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lacausadellecose

A margine della Cop26 di Glasgow

di Michele Castaldo

"Quel che per te hai voluto per gli altri non desiderare"

Schermata del 2021 11 12 15 38 42Il famoso detto « Quel che per te non vuoi per gli altri non desiderare », attribuito a Gesù dall’evangelista Matteo, un principio di corretta reciprocità, ripreso da filosofi e poeti, sta subendo una metamorfosi in questi giorni con il G20 di Roma e la Cop26 di Glasgow che possiamo parafrasare così: “ Quel che per te hai voluto per gli altri non desiderare ”.

Cerchiamo di capire di cosa si tratta esattamente e da quali necessità, innanzitutto, nasce questa volontà dell’Occidente che nasconde non poche problematiche prossime venture per l’insieme dei rapporti sociali fra gli umani e di questi con il restante di tutte le altre specie che abitano questo sfortunato pianeta.

Di recente a Roma, nell’edificio detto La Nuvola di Fuksas all’Eur si sono svolti i lavori del G20, quelli formali e apparenti, perché – come si sa – quelli veri si svolgono altrove, nelle segrete stanze, dove gli occhi indiscreti del popolo non potranno mai arrivare. Ma la forza delle contraddizioni è ben più potente della capacità di contenimento delle pareti dei palazzi e tossisce, trova il modo di rumoreggiare e arrivare all’esterno e invitare chi è disposto ad ascoltare, a riflettere.

Il recente premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi ha rilasciato una intervista al Corriere della sera all’indomani della Cop26 di Glasgow, nella quale usa parole che suonano come macigni per un sistema sociale sempre più in crisi. Come si sa il Parisi non è un rivoluzionario e men che meno comunista, ma conosce la profondità del buon senso, quel buon senso d holbachiano tanto difficile da capire da chi è abituato a inseguire le lepri delle leggi impersonali dell’accumulazione capitalistica.

Cosa dice di “straordinariamente” vero il fisico Parisi: « …prima di tutto serve la lista precisa della spesa degli interventi da attuare » ma, domanda impietoso il giornalista: “Al di là degli impegni ottenuti al G20 di Roma le posizioni dei grandi paesi a Glasgow restano diverse”, al che lo scienziato è costretto a dirla tutta: « Questa è la realtà. Si tratta di economie nazionali in concorrenza fra loro. Il problema fondamentale è “frenare” queste economie per rallentare le emissioni e farlo con il consenso delle popolazioni ».

Non crediamo che uno scienziato di tale portata sia diventato d’un tratto cretino a tal punto da dire una fesseria del genere, piuttosto siamo propensi a credere che si tratterebbe, sul piano di una riflessione logica, della proposta di un uomo che usa solo buon senso. Nulla di più, niente di meno.

Orbene, però, Parisi è uno scienziato, dunque è al di sopra e al di fuori della produzione delle merci, in nome delle quali si sviluppa la concorrenza fra le nazioni e gli Stati, che chiama in causa. Cerchiamo allora di fissare il punto senza girare intorno alla questione creando solo e sempre fumo o come usa fare la seppia che spruzza nero per dileguarsi.

Nella stessa pagina e sotto l’intervista rilasciata da Parisi, compare in tutta evidenza un trafiletto dove viene riportata una dichiarazione del presidente della Confindustria dal titolo « Bonomi avverte: accelerare troppo i tagli della CO2 ci metterà in crisi », e spiega affinché i concetti penetrino bene nelle menti di chi deve capire, anziché fantasticare di rallentare la produzione: « L’accelerazione sui tagli delle emissioni di anidride carbonica in Europa mette fortemente in crisi intere filiere », e prosegue, « Non possiamo uccidere intere filiere nell’industria italiana, che sono centinaia di migliaia di posti di lavoro, mentre gli altri proseguono nella loro strada come Cina e India».

Ora, Cina e India sono quelle che preoccupano di più perché sono i paesi più popolosi, ma è tutta l’Asia che terrorizza l’Occidente, è questa la verità. E non si può pretendere da un intero continente, che è stato sfruttato e oppresso con guerre e droghe per rapinarlo delle sue risorse, di fare un passo indietro per il “bene comune”. Il presidente indiano Modi si è comportato da indiano: buon viso a cattiva sorte, ma patti chiari e amicizia lunga: non potete proibire a noi di fare come avete fatto voi, dunque non potete pretendere da noi di pagare per i vostri disastri.

 

Bla bla bla contro chi?

La domanda è: non chi, ma cosa ha prodotto i cambiamenti climatici? Come pure cosa ha prodotto la pandemia attuale che sta sconvolgendo gli equilibri sin qui determinati nei rapporti sociali? A questa domanda, ovvero sulla differenza tra il chi e il cosa non si vuole rispondere, anzi, per meglio ancora dire, si preferisce non porre la domanda. Invece la domanda va posta, per le nuove generazioni proprio perché sul loro futuro ricadono i disastri dell’ambiente e del riscaldamento globale. Purtroppo pur accennando alle cause, queste mobilitazioni non riescono ad arrivare fino in fondo sia alla critica che ai rimedi.

Alla domanda su cosa abbia prodotto i cambiamenti climatici rispondiamo con chiarezza: il modo di produzione. Le cui responsabilità sono storiche e non sono attribuibili a personaggi o classi, come si è pensato in Occidente, negli ultimi secoli. Perché quello che troppo sbrigativamente viene definito capitalismo è sorto ben prima del Risorgimento, appunto. Più correttamente dovremmo parlare di modo di produzione che coinvolge un insieme di rapporti fra gli uomini in relazione con lo sfruttamento in primis della terra, poi con le materie prime e i mezzi di produzione, all’insegna dell’accumulazione e del profitto. Pertanto a rincorrere i personaggi e le classi si scambia l’effetto per la causa. Allora cerchiamo di essere, ancora una volta, chiari.

Ma veramente crediamo che chi comanda il mondo siano i personaggi come Biden o Trump, Draghi o Mattarella, Modi o Xi Jinping? Bolsonaro e Putin? Siamo seri, cari signori! Quelli che contano per davvero non compaiono; basta chiedere agli Amazon e Alibaba, o ai Bonomi, giusto per dare loro un peso da pulci, per rendersene conto. E questi signori obbediscono alle infauste leggi dell’accumulazione del capitale.

Ora rimproverare ai personaggi politici di parlare tanto e di fare poco è molto riduttivo perché non sono essi che decidono, essi sono solo degli esecutori, delle marionette che vengono mosse da poteri ben più potenti. O veramente si crede che un uomo come Xi Jinping possa da solo dirigere una nazione di un miliardo e mezzo di persone? E dove potrebbe arrivare un Modi di fronte agli enormi problemi di una nazione che da pochi decenni ha “buttato la ciotola del mendicante”?

Premesso che fanno rumore le assenze di Putin e di Xi Jinping, non è tranquillizzante nemmeno la presenza di Modi, il presidente dell’India, che di fronte alle richieste di ridurre il gas serra fa il segno di marameo e dichiara a tutto spiano che fino al 2070 non se ne parla. Come dire: avete fatto i vostri comodi e ora che state in difficoltà volete che siamo noi asiatici a togliervi le castagne dal fuoco?! Insomma: che pretendete che oltre al danno per la rapina che ci avete costretti a subire dovremmo rallentare il nostro sviluppo, per aggiungere al danno la beffa? Della serie: indiani sì, scemi no.

Per favore, si eviti perciò di porre la solita demagogica domanda: ma allora cosa bisogna fare? Una questione che ricorre di continuo perché si ha fretta di non capire, perché capire costa impegno e sacrificio e si pretende la soluzione a portata di mano. È la meschinità dell’uomo incapace di guardare dentro di sé e di essere asservito a meccanismi di cui non è capace di liberarsi.

Proviamo allora a risalire la corrente secondo la logica delle proposte “possibili” o – peggio ancora – “probabili”. Cosa dovrebbe succedere per ridurre drasticamente i gas serra prodotti dagli idrocarburi della percentuale proposta dal summit? Azzardiamo una ipotesi: convocare i rappresentanti di tutti gli industriali di tutte le categorie e di tutti i paesi e proporre loro per il momento di ridurre la produzione per ridurre le emissioni. È possibile, è ipotizzabile? Certamente no. Se questo non è possibile, perché si pretende che i politici - che da essi dipendono - riescano a imporre misure che indeboliscono i propri padroni? Il punto vero è questo: i politici, tutti i politici, non sono altro che espressioni di volontà di meccanismi che obbediscono a leggi determinate.

Pertanto non si può chiedere a un modo di produzione che ha causato il disastro ambientale di sanare l’ambiente seguendo le stesse modalità di produrre. Dunque in questione è il modo di produzione divenuto ormai sistema e che è entrato in crisi proprio per quelle sue stesse leggi.

Esiste una immensa letteratura di denuncia sui cambiamenti climatici e sui disastri ambientali incombenti, ma tutti finiscono col proporre l’utilizzo di materiali magari diversi ma con le stesse modalità di produzione finalizzate al profitto. È questo il problema, il non volere riconoscere che in questione è il modo di produrre con la finalità del profitto teso all’accumulazione per nuovi profitti. Si tratta di una giostra infernale che sta andando a sbattere contro un muro e non la si può rallentare per correggerla e men che meno fermare. Dovrà infrangersi.

Ora pretendere da una ragazzina come la Thumberg o dalla sua generazione la comprensione del modo di produzione è da sciocchi; le nuove generazioni si raffrontano con quel che appare loro dinanzi, non possono capire le ragioni storiche che hanno prodotto i disastri di cui loro sono vittime innocenti.

Ma gli adulti, i professoroni, i cattedratici, quelli con la pancia piena e i piedi al caldo, affascinati dalla notorietà e le escort a portata di mano, fra i quali quelli che si candidano a “risolvere” i problemi, certe cose le sanno, certi meccanismi li conoscono, ma si guardano bene dal denunciarli e si limitano a svolgere il “compitino”, ovvero quello di assumere il ruolo di utili idioti, che tanto conviene.

È in gioco anche un fatto generazionale? Sì, diciamola tutta: cosa importa a un settantenne se fra 50 anni non si potrà più respirare per mancanza di ossigeno nell’atmosfera? Sarà morto da lunga pezza, mentre la generazione della Thumberg avverte come cocente la questione e purtroppo non ha le forze sufficienti per ribaltare un modo di produzione che si basa sullo scambio e che ha origini antiche, risalenti perlomeno agli anni successivi alla caduta dell'Impero romano. Siamo seri!

 

Qualche breve nota per concludere

Nel 1784, dopo la quarta guerra anglo-olandese, Henry Hope, un importantissimo uomo d’affari di Amsterdam, diceva « il capitalismo si ammala di frequente, ma non muore mai ». È quanto pensano gli intellettuali di quest’epoca, senza eccezione per quanti si definiscono di sinistra, perché non hanno capito e si rifiutano di capire una verità storica: il modo di produzione capitalistico è in una crisi irreversibile e tentare di rianimarlo con proposte stravaganti per mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, cioè ambiente e profitto, è ingannevole oltre che illusorio e fuorviante. Indicare nel potere politico il responsabile dei disastri ambientali vuol dire non attrezzare le nuove generazioni a una guerra vera e propria contro un modo d’essere dell’uomo che nel corso dei secoli ha sedimentato un modo di produzione che è arrivato a questo punto. Un punto nel quale non compare più come prima l’ipotesi che indicava lo storico Braudel in chiusa del suo terzo volume, I tempi del mondo « potendo scegliere, il capitalismo ha la facoltà, in qualsiasi momento, di virare di bordo: è il segreto della sua vitalità ». Braudel, da storico, appiattisce tutto un corso storico in una coazione modellistica, capace di ripetersi all’infinito, negando così la temporalità del capitalismo come modo di produzione.

Detto altrimenti Braudel non poteva capire che quelle dinamiche che lui descriveva per il Rinascimento avrebbero gonfiato i tempi del moto-modo di produzione fino a determinare poi i fattori di una implosione catastrofica come quella che si addensa minacciosa all’orizzonte.

Ora da uno storico apprezziamo lo sforzo per la descrizioni dei fatti, l’impegno profuso per la ricerca e quant’altro, di averli anche esposti relazionandoli deterministicamente ai fattori oggettivi, ma ne cogliamo i limiti e ne critichiamo le proiezioni dello sviluppo futuro che pretende di indicare.

Allo stesso modo volgiamo lo sguardo a tutte le branche della scienza, evitando di tacciarle per borghesi e antiproletarie, come se esistessero le scienze relative alle classi. Questa è una posizione che certo marxismo del ‘900 aveva introdotto e che è evaporata insieme a tante altre metafisiche convinzioni.

Le varie branche della scienza, come pure della cultura, vengono tutte attratte da una sorta di legge gravitazionale che ne determina le finalità. Si tratta di un limite che non possono superare gli scienziati, di fatti il fisico Giorgio Parisi più che denunciare il fatto che « esiste il problema della concorrenza fra le nazioni », la famosa legge gravitazionale, poi è costretto ad arrampicarsi sugli specchi, tentando di fare delle proposte nelle quali lui stesso non ci crede.

Si vuole un esempio del tipo di rapporto che esiste tra la scienza e il modo di produzione capitalistico? Bene. Sempre dal Corriere della sera leggiamo: « Un volo spaziale di Bezos? Inquina quanto 1 miliardo di poveri (in tutta la vita). Oxfam fa i conti: 75 tonnellate di CO2 per viaggio ».

Chi gliel’ho può impedire? Giorgio Parisi? Ecco la questione nuda e cruda.

* * * * 

Appendice

Discorso completo di Greta Thunberg alla Cop26 a Glasgow

"Non è un segreto che Cop26 sia un fallimento. Dovrebbe essere ovvio che non possiamo risolvere la crisi climatica con gli stessi metodi che l’hanno provocata. E sempre più gente se ne sta rendendo conto. Molti si stanno chiedendo, cosa servirà ai potenti per svegliarsi, ma, sia chiaro, loro sono già svegli, sanno esattamente cosa stanno facendo e che prezzo e valore stanno sacrificando perché le cose continuino come in passato. Stanno attivamente creando scappatoie e formulando scenari da cui trarre beneficio per loro stessi e a guadagnare da questo sistema distruttivo. È la scelta fatta dai nostri leader: continuare lo sfruttamento di persone e natura e la distruzione delle presenti e future condizioni di vita.

La conferenza si è trasformata in un evento pubblicitario, dove i leader fanno discorsi bellissimi e annunciano splendidi target e impegni, mentre sotto la superficie i governi dei Paesi del nord del mondo rifiutano ancora di prendere azioni drastiche contro il cambiamento climatico. Sembra che il loro obiettivo principale sia combattere per il mantenimento dello status quo. E Cop26 è stata definita la Cop più esclusiva di sempre. Questa non è una conferenza globale sul clima, ma un festival del greenwashing dei Paesi del nord del mondo.

Una celebrazione di due settimane del 'business as usual' e del 'bla bla bla'. Le persone più colpite nelle aree più colpite dal cambiamento climatico rimangono inascoltate. E le voci delle generazioni future stanno affogando nel loro greenwashing, nelle loro parole e promesse vuote. Ma i fatti non mentono e noi sappiamo che tutti gli imperatori sono nudi. Per stare al di sotto dei target descritti dagli Accordi di Parigi e perciò minimizzare il rischio di far partire delle reazioni a catena irreversibili oltre il controllo umano abbiamo bisogno di tagli delle emissioni che siano immediati, drastici, annuali, diversi da qualsiasi cosa il mondo abbia visto finora. E siccome non abbiamo le soluzioni tecnologiche che da sole potrebbero ottenere un risultato anche minimamente vicino, dobbiamo cambiare nel profondo la nostra società. Questo è il risultato scomodo dei continui fallimenti dei nostri leader nel rispondere alla crisi. Con questi livelli di emissioni, i nostri budget rimasti di CO2 per stare ben al di sotto dei 1,5 gradi ce li giocheremo entro la fine del decennio.

E la crisi ecologica e climatica ovviamente non esiste nel vuoto. È legata direttamente ad altre crisi e ingiustizie che vanno indietro fino al colonialismo e oltre. Crisi basate sull'idea che alcune persone valgono più di altre e perciò hanno il diritto di rubare dagli altri, sfruttarli e prendere le loro terre e risorse. Ed è davvero naive da parte nostra pensare che potremo risolvere questa crisi senza andare alla sua radice. Di questo non si parla in questa Cop, è troppo scomodo.

È più facile per loro ignorare il debito storico che i Paesi del nord globale hanno verso le persone e le aree più colpite. E la domanda che dobbiamo porci adesso è: per cosa stiamo combattendo? Stiamo combattendo per salvare noi stessi e il pianeta o per far sì che le cose continuino a essere come sempre sono state? I nostri leader sono convinti di poter avere entrambe. Ma la triste realtà è che non è possibile nella pratica. I potenti possono continuare a vivere nella loro bolla con le loro fantasie, come una crescita eterna su un pianeta finito e soluzioni tecnologiche che appaiono all'improvviso dal nulla azzerando tutte queste crisi a schiocco di dita. E questo mentre il mondo è letteralmente in fiamme e le persone più esposte stanno ancora sopportando il peso più grande del cambiamento climatico.

Possono continuare a ignorare le conseguenze della loro inazione, ma la Storia li giudicherà molto male e noi non accetteremo [la loro ignoranza]. Non abbiamo più bisogno di target distanti e non vincolanti. Non abbiamo bisogno di altre vane promesse. Non abbiamo bisogno di impegni pieni di scappatoie e statistiche incomplete che ignorano le emissioni storiche e la giustizia climatica. E invece è quanto stiamo ricevendo. Non è una cosa radicale da dire. Guardate ai precedenti: abbiamo avuto 26 Cop, abbiamo avuto decadi di 'bla bla bla' e dove ci hanno portato? Più del 50 per cento delle emissioni mondiali sono state prodotte dagli anni Novanta e un terzo dal 2005.

Tutto questo mentre i media riportano quello che i politici dicono di fare, senza parlare di quello che fanno realmente. Più e più volte i media falliscono nel mettere i potenti di fronte alla responsabilità delle loro azioni. Nel frattempo questi continuano a espandere le infrastrutture fossili, aprendo nuove miniere di carbone, centrali a carbone, assegnando nuove licenze per estrarre petrolio, rifiutandosi di fare persino il minimo, come tener fede alle lunghe promesse di investire per risarcire le perdite dei Paesi più vulnerabili e meno responsabili del cambiamento climatico. È vergognoso.

Alcune persone dicono che siamo troppo radicali, ma la verità è che sono loro quelli radicali. Combattere per salvare i nostri sistemi di supporto vitale non è per niente radicale. Credere che la nostra civiltà come la conosciamo possa sopravvivere a un incremento di 2,7-3 gradi, d'altro canto, è l'unica cosa veramente radicale: è pura follia.

Qui fuori noi diciamo la verità. La gente al potere ha ovviamente paura della verità. Ma non importa quanto ci provino, non possono scappare alla sua evidenza. Non possono ignorare il consenso scientifico e non posso soprattutto ignorare noi, la gente, loro figli inclusi. Non possono ignorare le nostre urla mentre reclamiamo il potere. Siamo stanchi dei loro bla bla bla. I nostri leader non ci stanno portando da nessuna parte. Questa [indica la platea] è vera leadership". 

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Comments

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Mario M
Saturday, 13 November 2021 06:55
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La domanda è: non chi, ma cosa ha prodotto i cambiamenti climatici? Come pure cosa ha prodotto la pandemia attuale che sta sconvolgendo gli equilibri sin qui determinati nei rapporti sociali?


Sono due invenzioni, menzogne per tenere sotto scacco i popoli. Sulla falsa pandemia qui sono apparsi innumerevoli articoli, mentre gli sciocchi allarmismi sui cambiamenti climatici sono stati lanciati parecchi decenni fa da Aurelio Peccei, e poi Al Gore. Ricordo che si prospettavano catastrofi immani , come lo scioglimento delle calotte polari e l'aumento dei livelli del mare. Purtroppo si copre il vero inquinamento, dei suoli delle acque dell'urbanistica, con un falso inquinamento.
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