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Il caso del caso Moro ep. 7

Complotti di ieri e di oggi

di Davide Carrozza

1571299371408 1536x2048logo.JPGIn quel mare magnum impazzito che rappresenta l’epopea del complottismo sul caso Moro, in quella selva di teorie strampalate e di scienza incompiuta, a cui è dedicata questa serie di articoli, ci occupiamo oggi di due teorie complottiste (chiamarle così sembra quasi un complimento) di ieri e di oggi. La loro dislocazione temporale (1995 e 2025) contribuisce alla comprensione della vastità del fenomeno e di quanto duratura sarebbe stata l’eredità storica di quel tragico evento. Mi viene in mente Cassio davanti al corpo di Giulio Cesare, appena pugnalato a morte dai congiurati, che esclama “In quante epoche future questa nostra scena solenne verrà recitata di nuovo, in nazioni ancora non nate e in lingue ancora sconosciute”. Vera fu questa premonizione per il Giulio Cesare di Shakespeare e per il regicidio più famoso della storia. Altrettanto vera potremmo dire sarebbe questa affermazione per il più famoso “regicidio” della nostra storia repubblicana, il sequestro e l’assassinio dell’On. Aldo Moro, evento per il quale in 47 anni si inonderanno fiumi di inchiostro, si produrranno centinaia di migliaia, secondo alcuni milioni di pagine di documenti ufficiali (spesso ignorate) e si racconteranno una serie innumerevoli di balle con vari scopi funzionali (per le molteplici motivazioni del complottismo si veda l’episodio 2 di questa serie). Le due storie potrebbero annoverarsi fra quelle che non ce l’hanno fatta, il cui eco è stato talmente irrilevante da non potersi annoverare forse nemmeno realmente fra le teorie complottiste “ufficiali”, talmente insensate a volte da non convincere nemmeno chi le aveva sdoganate, in uno dei due casi per ammissione stessa del suo creatore, quelle che Vladimiro Satta con un tocco un po’ romantico chiamerebbe romanzi d’appendice del caso Moro.

 

Complotti di ieri

Nel lontano 2000 l’ex agente dei servizi segreti Antonino Arconte, nome in codice G-71, viene attraversato da un’improvvisa epifania, ricordandosi a 22 anni di distanza di essere stato destinatario di un compito delicatissimo e urgentissimo attinente al caso Moro.

Il valoroso “gladiatore” nell’ambito della sua attività nell’allora segreta organizzazione paramilitare detta Gladio, sostiene di aver ricevuto il 2 Marzo 1978 un plico sigillato che per ordini superiori doveva essere smistato in Medio Oriente. Il contenuto del plico in pratica esortava gli agenti locali ad attivarsi per la trattativa e la liberazione dell’On. Moro, generando quindi la sconcertante deduzione che i servizi segreti sapessero ciò che sarebbe avvenuto con circa due settimane d’anticipo (Moro viene rapito dalle Br il 16 dello stesso mese). A catena quindi, l’etero-direzione delle Brigate Rosse da parte di forze sioniste occidentali all’occhio del complottista appare ancora una volta lapalissiano. Molte sono le stranezze già in queste prime battute, ma andiamo con ordine e ricostruiamo la vicenda attraverso il racconto da lui fatto nel libro “L’ultima missione di G-71” nonché attraverso gli articoli di chi gli ha concesso un’intervista. Due settimane prima del famoso 16 Marzo l’agente G-71 si imbarca per Beirut con in mano il plico da recapitare ai suoi superiori, per una missione urgentissima e della massima delicatezza viene scelto quindi il mezzo meno veloce, una nave. Forse perché più comoda? Forse per un problema di mal d’aereo, chi lo sa. Fatto sta che la nave arriva a Beirut con imprevisto anticipo e già il 13 Marzo il plico passa dalle mani di G-71 a quelle di G-219 tenente colonnello Mario Ferraro del Sismi, sarebbe poi dovuto passare a sua volta nelle mani del colonnello Stefano Giovannone (già citato in questo blog per tutt’altra faccenda nell’articolo “L’eterna strage di Bologna”. Arconte nel suo libro afferma che il servizio era a conoscenza della data del rapimento Moro e che la nave sarebbe dovuta arrivare a rapimento avvenuto. A questo punto mi scoppia il cervello. Se anche avessero conosciuto il destino di Moro in anticipo, perché dare l’ordine di trattare il suo rilascio e non quello di prevenire il suo rapimento che causò la morte di 5 uomini della scorta in una carneficina? Un ragionamento che non sta in piedi, lasciamo che lo rapiscano per poi trattare la sua liberazione. Se poi è il servizio a volerlo rapito e/o morto sarebbe il servizio stesso a prodigarsi per liberarlo? Ma andiamo avanti. Quando il colonnello Ferraro apre il plico che contiene al suo interno la dicitura “distruggere immediatamente” (ma non doveva passare a Giovannone? Chi doveva distruggerlo allora?) contravviene alla direttiva della sua distruzione per via della “stranezza degli ordini” e lo ripone sulla sua scrivania per andare in bagno. E’ in quel momento che Arconte aziona la sua cinepresa e riprende il contenuto del plico. Non si sa che ruolo avrebbero avuto queste riprese perché in realtà poi Arconte ammette di essere rientrato in possesso fisicamente di questo documento attraverso una serie di coincidenze, fino alle incredibili rivelazioni dell’anno 2000. Più di qualcuno, compreso Cossiga intervistato dal TG3, dubitò dell’autenticità di questo documento che periziato su commissione di Famiglia Cristiana, Rai 3 e Liberazione risulterà avere appena 3 anni. Appare strano inoltre come Arconte abbia cominciato a parlare delle sue imprese in Gladio già dal 1996 momento in cui comincia a raccontarle sul sito geocities.com, dove narra di imprese mirabolanti da 007 ma dimentica stranamente per 4 anni quella legata a uno degli avvenimenti più importanti della storia della Repubblica. Le sue vicende inoltre sono legate alla così detta Gladio delle Centurie, ramificazione dell’organizzazione segreta la cui esistenza fu negata nel 2000 dall’allora ministro della Difesa Mattarella in risposta a una interrogazione parlamentare. La cosa quasi buffa è che lo stesso Arconte non è minimamente d’accordo con coloro che prendono le sue dichiarazioni e il suo fantomatico plico come prova dell’ingerenza americana. Afferma infatti in un’intervista: “io non ho mai detto che i servizi segreti americani avessero saputo in anticipo del sequestro Moro. Questa è una falsità che mi viene messa in bocca per screditarmi.” Il gladiatore asserisce infatti di essere sostenitore della matrice sovietica e libica, su cui magari ci sarebbe da basare un altro episodio di questa serie. Suo malgrado, quindi, la storia di Arconte come tutti gli altri complottismi isterici, fornì per coloro che la interpretarono a loro modo un ulteriore tassello per la negazione dell’autenticità dello scontro in atto in Italia.

 

Complotti di oggi

Proverò ora a operare una sintesi dell’accurata relazione che il sociologo e ricercatore Gianremo Armeni ha recentemente pubblicato sul più volte citato blog Insorgenze, ecco il link. La relazione smantella l’ultima trovata targata Rai sdoganata nel servizio andato in onda su Porta a Porta lo scorso 13 Maggio a firma di Federico Zatti. L’ente pubblico si era già contraddistinto per poca accuratezza sul caso Moro con la puntata dedicata da Report, argomentata dal primissimo episodio di questa serie. La tesi sposata è l’ubicazione della “prima” prigione dell’On. Moro, secondo l’inchiesta di Zatti ubicata in Via Massimi, attenzione, non lo stesso civico di Via Massimi su cui già la Commissione Moro 2 aveva sbattuto il muso beccandosi la querela di Birgit Kraatz (vedi episodio 2) ma un altro civico, il 114, attuale sede della Loyola University.

La debolissima tesi di Zatti si fonda su due pilastri principali: le testimonianze oculari del 16 Marzo sul tragitto del convoglio e alcune planimetrie rinvenute in Via Gradoli, che Zatti indica come base operativa del sequestro Moro, già da questo denotando una poca dimestichezza con la materia. Partiamo dalle testimonianze oculari dell’epoca che il servizio di Porta a Porta, operando una piccola forzatura, utilizza per dimostrare come le testimonianze dopo un metaforico passaggio di staffetta, arrivino all’altezza della Loyola, segno del fatto che là la corsa si è fermata e probabilmente il convoglio fosse arrivato a destinazione. I problemi di questa tesi però sono molteplici. Ciò che il giornalista Rai interpreta come arresto della marcia non è assolutamente scontato leggendo le testimonianze, che invece parlano dell’impossibilità di scorgere oltre un certo punto.”…. ho visto che non hanno voltato per via Massimi, ma hanno proseguito dritti, finché non sono scomparsi dalla mia vista” dice la signora De Luca “….Non sono in grado di dire se le macchine hanno proseguito fino a via Serranti o sono girate per via Bitossi, ciò perché dalla posizione in cui mi trovavo non mi era possibile vedere la prosecuzione di via Massimi…” dice invece la signora Dordoni. Tralasciando il primo testimone, il Sign. Buttazzo che “segue” il convoglio in un tratto precedente, sembra incredibile come l’inchiesta Rai ometta completamente un quarto testimone, la signora Stocco, che vide invece il convoglio provenire da Via Massimi e proseguire verso Via Bernardini. Effettivamente tutta l’inchiesta si basa sull’assenza di testimoni oltre Via Massimi, meglio omettere la signora Stocco allora. Altri testimoni non ce ne sono perché, come si sa dalle sentenze, di li a poco l’On.Moro sarebbe stato trasbordato su un furgone.

L’altro “pilastro” dell’inchiesta si basa invece su due schizzi a matita di planimetrie rinvenute nel ’78 in Via Gradoli, base Br scoperta dalle forze dell’ordine durante il sequestro Moro, dove risiedevano i brigatisti Moretti e Balzerani. Ebbene, tali schizzi con tanto di confronto fotografico, a detta di Zatti, coinciderebbero con la planimetria della Loyola University, uno nella sua interezza e un altro nel dettaglio dei dormitori. Mi astengo sul commento di questo forzatissimo confronto, lascio qui il dettaglio fotografico.

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Come rileva Armeni nella sua relazione però, i due disegni che Zatti ha ottenuto dalle carte della Commissione Moro 1 in realtà fanno parte di un più cospicuo gruppo di documenti, il cosi detto reperto 777 che all’origine constava di altri 4 documenti non acquisiti dalla Commissione ma nella documentazione a disposizione della Corte d’Assise agli atti del primo processo Moro. La Commissione Moro 1 che evidentemente ha rappresentato l’unica fonte documentale di Zatti, non ritenne infatti di dover acquisire il lotto intero. L’analisi dell’intero reperto 777 fa capire chiaramente come quei carteggi e quegli schizzi rappresentassero uno dei tanti studi per eventuali fughe dalle carceri di massima sicurezza. Il fronte delle carceri delle Br infatti, fra i suoi compiti aveva proprio lo studio di fattibilità delle fughe dei compagni detenuti, la cui liberazione è sempre stata un chiodo fisso nella storia dell’organizzazione. I foglietti (anche quelli a disposizione di Zatti) parlano di spessore delle colonne, sotterranei, caldaie, travi in cemento armato, canali tra una cella e l’altra dove passano i tubi. Del resto anche la stessa commissione pur non disponendo di tutto il carteggio aveva già derubricato uno dei documenti per quello che realmente era…vale a dire la planimetria del carcere speciale di Ascoli Piceno: “Lo schizzo rinvenuto nel covo Brigate Rosse via Gradoli riguarda sicuramente costruendo istituto carcerario Ascoli Piceno. […] Lo schizzo è stato effettuato sul posto probabilmente inizio 1977 et cioè quando erano ben visibili pilastri et non esistevano alcuni locali” Confrontando il disegno rinvenuto in VIa Gradoli con la planimetria del carcere di Ascoli la corrispondenza appare infatti evidente.

Del resto già l’amministratore del Gruppo Facebook “Sedicidimarzo” Franco Martines (che ringrazio per la sua disponibilità) si era preoccupato di pubblicare un’informativa del Ministero dell’Interno alla Questura di Roma, che ripubblico qui in basso, che prova la corrispondenza di quel disegno al carcere di Ascoli.

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Desta stupore inoltre l’affermazione del giornalista Rai secondo il quale durante il sequestro Moro l’edificio della Loyola fosse addirittura in fase di costruzione. L’affermazione sembra smentire l’intera tesi, come sarebbe stato possibile per le Br gestire un ostaggio del calibro di Moro in un edificio in costruzione, con Mario Moretti che andava avanti e indietro da Via Gradoli al carcere di Moro per poi recarsi a Firenze e tornare nel carcere di Moro, con la necessità di avere cucina, bagno e ogni servizio che ovviamente non sarebbe stato garantito in un edificio in costruzione, fra l’altro nemmeno su questo Zatti sembra chiarissimo…in che fase della costruzione? Quasi ultimato o in stato di rudere con le gru in funzione? L’inchiesta di Paolo Persichetti sempre su Insorgenze chiarisce che nel 1978 in Via Massimi 141 A e B non vi era alcun cantiere aperto. L’edificio, sede della Loyola infatti, fu edificato negli anni 60 e semplicemente prima affittato nel 78 e poi acquistato dalla Loyola nel 2019, mentre l’edificio adiacente, convento delle suore domenicane, anch’esso tirato in ballo nel servizio, sorse nel lontano 1933.

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