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Il Vangelo secondo Meloni: indignarsi solo per i morti giusti

di Michele Agagliate

C’è un momento, nella liturgia dell’ipocrisia occidentale, che si ripete sempre uguale, con la puntualità di un’orazione scritta a tavolino: il momento in cui ci si indigna. Non per tutto. Non per tutti. Ma solo per qualcuno, e solo quando conviene. In Italia, questo rito ha trovato in Giorgia Meloni la sua sacerdotessa perfetta. Bastava attendere.

Quando le bombe israeliane hanno colpito la chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, ferendo il parroco italiano padre Gabriel Romanelli, le parole della Presidente del Consiglio sono arrivate leste, impomatate di indignazione: “Inaccettabile. Bisogna fermarsi. Bisogna trovare la pace.”

Parole che fino al giorno prima non avevano trovato spazio. Non per gli oltre 60.000 morti palestinesi. Non per i bambini spappolati sotto le macerie. Non per le scuole distrutte, gli ospedali ridotti in polvere, gli anziani lasciati morire di fame. Non per i bombardamenti quotidiani, le esecuzioni a sangue freddo, la fame come arma di guerra. No, per quelli nulla. Nessuna parola. Nessun monito. Nessuna richiesta di pace.

La voce di Meloni si è alzata solo ora, solo perché tra quei muri sventrati c’è un italiano. Un prete. Un cattolico. Una vita che vale, secondo il catechismo geopolitico di questo governo. Gli altri, quelli con il nome arabo, quelli senza cittadinanza europea, quelli che non votano, non contano.

Non è una sorpresa. È la regola. La stessa regola che ha guidato i silenzi di questi mesi, mentre Israele trasformava Gaza in un cratere e il mondo in un teatro d’ipocrisie. La stessa regola che ha visto il governo italiano stringere nuovi accordi commerciali e militari con Netanyahu mentre le F16 spazzavano via intere famiglie. La stessa regola che ha spinto Antonio Tajani a spendere parole dolenti solo oggi, solo perché tra le vittime c’è una chiesa, un simbolo cristiano.

Il Vangelo secondo Meloni è semplice: i morti valgono solo se sono i nostri. Gli altri non esistono. Sono danni collaterali, numeri, corpi senza identità. La guerra, quando uccide chi non ci somiglia, non fa notizia. O meglio: fa comodo.

E mentre l’Italia si scopre improvvisamente indignata, Israele continua a bombardare. Non solo Gaza. Anche la Siria. Nelle stesse ore in cui il governo Meloni si diceva “profondamente colpito” per la chiesa di Gaza, gli aerei israeliani colpivano la periferia di Sweida, città a maggioranza drusa nel sud della Siria. Un raid che segue il ritiro delle forze governative siriane dall’area, un ritiro rivendicato da Israele dopo settimane di scontri sanguinosi tra drusi e beduini. Quasi 600 morti. Ma chi ne parla? Nessuno. Nemmeno il Vaticano, così solerte con i telegrammi quando c’è di mezzo un parroco italiano.

Nel silenzio complice dell’Occidente, Israele detta la legge del più forte. Netanyahu lo ha detto chiaro: continueremo a bombardare la Siria se necessario. Continueremo a proteggere i drusi, o meglio: a usarli come pretesto. E nessuno si muove. Nessuno si oppone. Nessuno invoca il diritto internazionale.

La stessa ONU, che pure ha chiesto da mesi un cessate il fuoco a Gaza, viene ignorata. La Corte Penale Internazionale, che ha osato avanzare richieste di mandato di cattura per Netanyahu, viene minacciata di sanzioni. Anche dall’Italia, che pure si riempie la bocca di giustizia e legalità. E quando Francesca Albanese, relatrice ONU per i diritti umani nei territori occupati, denuncia il genocidio in atto, viene isolata, minacciata, delegittimata. Non un gesto in sua difesa dal governo italiano. Non una parola.

C’è un razzismo sottile, ma feroce, in tutto questo. Un razzismo che stabilisce gerarchie tra i morti, tra le vittime, tra le tragedie. Un razzismo che non si fonda sulla pelle, ma sulla geopolitica, sull’appartenenza, sulla convenienza. I palestinesi non hanno mai avuto diritto al lutto. Non hanno avuto diritto al nome, al volto, alla memoria. I loro morti non hanno biografie, non hanno storie. Sono numeri, grafici, report ONU letti distrattamente tra una conferenza e l’altra.

E quando il leader M5S Giuseppe Conte osa parlare di genocidio, di complicità, di embargo che non c’è, viene attaccato. Perché la verità fa paura. Fa più paura del silenzio.

Intanto, a Gaza, si continua a morire. Si muore sotto le bombe, sotto le ruspe, sotto le macerie. Si muore di fame, di sete, di malattia. Si muore nell’indifferenza. E chi sopravvive, sopravvive senza futuro, senza casa, senza terra. Lì, dove un tempo si sognava uno Stato, oggi non resta che sabbia e disperazione.

E noi? Noi ci indigniamo solo per ciò che ci riguarda. Solo per un prete. Solo per una chiesa. Solo per un simbolo che ci rassicura nella nostra identità comoda, cristiana, bianca, occidentale.

Eppure, anche questo non ci salverà. Perché il mondo ci guarda. E ci giudica. Perché la nostra doppia morale è sotto gli occhi di tutti. Perché non si può più predicare pace e vendere armi. Non si può più parlare di diritti e calpestare il diritto internazionale. Non si può più fingere che il diritto valga solo per alcuni.

La verità è che Israele non ha mai voluto la pace. Non l’ha mai cercata. Ha costruito la propria esistenza sull’occupazione, sull’apartheid, sull’annientamento dell’altro. Ha trasformato il trauma in alibi, la Shoah in licenza d’impunità. E l’Occidente lo ha permesso. Lo ha coperto. Lo ha finanziato.

Ora il conto è arrivato. Non solo a Gaza. Anche a Damasco. Anche a Sweida. Anche in ogni angolo del Medio Oriente dove il diritto è stato sacrificato sull’altare della sicurezza di Israele.

E mentre Meloni si indigna a giorni alterni, mentre il Vaticano si commuove a orologeria, mentre l’Occidente farfuglia, la storia continua. Va avanti a scrivere pagine di sangue che un giorno sfoglieremo arrossendo di vergogna.

Forse è già tardi. Ma almeno, almeno, smettiamola di fingere. Di scegliere i morti giusti. Di piangere a giorni alterni. Di parlare solo quando ci conviene. Il Vangelo, quello vero, non fa distinzioni tra le lacrime. Ma questo governo, questa Europa, questo Occidente, sì.

E per questo hanno perso ogni credibilità.

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