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sinistra

La natura deterministica di questa guerra

di ALGAMICA*

2G8GBW8 3.jpgDi fronte alla aggressione terrorista dello Stato di Israle contro l’Iran, che fa il lavoro sporco per conto dell’Occidente, e agli Stati Uniti, che dopo tanto tentennare, sono intervenuti con i loro bombardieri B-2, molti temono che si sia oltrepassata una linea rossa. Tutto sta precipitando improvvisamente verso gli scenari politici, sociali e militari del secolo scorso?

Prima di addentrarci su questa domanda vogliamo chiarire un punto. Israele aggredisce perchè insieme all’Occidente, si è ficcato in un vicolo cieco nel genocidio del popolo palestinese, nella deportazione di tutti i palestinesi da Gaza. In sostanza agisce in preda a una crisi esistenziale infiammando l’intera area mediorientale. Gli Stati Uniti, che non vorrebbero impantanarsi in guerre che non possono vincere fino in fondo – basta vedere come è andata a finire per l’invicibile armada contro lo Yemen degli Houthi – di fronte a un pazzo che getta una bomba dentro una sala dove stai negoziando, è assalito dal dubbio amletico: « vorrei rilanciare l’american dream smettendo di promuovere guerre infinite, ma la guerra infinita è arrivata a me, mi lascio trascinare o non mi lascio trascinare? Temporeggio due settimane oppure agisco immediatamente sperando di risolvere il tutto con un paio delle mie super bombe? »

Dietro alla retorica anche per gli Stati Uniti e, di conseguenza, per l’insieme dell’Occidente, si pone lo stessa dilemma esistenziale. Sotto i colpi di una crisi generale dell’accumulazione e una crisi demografica, la cosiddetta civiltà occidentale si trova a dover segnare il passo in Africa, in Medio Oriente in Asia e in America Latina. La questione palestinese, anch’essa irrisolvibile nell’attuale quadro. Nonostante questi mesi abbiano segnato passaggi a favore di Israele, nel genocidio di Gaza e nella frantumazione della Siria cannibalizzata, lo Stato sionista non è in grado di reinvertire il corso della sua crisi. Circa l’aggressione militare israeliana all’Iran, Steve Bannon lucidamente sintetizzava il dilemma che continua a logorare gli Stati Uniti attraverso una domanda rivolta all’establishment israeliano:

« perchè avete iniziato contro l’Iran una guerra che sapevate non sareste stati in grado di portare a termine senza il nostro coinvolgimento diretto? Ci sono risposte? ».

Bannon, che è espressione di parte del movimento Maga che osteggia il coinvolgimento in guerra da parte degli Stati Uniti, non comprende il semplice fatto che gli USA già erano mani e piedi impatanati e direttamente coinvolti militarmente. Optare per una scelta razionale differente presuppone che l’Occidente possa fornire una soluziona normalizzatrice della questione palestinese compatibile con gli interessi occidentali e di Israele, una soluzione che non c’è. Così come presupporebbe una soluzione nei confronti di un braccio di ferro contro l’Iran che va avanti dal 1979, ossia da quando quel paese realizzò una straordinaria rivoluzione popolare che cacciò lo Scià e liberò il paese dal dominio anglo americano. Per gli Stati Uniti, per Trump e per Bannon vale la stessa legge impersonale che ha imposto ai contadini americani di votare contro il proprio interesse, per il canditato repubblicano che prospettava e che sta realizzando la deportazione di massa degli immigrati non regolari e ora si trovano sull’orlo della bancarotta perchè a corto di forza lavoro. Il bivio cui gli Stati Uniti sono posti di fronte alla crisi esistenziale di Israele è la loro stessa crisi. Ogni ipotesi di scelta sfugge alla razionalità perchè l’universo è deterministico e non mosso dalla ragione, ogni decisione è una vera cicuta da ingoiare. Ora gli Stati Uniti si aspetterebbero una condizione di resa da parte dell’Iran e scongiurare l’ennesima guerra infinita contro gli interessi immediati di quella middle class disperata che vorrebbe l’America di nuovo grande. Solo che se Israele e gli Stati Uniti sono alle prese con una crisi esistenziale, tale è anche quella che l’Iran è costretta ad affrontare.

Da quel dì, quando l’Iran riprese possesso delle materie prime e del petrolio sottraendolo alla rapina delle multinazionali anglo americane, è stato dipinto dall’Occidente come uno dei mali assoluti del tempo moderno. L’establishment occidentale fa di tutto per descrivere l’Iran come un paese da sconfiggere in quanto autocratico, oscurantista e origine di tutti i mali del Medio Oriente.

Eppure in tutta la storia moderna e contemporanea l’Iran non ha mai mosso guerra contro alcun paese confinante. Non ha mai occupato militarmente alcuna nazione vicina. Semmai l’Iran è stato costretto a difendersi per otto anni in una guerra che l’Iraq intraprese per conto degli Stati Uniti d’America e pro domo sua. Ed è l’Iran che ha subito una successione di attacchi terroristici da parte di Israele fino ai bombardamenti a tappeto di questi giorni.

Non veniteci a contestare « ma l’arma nucleare, dove la mettete? »

Siamo seri qui la bugia, messa in scena con minore teatralità, è ancora più grossa di quella che Colin Powell inscenò alle nazioni unite contro l’Iraq e le presunte armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Lì la verità venne a galla dopo un vero massacro e la distruzione di un intero paese che costò la vita a più di 150 mila persone durante i primi mesi dell’invasione militare e successivamente a causa dell’occupazione militare degli occidentali le vittime irachene furono più di un milione.

Si è detto, che in questo caso l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) abbia fornito le prove dell’atomica iraniana. Passano meno di sei giorni dall’inizio dei bombardamenti israeliani su Teheran che lo stesso Rafel Grossi, Direttore Generale dell’AIEA, svela la menzogna in una intervista pubblica rivolta all’opinione pubblica mondiale « … Quello che abbiamo detto e riferito è che non avevamo alcuna prova di uno sforzo sistematico da parte dell’Iran per arrivare a un’arma nucleare. »

Allora ci si arrampica sugli specchi, l’Iran la starebbe fabbricando in qualche posto davvero nascosto e inaccessibile, lontano dagli occhi dei solerti ispettori prezzolati. Oppure perché l’Iran è il grande regista del 7 ottobre 2023. Anche se a dir la verità fino al 13 giugno si era limitato ad azioni contenute e sempre in risposta a reiterati attacchi terroristici compiuti da Israele. Alla fine si impugna l’argomento principe che dovrebbe metter daccordo tutti: bombardiamo a tappeto l’Iran per liberare le donne iraniane. Solo che la libertà richiede condizioni materiali, condizioni che 500 anni di oppressione coloniale le ha derubate a quello che oggi viene chiamato Sud Globale o Oriente.

 

Il problema di fondo

La Palestina è la punta di un iceberg più generale. Questo è rappresentato da un sommovimento tellurico profondo che scuote l’Occidente. La crisi dell’accumulazione che fin qui ha costretto i paesi più avanzati a deindustrializzare e delocalizzare. Dopo quarant’anni l’Occidente è divenuto sempre più dipendente, per l’incapacità di produrre merci e macchinari in modo competitivo nei confronti di tutti i paesi che producono materie prime, che rincorrono i paesi occidentali e che, proteggendo le proprie risorse vorrebbero svilupparsi. E’ una contesa mondiale che contrappone quella che potremmo definire la campagna globale sfruttata che dà da mangiare alla metropoli sempre più improduttiva, decadente e che solo consuma per poi gettare l’immondizia a quelli cui rimangono solo le briciole. I principali bersagli di questa offensiva sono certamente proprio i paesi che in virtù della numerosità della popolazione e delle circostanze storiche e sociali stanno provando a emanciparsi dal ruolo imposto nella catena mondiale di meri paesi produttori di materie prime.

Questo è proprio il caso dell’Iran. Perchè a dispetto delle sanzioni economiche che perdurano da decenni, il petrolio è una merce primaria talmente necessaria per cui non si può evitare che essa circoli sui mercati di scambio. Mercati che hanno consentito al paese persiano di sviluppare gli scambi internazionali, magari non con l’Occidente, ma sul mercato asiatico, con la Cina e con parte delle nazioni africane. Sicuramente è un paese il cui stesso percorso precedente e successivo alla rivoluzione del 1979 ha determinato contraddizioni sociali composite al proprio interno e finanche il nostalgico ritorno sotto il protettorato occidentale. Si è provato di tutto per strumentalizzare pro domo imperialista queste contraddizioni.

Ma a quanto pare, nonostante il legame con la rivoluzione del 1979 si sia affievolita in strati compositi e trasversali delle nuove generazioni e dei nuovi ceti medi, l’alternativa di tornare a essere governati dallo Scià in una democrazia liberale asservita agli interessi occidentali non trova i consensi maggioritari che l’insieme dell’establishment liberista auspica. Constatiamo che in questi giorni anche in fasce composite di settori sociali critici verso il “regime”, di fronte ai bombardamenti di Israele e le minacce degli Stati Uniti stia prevalendo lo spirito di solidarietà in una nazione che vuol essere indipendente e fiera della sua millenaria storia. Sul versante dell’aggressore viceversa il governo Trump avrà difficoltà a tenere coesa l’America, ancora di più se dovesse scivolare nella guerra infinita. Mentre l’establishment europeo è sempre più confuso e in balia del canto del cigno di un insieme di nazioni che ancora galleggiano in virtù di cinque secoli di colonialismo, schiavitù e razzismo.

L’Iran con le aspirazioni da “imperialismo d’area”? Ma per favore, non diciamo sciocchezze. L’imperialismo è quella peculiare capacità che si determina all’interno di un modo di produzione unitario, combinato e diseguale, per cui certi paesi hanno ottenuto in conseguenza del monopolio nella produzione di macchinari, di macchinari che producono macchinari, conseguentemente di asset finanziari e di vantaggio sul mercato delle merci, la capacità di imporre il monopolio della violenza militare, coloniale, della proprietà di fatto delle terre e dell’esproprio delle materie prime. E che nella legge dello scambio dispiega la sistematica violenza a vantaggio dello strozzino.

Una peculiarità che l’Iran non ha. Chi avanza certe balordaggini alla fine si accoderà alla legittimazione dello strozzinaggio perchè tutto sommato la “civiltà dell’occidente” deve essere difesa dall’incalzare di paesi che ci rincorrono dipinti come “arretrati”, “oscurantisti” e non democratici.

Se in questi decenni le sanzioni imposte all’Iran da parte dell’Occidente, cui i governi compiacenti arabi si sono accodati, l’isolamento imposto al paese persiano è divenuto una opportunità per chi nell’area prova a scrollarsi di dosso l’oppressione neocoloniale dell’occidente. Per il semplice motivo che il paese persiano è l’unico paese dell’area che ha mantenuto una integrità territoriale e identitaria fondata sulla tradizione millenaria della Persia, che ha mantenuto durante la dominazione coloniale britannica e poi statunitense. Un fattore materiale che viceversa non si è dato per il resto delle nazioni arabe del Medio Oriente, che viceversa (come del resto in Africa) hanno dovuto affrontare i termini del proprio sviluppo sulla base di confini nazionali fittizzi e inventati dal colonialismo. Oggi l’Iran non solo è uno dei principali paesi produttori di petrolio e idrocarburi al mondo, ma anche un importantissimo snodo per la circolazione delle merci tra Cina, Asia e Africa e Europa. Ma l’isolamento imposto dagli occidentali tramite le sanzioni in conseguenza della rivoluzione del 1979, realizza per le leggi impersonali del mercato una opportunità per chi è costretto a ribellarsi al dominio neocoloniale imperialista e allo Stato sionista di Israele. Conseguentemente lo scambio determina una condivisione culturale, politica e ideologica.

La verità nascosta dal muro delle bugie è che l’intenzione dell’Occidente è da più di quaranta anni sempre la stessa: smantellare ogni velleità dell’Iran di affrancarsi dal ruolo di paese solo produttore di petrolio e di materie prime. Cosa che nei piani del paese persiano significa anche corrispondere al fabbisogno energetico anche mediante altre fonti e non solo tramite il petrolio, appunto riuscire a coprirlo anche in piccola parte mediante il nucleare civile. Un obiettivo che renderebbe la Repubblica Islamica meno sottomessa alle sanzioni economiche dell’Occidente che non può rinunciare a controllare il petrolio e le terre rare iraniane.

Per rendere ancora più chiara la relazione che intercorre quindi tra Iran e le varie resistenze anti occidentali e contro Israele, ci occore entrare nel merito della relazione che c’è tra Africa e Russia.

A fornirci i termini materialisti di questa è Ibrahim Traorè che meglio di chiunque altro ha compreso quale è il ruolo oggettivo che la Russia è costretta a svolgere all’interno di questa relazione. Il Sahel sta vivendo un moto rivoluzionario e il giovane rivoluzionario presidente del Burkina Faso, forte delle necessità rivoluzionarie dell’Africa, può rivolgersi a Putin senza mezzi termini: « capiamo perfettamente il momento difficile che la Russia sta affrontando, sottoposta alle sanzioni economiche e all’offensiva dell’imperialismo. Nonostante tutto la vostra difficoltà è per noi nazioni africane una opportunità. Per questo non solo vogliamo rafforzare la relazione già esistente tra i nostri paesi, ma vogliamo proporvi » attenzione ai termini « una cooperazione anche su altri piani che per noi sono davvero necessari. Ho visitato la vostra Accademia delle Scienze e vi chiediamo di aiutarci a sviluppare le nostre università, formare i giovani e acquisire quelle competenze per svilupparci in maniera autonoma ».

Dunque, non di scambio secondo la legge del valore, ma di cooperazione alle condizioni e ai bisogni dei paesi africani che stanno provando a prendere a calci nel sedere USA, Francia e UE.

Anche qui: quale è la relazione tra Russia e Africa? Ci troviamo in questa fase ad aspirazioni imperialiste della Russia sull’Africa, oppure abbiamo nazioni africane che si ribellano all’oppressione coloniale e che sfruttano a proprio vantaggio una limitatezza della Russia sottoposta a sanzioni e che nella storia non si è mai macchiata dei crimini del colonialismo in Africa? Per la massa dei giovani africani la Russia appare per quello che oggettivamente è in questa fase: per motivi di sopravvivenza e delle leggi di un modo di produzione è costretta a interpretare un ruolo di denuncia dell’imperialismo in Africa e a dover valutare accordi di vera cooperazione avanzate dal processo rivoluzionario del Sahel, tanto per fare un esempio.

Dunque la Russia entra in una relazione materiale di scambio tra paesi produttori di materie prime e di beni primari essenziali che servono al risorgimento di una nazione integra e unificata alle prese con il criminale lascito coloniale, primo fra tutti un vero esercito nazionale e una alleanza militare unificata nel Sahel. In queste settimane le milizie della Wagner stanno lasciando la regione del Sahel salutate dalle giovani masse africane che le ringraziano. Le ringraziano per essere stati appoggiati quando si sono sollevate in Burkina Faso, Mali e Niger contro la presenza militare francese e degli occidentali, che da un lato finanziavano i mercenari islamisti al loro servizio, dall’altro si impegnavano affinché le nazioni del Sahel fossero sprovviste di un esercito e di ufficiali addestrati e riforniti di mezzi. In sostanza il Sahel in una prima fase ha chiesto i mezzi per potersi liberare da una occupazione neocoloniale e ora pone sul piatto della relazione la sua domanda in base ai suoi bisogni rivoluzionari di sviluppo indipendente dall’imperialismo.

Vogliamo fare un altro esempio storico. Successivamente alla straordinaria rivoluzione russa del 1917 e la guerra civile contro i tentativi interni ed esterni per sovvertirla, si poneva la necessità di sfamare la città a fronte di una agricoltura priva di macchinari. Nelle fabbriche di Kharkiv, dell’odierna Ucraina, si producevano i trattori che avrebbero dovuto sviluppare l’agricoltura russa. Ma erano impianti dotati con gli obsoleti macchinari dell’industrialismo del periodo zarista di quarant’anni indietro rispetto allo sviluppo industriale delle nazioni imperialiste. Nel 1927, di fronte alla prospettiva di pesanti carestie e una produzione agricola sprovvista di meccanizzazione, i bolscevichi iniziarono a guardarsi intorno su quali paesi e quali imprese potessero aiutarli a modernizzare la produzione. Contattarono ufficialmente la statunitense Caterpillar che negli ultimi 30 anni era divenuta leader mondiale nell’ingegnerizzazione di impianti di produzione per macchinari. Circa 40 bolscevichi e ingegneri sovietici si recarono a Detroit negli uffici dell’industria statunitense. Dopo due mesi di presa visione delle proposte ingegneristiche e dei termini economico finanziari capestro che la corporation statunitense esigeva, l’ingegnere capo e direttore della spedizione Kazimir Petrovich Lovin scrisse il 6 marzo 1930 la seguente lettera ai suoi collaboratori e ai delegati russi:

« Ho poche speranze di un esito favorevole delle trattative con Caterpillar. Il tempo sta irrimediabilmente scadendo e, a quanto pare, sarà necessario lavorare con le forze del nostro ufficio con l’aiuto di un’altra azienda di trattori secondaria e di singoli specialisti americani. Questo richiederà molto più tempo. Abbiamo già perso due mesi ».

Quali erano i termini dell’accordo? Il colosso americano chiedeva 3,5 milioni di dollari per il progetto del loro impianto e vietava all’URSS di esportare per 20 anni i trattori su licenza prodotti negli impianti da loro progettati.

Questo è il tipo di scambio e di relazione che i paesi imperialisti dediti allo strozzinaggio perseguono, impongono e attuano nel corso della storia. La Russia riuscì in parte negli anni a realizzare quanto necessario. L’accelerazione decisiva avvenne durante la seconda guerra mondiale, quando nel 1941 con il Lend and Lease Act gli Stati Uniti offrirono all’Unione Sovietica condizioni di vendita “migliori” per gli armamenti, per le tecnologie di lavorazione delle leghe di ferro e per la fornitura di moderne locomotive. In cambio l’Unione Sovietica versò un tributo di sangue incalcolabile nella seconda guerra mondiale che contribuì alla affermazione degli Stati Uniti sul mercato mondiale e del liberismo contro il nazifascismo. Per quanto riguardava le condizioni di pagamento “dilazionato”, si prevedeva che la Russia avrebbe potuto estinguere le ultime rate entro il 2030.

 

Terza guerra mondiale?

Siamo contrari a questa semplificazione per motivi storici e per motivi di cicli dell’accumulazione mondiale. Le due guerre mondiali del secolo scorso si inserirono in un ciclo di sviluppo tumultuoso della accumulazione mondiale. Le “crisi” erano dettate da una nuova forma del mercato mondiale, che sulla spinta appunto di quel violento sviluppo, necessariamente dovevano spezzare i limiti imposti dal mercato mondiale definito secondo le rigide barriere del vecchio colonialismo. Furono guerre tra briganti imperialisti che si contendevano nuove praterie e aree di saccheggio e rapina che, in conseguenza dello sbriciolamento di quegli imperi meno dotati di capacità produttive, si andavano liberando. E soprattutto su chi avrebbe esercitato il predominio mondiale sul mondo democraticamente liberato.

Va anche riconosciuto, cosa che gli storici si rifiutano di farlo (compresi quelli di sinistra o di sinistra radicale), che la parte maggioritaria della carne da macello portata sui fronti di guerra era composta da un lato da lavoratori contadini poveri dell’Europa e in grandissimo numero da giovani reclutati con la forza dalle colonie che i paesi occidentali dominavano già da secoli. Quindi dal punto di vista delle popolazioni colonizzate, due guerre mondiali che andavano a definire il loro nuovo padrone.

Se per i lavoratori europei, all’indomani della seconda guerra mondiale si prospettavano possibilità di rivendicare all’interno di questo tumultuoso sviluppo una redistribuzione del progresso sociale, l’esito fu tutt’altro per i popoli colonizzati. In particolare per i popoli arabi del Levante e del Nord Africa si ergeva terroristicamente contro di loro lo stato colonialista di Israele, che agiva per conto degli interessi generali dell’Occidente democratico e del suo capofila americano.

Non facciamo previsioni se l’attuale scenario in Medio Oriente e in Asia minore, che vede impegnati Israele e Stati Uniti – e l’Europa alla loro coda – in una aggressione nei confronti dell’Iran, porterà a un ulteriore allargamento del teatro di guerra aperta. Oppure se l’attuale quadro rimarrà confinato all’unità di intenti di Stati Uniti, Europa e Israele – l’insieme dell’Occidente – che li vede terroristicamente attivi nel condurre il genocidio del popolo palestinese, aggredire lo Yemen, il Libano, cannibalizzare la Sira e demolire l’Iran. In ogni caso, per assenza di soluzioni, l’insieme dell’Occidente non potrà limitarsi a bombardare le popolazioni dai cieli, ma dovrà portare centinaia di migliaia di truppe se non milioni di soldati per sconfiggere chi è costretto a ribellarsi all’ordine neocoloniale. Questo è il dubbio amletico che sta lacerando gli Stati Uniti e scomponendo l’Occidente.

In ogni caso la sostanza materialistica di questo scenario di guerra allargato è del tutto diverso da quello delle guerre mondiali del secolo scorso.

Facciamo un piccolo esempio a chiarimento, nella speranza che la crisi di un modo di produzione che non ha sbocchi nè soluzioni contribuisca a imprimerlo nella memoria delle nuove generazioni in occidente.

Il 13 settembre 2023 al Parlamento di Strasburgo Ursula von der Leyen chiamò tutti i paese della EU a serrare i ranghi. Citiamo testuale « … pensiamo alla regione del Sahel, uno delle più povere ma in maggiore crescita demografica. La successione di colpi di stato militari » per noi riflesso agente di un moto rivoluzionario « renderanno la regione più instabile negli anni a venire. La Russia sta contemporaneamente influenzando e traendo vantaggio da queste crisi. E la regione è diventata terreno fertile per l’aumento del terrorismo. Questo è di diretto interesse per l’Europa, per la nostra sicurezza e per la nostra prosperità. Pertanto noi dobbiamo mostrare la stessa unità di intenti verso l’Africa così come l’abbiamo mostrata verso l’Ucraina ».

Così parla l’establishment della democrazia liberista, espressione delle necessità dell’imperialismo degli europei attaccati alla canna del gas. Una dichiarazione di guerra verso i paesi del Sahel e nei confronti dell’intero continente africano. Poi però il caso e la causalità hanno prodotto il 7 ottobre 2023 che è venuto a ingarbugliare ancora di più le cose per l’insieme dell’Occidente. Oggi mentre gli Stati Uniti promettono all’Iran che il loro coinvolgimento non si fermerà al bombardamento di questa notte, gli stessi Stati Uniti in questi mesi hanno iniziato un campagna politica e diplomatica rivolta alla comunità internazionale – ovvero al covo di briganti dell’Occidente – fatta della stessa zuppa di menzogne con le quali hanno legittimato la guerra all’Iraq, nei Balcani, in Libia e ora all’Iran. Ibrahim Traorè sarebbe un “dittatore” che ha sottratto le miniere d’oro alla compagnie occidentali, ma non per soddisfare i bisogni della sua gente che dobbiamo liberare. Si sanziona il Sud Africa perchè lì sarebbe in atto un genocidio dei coloni proprietari agricoli bianchi, i quali possiedono il 75% delle terre più fertili. Queste tesi, che alle persone di buon senso appaiono bizzarre e assurde, sono però fatte proprie da Ricardo Baretzky direttore dell’intelligence dell’Unione Europea che suggerisce come necessaria un redifinizione delle politiche della EU verso il Sud Africa e verso certe nazioni africane.

Da un lato c’è il moto rivoluzionario di paesi che sono costretti a riprendere il controllo delle materie prime, delle risorse della terra, in crescita demografica e che per svilupparsi in corrispondenza dei bisogni dei popoli sfruttati, sono costretti a intraprendere una lotta contro l’assetto del colonialismo e del neocolonialismo imperialista. Necessariamente non possono far altro che rivolgersi verso quelle nazioni che sono state poste dai processi della storia a non poter avere una relazione imperialista nei loro confronti, che hanno realizzato le più grandi rivoluzioni del secolo scorso e che si trovano per le leggi impersonali di un modo di produzione a svolgere un ruolo funzionale a chi insorge e si ribella.

Dall’altro l’insieme dell’Occidente in arretramento e in una fase di scomposizione se non di decomposizione barbarica, per cui il controllo delle materie prime diviene di necessità vitale per matenersi competitivo e aggressivo sul mercato mondiale.

Questo vuol dire quindi che ci schieriamo fin d’ora con Putin o con Khamenei? Non fate finta di non aver capito. Noi evidenziamo e sosteniamo in questa fase storica il ruolo oggettivo che si pone dinanzi alla Russia e all’Iran di una lotta epocale e rivoluzionaria. Ci sforziamo qui in Occidente di svolgere il lavoro necessario di chiarire i termini oggettivi dello scontro indipendentemente dalle forme esteriori e dalle personalità che il processo della crisi e della rivoluzione prepara: la forza dei bisogni degli oppressi e degli sfruttati contro cinque secoli di civiltà e di oppressione occidentale. È per questo che siamo contro l’Occidente.


* Alessio Galluppi, Michele Castaldo
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