Cina e India, fratelli rivali
di Vincenzo Comito
Le statistiche disponibili indicano che il pil di Cina ed India ha rappresentato circa il 50% del totale mondiale per moltissimi secoli, almeno dall’anno mille (Maddison, 2007) in poi e ancora sino al 1820, con la rivoluzione industriale inglese ormai matura. Poi la stanchezza delle due grandi civiltà asiatiche (incidentalmente, gli storici hanno analizzato a lungo, ad esempio, le ragioni dello strano caso della mancata rivoluzione industriale in Cina prima che in Inghilterra), gli sviluppi del colonialismo uniti al progressivo decollo dell’economia del Nord del mondo, hanno fatto sì che il loro peso arrivasse a stabilirsi in una frazione ridotta del totale mondiale. Così nel 1973, sempre secondo le analisi di Maddison, il valore del pil dei due paesi era sceso al 7,7%. Per moltissimi secoli l’area asiatica si è collocata al centro dell’economia mondiale e si è caratterizzata tra l’altro per i rapporti, a volte sereni, a volte tempestosi, tra le due grandi civiltà delle pianure alluvionali da una parte e quella dei popoli nomadi dell’Asia Centrale dall’altra. La via della seta, che collegava tra di loro i due paesi con quelli asiatici e poi con l’Europa, costituiva nella sostanza il sistema nervoso del mondo, come ha scritto un grande storico, Peter Frankopan, facendo da trait d’union lungo i paesi attraversati per la diffusione di culture, religioni, tecnologie, informazioni. Inoltre i due paesi partecipavano a un intenso e fittissimo sistema di scambi commerciali marittimi con gli altri paesi asiatici.
Facciamo a questo punto un salto nel tempo. A partire dalla fine degli anni quaranta del Novecento, dopo l’indipendenza indiana e l’arrivo di Mao a Pechino, sul piano economico le cose hanno cominciato a cambiare di nuovo, con un processo che, prima abbastanza lento, è andato accelerando nel tempo, prima in Cina e ora in India. Così ormai nel 2024, secondo le cifre del Fondo Monetario, il PIL cinese, se calcolato con il criterio della parità dei poteri di acquisto, rappresenta il 19% del totale mondiale, contro il 15% circa di quello Usa, mentre da qualche anno quello indiano cresce a ritmi anche più elevati di quello dell’altro paese asiatico.
Ma i due Stati non si sono mossi dal 1955 in poi in sintonia né sul piano economico né su quello politico. Sul primo tema, al momento dell’avvio in Cina del piano di riforme economiche di Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta del Novecento il PIL dei due paesi era sostanzialmente analogo. Nel 2024 invece quello cinese è ormai più elevato di circa tre volte rispetto al secondo utilizzando il criterio della parità dei poteri di acquisto, mentre è di cinque/sei volte utilizzando invece quello dei prezzi di mercato. L’analisi poi di una serie di indicatori sociali, dal tasso di analfabetismo, agli indici di mortalità infantile, alla durata media della vita, alle condizioni igieniche, a quelle di povertà, alla dotazione infrastrutturale del paese, mostrano come la Cina si collochi molto avanti rispetto all’altro grande paese asiatico, anche se negli ultimi anni l’India sta facendo dei passi significativi in avanti. Così ben il 90% circa dei lavoratori di questo secondo paese opera nell’economia informale, mentre secondo una stima il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 15 e i 24 anni è superiore al 45%; 8 su 10 indiani vivono in povertà (Worth, 2025).
Le proiezioni ai prossimi decenni del Fondo Monetario Internazionale mostrano che la Cina manterrà il suo primato economico e anzi lo accentuerà nei confronti degli Stati Uniti, mentre l’India si collocherà al terzo posto. Anche considerando il criterio dei prezzi di mercato, già nel 2027 l’India raggiungerà tale posizione. Il paese ha ottenuto da poco almeno un primato, quello del numero di abitanti; in ogni caso, India e Cina messe insieme rappresentano oggi circa un terzo della popolazione mondiale.
Intanto sul piano politico la cose non sono certo andate bene nel tempo. La conferenza di Bandung dell’aprile del 1955, sotto la guida sostanziale dei due paesi asiatici, vide riuniti circa trenta Stati del Terzo Mondo contrari alla colonizzazione occidentale; essa ha rappresentato il momento forse più sereno nei rapporti tra i due. Subito dopo sono cominciate le rivalità e i rapporti si sono fatti sempre più burrascosi, Abbiamo così avuto la guerra del 1962 per il controllo di una parte del territorio del Kashmir. Si deve ricordare poi lo scontro del maggio 2020 per una disputa sui confini. Da quest’ultima data l’India ha moltiplicato gli episodi di ostilità verso il paese vicino con la sostanziale proibizione di nuovi investimenti, la creazione di difficoltà a quelli già presenti, il blocco delle attività di Tik Tok e di Huawei, nonché quella di molte app cinesi, con le grandi difficoltà nell’ottenere visti di ingresso per i manager cinesi e così via. Ciò nonostante gli scambi commerciali sono cresciuti nel tempo, sino a raggiungere i 136 miliardi di dollari nel 2023, ma con un fortissimo saldo negativo per l’India. La crescita degli scambi continua ancora a ritmi abbastanza sostenuti.
Peraltro di recente il tono politico è cominciato a cambiare. Dopo una serie di deboli ma ripetuti segnali positivi, il mese di ottobre del 2024 segna un giro di boa nei rapporti tra i due paesi (Bejnai, 2024). Intanto essi hanno annunciato un accordo almeno provvisorio sulla questione dei confini himalaiani, prevedendo tra l’altro il ritiro delle forze rispettive alla situazione di prima della guerra, nonché un pattugliamento comune del territorio conteso. L’altro e più importante evento è stato l’incontro tra i presidenti dei due paesi nell’ambito del vertice di Kazan dei Brics. La stampa internazionale, tutta concentrata sulle elezioni Usa, ha sostanzialmente ignorato tale evento, plausibilmente molto più importante per i destini del mondo. Esso si iscrive nella tendenza in atto verso la messa in opera di un ordine mondiale multipolare, nel quale i paesi del Sud del mondo tendono a essere sempre più capaci di difendere i loro interessi di fronte all’Occidente. I leader presenti al vertice si sono intesi per promuovere un’agenda concentrata sulla cooperazione, il reciproco rispetto, la sovranità degli Stati membri, l’uguaglianza nel quadro dei Brics, il rifiuto del meccanismo delle sanzioni internazionali. Tra l’altro, durante gli incontri sono state approvate 1300 risoluzioni operative (Kuzmanovic, Le Nagard, 2024).
Intanto alcune imprese cinesi hanno negli ultimi tempi ottenuto di rientrare nel mercato indiano o di espandere la loro presenza locale (Ma Tong, Zhang Yiyi, 2024). Purtuttavia si tratta, per i gruppi interessati, di un ritorno sottoposto a un controllo abbastanza stretto sulle loro operazioni. Appare plausibile comunque che altre imprese arrivino presto. Va sottolineato, peraltro, che non mancano le difficoltà al riavvicinamento tra i due paesi. Si segnala, ad esempio, la recente approvazione ufficiale in Cina del progetto per la costruzione della diga più grande del mondo nella sezione superiore del fiume Yarlung Tsangpo, che in India diventa il Brahmaputra. Il progetto ha acceso un considerevole allarme a Nuova Delhi. Il fiume è vitale per molti milioni di persone in Cina come in India e in Bangladesh.
È vero che il pil dal lato indiano è cresciuto di recente ogni anno a un ritmo del 7,0-8,0%, ma intanto quello della Cina, nella stessa fase di sviluppo, si collocava intorno al 10%. Si tratta peraltro da una parte di una crescita piena di contraddizioni, dall’altra essa mostra segni di rallentamento (si stima che nel periodo aprile 2024/marzo 2025 il pil crescerà intorno al 6,0% contro l’8,2% dell’anno precedente; quello cinese viaggia al momento intorno al 5%); l’inflazione è a livelli elevati, mentre i salari non ce la fanno a tenere il passo e mentre gli investimenti privati e pubblici languono e il paese si trova di fronte a un enorme problema di inquinamento. Il piano Make in India, avviato a suo tempo da Modi per fare del suo paese una grande potenza industriale, non sta andando bene; tra l’altro, con una popolazione ormai leggermente superiore a quella della Cina, la sua forza lavoro è oggi solo i tre quarti come dimensione rispetto a quella cinese, in particolare perché essa include poche donne (The Economist, 2024); l’India ha bisogno di alcuni prodotti critici e poi soprattutto degli investimenti cinesi (Bajnai, 2024), anche perché quelli promessi dai paesi occidentali non si sono materializzati che in parte ridotta. D’altra parte, più in generale, la Cina sta diventando troppo importante per poterla ignorare.
Gli Stati Uniti sperano da tempo di fare dell’India l’anti-Cina (intanto la Morgan Stanley ha dichiarato che quello in corso è il decennio dell’India). Certo il paese asiatico ha nel tempo stretto i legami economici, finanziari, tecnologici, militari con gli Stati Uniti, ma d’altro canto i loro rapporti non stanno attraversando un buon momento. Gli Stati Uniti e il Canada accusano l’India di avere cercato di uccidere degli indiani nei propri paesi, mentre gli Usa criticano gli slittamenti della democrazia indiana, con tra l’altro problemi sui diritti umani e sulla protezione delle minoranze (Bajnai, 2024). Gli Usa sono poi soprattutto sempre più diffidenti degli stretti rapporti dell’India con la Russia e della sua partecipazione sempre più convinta al raggruppamento dei Brics (Comito, 2024). D’altro canto il paese ha sempre evitato di sbilanciarsi troppo in una sola direzione.
Ora con la vittoria di Trump sembra esserci una ragione ulteriore per il rafforzamento dei rapporti tra i due paesi asiatici. Da parte cinese ci si rende conto che ci si trova oggi a combattere su troppi fronti; con la crescente chiusura dell’Occidente ai suoi prodotti, il paese sta cercando di sviluppare le sue imprese nei paesi del Sud del mondo e in questo senso l’India è uno sbocco teoricamente molto importante e appare anche promettente l’idea di destabilizzare i rapporti di tale paese con gli Usa; peraltro si tratta poi di trovare una soluzione al crescente squilibrio negli scambi commerciali, tra l’altro in aree dove l’India è competitiva, come prodotti agricoli, farmaceutici, tecnologie dell’informazione e servizi relativi (Bajnai, 2024). Ambedue i paesi, poi, hanno chiaro che la controversia sui confini appare al momento irrisolvibile militarmente, mentre essa tiene bloccate ingenti risorse anche finanziarie.
Il recente riavvicinamento tra Cina ed India, se confermato, sarebbe una buona notizia per i paesi del Sud del mondo e per il mondo intero. Esso potrebbe rappresentare un nuovo punto di svolta nei rapporti internazionali e potrebbe spingere ad alcuni progressi importanti nell’integrazione politica, economica e finanziaria sempre del Sud del mondo. I due paesi si collocano sempre più di nuovo al centro dell’economia mondiale. Naturalmente si frappongono molti possibili ostacoli al riavvicinamento, dai numerosi contenziosi aperti tra i due, alle pressioni degli Stati Uniti, alle ostilità politiche interne almeno in India. Si porrebbe per l’Europa una grande occasione di sviluppo se essa riuscisse ad aprire un più grande dialogo con i due paesi; ma appare vano sperarlo. A Bruxelles si attendono come sempre con trepidazione gli ordini di Washington.
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