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Palestina: le responsabilità dell’Europa
Alba Vastano intervista Luisa Morgantini
Luisa Morgantini, una vita spesa per la pace e contro ogni violenza. Una compagna di cui si va fieri, conoscendo il suo lunghissimo impegno per la difesa dei diritti umani. Un impegno senza soste e senza indugi quello di Luisa, laddove e soprattutto c’è un’umanità deprivata dei basilari diritti per la sopravvivenza e per la dignità della persona. Diritti rinnegati da troppo tempo per i soprusi dei lorsignori del potere capitalista che regnano impavidi e impuniti in Occidente, complici dell’imperialismo Usa.
Con lei, nell’intervista che segue, ripercorriamo il lungo e doloroso calvario del popolo palestinese che a detta dei media e dei governi fascisti inizia il 7 ottobre con l’attacco di Hamas. Non è così. La storia di soprusi sul popolo palestinese risale agli albori del secolo scorso. E’ necessario fare un’opera di smaltimento severo delle fake news di cui si servono i media mainstream per generare consensi verso Israele, il cui leader Netanyahu è responsabile pienamente del genocidio che si sta perpetrando sul popolo palestinese.
Affermare che le responsabilità del conflitto in corso sono da addebitare unicamente all’attacco di Hamas, su cui di certo non volgiamo uno sguardo clemente, è rinnegare la storia precedente a quella data, facendo revisionismo tossico e strumentale, mirato a seppellire la verità.
* * * *
Alba Vastano: La tua vita da attivista dei diritti umani s’intreccia da molto tempo con la storia annosa dei soprusi sul popolo palestinese. Ci racconti il tuo excursus politico e le tue personali lotte, tramite le associazioni che presiedi, per il riconoscimento dello stato della Palestina?
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Chi ha paura di Putin?
di Michele Paris
La sola notizia della presenza a Mosca dell’ex “host” di Fox News, Tucker Carlson, e l’ipotesi di un’intervista senza filtri a Vladimir Putin avevano fatto scattare nei giorni scorsi la modalità panico tra i politici e i propagandisti della stampa ufficiale in Occidente. Il giornalista ultra-conservatore americano ha abilmente favorito la diffusione di indizi circa i suoi piani, per poi confermare che l’attesa intervista al presidente russo verrà trasmessa sul suo sito e su X (ex Twitter) alla mezzanotte italiana di giovedì. Per gli ambienti ufficiali che inondano il pubblico di propaganda russofoba da almeno due anni, quello di Carlson è un vero e proprio peccato capitale e in molti hanno già chiesto per lui una punizione esemplare. Dare spazio senza pregiudizi alla versione del Cremlino comporta d’altra parte una serie di rischi, primo fra tutti quello del crollo definitivo delle menzogne a senso unico vomitate dai sostenitori del regime ucraino di Zelensky.
Raramente la notizia di un’intervista con un leader di un determinato paese, anche se rivale o nemico dell’Occidente, ha suscitato un tale livello di isteria tra politici, giornalisti e commentatori filo-atlantisti. Tutti sembrano essere preoccupati per l’utilizzo da parte di Putin della piattaforma offertagli da Carlson per diffondere la propria propaganda in Europa e negli Stati Uniti.
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La NATO, ovvero la schizofrenia della cleptocrazia militare
di comidad
Il bello dei nostri oligarchi sta nel fatto che non c’è bisogno di fare troppi sforzi di immaginazione per capirli, dato che ci dicono tutto loro. Andando sul sito della NATO si trova un discorso che il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha pronunciato alla Heritage Foundation il 31 gennaio scorso allo scopo di convincere i parlamentari statunitensi a votare per un’ulteriore “dose” di aiuti finanziari all’Ucraina. Il bilancio strategico delineato da Stoltenberg è piuttosto interessante. Si apprende infatti che i vari nemici dell’Occidente democratico (Russia, Cina, Iran e Corea del Nord) hanno superato le loro storiche divergenze e ostilità costituendo un unico blocco del male. La cooperazione tra i malvagi non riguarda solo l’aspetto strategico-militare ma anche la resistenza alle sanzioni economiche occidentali; anzi, i maligni stanno persino contrattaccando, sfruttando le sanzioni per cercare di minare la supremazia finanziaria degli Stati Uniti. Che potessero allearsi potenze da sempre rivali come Russia, Cina e Iran, era un’ipotesi che sino a qualche tempo fa qualsiasi storico avrebbe considerato inverosimile, ma pare che gli USA e la NATO siano invece riusciti nel miracolo.
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UNRWA: la sospensione dei fondi è un crimine di guerra
di Piccole Note
Tante le criticità delle accuse rivolte contro l'UNRWA...è colpire tutti i palestinesi... è contro la Convenzione di Ginevra. Intanto, spiragli reali per la tregua
Riportiamo dal sito Libertarian Institute: “Gli organi di stampa con accesso alla sintesi di un dossier di intelligence [israeliano] che sostiene che i dipendenti dell’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite per i palestinesi [UNRWA] hanno partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre affermano che non fornisce prove a sostegno di tali affermazioni”.
“L’affermazione di Tel Aviv ha portato diversi importanti donatori dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione a sospendere i loro finanziamenti. Funzionari delle Nazioni Unite avvertono che l’UNRWA finirà presto i fondi, il che porterà i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza verso la carestia”.
Criticità delle accuse all’UNRWA
“Il canale britannico Channel 4 e The Daily Beast hanno esaminato il riassunto di sei pagine di un dossier di intelligence che Israele sta distribuendo a fonti selezionate. Il documento sostiene che 12 membri dell’UNRWA hanno partecipato agli attentati del 7 ottobre e che centinaia dei 30.000 dipendenti dell’agenzia hanno legami con Hamas”.
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L’austerità sin da piccoli
di coniarerivolta
Recentemente siamo intervenuti sul tema dei tagli ai fondi per i consultori, austerità particolarmente odiosa e deleteria poiché distruttiva per un’importante tipologia di presidio dei diritti della donna e della sessualità libera. Aggiungiamo ora che l’offensiva dell’austerità non risparmia neanche gli asili nido, risorsa fondamentale per permettere di coniugare lavoro e cura familiare.
Analizziamo infatti la situazione degli asili nido dai dati ISTAT sul biennio 2021-2022. Verificando il numero di posti negli asili nido rispetto ai bambini, a fronte di un target di livello europeo del 33%, solamente il centro Italia e il nord-est rispettano questo requisito; in particolare nel sud si è ben lontani (16%). Inoltre, solamente il 48,8% degli asili nido è pubblico (meno della metà) e le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte: 66,4% nel pubblico e 48,7% nel privato. Il rapporto dell’ISTAT prosegue con altri dati interessanti e inquietanti, questi i titoli dei vari paragrafi: “Sotto la media europea la frequenza del nido”, “Grandi divari territoriali nella spesa pubblica per i servizi all’infanzia”, “Eterogenei i criteri di accesso al nido utilizzati dai Comuni”, “Lo svantaggio economico non sempre prioritario nell’accesso al nido pubblico”, “I contributi statali non riequilibrano le diseguaglianze”, “Persistono squilibri socio-economici nell’accesso al nido”.
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Oggi Lenin sarebbe stato in prima linea tra i trattori
Jaime P. Quirós intervista Carlos X. Blanco
-Avete preparato l'edizione di Cien años de la muerte de Lenin: Dialéctica y marxismo, di Salvatore Bravo, per le edizioni Ratzel: approfittando dell'anniversario della sua morte? Quanto è interessante Lenin oggi per un'impronta contemporanea come Ratzel, del XXI secolo, dedicata alla geopolitica?
Un interesse enorme. Che si simpatizzi o meno con lui, che si condivida o meno la sua potentissima strategia di guerra al capitalismo e all'imperialismo, Lenin è un leader colossale, una figura che tutti dovrebbero conoscere. Era un uomo d'azione, ma anche un filosofo, un discepolo di Marx che, quando voleva scrivere come allievo applicato, si abbandonava a volgarità (la sua teoria gnoseologica del riflesso, per esempio), ma quando pensava politicamente per conto proprio, dimostrava una volontà di ferro e un enorme intelletto pratico. La sua analisi dell'imperialismo come stadio più alto del capitalismo è ancora una teoria del momento.
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La disabilità del male
di Stefania Fusero
Un’illustre cittadina tedesca, ebrea polacca di nascita, scriveva all’inizio dell’anno 1917:
“Che cosa intendevi parlando delle sofferenze particolari degli ebrei? Sento altrettanto vicini gli sfruttati delle piantagioni di gomma a Putumayo o i neri dell’Africa con i cui cadaveri gli europei giocano a palla. Hai forse dimenticato le parole del capo di stato maggiore sulla spedizione von Trotha nel Kalahari? ‘E il rantolo dei moribondi, il grido impazzito degli assetati echeggiavano nel sublime silenzio dell’infinito.’ Ecco, questo ’sublime silenzio dell’infinito’, in cui echeggiano senza essere udite tante grida, risuona in me così forte che non mi resta nel cuore nemmeno un angolino riservato esclusivamente al ghetto. […]”.
Rosa Luxemburg in una lettera a Mathilde Wurm, 16 febbraio 1917
Durante il XIX e l’inizio del XX secolo, la Germania partecipò con gli altri Paesi europei alla brutale spartizione dell’Africa, colonizzando le terre che oggi chiamiamo Togo, Camerun, Burundi, Ruanda, Tanzania continentale e Namibia. La campagna fu particolarmente crudele in Namibia, dove nell’agosto del 1904 il generale von Trotha mise a punto un nuovo piano di battaglia per porre fine alla rivolta degli Herero. Nella battaglia di Waterberg diede l’ordine di accerchiare gli Herero su tre lati, in modo che l’unica via di fuga fosse verso l’arida steppa di Omaheke, propaggine occidentale del deserto del Kalahari. Gli Herero fuggirono nel deserto e von Trotha ordinò alle sue truppe di avvelenare i pochi pozzi d’acqua, di erigere posti di guardia lungo una linea di 150 miglia e di sparare a vista su ogni Herero, che si trattasse di uomo, donna o bambino. Molti morirono di disidratazione e di fame.
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L’arma segreta degli eurocrati. Nel suo 25° compleanno l’euro ha consegnato a loro la vittoria
di Thomas Fazi
Il fatto che la Germania sia caduta in disgrazia in questo processo, passando da egemone europeo incontrastato a vassallo americano in capo, è una delle grandi ironie dell’ultimo decennio
Il 1° gennaio, mentre l’Unione Europea inaugurava un altro anno di caos economico e di guerre non troppo lontane, nessuno era dell’umore giusto per festeggiare il 25° compleanno dell’euro. Nessuno, se non gli eurocrati.
Come sempre, i vertici dell’UE hanno sciorinato liriche sulla moneta unica, ma quest’anno le loro riflessioni sono sembrate più deliranti che mai. In un articolo pubblicato in tutta l’eurozona, i presidenti della Banca centrale europea, della Commissione, del Consiglio, dell’Eurogruppo e del Parlamento hanno elogiato l’euro per aver dato all’UE “stabilità”, “crescita”, “posti di lavoro”, “unità” e persino “maggiore sovranità”, e per essere stato un “successo” complessivo.
Questa autocelebrazione è comune tra gli eurocrati. Nel 2016, ad esempio, mentre l’Europa si stava ancora riprendendo dalle conseguenze disastrose della crisi dell’euro, Jean-Claude Juncker, allora Presidente della Commissione, affermò che l’euro porta “enormi” anche se “spesso invisibili benefici economici”. La dichiarazione di quest’anno, tuttavia, aveva un sapore particolarmente orwelliano. L’euro non ha portato nulla di tutto ciò all’Europa: oggi l’UE è più debole, più frammentata e meno “sovrana” di 25 anni fa.
Dal 2008, l’area dell’euro è essenzialmente stagnante e la sua crescita complessiva a lungo termine è stata negativa. Questo ha portato a una drammatica divergenza tra le sue fortune economiche e quelle degli Stati Uniti: depurata dalle differenze nel costo della vita, l’economia di questi ultimi era solo del 15% più grande di quella dell’area dell’euro nel 2008; oggi è del 31%.
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Perché l’intelligenza artificiale ha rilanciato il reddito universale di base
di Federico Nejrotti
Quella tra tecnologia, lavoro e profitto è un triangolo burrascoso che risale alla rivoluzione industriale, quando le macchine hanno iniziato a riconfigurare sistematicamente la relazione fra questi tre fattori.
Da allora, la tecnologia si è evoluta a enorme velocità facendoci passare dalla macchina a vapore a complicatissimi algoritmi in grado di migliorare automaticamente le loro capacità. Il comune denominatore di queste trasformazioni è sempre stato uno: la lotta senza quartiere per il valore generato da queste macchine.
La crescita dell’AI ha riproposto il dibattito sul Reddito di Base Universale
Da sempre, gli interessi economici hanno trainato lo sviluppo e l’implementazione delle tecnologie di automazione, e da sempre la società civile ha cercato di partecipare alla conversazione sulle politiche relative al loro uso.
Chi beneficia dell’introduzione di una tecnologia nel processo lavorativo? Come riconfigura i rapporti con la forza lavoro? Cosa faranno i lavoratori che verranno rimpiazzati? Sarà possibile formarli nuovamente? O questi sviluppi tecnologici sono il preludio di una spirale di precarizzazione sistemica?
Tutte queste domande (e molte, molte altre) giocano un ruolo politico decisivo nelle economie di tutto il mondo. L’opinione pubblica che si genera attorno a esse rappresenta un equilibrio fondamentale, e la stessa idea sulle capacità effettive di una tecnologia, su come si possa sviluppare e come sia in grado di riconfigurare i rapporti di forza condiziona le scelte politiche, per cui diventa un tema delicato anche dal punto di vista propagandistico (come nel caso del cosiddetto AI doomerism).
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Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione
di Paolo Cortesi
Un articolo del 2014 sul nuovo indottrinamento televisivo si è dimostrato lucido e lungimirante. Lo riproponiamo oggi per rileggere l'ideologia nascosta di Masterchef e i suoi fratelli
Avrete notato, credo, il moltiplicarsi (in tempi così rapidi da non poter essere fenomeno casuale o “naturale”) di programmi tv basati sulla competizione. Anzi sulla competizione esasperata che conduce a una sistematica, progressiva eliminazione.
La formula è semplice, sempre la stessa: cantanti, cuochi, parrucchieri, pasticcieri, ballerini, aspiranti uomini d’affari (sic) e altre categorie si sottopongono al giudizio – spesso spietato, sempre severo – di sedicenti giudici. Da notare che i giudici, il cui verdetto è inappellabile, sono quasi sempre sconosciuti al grande pubblico quanto gli aspiranti che saranno giudicati, ma essi (i giudici) sono investiti di un’autorità (ripeto: autorità, dato che della loro autorevolezza nulla è dato a sapere) di un’autorità, dicevo, assoluta. Lo “spettacolo” funziona così: gli esaminandi si sottopongono a prove anche molto dure, la competizione è feroce perché il “gioco” è a eliminazione, non esistono squadre perché il vincitore può essere solo un individuo e i gruppi che occasionalmente si formano hanno una vita solo funzionale alla selezione dei singoli.
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Appunti sulle mobilitazioni degli agricoltori
di La Terra Trema
La Terra Trema è un collettivo che si occupa di cura dell’ambiente e del territorio. Nato nel milanese, attraverso una fiera annuale che mette in relazione vignaioli, contadini e piccoli produttori agricoli di tutta Italia, ha attivato relazioni con migliaia di persone e progetti per la costruzione di filiere corte alternative all’agroindustria e alla grande distribuzione.
Dal 2015 pubblica una rivista, L’Almanacco de La Terra Trema che racconta questi territori in lotta, le esperienze di contadini, le storie di produttori e produttrici, le possibili alternative esistenti e da costruire.
Pubblichiamo a seguire, ripreso dal sito del collettivo, un articolo sulle mobilitazioni degli agricoltori in atto in questi giorni.
* * * *
Le mobilitazioni di questi giorni degli agricoltori, che stiamo seguendo e attraversando, ci danno la possibilità di ribadire alcune questioni.
L’agricoltura contadina è a rischio estinzione. In Italia sono rimaste poco più di un milione di aziende agricole. Negli ultimi quarant’anni sono scomparse due aziende su tre.
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10 Febbraio, Giornata del ricordo: Non chiedeteci di condividere
di Enrico Vigna*
Si comprendono i “ragazzi di Salò” e si accusano i “massacri dei partigiani jugoslavi”, si dedurrebbe anche italiani, visto che sono stati oltre cinquantamila i partigiani italiani che hanno combattuto contro il nazifascismo in Jugoslavia e sono morti in quelle terre per riscattare l’onore di un intero popolo, macchiato e infangato da vent’anni di fascismo e colonialismo contro altri popoli, come quello jugoslavo, che mai nella storia hanno aggredito il nostro paese.
Da destra e da “sinistra”, tutti concordano per la “riconciliazione”, e invece lavorano per rinfocolare odi, rancori, razzismo etnico. Questi signori dimenticano che la riconciliazione c’è già stata: è avvenuta il 25 aprile 1945, con la sconfitta del fascismo, la cacciata dell’invasore nazista e la vittoria della lotta di liberazione nazionale.
Il mito degli italiani “brava gente” è fondato sulla rimozione storica dei crimini di guerra commessi dall’esercito italiano nelle colonie e nei territori invasi e occupati della 2° guerra mondiale; la nostra storia nazionale è ricca di rimozioni e “dimenticanze” di quello che è stato fatto ad altri popoli e paesi.
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Dimenticare la sociologia del lavoro. Da Aris Accornero a Pietro Ichino il passo è breve
di Leo Essen
La distinzione tra Indigente (povero) e Disoccupato è il primo e maggior merito di questo libretto di sociologia del lavoro all’italiana (I paradossi della disoccupazione, Mulino 1986). Distinzione che negli anni 90 è andata smarrita, grazie al lavoro di propaganda di rifondazione e confratelli. Hanno fatto di tutto con la retorica della quarta settimana. Alla fine sono riusciti ad appiattire il tema della disoccupazione (che in effetti è scomparso dal dibattito) su quello della povertà. Ancora si sentono forti gli strascichi. Noi saremmo una nazione di straccioni e morti di fame, bisognosi di caritatevole soccorso, e non una nazione di disoccupati, eccetera.
La disoccupazione non ha una valenza assoluta, dice Accornero. Non ci sono dati oggettivi – i disoccupati – misurabili. La disoccupazione è una dimensione relativa, relativa al bisogno (di per sé relativo) che una persona esprime in un determinato momento, e relativa alla volontà di cercare un lavoro. Si può essere nel bisogno e senza lavoro, come lo erano molte casalinghe, e collocarsi volontariamente nell’area dell’inattività – dunque né occupate né disoccupate.
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La convergenza impossibile. Pandemia, classe operaia e movimenti ecologisti
di Erasmo Sossich
Sono seduto a una lunga tavolata natalizia, circondato dal ramo materno dei miei familiari. Alla mia destra siede mio zio, il primogenito. Alla mia sinistra, a capotavola, mia zia, terza e ultima venuta, ormai oltre una cinquantina di anni fa. Mia madre, nata nel mezzo, sta all’altro capo del tavolo, e come molti altri familiari rimarrà sullo sfondo di questo racconto.
A questa tavola sta per verificarsi, per causa mia, un’accesa discussione.
Mio zio, da tempi non sospetti, cerca di sensibilizzare la famiglia, il pubblico, le aziende, gli anziani, le istituzioni e la società civile sul tema del cambiamento climatico. Lavora per un ente di ricerca, spesso in smart working, e ha potuto frequentare la Bocconi grazie agli sforzi dei genitori, immigrati meridionali in bilico tra la classe operaia e una borghesia piccola piccola, così piccola che il salario di mia nonna, per anni, è stato destinato interamente a sostenere il suo percorso formativo.
Mia zia, in tempi ben più sospetti, ha cominciato a sensibilizzare la famiglia, il pubblico, le aziende, gli anziani, le istituzioni e la società civile sul pericolo delle reti 5G, del vaccino, della digitalizzazione, del Nuovo Ordine Mondiale. Lavora come operatrice socio-sanitaria in un ospedale di Trieste dopo aver rinunciato a portare a termine un percorso di formazione professionale più qualificante segnato da diverse interruzioni e tortuosi nuovi inizi.
Il primo è parte dell’esecutivo nazionale della Rete per la decrescita in Italia, non ha profili social e da anni mi segnala i nuovi articoli pubblicati su riviste ambientaliste e decresciste.
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Il fascismo prima e dopo il fascismo
di Fabio Ciabatti
Alberto Toscano, Late Fascism: Race, Capitalism and the Politics of Crisis, Verso, London-New York 2023, € 22,36
Il fascismo contemporaneo può ancora rappresentare una concreta minaccia dal momento che si presenta privo di alcuni degli elementi essenziali che ne hanno determinato l’affermazione negli anni Venti e Trenta del secolo scorso? Senza un movimento di massa, una spinta utopistica per quanto pervertita e un incombente pericolo rivoluzionario cui contrapporsi, può di nuovo sovvertire l’ordine liberale e democratico?
In effetti, sostiene Alberto Toscano nel suo libro Late Fascism, le soluzioni elaborate dai movimenti di Mussolini e di Hitler appaiono “fuori tempo” dato il loro intimo legame con la crisi capitalistica successiva alla Prima guerra mondiale, con l’era del lavoro manuale di massa, della coscrizione universale maschile in vista della guerra totale e dell’imperialismo esplicitamente razzista. Possiamo allora dormire sonni sereni, fiduciosi nel carattere straordinario dei regimi fascisti?
Non proprio, sostiene sempre Toscano, perché il quadro cambia se abbandoniamo una concettualizzazione meramente analogica del fascismo. In altri termini, se lasciamo da parte l’idea che per parlare di questo fenomeno politico la cosa essenziale sia raffrontare gli epigoni contemporanei con il loro modello originale, stilando una sorta di checklist dei sintomi in grado di diagnosticare lo stato di avanzamento della malattia.
Abbandonare il piano analogico significa concepire il fascismo come un fenomeno di lunga durata e storicamente mutevole. Vuol dire intenderlo come una dinamica che precede la sua stessa denominazione, sempre strettamente legata ai prerequisiti della dominazione capitalistica, anch’essa diversificata nel tempo. Utilizzando la definizione di W. E. B. Du Bois, si può parlare di “controrivoluzione della proprietà”.
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Venezuela: il 2 di febbraio inizia il sogno bolivariano
di Geraldina Colotti
“Nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana.”
Se la storia non viene ridotta a museo, date e ricorrenze ricordano la lotta delle classi subalterne, che ne hanno costruito o subito i corsi e ricorsi. Se la storia non viene ridotta a parodia, celebrare momenti e figure che ne hanno interpretato il senso, anticipandone salti e rotture, aggiunge nuove pagine al libro del futuro. Innalza nuove bandiere.
Se la storia non viene consegnata ai tribunali o agli specialisti in complotti e dietrologie, come accade nella “civilissima” Europa, anche dalle sconfitte i giovani possono innalzare nuove bandiere.
È così che, nel centenario della morte di Lenin, si può intendere, seguire e apprezzare, lo sforzo per richiamare la storia, come maestra di lotta e di vita, che compie costantemente la rivoluzione bolivariana, e prima ancora la rivoluzione cubana, che si è inserita nel corso di quelle venute prima. È così che si può intendere, come ogni anno, l’omaggio a un febbraio punteggiato di rivolte, di orgoglio e di vittorie. Un omaggio non rituale, ma una guida per l’azione, un monito a non dimenticare il 2, il 4 e il 27 di febbraio.
Il calendario degli anni imporrebbe di leggerle al contrario, a partire da quel 27 febbraio del 1989 in cui dalla rivolta del Caracazo si levò il primo grido del popolo contro il neoliberismo, autoproclamatosi allora come unica via dopo la caduta del Muro di Berlino – che anticipava la fine dei 70 anni di grande paura provati dalla borghesia.
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UNRWA, ipocrisia e complicità
di Michele Paris
La conferma della validità dell’accusa di genocidio presentata dal Sudafrica contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) si sta avendo in questi giorni, oltre che dai massacri senza sosta nella striscia di Gaza, dalla vicenda dei finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Le responsabilità in questo senso non sono solo dello stato ebraico, ma anche dei paesi occidentali – Italia compresa – che hanno vergognosamente assecondato le macchinazioni del criminale di guerra Netanyahu, tagliando una parte vitale dei fondi da destinare a una popolazione letteralmente allo stremo.
Lo stesso giorno in cui i giudici della ICJ hanno deliberato preliminarmente contro Israele, il governo di Tel Aviv ha avanzato l’accusa contro 12 dipendenti della UNRWA di avere partecipato con vari compiti all’operazione “Diluvio di al-Aqsa” del 7 ottobre scorso, portata clamorosamente a termine da Hamas e Jihad Islamica. Le accuse non sono in nessun modo dimostrate e si basano esclusivamente su confessioni estorte tramite tortura.
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Francia: Il “riarmamento agricolo” e la lotta di classe nelle campagne
di Giacomo Marchetti
Il movimento degli agricoltori in Francia è a un punto di svolta. Il 1 febbraio, gli annunci del governo del primo ministro Gabriel Attal, hanno in pratica soddisfatto le due associazioni di categoria di agricoltori e allevatori più vicini all’agro-business (FNSEA e JA) e alle sue richieste di “deregolamentazione” di tutela ambientale.
É stata la Confédération Paysanne stessa a denunciarlo, insieme a importanti confederazioni sindacali generali per mano dei propri dirigenti (CGT, Modef, Solidaires e FSU), alle varie associazioni e movimenti che si occupano della difesa dell’ambiente, nonché delle forze politiche progressiste raggruppate dalla NUPES.
La FNSEA e i Jeunes Agriculteurs, onnipresenti negli spazi dei media-mainstream, hanno invitato a levare i blocchi sulle autostrade e a un sostanziale ‘ritorno alla calma’ dopo gli ennesimi annunci del governo che – oltre a non affrontare la questione di un giusto prezzo per le derrate agricole, e a dimenticare i vari accordi di “libero scambio” che mettono in ginocchio gli agricoltori francesi – sta facendo carta straccia di quelle già deficitarie tutele verso la transizione del settore in una “agro-economia” che riduca il drammatico inquinamento e la penuria di risorse per la collettività.
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Operai e capitale. A proposito di “Il capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto” di Kepler-452*
di Valerio Romitelli
Operai alla ribalta sotto i fari con tanto di pugni chiusi alzati di fronte a un folto pubblico plaudente dal quale emergono pure numerosi altri pugni chiusi! Stiamo forse parlando di anni Sessanta, Settanta od Ottanta ? Niente affatto. Stiamo parlando dei giorni nostri; in particolare, della sera del 24/01/2024 al teatro bolognese dell’Arena del sole.
La notizia forse stupisce meno del dovuto dal momento che è già ben noto che lo spettacolo cui si sta facendo cenno e dal titolo sorprendente, Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto, non solo ha già inanellato non pochi successi in Italia e all’estero, ma ha anche ricevuto lo scorso anno il premio Ubu.
Di che si tratta, dunque, più in dettaglio? Cominciamo dall’inizio, cioè dal titolo, per l’appunto sorprendente. Avendo voglia di rifletterci su, esso si dimostra ben altro che una semplice stranezza finalizzata ad attrarre curiosità. Sotto una simile insegna al limite dell’assurdo si dà infatti perfettamente conto di quella che è stata la prima intenzione all’origine di tutto il lavoro che ha portato alla costruzione dello spettacolo.
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Quando la guerra sembra non finire mai
di Vincenzo Maddaloni
Dall'inizio della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno aumentato oltre ogni immaginazione gli arsenali. Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) ha calcolato che, nel 2022, la spesa militare statunitense è stata intorno agli 877 miliardi di dollari, ovvero circa il 39%, della spesa militare globale.
Tuttavia, come mostra un recente rapporto pubblicato da Monthly Review (1 novembre 2023) , queste cifre sono ampiamente sottostimate: la spesa militare effettiva degli Stati Uniti è più vicina ai mille e 537 miliardi di dollari, quasi il doppio del calcolo del SIPRI e dei “dati ufficiali” dell’amministrazione americana.
Queste cifre ci ritornano in mente dopo che, gli aerei a lungo raggio statunitensi hanno bombardato, l'altro giorno, degli obiettivi militari iraniani in Iraq e Siria. E’ il primo dei molteplici cicli di ritorsione previsti per l'attacco di droni contro le truppe statunitensi in Giordania, durante il quale sono morti tre soldati americanie 34 sono rimasti feriti.
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Piano Mattei: cooperazione o neocolonialismo?
di Domenico Moro
Tra il 28 e il 29 gennaio si è tenuto a Roma il vertice Italia-Africa che ha visto la presenza di 25 tra capi di governo e di stato africani e che ha posto le basi del cosiddetto Piano Mattei. Tra le iniziative politiche promosse dal governo Meloni in questa prima fase della legislatura, il Piano Mattei ricopre un ruolo importante, in quanto mira a ritagliare un ruolo specifico e di primo piano all’Italia nel rapporto tra Ue e Africa. Infatti, il continente africano ricopre una importanza fondamentale per la sua ricchezza di materie prime e per la sua demografia. Infatti, l’Africa nei prossimi decenni registrerà una crescita demografica consistente a fronte del calo demografico che caratterizza e caratterizzerà anche in futuro i paesi avanzati del cosiddetto Occidente collettivo, in particolare l’Europa occidentale e il Giappone.
Sul rapporto tra l’Europa e l’Africa, però, pesa come un macigno l’eredità di cinque secoli di storia in cui l’Europa ha esercitato sul continente nero un ferreo dominio coloniale. Tale dominio si è mantenuto anche più di recente in una forma nuova, neocoloniale appunto, dopo che tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso i Paesi africani si erano liberati del dominio coloniale formale dei Paesi Europei, che era stato sostituito da una dipendenza diretta, sul piano economico, e indiretta, sul piano politico, da quelle stesse potenze ex coloniali, come ad esempio la Francia.
Per quanto riguarda l’Italia, l’iniziativa della Meloni si innesta in un Paese che è abituato a nascondere le parti scomode della sua storia sotto il tappeto.
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Per la critica del cibo in forma di merce
A proposito del pamphlet di Wolf Bukowski
di Afshin Kaveh
Si intitola La merce che ci mangia. Il cibo, il capitalismo e la doppia natura delle cose (Einaudi 2023, pp. 50, 2,99 euro) ed è l’ultimo libricino – purtroppo non disponibile in formato cartaceo ma edito esclusivamente in ebook – di Wolf Bukowski. L’autore ruota attorno al blog Giap della Wu Ming Foundation, è collaboratore della rivista Internazionale e in passato aveva già dedicato alcuni sforzi riflessivi al medesimo argomento, per esempio nei volumi Il grano e la malerba (Ortica Editrice 2012) e La danza delle mozzarelle (Edizioni Alegre 2015), oltre ad essersi impegnato nella critica alle narrazioni dell’organizzazione urbanistica del “decoro” nel libro La buona educazione degli oppressi (Edizioni Alegre 2018) di cui conservo un piacevole ricordo personale: la sua presentazione a Sassari nel 2020, immersi, alla sera, nella cornice di Piazza Santa Caterina ai piedi della scalinata della facciata della chiesa monumentale.
Da allora non mi sarei mai aspettato che, a distanza di pochi anni, mi sarebbe capitato tra le mani un testo come La merce che ci mangia, una breve ma intensa riflessione critica che prende avvio da una costruzione teorica profondamente diversa dalle precedenti stesure di Bukowski. L’autore, infatti, fin dalle prime battute si domanda: «il cibo è una merce?». Potrebbe sembrare un quesito di poco conto, di frivola importanza, soprattutto di fronte «alle navi cariche di cereali che attraversano gli oceani, alle grigie fabbriche di conserva che divorano pomodori, ma anche alle colorate corsie d’un ipermercato, tra le quali ci smarriremmo se i marchi, le etichette, non ci prendessero per mano», esempi che condurrebbero chiunque a rispondere affermativamente al quesito.
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La questione Taiwan, all’inizio del 2024
di Alberto Bradanini
In un incontro dell’American Enterprise Institute tenutosi il 2 novembre 2021 in Florida – alla presenza di personalità politiche del fronte trumpista, tra cui H. Brands, D. Blumenthal, G. Schmitt, M. Mazza, J. Bolton e altri – la destra repubblicana era giunta alla conclusione che la strategia cinese di riassorbimento dell’isola non ha nulla di eccentrico o ideologico. Persino un immaginario governo amico degli Stati Uniti metterebbe in cima all’agenda politica il recupero di Taiwan, territorio storicamente cinese, che però si scontra con la maggioranza dei taiwanesi, per ora contraria.
Per la dirigenza del paese, ça va sans dire, la via preferibile dovrebbe essere quella pacifica, consapevole che un ipotetico conflitto con Taiwan avrebbe pesanti riflessi sulla stabilità e la crescita economica, senza contare che le forze armate di Taipei (a prescindere dal possibile intervento americano) renderebbero assai costosa sotto ogni punto di vista un’ipotetica invasione dell’isola.
Le elezioni presidenziali tenutesi a Taiwan il 13 gennaio scorso hanno decretato la vittoria di Lai Ching-te (William Lai), vicepresidente uscente della Repubblica di Cina (è questa la denominazione ufficiale dell’isola). Lai, il cui insediamento è previsto per il 20 maggio, è oggi l’esponente di punta del Partito Democratico Progressista (DPP) che ha governato negli ultimi otto anni.
La presidente uscente, Tsai Ing-wen, prima donna a vincere le elezioni, per di più per due volte consecutive (2016 e 2020), si era dimessa da presidente del partito lo scorso autunno dopo la sconfitta alle elezioni amministrative. La Tsai non era comunque rieleggibile per limiti di mandato.
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“L’industria dell’Olocausto”. L’introduzione
di Norman Filkelstein*
L’Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe.
Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di «vittima», e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti.
Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano. Aggiungerei che coloro che godono di questa immunità non sono sfuggiti alla corruttela morale che di norma l’accompagna.
Da questo punto di vista, il ruolo di Elie Wiesel come interprete ufficiale dell’Olocausto non è un caso. Per dirla francamente, non è arrivato alla posizione che occupa grazie al suo impegno civile o al suo talento letterario: Wiesel ha questo ruolo di punta perché si limita a ripetere instancabilmente i dogmi dell’Olocausto, difendendo di conseguenza gli interessi che lo sostengono.
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Riformare per dominare
Le origini storiche del riformismo liberal-capitalista
di Giampaolo Conte
Dietro le riforme neoliberiste, c'è una strategia di dominio politico e di classe. A tal fine è essenziale controllare lo Stato
A partire dalle recenti crisi finanziarie, la parola "riforma" è entrata nel lessico comune quale immagine evocativa di austerità e malessere economico, specialmente per le classi lavoratrici e una parte del ceto medio. Ma a cosa si riferisce esattamente questo termine?
La riforma (neo)liberista è uno strumento funzionale a promuovere un ordine economico che vede nell’accumulazione del capitale, nella ricerca del profitto e nella trasformazione sociale alcuni dei suoi valori fondanti.
Le riforme (neo)liberiste hanno lo scopo di agganciare sempre di più gli Stati nazionali a un paniere di regole mirato a permettere una maggiore fluidità del capitale, nonché a semplificare la trasformazione della struttura sociale per facilitare il processo di accumulazione. Tali regole permettono al capitale straniero di trovare le stesse norme di impiego, sfruttamento e investimento presenti in patria, cioè nello Stato egemone che domina e controlla in un determinato periodo storico il mercato internazionale.
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