è giusto che abbia il controllo della situazione. E se questo è politicamente inaccettabile, non ci può essere garanzia BCE.
L’argomentazione ha una sua logica APPARENTE. Ma in realtà è infondata.
La garanzia della BCE non costa assolutamente niente al Nord. Se la BCE dichiara che il BTP italiano non renderà più del 2%, quello diventa il tasso di mercato, a cui i BTP vengono comprati e venduti. La Germania e gli altri paesi del Nord non devono pagare NULLA.
La garanzia sui debiti pubblici, insistono gli euroausterici, spingerebbe però il Sud ad aumentare deficit e debito ancora più di oggi. Ma questo è un problema solo per le sue potenziali conseguenze sull’inflazione.
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L’Energia, i suoi equilibri e le forme sociali /1/
di Paolo Di Marco
1- L’auspicabile sparizione di Energia Oscura e Materia Oscura
L’Energia è uno dei concetti più semplici e insieme più abusati della Fisica.
Ovunque vi sia una forza se questa sposta un oggetto compie lavoro. (L≈FxS)
L’energia è la capacità di compiere lavoro, e a ogni campo di forza quindi è associata un’energia, che si può misurare, combinare, trasformare (ad esempio da energia potenziale a energia cinetica).
È un po' più complicato con l’uso in ambiti meno definiti, dato che è difficile stabilire una metrica e delle operazioni (controllabili e condivisibili) per l’energia morale o affettiva o mistica, per quanto uno senta di poterle descrivere e anche valutare.
Uno degli ultimi arrivati, stavolta in cosmologia, è l’Energia Oscura.
Malgrado il nome minaccioso il termine rappresenta semplicemente il fatto che l’Universo si sta espandendo, e viene quindi ipotizzata l’esistenza di un’energia (e quindi Forza) che causi questa espansione.
Ma dato che l’unico effetto visibile è proprio l’espansione (l’allontanamento delle galassie avviene come se qualcuno gonfiasse un pallone sulla cui superficie le galassie si appoggiano) e non si vedono responsabili diretti è stata chiamata oscura; e molti ricercatori basano la loro carriera su questa indagine.
Peccato che, come Rovelli si sgola a spiegare da molti anni (anche sul tubo), questa energia è così oscura che proprio non c’è: infatti l’espansione è già contenuta nell’equazione fondamentale della Relatività Generale, e specificamente in una piccola costante chiamata appunto costante cosmologica.
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Guerra al lavoro, uberizzazione
di Vincenzo Comito
L’innovazione, la globalizzazione, l’intelligenza artificiale favoriscono una minoranza di privilegiati e una degradazione della condizione dei lavoratori. Che non possono contare che su sé stessi in caso di infortunio, malattia, gravidanza; niente sanità, niente pensione, ma solo una feroce concorrenza
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a delle grandi trasformazioni nel mondo del lavoro. Viste dall’Europa, tali trasformazioni appaiono complessivamente negative, ma se guardiamo dal punto di vista globale il quadro tende a farsi almeno un poco più sfumato. Dall’avvento della Thatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti (simboli eloquenti della loro azione sono la lotta feroce della prima contro i minatori e del secondo contro i controllori di volo), l’attacco frontale al mondo del lavoro ha assunto nuovo vigore, trascinando in un ruolo attivo contro il lavoro anche importanti forze politiche un tempo di sinistra e lasciandosi progressivamente dietro molte delle conquiste del dopoguerra. In Occidente tale attacco, del resto ancora in atto, è stato reso possibile oltre che dalle pessime decisioni assunte dalla politica, anche dallo sviluppo dei processi di globalizzazione e da quelli di innovazione tecnologica.
Gli effetti della globalizzazione e dell’outsourcing
Un grande fattore di trasformazione del mondo del lavoro negli ultimi decenni sono stati indubbiamente i processi di globalizzazione, che hanno portato alla fine a risultati in parte diversi da quelli che sperava di ottenere chi li aveva innescati.
La coppia globalizzazione-outsourcing è stata avviata in diverse ondate dagli Stati Uniti, da governo e imprese mano nella mano, e più in generale dai paesi ricchi, con diversi obiettivi: intanto quello di espandere e di approfondire la presa economica, ma anche politica e ideologica, sul mondo, poi quella di ridurre i costi di produzione, approfittando in particolare del bassissimo livello dei salari nei paesi del Terzo Mondo, a fronte di una forza lavoro che in quei paesi andava tra l’altro scolarizzandosi, insieme, soprattutto in alcuni di essi, a una certa dotazione di infrastrutture funzionali a rendere efficiente il processo di delocalizzazione.
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Eurocentrismo di Samir Amin
Recensione di Monica Quirico
Samir Amin: Eurocentrismo. Modernità, religione e democrazia. Critica dell’eurocentrismo, critica dei culturalismi, a cura di G. Riolo, La Città del Sole, Napoli/Potenza, 2022, pp. 274, Isbn 9788882925529
Nel 1988 usciva Eurocentrismo di Samir Amin (1931-2018), che, sfidando la rappresentazione dominante della storia e della cultura occidentali (introiettata anche da una parte del marxismo), contribuiva a innovare radicalmente le categorie interpretative del capitalismo. In un’epoca contrassegnata (in Occidente come altrove) dalla politica identitaria, la traduzione italiana della seconda edizione dell’opera, uscita in francese nel 2008 con una Prefazione e un Capitolo conclusivo che aggiornano la versione originale, invita a riflettere sulla genealogia dei fenomeni odierni, il cui punto d’arrivo Amin così sintetizza: “l’ideologia borghese, che in origine avanzava ambizioni universalistiche, vi ha rinunciato per sostituirvi il discorso postmodernista delle ‘specificità culturali’ irriducibili (e, in forma volgare, lo scontro inevitabile delle culture)” (p. 32).
Nella sua Introduzione, Riolo ripercorre la vita di Amin dalla nascita in Egitto agli studi in Francia, suo paese di adozione. Il giovane ricercatore, che a Parigi si iscrive al PCF, si trova a lavorare alla sua tesi di dottorato in una fase in cui la Conferenza di Bandung (1955) e successivamente la Conferenza di Belgrado (1961) pongono all’ordine del giorno il processo di decolonizzazione e insieme l’emergere del movimento dei paesi non-allineati. Diventa così urgente un confronto sulle cause dell’”arretratezza” (nella terminologia occidentale) del Sud del mondo. Amin figura, insieme con Giovanni Arrighi, Andre Gunter Frank e Immanuel Wallerstein, tra i fondatori della scuola che guarda al capitalismo come sistema globale, il cui centro (l’Occidente) prospera impedendo lo sviluppo dei paesi periferici, per poter estrarre valore dalla loro forza-lavoro e depredarne le risorse naturali.
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Il 'Momento Navalny': echi da terza guerra mondiale
di Piccole Note
I falchi stanno tentando di riaccendere il fuoco ucraino, che si stava mestamente spegnendo dopo la caduta di Adviika. La spinta a innescare la terza guerra mondiale è forte. Fortunatamente c'è ancora un residuo di ragionevolezza nella leadership occidentale
“Secondo Stoltenberg, ogni alleato deciderà autonomamente se fornire F-16 all’Ucraina, perché gli alleati hanno visioni politiche diverse. Ma allo stesso tempo, secondo questi, la guerra in Ucraina è una guerra di aggressione e l’Ucraina ha il diritto all’autodifesa, compreso quello di attaccare obiettivi militari russi legittimi al di fuori dell’Ucraina”. Così nel report di Radio Liberty citato da Strana ed Euromaidanpress).
Il “momento Navalny”: la follia di dare a Kiev missili a lungo raggio
Non solo gli F-16, sui media si susseguono appelli e indiscrezioni sulla fornitura di missili a lungo raggio. Reclamizzati come necessari a colpire le linee di approvvigionamento dei russi, sarebbero usati, come da affermazione di Stoltenberg, per colpire in profondità il territorio russo. Una follia da terza guerra mondiale.
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Nazisionismo e diritto internazionale
di Fabio Marcelli
La comunità internazionale ha oggigiorno un gravissimo problema: l’esistenza di uno Stato canaglia, un regime autoritario, guerrafondaio e genocida che da troppo tempo si fa beffe di ogni norma internazionale e che attualmente sta spingendo la sua tracotanza criminale al di là di ogni limite, massacrando impunemente i Palestinesi e rifiutando ogni soluzione politica e fondata sul diritto della situazione che esso stesso ha determinato.
Il governo di Benjamin Netanyahu costituisce il risultato dell’impunità e della complicità troppo a lungo accordate dall’Occidente allo Stato di Israele.
Al suo interno sono chiaramente egemoni le forze di natura apertamente fascista per le quali è stato opportunamente coniato il termjne di “nazisioniste”, guidate da personaggi come lo stesso Netanyahu, Ben Gvir e Smotrich, per i quali non è affatto forzato il paragone coi gerarchi del Terzo Reich come Hitler, Himmler e Goering che conclusero le loro infauste esistenze alla fine della Seconda guerra mondiale, cui avevano dato inizio circa cinque anni prima.
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Ucraina, la svolta di Avdeevka
di Michele Paris
Tra i governi occidentali e all’interno del regime di Zelensky, la notizia della liberazione ormai definitiva di Avdeevka è arrivata come un uragano, nonostante la sorte della cittadina nelle immediate vicinanze di Donetsk appariva ormai segnata da svariate settimane. Gli sponsor dell’Ucraina, riuniti nell’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, hanno cercato di limitare i danni quanto meno in termini di immagine, grazie anche al contemporaneo decesso ancora senza una causa ufficiale del “dissidente”, nonché “asset” della CIA, Alexei Navalny. L’importanza della perdita di Avdeevka per Kiev minaccia però di segnare un passaggio decisivo nella guerra per procura della NATO, con le forze russe che sembrano intenzionate a intensificare le pressioni lungo tutto il fronte di guerra.
Zelensky ha dovuto nuovamente ingoiare amaro davanti ai suoi padroni occidentali. Secondo //tlgrm.ru/channels/@rezident_ua">fonti ucraine, l’ex comico televisivo intendeva prolungare la resistenza ad Avdeevka per offrire qualcosa all’Occidente – o, da un altro punto di vista, per non subire una nuova umiliazione – e convincere i propri interlocutori, durante la conferenza in Germania, a sbloccare fondi e armi necessari a evitare il tracollo.
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Par condicio (turpitudinis)
di Il Chimico Scettico
Da lontano guardo la settimana italiana trascorsa.
(Il sottoscritto secondo Repubblica e lo stato italiano sarebbe un no vax, ovviamente, perché la mia notifica la ho avuta. E la ho avuta anche se tra 2021 e 2022 ho viaggiato per terra e per aria con un certificato di vaccinazione internazionale a cui si faceva caso solo in Italia. E a proposito del titolo di Repubblica, ennesima dimostrazione di quello a cui serve il fronte del delirio).
Dunque, abbiamo la Lega che infila un emendamento per posticipare le multe agli inadempienti vaccinali al 31 dicembre prossimo. La Lega, cioè un partito che votò il green pass (per ragioni di forza maggiore, ovviamente). Marattin twitta al riguardo e parla di scienza (quella accazzodicane, evidentemente, con ivaccini che fermano il contagio, un falso di proporzioni colossali). Fine del primo atto.
Secondo atto. Al senato si discute di Commissione sulla gestione della pandemia. Roberto Speranza fa l'isterico in aula e la Schlein applaude.
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L’obbedienza è di nuovo una virtù
di Davide Miccione
Difficile trovare una terza posizione. Purtroppo. La prima è che la democrazia sia lo spazio in cui si costruiscono le decisioni, i compromessi e i convincimenti a partire dalle idee che ogni uomo coltiva in se stesso. Dalla collaborazione e dallo scontro tra i diversi modi di vedere il mondo esce fuori il nostro costante tentativo di capirlo e amministrarlo. Non sono le idee a essere contenutisticamente democratiche (chi mai dovrebbe deciderlo?) ma il loro costante confronto e il lavoro per assicurarlo. È faticoso farlo e bisogna resistere alla disumanizzante ma facile tentazione di non riconoscere l’altro come un interlocutore. Bisogna riuscire contemporaneamente a pensare che ha torto ma che questo suo “torto” non lo butta fuori dalla discussione e che questo “torto” sia un bene anche per me che penso di avere ragione.
La seconda posizione è più facile. Ci si può lasciare andare al disgusto morale per l’altro. Proiettarlo fuori dalla discussione. Ci sarebbero dunque in partenza idee accettabili in democrazia e idee inaccettabili. La democrazia si svolgerebbe nel confronto tra i soli portatori di idee accettabili.
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La sfida di Sanders non spaventa il capitalismo
di Carlo Formenti
Leggendo il titolo del nuovo libro di Bernie Sanders, Sfidare il capitalismo (Fazi Editore), mi sono detto: vuoi vedere che l’anziano senatore populista-socialista (così si autodefinisce), emulo della tradizione di un movimento operaio otto/novecentesco che, pur non avendo mai assunto posizioni “bolsceviche”, ha espresso leader radicali come Eugene Debs, ha finalmente rotto gli indugi. Magari, dopo due campagne presidenziali in cui, dopo avere inutilmente tentato di ottenere la nomination dando l’assalto all’establishment democratico, ha finito per fungere da galoppino delle candidature “eccellenti” di Hillary Clinton e Joe Biden, si è deciso a lavorare per un’alternativa antisistemica alla diarchia repubblicano-democratica, fedele esecutrice degli interessi dell’impero a stelle e strisce.
Purtroppo ho invece dovuto constatare che, rispetto a qualche anno fa, la sua attuale posizione può essere definita, citando un noto titolo di Lenin, come un passo avanti e due (se non tre!) passi indietro. Ma procediamo con ordine. Se invece di leggere il libro seguendone l’indice, qualcuno fosse tentato di “saltare” alcuni capitoli, lasciandosi attrarre dai passaggi che affondano impietosamente il dito nelle piaghe più purulente che affliggono il corpaccione dello zio Sam, l’illusione di svolta radicale evocata dal titolo sembra giustificata. Vediamo alcuni esempi.
Dopo avere descritto l’intollerabile tasso di disuguaglianza (pari a quello record degli anni Venti) raggiunto negli ultimi decenni, Sanders denuncia la situazione agghiacciante di un sistema sanitario da incubo: il 44% degli adulti fatica a pagarsi le cure mediche (c’è gente che evita di sorridere per non mostrare i buchi di una dentatura falcidiata dall’assenza di cure dentistiche, mentre più di 60 000 persone all’anno muoiono perché non possono acquistare farmaci salvavita né farsi ricoverare);
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Imperiarcato e sociopatia
di Piero Pagliani
Dopo aver preparato la trappola ucraina per anni e anni, per lo meno da quando lo stratega statunitense della Guerra Fredda, George Kennan, scongiurava di non farlo, di non allargare la Nato a Est, ed era il 1997, e dopo averne accelerato la messa a punto a partire dal golpe nazista della Maidan nel 2014, gli Usa, la Nato e tutto l’Occidente ci sono cascati dentro. Da soli. Ripeto: sono cascati dentro la trappola che avevano accuratamente preparato.
E ora non sanno come uscirne.
Si agitano senza un piano e continuano a chiedere agli ucraini di immolarsi per non fargli perdere del tutto la faccia, alimentare ancora un po’ il business della loro industria militare e dargli tempo per capire come scappare fuori dal pantano.
Nel frattempo per consolarsi si raccontano le favole da soli, come ha recentemente fatto su Foreign Affairs il capo della CIA, William Burns:
«L’obiettivo originale [di Putin] di conquistare Kiev e soggiogare l’Ucraina si è dimostrato folle e illusorio. Il suo esercito ha sofferto immensi danni. Almeno 315.000 soldati russi sono stati uccisi o feriti» [1].
Ex analisti militari americani e persino della CIA, preoccupati che ormai da tempo i servizi di intelligence raccontino solo quello che i politici neo-liberal-con voglio sentirsi raccontare, dicono tutt’altro, in base ai dati: la Russia non ha mai cercato di prendere Kiev (aveva dislocato lì meno di un ventesimo delle truppe necessarie a farlo).
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Playfication. A partire da “La regola del gioco” di Raffaele Alberto Ventura
di Alessandro De Cesaris
Nel 2018 Alessandro Baricco pubblica The Game, un libro basato su una tesi semplice ma efficace: il videogioco è diventato la forma dominante di ogni esperienza degna di nota all’interno delle nostre società. Si tratta di un’idea leggera, apparentemente innocua, che suggerisce un’immagine giocosa e divertente della vita. D’altra parte, a chi non piace giocare ai videogiochi? Cinque anni dopo, Raffaele Alberto Ventura riprende questa idea con toni completamente differenti e ne radicalizza le implicazioni più preoccupanti.
La regola del gioco si presenta come un manuale di comunicazione per l’era dei social, ma l’aspetto più interessante del libro è la visione del mondo che sottende. Ventura resta il teorico della classe disagiata e della guerra di tutti, e nella sua lettura la metafora ludica sprigiona tutta la sua potenza più sinistra: in un mondo dominato dalla scarsità di risorse e dalla corsa alla conquista di beni posizionali, la regola del gioco è la più semplice ma anche la più dura, ovvero che se qualcuno vince, qualcun altro deve perdere. Ma siamo sicuri che questa idea di gioco sia l’unica possibile? E soprattutto, è davvero questa la visione della vita che ci trasmettono i videogiochi?
Dal play al game. L’eredità di Don Chisciotte
Per comprendere le premesse della diagnosi di Ventura è utile partire dal suo saggio contenuto in The Game Unplugged, una raccolta di testi pensati a partire dal libro di Baricco e uscita nel 2019. In quelle pagine Don Chisciotte viene indicato come la figura più rappresentativa della metafora del Game, quasi un mito fondatore, se non fosse che la contaminazione tra realtà e gioco è molto più antica del cavaliere dalla triste figura.
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Tassi alle stelle: le banche ringraziano la BCE
di coniarerivolta
Chiunque abbia provato, negli ultimi mesi, a chiedere un mutuo o un prestito, ha scoperto sulla sua pelle cosa significa dover pagare una quantità enorme di interessi. L’onere per un mutuo per acquistare una casa nel corso del 2022 e del 2023 è cresciuto così intensamente da risultare uno degli elementi determinanti dell’impoverimento delle famiglie in Italia e altrove in Europa.
Una scelta pienamente politica quella dell’aumento dei tassi stabilita dalla BCE con la scusa di voler combattere l’inflazione sulla base di fantasiose interpretazioni del fenomeno come se fosse legato ad una tensione dal lato della domanda e richiedesse quindi manovre di tipo restrittivo per calmierare l’economia. Una lettura delirante e in evidente malafede che è servita essenzialmente a due cose: 1) da un lato a deprimere le economie contribuendo ad aggravare crisi e disoccupazione depotenziando così – per questa via – il potere contrattuale dei lavoratori (che è inversamente proporzionale al livello di disoccupazione esistente e di sicurezza del lavoro). Quest’obiettivo implicito è stato persino reso esplicito da recenti dichiarazioni del capo economista della BCE Philippe Lane che ha spiegato che, pur essendo decisamente calata l’inflazione, prima di abbassare eventualmente i tassi di interesse servono garanzie che i salari dei lavoratori non stiano aumentando; 2) la seconda funzione dell’aumento dei tassi è stata quella incrementare in modo vistoso i profitti bancari. Ed è proprio di questi profitti che vogliamo parlare.
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Educazione e violenza: parliamone (con Weber)
Per uno specialismo spirituale
di Francesco Bercic
Chiunque s’impanchi a critico del sistema universitario contemporaneo, nella fattispecie dell’insegnamento all’interno delle facoltà umanistiche, si scontra presto o tardi contro il muro apparentemente invalicabile dello specialismo. Basti dare un’occhiata anche sommaria alle recenti pubblicazioni accademiche, non solo di settori umanistici, per comprendere portata e ampiezza del fenomeno: tranne rare eccezioni, esse indagano per lo più campi di ricerca talmente circoscritti da apparire talvolta cavillose e insignificanti perfino a chi insegna la stessa materia, per non parlare di un pubblico generalista. Ovviamente si tratta di una questione irriducibile a un giudizio di sorta. In ogni caso, l’impossibilità di accedere a un sapere sintetico e aperto, di compendiare le diverse conoscenze settoriali e farle convergere in un’unità, sembra più che mai acclarata, come d’altronde aveva intuito già cent’anni fa Max Weber: “Un risultato realmente definitivo e valido è oggi sempre una prestazione di carattere specialistico” (La scienza come professione, 1917). “Chi non possiede oggi – aggiungeva rivolgendosi ai giovani laureandi – la capacità di indossare dei paraocchi e di persuadersi intimamente che il destino della sua anima dipende dall’esattezza di questa, proprio di questa congettura rispetto a quel passo di quel manoscritto, se ne rimanga lontano dalla scienza”.
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Navalny, un problema per Putin più da morto che da vivo
di Roberto Iannuzzi
Caduto nel dimenticatoio dopo il suo arresto, Navalny è tornato a essere per l’ultima volta, con la sua scomparsa improvvisa, un’arma da scagliare contro il Cremlino
L’improvviso decesso dell’oppositore russo Alexei Navalny, a un mese dalle elezioni presidenziali che si terranno a metà marzo, certamente non è avvenuta in un momento propizio per il presidente russo Vladimir Putin.
Da vivo, Navalny non avrebbe avuto alcuna influenza sullo svolgimento delle elezioni. A differenza di quanto lasciato intendere dai media occidentali, Navalny non è mai stato particolarmente amato dai russi.
Nel luglio 2013, allorché partecipò alla competizione elettorale per la carica di sindaco a Mosca, ottenne il 27,24% dei voti. Ma nei sondaggi presidenziali curati dal Centro Levada (istituto certamente non affiliato al Cremlino, tanto che nel 2016 venne classificato come “agente straniero” dal ministero della giustizia russo), quello che la stampa occidentale ha sempre dipinto come “il rivale di Putin” non ha mai superato il 10%.
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Una guerra di Menzogne
di Redazione
In seno all’establishment anglosassone qualcuno comincia a farsi domande radicalmente in contrasto con la narrazione atlantista dominante in merito alla guerra ucraina. Anche lo stesso Elon Musk e investitori a lui vicini
Un post in materia di Ucraina apparso su «X», a cura dell’imprenditore David Sacks (nato in Sudafrica come Elon Musk e con una carriera da investitore che è andata in parallelo con quella di Musk), segnala che anche in seno all’establishment anglosassone qualcuno comincia a farsi domande radicalmente in contrasto con la narrazione atlantista dominante. Questa impressione è rafforzata da un commento di plauso al post: il commentatore è proprio Musk che dice: «accurate» (“esattamente”).
Leggiamo dunque il post di David Sacks:
«UNA GUERRA DI MENZOGNE
La guerra in Ucraina si basa su bugie: bugie su come è iniziata, su come sta procedendo e su come finirà.
Ci viene detto che l’Ucraina sta vincendo quando in realtà sta perdendo.
Ci viene detto che la guerra rafforza la NATO quando in realtà la sta esaurendo.
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Il governo Italiano porta a processo la resistenza palestinese
di Alessio Galluppi
È di pochi giorni fa la notizia che il Ministro di Giustizia abbia richiesto alla Corte di Appello di Ancona l’arresto di un palestinese di 37 anni, Anan Yaeesh, per avviare la procedura giudiziaria di estradizione in Israele.
Il governo italiano, nel chiedere l’arresto di Anan Yaeesh su richiesta dello Stato di Israele, che ha presentato l’istanza al governo Italiano, fa quanto storicamente gli compete: essere parte del mandante storico – le nazioni imperialiste dell’Occidente ed Europee – della colonizzazione pro domo propria della Palestina, della pulizia etnica e del genocidio in corso del popolo palestinese. Non è un caso che di fronte alle mobilitazioni internazionali a fianco della Palestina, l’Italia sostenga disperatamente Israele.
L’Italia già si sta macchiando di complicità nel genocidio aderendo alla strategia israeliana e occidentale di affamare il popolo di Gaza che non recede sotto le bombe e la vigliacca carneficina di donne e bambini, unendosi al covo di briganti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Canada, Australia, Olanda, Finlandia che hanno annullato i finanziamenti all’UNWRA, agenzia delle Nazioni Unite per gli aiuti umanitari nei campi profughi palestinesi.
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La porta delle lacrime, le risa del capitale e l'inflazione. Riflessioni amare sulla crisi del Mar Rosso
di Andrea Pannone
Nel testo odierno, Andrea Pannone riflette sulle conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente e delle azioni del gruppo yemenita Houthi.
È un testo molto utile perché spiega i maggiori beneficiari delle tensioni belliche, gli interessi materiali sul campo e dunque le contraddizioni tra gli attori della guerra
La guerra nello stretto e le conseguenze sul commercio mondiale
Come ci ricorda il National Geographic Magazine, Bab el-Mandeb, in arabo la Porta delle lacrime, è una piccola strozzatura geografica nel Mar Rosso che ha un'influenza enorme sull’economia mondiale: è un punto chiave per il controllo di quasi tutte le spedizioni tra l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez[1]. Da lì, come ormai noto, passa quasi il 15% del commercio marittimo globale, compreso l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio commercializzato via mare e l’8% del commercio totale di gas naturale liquefatto.
Da circa due mesi alcune navi che transitano in quel tratto sono prese di mira dai droni e dai missili del movimento yemenita Houthi, da anni sostenuto dall’Iran. Alcune navi, non tutte però. Solo le navi mercantili che navigano al largo delle coste dello Yemen e che hanno collegamenti con Israele. Gli stessi Houthi presentano gli attacchi come una risposta alla mancata condanna da parte dell’occidente al massacro che il governo di Netanyahu sta compiendo a Gaza. In realtà, si potrebbe a buon diritto sostenere (come fa ad esempio Emiliano Brancaccio nell’articolo Lo stretto necessario, il Manifesto, 23 gennaio 2024) che le azioni degli Houthi, sicuramente ben note a Teheran, vadano a vantaggio di un progetto antitetico a quello dell’Occidente che mira a contrastare, anche con l’imposizione di barriere commerciali e finanziarie, la crescente sfida dei competitor cinesi e russi al dominio economico degli Stati Uniti e al loro storico ruolo guida delle relazioni geopolitiche.
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Da Neoliberismo a Caosliberismo: Una malattia sociale di lunga durata
di Glauco Benigni
Il Neoliberismo è al tempo stesso un’ideologia politica e una teoria economica. La sua comparsa risale alla fine degli anni ’70. Il suo effetto apparve sin da subito subdolo e persuasivo e cominciò a influire non solo sui mercati finanziari e del lavoro, ma anche sull’organizzazione degli stili di vita e di pensiero. Il suo ideologo Friedrich von Hayek, che ricevette il Nobel per l’economia nel 1974, era assolutamente convinto che la Società si regge solo e unicamente grazie alle azioni di singoli individui. Una certezza che “risuona” con alcune affermazioni del Calvinismo: “la vocazione di ognuno si lega in positivo con la predestinazione e da vita a una nuova etica della Società e del lavoro“. Una “chiave morale” che vede la crescita del capitale individuale quale “opera buona e giusta”, da cui molti studiosi vollero interpretare il messaggio calvinista quale modello ideale della borghesia occidentale contemporanea. Alcuni opinion makers di regime arrivano a sostenere che il Neoliberismo è “la fonte dei nostri valori“, alludendo con “nostri” ai valori di quelli che hanno un reddito annuo piuttosto importante e conti bancari nei paradisi fiscali.
L’ordine che tiene la società, secondo von Hayek, si genera spontaneamente dalla confluenza delle imprese e delle finalità dei singoli, e non ha niente a che vedere con qualsiasi forma di progettazione collettiva e/o di economia pianificata Ogni forma di controllo dall’alto, tipica delle visioni stataliste, è superflua, anzi dannosa. Talvolta si potrebbe confondere il Neoliberismo con l’anarchia del Potere – e infatti spesso le due pratiche si intersecano – ma von Hayek e i suoi seguaci puntualizzano che: invece no! la società – dicono – è regolata dalla proprietà privata: un fondamento naturale, un argine al caos.
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Concretezza e storicità della contraddizione
di Salvatore Bravo
La contraddizione è la legge oggettiva della storia, è sinolo di universale e particolare; la legge della contraddizione è concreta e storica, perché si esplica nelle contingenze particolari. Capire la contraddizione significa coglierla nei suoi movimenti storici. La tensione tra particolare e universale necessita della valutazione attiva e consapevole degli uomini e delle donne in lotta. Non tutte le contraddizioni hanno lo stesso valore, ci sono priorità che devono essere oggetto di azione e pensiero, in modo da discernere le contraddizioni antagoniste dalle secondarie e calibrare le risposte alle circostanze che si presentano.
La duttilità del pensiero di Mao Tse-tung ha la sua genesi nella lotta per liberare la Cina dalla “grande mortificazione”, a cui l’aveva sottoposta l’Occidente con le guerre dell’oppio fino all’invasione giapponese nel 1937. L’aggressione giapponese è stata parte del disegno egemonico liberalista di spartizione del pianeta in aree di influenza e di saccheggio delle risorse. Dinanzi alla Cina devastata dall’invasione giapponese Mao Tse-tung dichiara la guerra di liberazione della Cina “contraddizione principale”, per cui l’alleanza con il Kuomintang diviene il mezzo con cui liberare la Cina dal nemico giapponese. Le contraddizioni interne alla Cina con relative visioni politiche sono valutate secondarie rispetto alla lotta di indipendenza della Cina:
“Dato che la contraddizione fra la Cina e il Giappone è divenuta la contraddizione principale e che le contraddizioni interne sono passate in secondo piano e vengono subordinate alla prima, si sono verificati cambiamenti nelle relazioni internazionali e nei rapporti tra le classi all’interno del paese; questi cambiamenti hanno segnato l’inizio di una nuova fase nello sviluppo dell’attuale situazione.
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