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manifesto

Rifiuti, gli affari dell'inceneritore

Guido Viale

riciclaggioIl trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani (Mbt) opera sulla frazione talquale che residua da una raccolta differenziata (Rd): separando la parte umida, sfuggita alla raccolta dell'organico, da quella secca (la carta e soprattutto la plastica che non costituisce imballaggio e che non è oggetto di Rd) ed entrambe dal «sottovaglio», frammenti che cadono dai setacci attraverso cui passa il materiale conferito all'impianto. La parte umida viene sottoposta a un processo di stabilizzazione analogo al compostaggio, ma più rapido, e dopo la raffinazione che ne elimina le impurità, produce la frazione organica stabilizzata (Fos) usata per coprire discariche e cave dismesse o per risanare suoli contaminati. Le caratteristiche dei due processi sono uguali: se aumenta la Rd dell'organico, una parte crescente dell'impianto Mbt può essere adibita alla produzione di compost di qualità.

La parte secca, dopo averne sottratto i materiali non combustibili, viene imballata per alimentare gli inceneritori; oppure, addizionata con materiali con maggiore potere calorifico inferiore (Pci), soprattutto pneumatici fuori uso, diventa Cdr, che vuol dire combustibile derivato dai rifiuti, che può in parte sostituire carbone e petrolio in impianti dotati di adeguati filtri delle emissioni (cementifici, centrali termoelettriche, fornaci, impianti siderurgici); oppure può venir gassificato e sostituire il gas naturale in centrali a turbogas; o addirittura venir utilizzato come combustibile nelle navi. L'aumento del prezzo del petrolio ha reso questo combustibile molto attraente. In discarica finisce solo il sottovaglio.

Gli impianti Mbt recuperano pertanto sia l'energia dei materiali (che l'inceneritore sfrutta solo al 20%), sia quella impiegata per produrli che l'inceneritore invece distrugge. Ma si può ancora estrarre dalla frazione secca molta carta e plastica riciclabile. Impianti particolarmente innovativi, come quello di Vedelago (Tv), consentono un recupero integrale di tutta la frazione indifferenziata: l'ultimo residuo, adeguatamente trattato, viene infatti utilizzato come carica inerte nella produzione di manufatti in cemento.

In Italia gli impianti Mbt sono numerosi. Ma nessuna regione ne ha una dotazione paragonabile a quella della Campania. I cosiddetti Cdr sono infatti impianti Mbt concepiti per lavorare rifiuto talquale ai due stadi iniziali: stabilizzazione dell'umido e imballaggio del residuo combustibile; ma potrebbero facilmente essere potenziati per portare a termine il recupero «a freddo» (cioè senza combustione) di tutti i rifiuti conferiti. I Cdr campani sono sette, con una capacità complessiva di oltre 8.000 tonnellate al giorno: quanto basta per «lavorare» tutti i rifiuti indifferenziati della regione (che sono 6.500 tonnellate al giorno) con abbondante capacità residua per coprire rotture e manutenzioni.

Sono di costruzione recente; sono costati 270 milioni di euro e, a differenza dell'inceneritore di Acerra, che è un progetto di quarant'anni fa ancora fermo per difetti di progettazione, i Cdr sono impianti moderni. Impiegavano - il Dl 90 ne decreta la dismissione - 550 lavoratori metalmeccanici, tutti dotati di alta professionalità acquisita soprattutto on the job: tanto che sono stati in grado di mandare avanti gli impianti anche in assenza dei loro sette direttori, arrestati insieme ai vertici della Protezione civile.

Ma allora, se i Cdr campani sono sostanzialmente «buoni»; in grado di lavorare tutti i rifiuti urbani della regione, se per i materiali che escono dagli impianti esistono sbocchi commerciali convenienti, in termini sia economici (frazione secca) che ambientali (Fos), a che cosa mai è dovuto il disastro della Campania? All'inceneritore.

Nei piani del gruppo Fibe-Impregilo, che li ha gestiti fino al 2006 e li ha ancora adesso in carico, i Cdr non servivano a trasformare i rifiuti in materiali da vendere o riutilizzare, ma a produrre combustibile per l'inceneritore di Acerra (e per gli altri a venire). Perché, grazie all'incentivo cosiddetto Cip6, che consente di vendere l'energia elettrica prodotta bruciando rifiuti a un prezzo triplo del suo costo di produzione di un impianto termoelettrico (incentivo abolito, ma reintrodotto da Prodi per l'inceneritore di Acerra ed esteso da un emendamento del Pd a tutti i futuri inceneritori campani, in barba ai divieti dell'Unione Europea), quegli inceneritori trasformano la merda in oro: quanta più merda, tanto più oro.

Per questo in Campania non c'era e non c'è convenienza a fare Rd, che sottrae materiale all'inceneritore; né a far lavorare bene i Cdr, che fin dall'inizio sono stati spinti al massimo raddoppiando addirittura i volumi trattati: tanto tutto sarebbe finito in mano a Re Mida l'Inceneritore e, in attesa che entrasse in funzione, sono stati accumulati milioni di «ecoballe» maleodoranti, come fossero tanti barili di petrolio: tanto da usarle come garanzia bancaria dei crediti concessi a Fibe; senza Cip6, quelle ecoballe non sarebbero che mutui subprime.

Per questo con l'apertura dei Cdr erano state chiuse tutte le discariche, perché niente sfuggisse alla voracità dell'inceneritore e la frazione umida, che non brucia, è stata abbandonata a marcire nei capannoni di lavorazione, infestati da puzza, ratti e insetti con cui gli operai devono lavorare gomito a gomito.
Ma il vero disastro è arrivato quando alla gestione Fibe è subentrata quella diretta dei commissari. La Fibe sottoponeva i Cdr a una pressione insostenibile per «produrre di più», anche se sempre peggio, ma non dimenticava che gli impianti industriali hanno bisogno di manutenzione e, quindi, di pause, fermo macchine, riparazioni, pezzi di ricambio, imprese esterne specializzate, ecc. I commissari no: per loro i Cdr erano solo discariche per produrre «merdaccia», come emerge dalle intercettazioni dei vertici della Protezione civile. Tanto entrava, tanto doveva uscire nel più breve tempo possibile; con gli operai costretti a lavorare in condizioni di pericolo continuo per lo sforzo a cui venivano sottoposti uomini e macchine, per l'incuria che ha accentuato il degrado degli impianti: ugelli ostruiti dalla sporcizia; impianti di aspirazione guasti; nastri trasportatori che si spezzano e «saltano» in faccia agli operatori; gruisti a contatto diretto con i rifiuti per la rottura delle schermature, ecc.

Insomma, se l'emergenza rifiuti è il frutto avvelenato dell'inerzia iniziale delle Giunte campane, i cui presidenti sono peraltro stati commissari, il suo aggravamento è effetto, e non causa, della perpetuazione del commissariamento e di chi ne ha preso il posto.

Così, chiusi per decreto governativo in attesa degli inceneritori dove bruciare tutto, ecoballe e rifiuti tossici compresi, i Cdr, che insieme alla raccolta differenziata e alle politiche di riduzione, rappresentano la soluzione industriale moderna nella gestione dei rifiuti, si torna alla discarica; anzi alle undici discariche in cui il Dl 90 intende stipare per parecchi anni a venire tutto quello che non si è saputo e voluto sottoporre a trattamento meccanico biologico, pur avendo a disposizione una impiantistica straordinaria per farlo.

 

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