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sinistra

Il token del ticket

La coppia Joe Biden-Kamala Harris

di Piotr

00058F49 biden e harrisIl Congresso ha dunque certificato la vittoria di Joe Biden che il 20 di questo mese, dopo il giuramento, sarà in office assieme alla sua vice, Kamala Harris.

Il ticket Biden-Harris mi preoccupa e non poco.

Joe Biden dopo una lunghissima carriera spesa ad appoggiare ogni tipo di aggressione imperialistica americana è felicemente approdato alla senile che si sta vivendo con tratti inquietanti. Che abbia con sé una valigetta con la quale poter far scoppiare l'olocausto nucleare è pensiero agghiacciante. Per consolarmi mi ripeto che la storia della valigetta e del “comandante supremo” non sta esattamente come ce la raccontano e che se i generali non vogliono far scoppiare una guerra nucleare il capo della Casa Bianca non può farci nulla.

Kamala Harris è una donna piena di sé che non si capisce a che titolo sia stata scelta come vice presidente, a meno di rivolgersi alla categoria di “token person”, una figura tipica del politicamente corretto.

Come mi spiegò il grande economista statunitense Michael Hudson mentre stavo traducendo la sua autobiografia, un “token” è una sorta di ornamento formale nelle apparizioni pubbliche degli uomini politici negli USA e mi spiegò che “un politico ha sempre dietro si sé un token Nero o Ispanico quando parla”.

La prima funzione della Harris sembra dunque, così d'acchito, essere quella di un token non-bianco, un token non-uomo, un token, insomma, della “diversità” condensata.

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perunsocialismodelXXI

La presa di Capitol Hill

L'America non è questo. No, l'America è proprio questo

di Carlo Formenti

231419706 ee85a700 2952 41dc 841a 49a5f4b62b04Ascoltato in un talk show su La 7 dedicato all’assalto a Capitol Hill: l’ineffabile Veltroni rilancia il detto (del cui copyright non ricordo in questo momento il detentore) secondo cui l’assalto al Parlamento di Washington starebbe al populismo come la caduta del Muro di Berlino sta al comunismo, nel senso che entrambi gli eventi segnerebbero il culmine di una parabola, inaugurandone al tempo stesso l’inevitabile curva discendente. Dopo l’articolo di Aldo Cazzullo, che qualche giorno fa si è avventurato a celebrare l’inizio di una fase di “normalizzazione”, questo è un secondo esempio degli sforzi con cui le élite occidentali si impegnano a sostituire le loro speranze alla realtà.

Che il primo populismo (sia nelle varianti di destra che in quelle di sinistra) stesse esaurendo la sua spinta propulsiva era chiaro a chiunque dotato di un minimo di capacità analitica. A sinistra, movimenti come Podemos, France Insoumise, l’M5S (benché in quest’ultimo caso sinistra suoni come una parola grossa) e le ali di sinistra del Labour inglese e dei Dem americani, si sono lasciati irretire dalle sirene liberali, accogliendone l’invito a fare fronte comune contro il pericolo “fascista” (scambiare i populismi di destra con il fascismo storico è stato possibile perché la cultura delle sinistre è succube del pensiero di autori come Foucault, Deleuze e Guattari, i quali hanno de storicizzato il fascismo, derubricandolo a categoria psico-antropologica), perdendo autonomia e capacità egemonica.

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tempofertile

Spartiacque, il 2020

di Alessandro Visalli

unnamedàèo7ti7Ci sono anni simbolici, nei quali passa la storia e che restano nella memoria come spartiacque. Possiamo annoverare tra questi il 1914, il 1917, il 1929, il 1934, il 1939, la grande tragedia del novecento, e, insieme, la grande promessa di liberazione. Dopo abbiamo il 1945, il 1968, il 1978, l’ampliarsi della promessa, la crescita, la liberazione del terzo mondo, la riduzione delle ineguaglianze in occidente, il grande ciclo di lotte operaie nella secolare continuità con quello ottocentesco. E poi le date del riflusso, il 1980, 1989-1991, 1992 (Maastricht), 1999 (Euro), 2001 (la Cina nel Wto). Le date della crisi, 2007, 2012, 2018.

Qui cade lo spartiacque, il 2020.

Come per ognuno degli anni simbolici elencati ci sarà da riflettere a lungo sugli eventi ed i loro effetti.

Non è accaduto tutto in questo anno, anzi, tutto quel che è accaduto è solo l’esito per certi versi ovvio, necessario ed atteso, di lunghe linee di crisi. Ambientali, economiche, sociali e politiche. Nel secondo decennio del nuovo secolo il mondo si trovava sempre più in una fase di caos sistemico[1] che era tenuto a fatica a freno da potenze politico-militari ormai declinanti e da sistemi d’ordine monetari costretti ad inventare sempre nuovi meccanismi per conservare la gerarchia data[2]. Dalla fine del primo decennio era ormai chiarissima la sempre maggiore fragilità del capitalismo finanziarizzato occidentale, costantemente sull’orlo del crollo, e lo stato di estrema sofferenza di quella dittatura del pensiero di economisti morti da tempo e della legittimazione degli interessi che questi servivano nella quale siamo da decenni.

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perunsocialismodelXXI

Crisi e pericolo giallo

Pensieri in libertà di fine anno

di Carlo Formenti

YellowTerrorTanto Lenin che Gramsci ci ricordano che le crisi economiche e sociali, per quanto gravi, non bastano a garantire la possibilità di un cambiamento rivoluzionario. Perché tale cambiamento possa avvenire, spiegano, è necessario che si verifichino almeno altre due condizioni. In primo luogo, deve esistere una profonda crisi istituzionale, tale da incrinare la capacità delle classi dirigenti di mantenere il controllo sullo Stato e sui suoi apparati (a partire da quelli repressivi). Detto altrimenti: le élite possono perdere l’egemonia, ma se hanno la possibilità e i mezzi di sostituire l’egemonia con il dominio è molto difficile rovesciarle. Inoltre deve esistere una forza politica organizzata, radicata nei territori e nei luoghi di lavoro, dotata di un programma politico che risponda agli interessi e ai bisogni della maggioranza della popolazione, e decisa a conquistare il potere per realizzare un cambio di regime.

Da quando la crisi pandemica è venuta a sommarsi ai postumi della crisi del 2008, generando uno sconquasso economico e sociale di proporzioni gigantesche, paragonabile (se non superiore) a quello provocato dalla crisi del 1929, con un crollo verticale di produzione e consumi, con un tragico aumento dei livelli di povertà, disoccupazione e disuguaglianza sociale (problemi già incancreniti da decenni di guerra di classe dall’alto condotta dai regimi neoliberisti contro le classi subalterne), abbiamo sentito ripetere a ogni piè sospinto la frase <<nulla sarà come prima>>. Ovviamente questa profezia si tinge di coloriture opposte: da un lato, la paura di chi teme di veder messo in discussione il proprio potere dopo quarant’anni di dominio incontrastato, dall’altro, la speranza di chi si augura che ciò possa realmente avvenire.

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filosofiainmov

Americana I

di Giorgio Cesarale

americana photography guide corrie mehl store 600x356La bella riflessione di Mario Reale sul mio pezzo intorno ai risultati delle elezioni presidenziali statunitensi affronta essenzialmente tre questioni, che sono di grande rilievo nel presente contesto politico. Cercherò di snodarvi attorno le mie considerazioni tenendo conto che ciascuna di tali questioni trapassa nell’altra secondo una logica ascendente, di crescente importanza tematica.

 

1) il giudizio sulla traiettoria politica di Bernie Sanders. Reale scrive a riguardo che forse “Bernie Sanders, che è trattato troppo male da GC (un vecchio amore «reprobato» ?), ha capito delle cose. E cioè: che da una catastrofe come quella di Trump si poteva uscire solo da «destra», che la «sua» sinistra avrebbe, con ottime probabilità, perso, che bisognava dare una mano al futuro, tenendosi anche pronto, senza tatticismi, a un eventuale ritorno delle proprie forze sulla scena politica”. Il punto di partenza dell’analisi è condivisibile: a un certo punto delle primarie democratiche, nelle settimane immediatamente successive al Super-Tuesday, Sanders ha capito che i margini della sua azione si stavano inesorabilmente restringendo, che non avrebbe avuto molto senso proseguire la sua campagna fino alla conclusione delle stesse primarie, rappresentata dalla Convention estiva del Partito democratico. Quattro anni prima, quando la sfidante era Hillary Clinton, era stato possibile, ma nella primavera del 2020, con il rapido diffondersi del Covid-19 e l’acutizzazione della crisi istituzionale innescata da Trump, una battaglia di resistenza avrebbe avuto meno chances.

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articolo21

Snowden, Assange, la sorveglianza globale e l’informazione scomoda

di Arturo Di Corinto

130609 snowden assange split tease1 cxh96l 1024x576L’antidoto cresce là dove il male alligna. Forse.

Arpanet, la nonna di Internet, nasce negli Stati Uniti il 29 Ottobre 1969. il concetto di privacy nasce con il saggio The right to privacy scritto da due avvocati, Samuel Warren e Luis Brandeis, nel 1890, sempre negli Stati Uniti. E il primo articolo della Costituzione degli Stati Uniti è dedicato alla libertà d’espressione. La Costituzione è del 1789.

Gli Stati Uniti, nazione simbolo del free speech, patria della comunicazione senza limiti grazie a Internet e del concetto moderno di privacy, è però anche il paese della sorveglianza di massa.

Con decine di uffici, agenzie, laboratori e centri di ricerca dedicati al controllo di web, email, telefoni, volti e impronte biometriche, gli Stati Uniti sono il paese che perseguita con più determinazione i suoi figli che hanno fatto bandiera della battaglia per la privacy individuale e per la trasparenza dei pubblici poteri.

Programmi governativi dai nomi fantasiosi come Tempora e Prism, software come Carnivore e XkeyScore, leggi come il Patriot Act e la Fisa, con la sua sezione 702, sfidano costantemente la libertà che gli Stati Uniti dicono di promuovere e proteggere. A casa e fuori.

La legge forse più pericolosa per la libertà di americani e resto del mondo rimane però la sezione 702 della legge antiterrorismo FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act) che autorizza la raccolta senza mandato di ogni informazione utile allo scopo della sorveglianza globale.

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sollevazione2

Covid: il terrore giustifica i mezzi

di Leonardo Mazzei

dalla paura nasce la dittaturaChi ci segue sa quel che pensiamo del Covid. Primo, l’epidemia c’è, ma non è né la peste né la spagnola. Secondo, l’emergenza sanitaria c’è, ma al 90% è frutto dei tagli alla sanità targati euro(pa). Terzo, i morti ci sono, ma la quasi totalità è deceduta col Covid, non di Covid, e talvolta pure senza Covid. Quarto, e ben più importante, il virus è esattamente quel che lorsignori aspettavano per far passare, grazie alla paura diffusa h24 dai media, progetti e misure che avrebbero avuto ben altra opposizione in tempi normali.

Senza questo quarto e determinante aspetto, senza il decisivo fattore P (come paura), non si spiegherebbe quasi nulla di quel che sta accadendo. Tantomeno verrebbero accettate narrazioni al limite dell’assurdo, limitazioni di ogni forma di libertà, una censura di fatto applicata non solo ai “dissidenti”, ma pure alla più piccola sbavatura (vedi il caso Crisanti) nella narrazione ufficiale.

Già, il racconto ufficiale… Ma quanto è coerente questo racconto? Ecco una bella domanda alla quale vale la pena di dedicarsi. Lo faremo con una serie di esempi, che ci porteranno ad una conclusione che già anticipiamo: la narrazione ufficiale è tanto coerente nei fini (terrorizzare, terrorizzare, terrorizzare), quanto incoerente nei fatti e nelle tesi che utilizza per generare quel terrore. Anzi, da questo punto di vista, essa fa acqua da tutte le parti.

 

  1. La bufala del lockdown che “ci protegge”

Ci siamo già occupati di questa leggenda in primavera, quando, sulla base di dati ufficiali, dimostrammo quanto l’andamento dell’epidemia nei singoli paesi apparisse piuttosto indifferente alle diverse forme di contenimento adottate.

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micromega

La crisi del populismo di sinistra e il socialismo possibile

di Carlo Formenti

Pubblichiamo una sintesi dell’ultimo paragrafo del capitolo conclusivo de “Il capitale vede rosso” di Carlo Formenti, un pamphlet appena uscito per i tipi di Meltemi. Nel volume l’autore chiarisce il proprio pensiero sui temi del populismo e della sovranità nazionale, propone il concetto di “socialismo possibile” allo scopo di ridefinire un’idea di socialismo del secolo XXI emancipata dai dogmatismi della tradizione marxista e ragiona sulla possibilità di rivitalizzare il progetto socialista nei Paesi occidentali e sul blocco sociale su cui lo si potrebbe fondare

capitale vede rosso formenti recensionePrendo le mosse da una considerazione: le sinistre populiste occidentali, pur avendo contribuito a riesumare la parola socialismo che il crollo del Muro e quarant’anni di controrivoluzione liberista avevano rimosso dal lessico della politica, avanzano proposte simili alle politiche socialdemocratiche del trentennio glorioso. Nel secolare dibattito su riforme e rivoluzione costoro sembrano dunque collocarsi nel campo riformista. È pur vero che il dibattito interno alla socialdemocrazia tedesca di fine 800/primo 900 su riforme e rivoluzione – oggi ripreso in ambito latinoamericano in relazione alle esperienze bolivariane – ha stemperato questa opposizione assoluta: sia Engels che Luxemburg avevano ribadito che la vera differenza è fra coloro che considerano le riforme come un fine in sé e chi le concepisce come uno strumento per preparare la rivoluzione. Resta il fatto che parliamo di programmi politici che, almeno a un primo esame, appaiono compatibili sia con il modo di produzione capitalista che con i suoi assetti istituzionali. Ma è davvero così?

La verità è che, mentre il modo di produzione fordista poteva permettersi il compromesso keynesiano fra capitale e lavoro, il capitalismo contemporaneo non intende in alcun modo rinunciare ai frutti delle vittorie ottenute dagli anni Ottanta a oggi.

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carmilla

Linee di faglia delle guerre civili americane (e non solo)

di Sandro Moiso 

Barbed wire TrumpNell’attuale incertezza politica e baraonda ideologica che circonda l’ancora non risolta questione della dipartita di Trump dalla Casa Bianca, si rende necessario riportare i piedi sulla terra e cercare di indagare da un punto di vista materialista i motivi dello scontro in atto. Al di là dei personalismi e delle personalità (Trump vs. Biden) che sembrano aver dominato fino ad ora nel dibattito statunitense e, forse, ancor di più in quello italiano ed europeo che ha accompagnato la campagna elettorale made in USA ed è seguito ai suoi attuali risultati.

Molto si è discusso, prima, durante e dopo la campagna elettorale, della possibilità che una nuova guerra civile potesse sconvolgere gli assetti politici e sociali del paese nordamericano a seguito dei risultati elettorali e, certamente, l’ostinazione con cui il presidente uscente si rifiuta di accettare la sconfitta (ormai ampiamente certificata) potrebbe far pensare che tale ipotesi sia tutt’altro che decaduta.

In fin dei conti, quello della Guerra Civile è un fantasma che si agita nell’anima americana proprio in virtù del fatto che tale evento storico, svoltosi tra il 12 aprile 1861 e il 23 giugno 1865 e che causò dai 620.000 ai 750.000 morti tra i soldati, con un numero imprecisato di civili1, ha costituito l’atto fondante dei moderni Stati Uniti, forse molto di più della Dichiarazione di Indipendenza del 1776 e della guerra che ne seguì con le armate della corona britannica.

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commonware

Nelle tempeste d’acciaio della crisi. Il nazionalbolscevismo tra ieri e oggi

Recensione di Franco Milanesi

David Bernardini, Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake, Milano 2020

milanesiSulla comprensione del significato storico e politologico del nazionalbolscevismo gravano due condizionamenti. Da una parte esso è oggetto di una sorta di damnatio memoriae da parte della sinistra di classe che fatica a prendere atto quanto l’internazionalismo proletario appartenga più alla tradizione ideologica marxiana e alla pubblicistica terzinternazionalista che alla storia effettuale dei movimenti di emancipazione. Percorrendo la storia del Novecento ci troviamo infatti di fronte a una frequente ed efficace attivazione dell’idea di nazione utilizzata come potenza mobilitante nel corso delle lotte di liberazione dal controllo e dal dominio di Stati stranieri, nei conflitti antiimperialisti, nella propaganda contro le borghesie che spadroneggiano nell’illimitato mercato-mondo. Anche nella fase di consolidamento degli stati socialisti, l’afflato internazionalista ha non di rado lasciato il posto al richiamo a forme di identità radicate nel fluido e ambiguo concetto di nazione (i lavori di Mosse, Wehler, Campi restano, sotto questo aspetto, punti di riferimento obbligati). La seconda ipoteca rimanda agli intrecci abborracciati tra neosovranismo, nazionalismo e comunismo che lo smottamento della cultura della sinistra ha lasciato come strascico melmoso dietro di sé. Con esiti spesso risibili e inquietanti non tanto sul piano del rigore teorico quanto su quello della strategia politica conseguente, non di rado orientata verso il suprematismo, il razzismo o il vero e proprio neofascismo.

Per avvicinarsi alla comprensione dell’intricata storia dei gruppi, delle riviste e delle personalità che hanno innestato su tronco della nazione ulteriori motivi teorici, gli articoli e i saggi monografici di David Bernardini, giovane professore a contratto presso l’Università di Milano, rappresentano uno strumento indispensabile.

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lacausadellecose

La paura americana (e occidentale)

di Michele Castaldo

44107Alla fine di una estenuante e assordante campagna elettorale vince il candidato che i sondaggisti davano favorito, e così il mondo democratico occidentale che aveva tifato e sperato nella sconfitta di Trump tira un sospiro di sollievo, e finalmente: habemus papam: Joe Biden.

Il “mite” e consumato personaggio politico già vice di Barak Obama sul quale si riversano le speranze occidentali indicandolo come Salvatore della patria, in nome dell’unità di tutti gli americani.

Quando è apparsa chiara la sua elezione sono scoppiate manifestazioni di giubilo un po’ in tutti gli Stati come a esorcizzare lo scampato pericolo di una nuova permanenza alla Casa Bianca di Trump, personaggio ritenuto più un fenomeno da baraccone che il presidente della nazione più potente del mondo libero, ma proprio per questo più pericoloso.

I media si sono spesi a ricostruire biografie del nuovo presidente e della sua vice, Kamala Harris, senatrice dello Stato della California, che ovviamente non ci risulta essere stata in piazza a scontrarsi con la polizia bianca nei giorni successivi all’uccisione di G. Floyd e che ha sposato un ebreo in età adulta e ricopre ruoli istituzionali di tutto rispetto. Poi c’è la ben nota ruffianeria italica, alla ricerca delle origini messinesi dell’attuale moglie del presidente, e via di questo passo.

La nostra impressione è che in Europa si pregava il padreterno perché vincesse Biden, perché il personaggio Trump, ormai inviso alle establishment del vecchio continente, avrebbe potuto determinare una destabilizzazione negli Usa, con ricadute preoccupanti sulla nostra economia, lacerando così i nostri già labili rapporti sociali. Pericolo scampato, dunque.

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nuovadirezione

Servitori, bottegai e castellani. La vera lotta e quella finta

di Alessandro Visalli

Idade Media BanchettiTentiamo.

Quello che la crisi economica, che è direttamente sociale e direttamente politica, indotta sul corpo malatissimo del nostro presente illumina non è nuovo. Lo abbiamo sempre avuto con noi e ne abbiamo sempre parlato. Tuttavia si sta presentando in un modo che è insieme scontato ed inaspettato. Si scoperchiano contemporaneamente linee di frattura che erano presenti e che sono stati prodotti dal carattere del nostro tempo.

Si tratta, peraltro, di linee vecchie. Sono state prodotte da decenni e molti, moltissimi, sono talmente abituati ad esse da considerarle naturali e irreversibili. Per dargli forma si tentano sempre metafore spaziali, geografiche, o topografie fondate sull’esperienza di base del nostro corpo: dialettica tra le periferie ed i centri, scontro tra alto e basso, tra il vicino ed il lontano, tra l’amico ed il proprio e l’estraneo, l’ostile. D’altra parte, tanti e diversi operatori, tanti spregiudicati imprenditori, cercano costantemente di metterle a frutto, di trarne dividendi politici. Di fare di queste fratture, di queste differenze, merce politica.

In questo modo la putrefazione del corpo del presente si fa posta nel gioco che affaccendati mestatori continuano a rilanciare freneticamente. Un gioco roco, pieno di urla, di ira simulata per intercettare e trarre a frutto, per sé, la vera e giusta ira di coloro che sono naufragati, nelle periferie, soli, in basso. Di coloro che, scivolando, si attaccano alle vesti dei poveretti che sono appena qualche centimetro sopra di loro, li vogliono trascinare in basso, invece di fare forza insieme e salire.

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kriticaeconomica

Trump contro Biden: si scrive post-ideologia, si legge propaganda

di Camilla Pelosi

Molto spesso la definizione di “post-ideologia” in politica copre la volontà dei politici di coprire affermazioni senza alcun appiglio nella realtà e create come semplici artifici retorici e di propaganda. Camilla Pelosi nel contesto del dossier “AMERICANA” oggi studia la questione in riferimento al dibattito tra Donald Trump e Joe Biden

TrumpBiden.001Il dibattito politico attuale ama autodefinirsi “post-ideologico”, sottintendendo di appartenere a un’era ormai depurata da ideologie e altri mostri novecenteschi.

“Qualcuno è POST senza essere mai stato niente!” suggeriva Giovanni Lindo Ferretti già alla fine degli anni Ottanta, in Svegliami. Può l’essere umano fare a meno dell’ideologia, restando animale politico? Se essa rappresenta i valori e il senso comune che garantiscono il funzionamento di una società civile, il nostro periodo storico avrà pur dovuto sostituirla con qualcosa e questo qualcosa, in quanto essenzialmente non ideologico, sarà soprattutto e in primo luogo pragmatico. A livello della vita pubblica, si prospetterebbe l’avvento di una sorta di tecnocrazia illuminata: solo ed esclusivamente i fatti muoverebbero le decisioni di un elettorato finalmente razionale e ragionevole. Dato che le questioni di costume non possono appellarsi a nessuna conferma numerica che sostenga una tesi in maniera univoca, esse verrebbero cancellate dal confronto: la politica finirebbe per essere inglobata dall’economia, in quanto i principali punti quantitativi di una campagna elettorale riguardano questioni meramente economiche.

Chiaramente, la realtà è ben lontana da questo scenario (per fortuna, ci viene da aggiungere). L’ideologia è viva e vegeta: ha solo cambiato forma. Come i servizi, i mezzi di comunicazione e le relazioni umane, si è smaterializzata, ma proprio grazie alla perdita di consistenza è ormai in grado di infilarsi in ogni interstizio della nostra struttura percettiva del reale. Non fa più capo ai fardelli ingombranti e problematici dei dogmi politici del passato, dove serviva da spartiacque per dividere il mondo in due chiaramente distinguibili sfere di influenza; è più sfaccettata, e quindi più difficile da riconoscere.

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lordinenuovo

Il ruolo dello Stato nel conflitto di classe

di Francesco Pietrobelli

disuguaglianze sociali 959x600Non è passato inosservato – grazie a numerosi articoli usciti sull’Ordine Nuovo – il ruolo dello Stato nella crisi economica scatenata dall’attuale pandemia. Un’azione di sempre maggiore intervento nel campo economico e di sostegno alle imprese, in linea con la tendenza sempre più marcata per cui il ruolo dello Stato a supporto del capitale privato è essenziale1, affinché vi siano manovre pubbliche che tutelino il fronte padronale da un drastico calo dei profitti. Numerose sono state le mosse governative che si sono così susseguite, fin dai primi mesi di crisi, a sostegno delle imprese, fra le quali troviamo moratorie sui prestiti o garanzie statali sui finanziamenti aziendali2. Particolare scalpore è stato causato dalla richiesta di FCA, a maggio, di usufruire della garanzia statale sui prestiti bancari, prevista dal DL liquidità, con la quale aveva diritto – di fronte alle perdite economiche causate dalla pandemia – di chiedere un prestito, pari al 25% del fatturato dell’anno precedente, a un istituto bancario con garante, fino al 70% del totale, lo stato italiano tramite la SACE, una controllata della Cassa Depositi e Prestiti. Prestito poi ottenuto – ben 6,3 miliardi con Intesa Sanpaolo – con non il 70%, ma bensì l’80% di garanzia da parte dello Stato, data la strategicità dell’azienda, senza al contempo che venissero bloccati i cospicui dividendi di 5,5 miliardi, previsti per il 2021, fra i propri azionisti3. Detto in soldoni: i soldi pubblici, dei lavoratori, saranno utili alla FCA per pagare i profitti dei propri azionisti.

Che lo Stato si sia rivelato lasco nelle misure concesse alle aziende lo ha rivelato anche lo strumento della cassa integrazione covid.

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lafionda

Il partito dei lavoratori e gli utili idioti del Capitale

di Antonio Martino

d3ca19fd56648205d13a67be2ebec092 XLQuando Alberto Asor Rosa pubblicò nel 1977 il suo Le due società: ipotesi sulla crisi italiana nemmeno la fantasia del più fervido indiano metropolitano avrebbe potuto immaginare lo scenario di questi giorni. L’ipotesi di un virus in grado di paralizzare la vita del potentissimo e liberissimo Occidente, infatti, poteva affascinare un lettore di Urania, e non certo un compagno di movimento. Oltre quattro decenni dopo la fantascienza è realtà: anzi, parafrasando Marx, è farsa. Tralasciando l’enorme massa di argomenti sulla (pessima) gestione e sui (falsi) rimedi contro la (scontata, essendo in autunno) seconda ondata, vorremmo concentrarci sull’analisi sociale delle conseguenze della crisi, in accordo con quanto già scritto in merito al problema della classe rivoluzionaria.

Partiamo dal dato reale: chi preme per il cd. lockdown è di norma un soggetto che ha dalla propria parte la sicurezza del posto di lavoro e un certo benessere accumulato. Viceversa, chi si oppone è sovente un piccolo imprenditore- proprietario di attività al dettaglio e di commercio minuto, piccole imprese con pochi dipendenti-, un libero professionista o una partita iva. Dal punto di vista strutturale, la linea di faglia è tra garantiti e non, tra lavoratori dipendenti (pubblici e privati di grandi imprese) e unità produttive autonome. In più, l’enorme massa dei disoccupati e dei precari che tende naturalmente a salvaguardare quegli scampoli di normalità fittizia. Si può perciò affermare, generalizzando, che la gestione delle misure di contenimento (sic) del virus siano un’immensa cartina di tornasole della divisione in classi della società italiana.