Pensiero debole o debolezza del pensiero?
Considerazioni sul “comunismo ermeneutico” di Gianni Vattimo
di Salvatore Muscolino
Il 19 settembre 2023 è morto il filosofo italiano Gianni Vattimo che con la sua proposta di un “pensiero debole” è riuscito a guadagnarsi una notorietà anche all’estero al pari di filosofi come Emanuele Severino o Giorgio Agamben.
In questo breve contributo non intendo certamente ripercorrere tutto l’itinerario del suo pensiero quanto piuttosto riflettere su alcuni aspetti, a mio avviso, problematici del cosiddetto “pensiero debole”, in particolare nel suo legame con il “comunismo”. In un libello pubblicato nel 2007 intitolato ECCE COMU. Come si ridiventa ciò che si era, Vattimo sostiene infatti il legame profondo tra il “pensiero debole” e l’istanza ideale del comunismo. Considerato il fatto che egli è consapevole dell’apparente contraddizione tra il “pensiero debole”, che si inscrive all’interno della svolta postmoderna, e un “pensiero forte” come quello di Marx che rappresenta a tutti gli effetti una di quelle grandi narrazioni criticate da Lyotard, l’operazione da lui tentata va nella stessa direzione di altre proposte avanzate negli ultimi anni: individuare un presunto ideale del marxismo irriducibile alle deformazioni scientiste e positiviste (di cui sarebbero responsabili i successori di Marx) e che potrebbe rappresentare lo strumento per “resistere” al modello neoliberista oggi dominante.
A rendere altresì interessante la sua posizione è la circostanza per la quale Vattimo dichiara che la sua rielaborazione del “comunismo” si muove all’interno della cornice cattocomunista che da sempre lo avrebbe influenzato per cui marxismo, cristianesimo/cattolicesimo e “pensiero debole” si intreccerebbero tra loro in un mix particolare che rende questa operazione certamente originale e complessa in quanto si muove a un livello di discussione molto elevato che riguarda questioni delicate come il rapporto religione/metafisica/violenza, la secolarizzazione, il fondamento dei sistemi politici democratici…
In ECCE COMU, Vattimo sostiene che nel “pensiero debole” verrebbero attuate le istanze fondamentali della religione cristiana. Quest’ultima, soprattutto nella variante cattolica, avrebbe completamente stravolto il senso autentico dell’Incarnazione straformando il messaggio di liberazione totale dell’uomo proprio del Cristianesimo in una religione di precetti e di comandi gestiti dalla gerarchia ecclesiastica. Per Vattimo, al contrario, l’elemento centrale del Cristianesimo, cioè l’Incarnazione come kenosis, è un evento che deve essere collegato alla storia dell’essere intesa come indebolimento progressivo di tutte le strutture e di tutte le categorie che hanno permeato la tradizione metafisica occidentale e che sono all’origine di ogni forma di violenza: Incarnazione, quindi, come abbandono definitivo del Dio violento della metafisica. È evidente come questo Dio abbia «come suo tratto distintivo quella stessa vocazione all’indebolimento di cui parla la filosofia di ispirazione heideggeriana».
Ovviamente siamo in presenza di un’interpretazione filosofica del Cristianesimo che non è compatibile, io credo, con l’ortodossia cattolica ma che si pone come l’ennesima riproposizione di quella contrapposizione tra “spirito” e “legge” che da sempre caratterizza la storia della Chiesa.1 Emblematico, a questo riguardo, proprio il richiamo alle “tre età” del Cristianesimo di cui parlava Gioacchino da Fiore che consente a Vattimo di vedere nei processi di secolarizzazione (con la relativa fine della metafisica) il passaggio alla terza età, quella dello Spirito in cui la novità sarebbe rappresentata dall’intelligenza spirituale che va oltre l’interpretazione letterale della Scrittura.2
Se la tesi fondamentale del “pensiero debole” è che la storia umana sia una sorta di cammino verso l’indebolimento dell’essere e che l’età postmoderna sarebbe quella in cui si prende consapevolezza di questo destino, ecco allora che i due elementi convergono: la critica alla tradizione metafisica tradizionale implica anche quella verso tutte le forme di religione, Cristianesimo incluso, che non accettando tutte le implicazioni della svolta ermeneutica della filosofia contemporanea, continuano a ragionare in termini di verità, autorità, dogmi…
Vattimo considera l’ingresso nell’epoca postmoderna non soltanto come la fine delle grandi narrazioni ma anche come la possibilità invece di un ritorno a una religione autentica depurata finalmente dalle sue incrostazioni metafisiche. Ed è qui che il discorso sulla religione cristiana si salda a quello sulla secolarizzazione: «Riconosciuto nella sua “parentela” con il messaggio biblico della storia della salvezza e dell’incarnazione di Dio, l’indebolimento che la filosofia scopre come tratto caratteristico della storia dell’essere si chiama secolarizzazione, intesa nel senso più ampio, che abbraccia tutte le forme di dissoluzione del sacro caratteristiche del processo di civilizzazione moderno».3
La scomparsa del sacro si accompagna quindi alla progressiva dissoluzione di ogni principio fisso e stabile in base al quale si è preteso fino ad oggi di osservare, giudicare e descrivere la realtà. Riprendendo e sviluppando le critiche di Heidegger al carattere ontoteologico della tradizione metafisica occidentale, Vattimo invoca una “ontologia debole” che intende recuperare il discorso heideggeriano del Ge-Schick e l’affermazione che l’essere sia “evento” (Ereignis): il pensiero «non ha altra fonte di legittimazione al di fuori dell’effettiva apertura dell’essere entro cui si trova gettato».4
Come si coniuga questa svolta ermeneutica difesa da Vattimo che implica l’abbandono della metafisica e di ogni concezione essenzialista della realtà con il comunismo? Detta altrimenti: come far dialogare il blocco di pensiero rappresentato da Nietzsche/Heidegger con Marx?
Le idee presentate in ECCE COMU, vengono riprese e sviluppate qualche anno dopo nel volume intitolato Comunismo ermeneutico. Da Heidegger a Marx (2011) pubblicato insieme a Santiago Zabala. In questo lavoro, l’ideale comunista dell’emancipazione dell’uomo, il concetto di kenosis della tradizione cristiana e l’idea dell’indebolimento dell’essere di heideggeriana memoria portano alla teorizzazione di un vero e proprio “comunismo ermeneutico”.
Sul piano più propriamente teorico, Vattimo è consapevole che il comunismo non possa più essere difeso nella forma dogmatica che ne ha caratterizzato la vita nel Novecento per cui esso va considerato come «un principio regolativo e ispiratore per le nostre decisioni concrete»5 che si salda all’istanza centrale della svolta “ermeneutica” con il suo rifiuto della metafisica.6
Vattimo utilizza la parola “metafisica” ponendosi all’interno del filone Nietzsche – Heidegger- Derrida e attribuendola a tutte quelle posizioni che si fondano su un’idea oggettivistica di verità, di essere… La svolta ermeneutica della filosofia contemporanea invece avrebbe aperto la strada al “pensiero debole” che «diventa una teoria forte dell’indebolimento [dell’essere] come senso interpretativo della storia, un senso che si rivela emancipatorio proprio per via dei nemici che ha attratto».7 Tali nemici, nella sua ricostruzione, non sono altro che tutte quelle posizioni di pensiero e strutture di potere che nel corso della storia hanno imposto una logica di dominio basata su un presunto ordine naturale, cioè su una forma di “realismo” che, paradossalmente, ha finito con il trasformare la stessa filosofia in una serva del potere politico.8
A fronte di questo tradimento del sapere filosofico, che oggi si traduce in una sostanziale adesione al modello neoliberista, Vattimo difende l’eredità positiva del marxismo nella stessa direzione in cui si era mosso Derrida, già negli anni Novanta del Novecento, quando ne difendeva il carattere “spettrale”, cioè, da un lato, il suo essere stato sconfitto dalla storia e il suo essere, pertanto, rifiutato dall’orizzonte della cultura ma, dall’altro, il suo essere diventato l’unica forza di resistenza in un mondo in cui il capitalismo tende ad autoproclamarsi come l’ideale ultimo della storia umana.9
Senza dubbio, la rilettura del marxismo tramite lenti nietzschiane e heideggeriane proposta da Vattimo presenta tratti originali e, perché no, affascinanti. Tuttavia, credo che ci siano buoni motivi per sostenere la “debolezza” del “pensiero debole” sia sul versante descrittivo che su quello normativo. Diversi passaggi dell’argomentazione di Vattimo suscitano più di qualche perplessità in quanto sembrano troppo assertivi per non dire ideologicamente connotati. Per esempio quando, pur ammettendo il tradimento delle premesse emancipative del comunismo, egli afferma che i crimini del modello sovietico «fossero giustificabili, considerando le condizioni nelle quali Lenin e Stalin, specialmente quest’ultimo, dovevano governare con Hitler alle porte…».10 Sul piano storico e sul piano dell’interpretazione filosofica credo che tale giudizio sia abbastanza debole e non tenga in debito conto, per esempio, il ruolo costitutivo dell’uso politico della violenza nella tradizione che da Marx, tramite Sorel, arriva fino a Lenin e che, giustamente, ha tormentato le menti e i cuori di generazioni di marxisti europei (si pensi al dissidio tra Camus e Sartre a cui sia aggiunge il mea culpa successivo di Merleau- Ponty).
Senza contare il curioso tentativo di portare, quasi, dalla parte del “pensiero debole” Karl Popper e la sua critica al totalitarismo.11 È vero che Popper critica duramente Platone, Hegel e tutti coloro che difendono un’idea forte di Verità, soprattutto se si pretende di applicarla alla costruzione dell’ordine sociale, ma da qui a inserirlo nella stessa linea con Benjamin e Adorno,12 credo che ne passi.
A mio avviso, queste e altre contraddizioni dell’argomentazione di Vattimo derivano dal fatto che, contro le sue stesse intenzioni, la realtà storica, politica e sociale viene interpretata secondo una logica filosofica stringente, una logica dell’aut aut: o si è totalitari o si è relativisti senza spazio alcuno per posizioni intermedie come, appunto, il razionalismo critico popperiano!
Ma così procedendo si va incontro a evidenti forzature ermeneutiche (sempre che per certi rappresentanti dell’ermeneutica la parola “forzatura” abbia senso!) che rendono difficile comprendere ciò che realmente accade sul piano descrittivo. Proprio per chi intende criticare il capitalismo, ci si espone, per esempio, al rischio di non comprendere come la svolta postmoderna in fondo abbia portato acqua al mulino del capitalismo neoliberista e dell’individualismo sfrenato paralizzando de facto e de principio la possibilità stessa di una critica verso l’esistente. Ed è questa la ragione per la quale tradizioni di pensiero anch’esse critiche verso il capitalismo liberale, come la Teoria critica della Scuola di Francoforte, hanno sempre preso le distanze dalla svolta postmoderna in quanto incapace di fondare un’autentica critica sociale.
Questo è il motivo per il quale ho utilizzato l’espressione “debolezza del pensiero” nel titolo di questo intervento. A differenza di quello che sostiene Vattimo, e cioè che «la filosofia non è una disimpegnata, contemplativa o neutrale ricezione di oggetti, ma piuttosto la pratica di una interessata, progettuale e attiva possibilità»,13 io credo che la filosofia non vada confusa con l’ideologia e la politica. Riconoscere l’impossibilità di una conoscenza oggettiva non significa necessariamente abbandonare l’impegno filosofico ad “andare oltre” e a fornire buoni argomenti in favore di una tesi piuttosto che un’altra. Ricordo a mo’ di esempio, la difesa da parte di Habermas della filosofia come “custode della razionalità” contro la tesi di matrice derridiana della riduzione della filosofia a genere letterario.14
Questo è stato purtroppo uno degli effetti della svolta impressa dal paradigma post-strutturalista, decostruzionista e postmoderno che riducendo tutto a logica di potere (pensiero filosofico incluso!) non sembra attrezzato per cogliere la reale complessità dell’esperienza storica umana.
A questo proposito, segnalo che questo limite del pensiero postmoderno era stato intravisto dall’ultimo Rorty, intellettuale molto vicino alle posizioni dello stesso Vattimo. Pur attento alle istanze provenienti dal pensiero postmoderno francese, Rorty, morto tra l’altro nel 2007, aveva fortemente polemizzato negli ultimi anni contro la “sinistra culturale” che stava guadagnando l’egemonia nei campus americani15 e di cui oggi la cultura woke è l’ultima tragica manifestazione. Agli occhi di Rorty il rischio di queste mode filosofiche16 era quello che la sinistra finisse con l’abbandonare la questione sociale per concentrarsi su temi che ne avrebbero fatto perdere il carattere di forza riformista (nel senso che assume questa parola nella tradizione di sinistra americana riletta da Rorty tramite le lenti del pragmatismo di Dewey).
I timori di Rorty si sono rivelati fondati. Negli ultimi anni la crisi del pensiero di sinistra nel prospettare una vera alternativa politica al neoliberismo è evidente ed è figlia, almeno a mio avviso, anche della svolta postmoderna, di cui è partecipe il “pensiero debole”, che non è capace di creare autentica critica sociale al di là di generici inni ai diritti individuali, alla giustizia sociale, all’ambiente…
Al di là di questi rilievi, mi piace concludere ricordando che quella di Gianni Vattimo è stata una voce importante nel dibattito politico e culturale italiano e questo è senza dubbio un “fatto” e non un’“interpretazione”.
Comments
Vattimo non sarebbe completamente credibile per non condannare sufficientemente Stalin e per proporre una ermeneutica di prassi marxiana rivoluzionaria, che andrebbe contro lo statuto di indipendenza e neutralità della filosofia.
Posizione legittima, ma che in sostanza dà un contributo incrementativo al genere del pasticcio, il che peraltro lo renderebbe, solo sotto questo profilo, adeguatamente “vattimoniano”, dato che l’irrazionalismo mistico, ma con solida logica e ontologia, (del tutto mancanti in altri) di Vattimo procede dal pasticcio e dalla superficiale interpretazione ermeneutica (ironia del destino), di Marx, come esponente della metafisica. Perciò il vero rivoluzionario sarebbe Heidegger, che combatterebbe la metafisica senza risparmio di energia, ancorché, per eccesso di impegno (e chiare debolezze “ermeneutiche”), aderisse al nazismo, convinto [sic] di avere individuato il partito che restaurerebbe l’autenticità originaria dell’essere. (E non un tragico sistema metafisico).
Preve dal canto suo ebbe una contingente ragione storico sociologica nel formulare le sue riserve e critiche, ma l’esaltazione acritica e ideologica del pensiero debole fu una azione politica e culturale dei dominanti più vasta, che andava oltre il soddisfatto strumentalizzato Vattimo, per catturare la sinistra nell’orbita del neoliberalismo fascista, per abolire Marx e il pensiero critico e per istupidire la massa di deboli di cervello suppostamente progressisti.
Suscita un certo fascino l’evoluzione di Vattimo, che si sarebbe trovato a fianco di Preve sulle barricate contro la finanziarizzazione, il capitalismo neoliberale e l'imperialismo.
Vattimo, che comprese di essere stato “purgato” e che, a sua volta, l’ermeneutica veniva interpretata come sovversiva e terroristica, si trasformò nell’ultimo comunista anticapitalista, antiimperialista e antiglobalizzazione, rivoluzionario senza Marx, giacché si dovette percepire troppo vecchio per un qualche revisionismo.
Perciò i suoi compagni rivoluzionari di viaggio scelti furono Gesù Cristo, la teologia, l’antimetafisica, l’ermeneutica sovversiva rivoluzionaria, l’ontologia ermeneutica, Heidegger dell’essere come evento dell’esserci, (non del fondamento), Papa Francesco, il conflitto, come irriducibile caratteristica dell’essere gettati nel mondo.
Insomma un “affascinante” progetto logico rivoluzionario religioso, per quanto pasticciato e mistico, non un progetto politico, troppo marxianamente metafisico, nel suo dire emotivo e irrazionalistico.
«Il pensiero negativo non è un alimento nutriente, ma una purga necessaria per chi si era riempito il ventre con una vergognosa abbuffata di illusioni storicistiche. Il “pensiero debole” di Vattimo è un'altra cosa. Si tratta della versione tranquillizzante e perbenista del pensiero negativo. Il pensiero debole chiude immediatamente una crisi appena aperta tranquillizzando i lettori. Vedete, Dio è morto, Marx è morto, e non siamo mai stati tanto bene! Nietzsche è cucinato come un annunciatore di Vattimo, cioè di colui che accetta il capitalismo e nello stesso tempo liberalizza in modo radicale (nel senso di Pannella e della Bonino) la morale repressiva borghese. Heidegger è cucinato come il secondo annunciatore dello stesso Vattimo, cioè come colui che certifica la sopravvenuta consumazione integrale dell'Essere, sostituito da una interminabile ermeneutica o meglio da una civile conversazione fra scettici liberali (per usare il corretto termine di Richard Rorty). Vattimo, così come Abbagnano e Bobbio, interpreta così lo storico moderatismo perbenista della borghesia colta di Torino, che avendo già i Savoia e la FIAT effettivamente non ha più bisogno di altre divinità mondane», in Costanzo Preve, Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia, 2003, p. 194.