Dalla sottomissione immaginaria a quella reale
di Leonardo Mazzei
Esattamente dieci anni fa, usciva il romanzo “Soumission” (Sottomissione) di Michel Houllebecq, nel quale lo scrittore immaginava un futuro di sottomissione della Francia all’Islam. Un assoggettamento “soft”, favorito anche dalla complicità e dall’opportunismo di una parte dell’establishment. Il successo internazionale dell’opera fu immediato, andando così ad alimentare il vento islamofobo che appesta l’occidente da decenni.
Dieci anni dopo, il primo ministro francese François Bayrou ha così commentato la capitolazione europea davanti ai dazi e alle arroganti pretese di Trump: «E’ un giorno buio quello in cui un’alleanza di uomini liberi, riuniti per affermare i propri valori e difendere i propri interessi, si rassegna alla sottomissione».
Sottomissione, basta la parola! Al netto della retorica europeista, alla quale pure lui evidentemente non crede più, l’ammissione di Bayrou è davvero interessante. Sottomessi sì, ma stavolta sul serio. E non all’islam come nelle fantasie di un romanziere allucinato, bensì alla concreta prepotenza degli Stati Uniti d’America, come ben si è visto nell’inginocchiamento davanti all’imperatore della signora Ursula Pfizer von der Leyen.
La cosa curiosa – il diavoletto della storia è sempre all’opera! – è che nel racconto di Houllebecq (che mescola personaggi reali ad altri immaginari) sarebbe stato proprio un governo presieduto da François Bayrou, propiziato dalla vittoria alle elezioni presidenziali del 2022 di un fantasioso Mohammed Ben Abbes, a introdurre una sorta di “Sharia moderata”.
Nella realtà, altro che sharia! Qui la sottomissione è reale, ma la religione a cui piegarsi è solo quella del più forte. François Bayrou, uomo di Emmanuel Macron che lo ha nominato, risiede oggi a Palazzo Matignon grazie a una maggioranza che si regge sul decisivo appoggio esterno del Rassemblement National di Marine Le Pen. Politicamente un incommentabile opportunista, ma assolutamente inappuntabile nella scelta del giusto vocabolo per rappresentare al meglio lo stato reale dell’Unione Europea. Per una volta, bravo Bayrou!
Una sottomissione politica
Gli economisti nostrani si arrovellano per stabilire se la percentuale del 15% dei dazi americani sul grosso delle merci europee sia accettabile o meno, di solito arrivando all’insospettabile conclusione che il 15 è meglio del 20%, pur se peggiore del 10%. Quando si dice la “scienza” economica!
Ma qui non sono in ballo solo i dazi, tutti comunque a senso unico. Qui c’è qualcosa di ben più grave, sia sul piano economico che su quello politico. C’è, appunto, la sottomissione. Un fatto politico di prima grandezza.
L’asservimento a Washington è totale. L’incontro in terra scozzese – più precisamente all’interno di una proprietà privata di Trump! – è stato solo il culmine (chissà se insuperabile) di un servilismo in crescendo che si commenta da solo. Prima la decisione del G7 di non applicare la minimum tax del 15% alle multinazionali americane, poi il piano di riarmo dell’Ue, voluto dalla Nato ma richiesto a gran voce da Washington, quindi la decisione europea di cancellare la digital tax, a tutto vantaggio dei giganti americani del web.
È in questa traiettoria che va inserita la capitolazione totale annunciata domenica sera a Tunberry. La cosiddetta “trattativa” tra Trump e Von der Leyen si è infatti risolta in un quattro a zero che non ammette troppe discussioni. Mentre non risulta alcun impegno di Trump verso l’Ue, quest’ultima si è impegnata su quattro gigantesche questioni. Esattamente quelle che stavano a cuore alla Casa Bianca.
Primo, l’Ue accetta i dazi americani per le merci europee con l’esplicita rinuncia a misure analoghe da parte dell’Ue verso gli Stati Uniti. Secondo, Von der Leyen si è impegnata all’acquisto di beni energetici dagli Usa per 750 miliardi di dollari in tre anni. Terzo, è stato ribadito che il grosso delle armi previste dal piano europeo verranno acquistate in America. Quarto, l’Ue si impegna a effettuare nei prossimi anni investimenti negli Usa per 600 miliardi. Si poteva fare peggio di così? Ovviamente no. Ma sappiamo come conduce certe “trattative” la Signora dei Vaccini.
Ora, i minimalisti ci diranno che, vabbè, forse si poteva fare meglio, ma sui dazi bisognava comunque trovare un accordo (e perché?). Ci diranno che sulle armi già si sapeva (vero, ma è la dimostrazione di quanto si è mentito a Bruxelles), che sull’energia e sugli investimenti quelle cifre mai si potranno rispettare (sicuro, ma un indirizzo è tracciato). Ci diranno, cioè, che in fondo nulla è successo (falso alla grande). Ci diranno infine, Meloni docet, che ciò che conta è la “stabilità” (risate in sala).
Un governo vergognoso, un’opposizione senza credibilità
Già, la stabilità. Un obiettivo che in effetti si può raggiungere in vari modi, anche facendosi spianare l’economia nazionale in suo nome. Del resto, nulla è più stabile della morte.
La reazione del governo Meloni alla capitolazione di domenica è stata semplicemente vergognosa. Qualcosa a metà strada tra il fideismo filo-trumpiano e l’“Io speriamo che me la cavo” della presunta italica furbizia. Un atteggiamento senza uguali nei maggiori paesi europei. Al no della Francia si accompagna infatti il mal di pancia tedesco (e perfino polacco), mentre a Madrid (l’economia spagnola ha legami assai flebili con gli Usa) dicono di sostenere l’accordo ma “senza entusiasmo”.
Insomma, anche se gli altri non brillano certo in combattività, Meloni è stata la peggiore. Soprattutto è la sua narrazione a non tenere, se perfino il suo amico Orban ha fotografato la situazione dicendo che: «Il presidente Trump si è mangiato Ursula a colazione».
Ma se la postura meloniana è del tutto insostenibile, che dire della finta opposizione che dovrebbe combatterla? Capita qualche volta di sentir dire cose giuste dalle persone sbagliate, e non a caso siamo partiti dalle dichiarazioni del signor Bayrou, ma quando senti dire certe cose su Von der Leyen da piddini et similia è difficile restare seri.
Adesso il Pd parla di “Caporetto”, resa e subalternità, mentre Renzi e Calenda scaricano tutto sull’incapacità di Von der Leyen, “insulsa e dannosa” per il primo, che deve andare a casa per il secondo. Ora, di fronte a questi novelli paladini dell’indipendenza dagli Usa non si sa se ridere o se piangere. Costoro hanno approvato tutte le nefandezze europee degli ultimi anni, hanno applaudito Von der Leyen a ogni suo sussurro, l’hanno voluta a capo della Commissione e gli hanno riconfermato la fiducia non più tardi del 10 luglio scorso. In quell’occasione non hanno avuto nulla da eccepire sul rifiuto di divulgare i messaggi tra Von der Leyen e i dirigenti della Pfizer all’epoca del Covid 19, limitandosi a respingere la mozione di sfiducia perché proposta da settori della destra.
Solo adesso si svegliano?
Un capitolo della Terza Guerra Mondiale
Abbiamo già detto che la capitolazione politica è ancora più grave di quella economica. Tuttavia, anche quest’ultima non è cosa da poco. Per l’Italia, solo per i dazi, già si ipotizza la perdita di mezzo punto di Pil, mettendo così in conto una nuova recessione. Ma se l’impegno sugli investimenti negli Stati Uniti avrà un seguito, ciò significa che il governo sarà tenuto a facilitare lo spostamento di fabbriche e aziende italiane in quel paese. Sull’energia siamo evidentemente alla follia, visto che gli Usa non hanno neppure la capacità di esportare i quantitativi di beni energetici previsti in terra di Scozia. Anche qui resta però l’indirizzo di fondo: acquistare il più possibile, e a costi più alti, da Trump.
Ovviamente, e alla faccia dei propagandisti liberali, economia e politica si intrecciano di continuo. Ma venendo alla politica in senso più stretto, è chiaro che qui la capitolazione europea è stata totale, umiliante, probabilmente irrimediabile. Necessario dunque chiedersi il perché di questo totale asservimento.
A modesto parere di chi scrive questa sottomissione non ha nulla a che fare con le (in)capacità della signora (si fa per dire) Von der Leyen. Il problema è che se hai deciso di fare guerra alla Russia devi sapere che in guerra c’è bisogno di gerarchie. E poiché quella scelta guerrafondaia è stata sancita in innumerevoli documenti europei, senza i quali proprio non si capirebbe il perché di un piano di riarmo forsennato, è chiaro che per concretizzarla c’è bisogno della Nato e financo dell’Occidente collettivo inteso in senso lato. Non a caso una capitolazione simile a quella europea è già stata ottenuta col Giappone.
Ma Nato e Occidente collettivo hanno la loro leadership politico militare a Washington. Da qui l’impossibilità di disobbedire a Trump, che nel caso sarebbe insubordinazione pura. Ora, è chiaro come nella realtà ogni modello teorico incontri sempre le sue incrinature. E anche in questo caso avremo proteste e lamentazioni simili a quelle di cui abbiamo già parlato. Ma senza mettere in discussione la scelta della guerra alla Russia, e in prospettiva alla Cina, sarà impossibile rompere l’ordine gerarchico Usa/Nato/Ue, cioè la sottomissione reale dei tempi nostri.
Come si vede, alla fine tutto si tiene. C’è bisogno allora di una lotta radicale per farla finita sia con l’Ue che con la Nato. Lotta difficile quanto necessaria. Anche perché alternative non ce ne sono.