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sinistra

Commento all’articolo di Fabrizio Marchi “Sulla prostituzione”

di Fabio Rontini

prostituzione casa10.jpgL’articolo di Fabrizio Marchi “Sulla prostituzione. Una riflessione a partire da una analisi di Carlo Formenti”, recentemente pubblicato su Sinistrainrete, ha dato seguito a un interessante dibattito nella sezione commenti, a cui anch’io ho partecipato. Dal momento che le considerazioni, secondo me, da fare su quello scritto e sul dibattito che ne è seguito, sono troppo lunghe da riportare in forma di commento, ho deciso di tradurle a mia volta in forma di contributo a sé stante.

Ho letto un paio di libri di Marchi, “Contromano, critica dell’ideologia politicamente corretta” e “Le donne: una rivoluzione mai nata”, che consiglio perché interessanti, soprattutto il secondo, più agevole ma con una tesi unitaria più definita. Gli riconosco il merito di aver affrontato di petto alcuni aspetti della questione sessuale e del femminismo, nelle loro relazioni con la lotta per l’emancipazione sociale in generale, che sono, sì, importanti e fondamentali, ma ancora coperti da pudore, ipocrisie e veti da parte del pensiero di sinistra cosiddetto “politicamente corretto”. Non concordo con lui nella misura in cui ritengo che le conclusioni a cui finisce per approdare, pur provenendo da un retroterra marxista e di sinistra, e pur al di là delle buone intenzioni e dei meriti che le sue analisi indubbiamente possiedono, siano fondamentalmente di destra e reazionarie.

In ogni caso le mie osservazioni non verteranno sull’argomento specifico dello scritto da cui hanno preso spunto, la prostituzione, ma sulla questione generale della emancipazione femminile, nei termini in cui Marchi la affronta, e basandomi su letture precedenti, sia sue che di altri, nonché su esperienze personali.

L’autore parte dalla constatazione che la condizione del genere maschile, nella società capitalistica contemporanea, e a meno che non si tratti della minoranza di individui appartenenti alle classi più elevate, è spesso più svantaggiata di quella del genere femminile: ai maschi vengono riservati i posti di lavoro più pesanti e pericolosi, la maggior parte dei morti sul lavoro sono uomini, le disparità di reddito risultano da statistiche che non tengono conto che ci sono meno donne nei posti di lavoro ad alto reddito (retaggio di una fase del capitalismo in cui la discriminazione sessuale era reale, ma anch’esso in via di sparizione), ma a parità di mansione tali disparità risultano virtualmente inesistenti, e così via.

Soprattutto gli uomini vivono una condizione di difficoltà e di crisi nella vita sessuale in misura senza dubbio molto più marcata e diffusa rispetto a quanto non accada alle donne. Agli uomini succede, molto più spesso che alle donne, di restare da soli, o comunque di vivere una situazione di disagio e di esclusione dalla vita sessuale. Fattore che sarebbe poi all’origine, piuttosto che una presunta, e non più attuale, sottomissione della donna all’uomo, del fatto che la prostituzione femminile risulta, a tutt’oggi, enormemente più diffusa di quella maschile. Semplicemente c’è meno richiesta di prostituti maschi perché le donne possono soddisfare più facilmente il loro bisogno senza dover pagare.

Detta così, può sembrare un discorso ridicolo (anche a causa delle mie scarse virtù letterarie) ed eccessivamente semplificato, ma ritengo che nella sostanza esso sia corretto. Perché mai una donna dovrebbe pagare per fare sesso quando potenzialmente si trova una platea di pretendenti tra cui, a meno che non sia particolarmente poco avvenente, non ha altro da fare se non scegliere quello che la aggrada di più? Non altrettanto si può dire per gli uomini, i quali, fatta eccezione per quelli ricchi o con posizione di potere, o eccezionalmente belli, devono faticare e sbattersi molto di più per trovare una compagna. Da qui la maggiore propensione a rivolgersi al sesso a pagamento.

Da questo insieme di considerazioni Marchi ne trae la conclusione che l’oppressione di genere, nel tempo presente, non esista più, e che anzi, semmai, ha cambiato di segno: sono gli uomini, o almeno quelli delle classi più basse, a trovarsi, casomai, sottomessi alle donne, oltre che ai maschi dominanti delle classi più elevate, il femminismo essendosi ormai trasformato da strumento di critica a ideologia mistificante di giustificazione dell’attuale ordine sociale iper-capitalistico.

E allora, se l’analisi delle cause della maggiore diffusione della prostituzione femminile, è sostanzialmente corretta; se è vero, cioè, che dette cause non risiedono nella maggiore difficoltà di trovare altri impieghi da parte delle donne, o da una qualche forma di coercizione violenta subita da parte dei maschi, ma si tratta, spesso, di una scelta dettata dal fatto che ci sia una forte richiesta di sesso a pagamento da parte degli uomini, molto più che da parte delle donne, capace di far fare notevoli guadagni con un sacrificio tutto sommato accettabile; dov’è, allora, che le conclusioni a cui si giunge, che la questione femminile si sia esaurita e che le vere vittime siano diventati i maschi, sarebbero sbagliate o espressione di una ideologia retriva?

Tralascio qui la descrizione delle situazioni di squallore e di malaffare a cui le prestazioni sessuali molto spesso si accompagnano (rimando per questo all’ottimo scritto di Carlo Formenti citato da Marchi), così come tralascio il discorso etico per cui la mercificazione del proprio corpo ha in sé, oggettivamente, un aspetto riprovevole e degradante, indipendentemente dal fatto che esso venga liberamente scelto o meno. Entrambe le questioni sono importanti per un esame complessivo del fenomeno, ma non inficiano la giustezza della conclusione che la prevalenza della prostituzione femminile, ieri come oggi, deriva da una asimmetria nella domanda di prestazioni sessuali a pagamento, da parte dei due sessi, la quale a propria volta deriva da una asimmetria nella propensione a richiedere e ad accettare il sesso in generale da parte dei maschi e delle femmine. L’uomo, quasi sempre, propone, la donna, se le sembra il caso, dispone.

Ma qual è, d’altra parte, il motivo di questa disparità? Come mai le donne, che sono pure più numerose, trovano da accoppiarsi con maggiore facilità, mentre gli uomini, che sono di meno, sono quelli che rimangono più frequentemente senza sedia? È sulla mancata risposta a questa domanda o, meglio, sulla spiegazione banalmente naturalistica di questa differenza, che si misura la debolezza teorica del discorso di Marchi, oppure il suo intento restauratore, non so quanto voluto e consapevole.

Perché è evidente che se queste differenze sono naturali, ovvero innate o biologiche, ed esse portano i maschi a vivere una situazione di disagio, allora o la situazione è immutabile, se non nei tempi lunghissimi dell’evoluzione naturale biologica, oppure l’unico modo per uscire da questa situazione di disagio, per i maschi, è riportare le femmine a una condizione più sottomessa, più obbediente, nella quale le femmine vengano distolte dalla loro naturale propensione a rifiutare le offerte maschili.

Viceversa, se queste differenze sono apprese, o frutto di condizionamenti sociali, cioè se, come afferma una parte ancora valida del pensiero femminista, le donne sono sessualmente represse e da ciò deriva la loro ritrosia ad accettare liberamente le proposte da parte degli uomini, allora non si tratta altro che di progredire ulteriormente nell’emancipazione femminile per far sì che, con essa, si risolva anche la crisi del maschio moderno.

In realtà Marchi ha già affrontato questa tesi, commentando, in un capitolo del suo libro “Contromano” il pensiero di Carla Lonzi, nota femminista italiana degli anni ’60. Nelle parole della Lonzi la donna “clitoridea”, cioè consapevole del proprio desiderio e disposta ad affermarlo socialmente, liberando sé stessa avrebbe liberato tutta l’umanità, e quindi anche i maschi. Marchi non discute approfonditamente questa tesi ma la liquida con uno sprezzante “non ce ne siamo accorti”. “Non ve ne siete accorti perché non è mai successo” commento io (e non può succedere, finché la società rimane classista, aggiungo).

La donna non si è mai liberata, sotto questo punto di vista, ha solo “conquistato” la possibilità di divenire più attrattiva e più seduttiva, vestendosi di meno (non è molto tempo fa che le donne, anche dalle nostre parti, portavano la “pezzola” in capo) e assumendo, anche pubblicamente, degli atteggiamenti più provocanti e ammiccanti. Ma lo schema è rimasto: la donna è sempre l’oggetto del desiderio, l’uomo il soggetto. Ancora, la donna è quell’individuo che può soddisfare il proprio desiderio o, meglio, il proprio bisogno, soltanto suscitando il desiderio della controparte. Non può affermarlo chiedendo esplicitamente oppure anche solo proferendo un “sì” a una richiesta altrui (naturalmente sto parlando di rapporti occasionali, e sto parlando di medie, le eccezioni sono sempre possibili).

Altrove, nel libro, Marchi definisce il bisogno di alcuni maschi di non essere trattati dalle donne come dei cani da tartufo, ovvero di sentirsi anche amati dalla propria compagna e non solo di essere lasciati fare nell’espletamento dei propri bisogni fisiologici, come una richiesta infantile e una pretesa irrealistica, una nostalgia della madre che essi ricercherebbero nelle altre donne che incontrano nella loro vita. Ma le donne sono così, dice: amano solo i propri figli, e l’uomo, il vero uomo adulto, si deve assumere la responsabilità di aiutarle ad accudirli e gioire che la donna ogni tanto si lascia scopare.

Non c’è dubbio che per Marchi, come si evince da questi e altri commenti, la condizione della donna anaffettiva (e in realtà anorgasmica) sia una condizione di natura, innata, inerente alla conformazione biologica della femmina, e non una predisposizione derivante dal ruolo che esse occupano in questa società.

Mi scuso se ho per caso frainteso il pensiero dell’autore, qui ovviamente non posso che discutere della mia personale ricezione di esso; se poi ho detto delle inesattezze sarà lui stesso, se vorrà, a rettificare.

E allora vediamo di stabilire se le cose nei rapporti tra sessi stanno così per natura o per cultura.

Prima di tutto alcune precisazioni di metodo.

Il modo razionale di spiegare i valori morali e gli schemi di comportamento in una determinata società, è quello funzionalista. Quei certi valori morali e comportamenti vengono seguiti e adottati perché svolgono una funzione ai fini della perpetuazione di quell’ordine sociale o di determinati gruppi di individui all’interno di quella collettività. Inoltre, gli individui che adottano quegli schemi comportamentali, quei rituali, raramente sono consapevoli del vero motivo per cui quel rituale viene adottato. Nella stragrande maggioranza dei casi essi accettano quei valori senza interrogarsi sulla loro reale funzione, e se lo facessero, se potessero capire o spiegare quello che stanno facendo, diverrebbero anche in grado di modificare il loro schema di comportamento, o almeno avrebbero fatto il primo passo in tal senso.

Facciamo un esempio: molte religioni tradizionali incorporano una visione negativa e peccaminosa dell’attività sessuale non finalizzata alla riproduzione. La giustificazione ufficiale di questa condanna sta in una visione ascetica della vita terrena, finalizzata al distacco dai piaceri del corpo fisico in favore di una più alta finalità spirituale. Ma in realtà i veri obiettivi di questo comandamento potrebbero essere altri. Innanzitutto, le precarie condizioni igieniche delle società del passato, unite alla proliferazione di innumerevoli malattie, veneree e non veneree, faceva sì che l’atto sessuale fosse realmente una attività “sporca e pericolosa”. In questo senso la limitazione di uno stile di vita troppo promiscuo poteva avere degli effetti benefici per la salvaguardia della salute pubblica.

Ma soprattutto questo comandamento fa sì che coloro che ci credono ferventemente siano spinti a riprodursi sempre ogni volta che hanno un rapporto. Ne consegue che le famiglie religiose, e nella misura in cui credono e seguono i precetti della religione, saranno anche quelle più numerose. I tanti figli di genitori religiosi verranno a loro volta educati da credenti e si riprodurranno a loro volta di più di quelli meno credenti. Ecco che il comandamento avrà l’effetto di aumentare, con il passare delle generazioni, la popolazione religiosa rispetto a quella miscredente, e con essa anche la perpetuazione del comandamento stesso.

Questo solo per fare un esempio di spiegazione funzionalista dei precetti morali in antropologia, so di non avere le competenze per stabilire se la mia interpretazione di questo fatto specifico sia plausibile o meno.

Quindi quando dirò che un certo schema di corteggiamento o un certo insieme di stereotipi comportamentali maschili e femminili vengono seguiti perché svolgono una certa funzione, ciò non significa che i soggetti coinvolti si attengono a quello schema in base a un calcolo sui vantaggi e gli svantaggi che da quel comportamento ne possono derivare. Essi li seguono perché l’educazione, il senso comune, i media e così via li hanno indotti a comportarsi in quel modo. E tuttavia quel modello comportamentale si perpetua perché esso è funzionale alla riproduzione di un certo modello di organizzazione sociale.

E che ci si trovi di fronte a un insieme di fenomeni interpretabili seguendo questo tipo di modello esplicativo è indirettamente confermato dal fatto che coloro che si cimentano in un “corteggiamento”, un tentativo di approccio finalizzato a ottenere un rapporto sessuale, raramente sono in grado spiegare il motivo per cui si devono mettere in atto certe procedure. Ci sono certe “regole”, bisogna applicarsi in una pantomima in cui entrambi sappiamo che il vero obbiettivo e quello lì, ma bisogna fare finta di fare altro e parlare lungamente di altro, poi bisogna provare ad avvicinarsi, poi ad abbracciare facendo finta di stirarsi, e se lei non si ritrae allora vuol dire che accetta e si può passare allo step successivo. Ma scusate, non si potrebbe semplicemente dire “io ti piaccio, tu mi piaci, allora facciamolo!”. “Eh no! Troppo facile così!” mi disse una volta una ragazza mordendosi subito dopo il labbro per essere stata troppo sincera (il sottotesto era “prima devo vedere cosa sei disposto a fare per me, quanto sei disposto a insistere, quanto sei dipendente da me”) e dirottando subito dopo il discorso verso le solite frasi di circostanza “devi trovare la ragazza giusta per te, non ci penso nemmeno, ma sei scemo” ecc.

E allora propongo la mia spiegazione. L'asimmetria tra uomo e donna non è data dal fatto che il primo discende da Marte e la seconda da Venere, ma dalla combinazione di due fattori, l’uno indubitabilmente biologico, l’altro culturale o, meglio, derivante dall’organizzazione sociale di tipo classista.

La differenza biologica, sufficiente, secondo me, a spiegare tutte le differenze comportamentali appena descritte, è che la femmina, per definizione, quando fa sesso può rimanere incinta. Il maschio no. Il fattore sociale/culturale consiste nel fatto che, nell’attuale organizzazione sociale, non è previsto il diritto alla vita. La società si fa carico soltanto di proteggere i singoli individui dalle aggressioni violente da parte di altri, ma non si fa in alcun modo carico del fabbisogno di cibo, abitazione, cure, educazione, protezione di cui un individuo ha bisogno.

Di conseguenza, nel caso di un bambino, che è inizialmente inabile a lavorare, occorre che ai suoi bisogni provvedano i “responsabili” della sua messa al mondo, i genitori. Ma mentre su quale sia il buco dal quale il bambino esce non ci possono essere dubbi, su chi sia passato da quel buco nove mesi prima difficilmente si potranno avere delle prove certe. Tanto meno che un certo tizio sia stato l’unico a passarci. In pratica l’uomo avrà sempre la facoltà di riconoscere o non riconoscere, se non vuole, un bambino come suo figlio, mentre invece la donna, questa facoltà non ce l’ha.

È vero che oggi si può fare il test del DNA. Ed è vero che oggi esistono una miriade di metodi anticoncezionali che limitano il rischio delle gravidanze indesiderate. Ma la differenza biologica rimane. Per la donna il pieno soddisfacimento del suo impulso sessuale, il suo completamento, la sua felicità, contempla la procreazione. Ne discende che, quando una donna si innamora davvero di un uomo, automaticamente comincia a desiderare anche di avere un figlio da lui. E l’innamoramento della donna, quando è autentico, è molto più intenso di quello dell’uomo, virtualmente incontrollabile, con crisi di pianto, incapacità di lavorare ecc.

Ma mentre se un uomo innamorato, ma non corrisposto, rischia solo di essere lasciato e di andare incontro a una crisi di depressione, che comunque dopo un po' passa, se una donna si innamora di un uomo che non la corrisponde essa rischia di trovarsi, non solo con la depressione, ma anche ragazza madre, con un figlio a carico di cui dovrà occuparsi da sola per chissà quanto tempo. Con tutte le difficoltà materiali e spirituali che si possono immaginare. In poche parole, non se lo può permettere.

Di conseguenza la donna è sempre molto più attenta, nello scegliere il partner, a vedere quanto lei piace davvero all’uomo piuttosto che quanto l’uomo piace a lei. A concepirsi, cioè, come l’oggetto del desiderio altrui piuttosto che come il soggetto. Da qui tutte le varie prove a cui la donna sottopone l’uomo prima di “dargliela”, le quali servono a capire quanto un uomo è disposto a sacrificarsi per lei, a rinunciare alla sua indipendenza, lasciandosi sempre la facoltà di decidere, in ogni momento, se interrompere o meno la relazione. E l’ambiguità strategica, le “malizie”, gli stratagemmi e i sortilegi che le donne mettono in atto per “testare” l’adeguatezza caratteriale del maschio.

Il rovescio della medaglia è che la donna, molto più frequentemente dell’uomo, a pagamento o meno, si trova a fare sesso o a portare avanti delle relazioni con uomini che non le piacciono, o che si illudono di amare ma non amano, o che le piacciono insomma. Perché tra un uomo che amano ma da cui non sono sicure di essere corrisposte, e un “buon partito” che sanno di poter controllare, sceglieranno sempre il secondo. In altre parole, il rovescio della medaglia è la repressione sessuale.

Quali prove possiamo addurre a sostegno di questa tesi? Prove indiziarie.

Una è che le donne stesse, femministe, ne abbiano parlato, negli anni ’60.

Ed è solo, appunto, negli anni ’60 del ‘900 che viene effettuata una delle più grandi “scoperte” scientifiche del secolo scorso: l’orgasmo femminile (Masters e Johnson). Fino ad allora il mondo scientifico e il resto della società era convinto che il piacere sessuale fosse un privilegio esclusivo dei maschi. E che quindi lo fosse anche l’istinto e la ricerca sessuale. A tal punto che molti si chiesero “a che cosa potrebbe mai loro servire?”, e si spinsero addirittura a definirlo “un errore della natura”. Tale è la convinzione nella “naturalità” dei comportamenti sociali, in particolar modo di quelli differenziati tra i generi, da accusare addirittura la natura stessa di aver fornito erroneamente alle donne delle facoltà non consone al loro ruolo.

E allora se fino a quel momento non si sospettava nemmeno che un simile fenomeno naturale potesse verificarsi, vuol dire che esso era stato fino ad allora represso. Si può supporre che, mentre in certe società arcaiche molto repressive, si procedeva direttamente all’asportazione chirurgica della clitoride (segno che il desiderio femminile è sempre stato un fattore “scomodo” per il potere) le donne occidentali siano state sottoposte per lungo tempo a un processo di “infibulazione psichica”.

Un altro indizio che le cose possono stare effettivamente così deriva dalla pratica clinica, il trattamento di donne isteriche, il quale indirettamente getta luce anche sul complesso fenomeno dell’”innamoramento”, il “Mistero dell’Amore”. Succede spesso che terapeuti maschi alle prese con questo tipo di pazienti, caratterizzate da un alto tasso di rimozione delle emozioni e dei sentimenti, si trovino a innamorarsi, di una passione morbosa e incontrollabile, tanto da aver bisogno a loro volta di andare in terapia da un altro psicologo per non cedere alla tentazione e rovinarsi la carriera.

Che succede? Perché a volte ragazze neanche così attraenti, persino che rimangono antipatiche o meritevoli di scarsa ammirazione, riescono a mettere in corpo all’uomo una passione tale da non farlo più dormire, da perdere l’appetito, da pensare incessantemente a lei, e a morire di gelosia solo per averla vista interloquire con un altro uomo? Simili fenomeni sono stati interpretati con il concetto del “transfert” di cui una delle varianti è la cosiddetta “identificazione proiettiva”.

Funziona così. La paziente, o la ragazza, cominciano a essere attratte dal terapeuta, perché ne traggono beneficio, oppure perché lo trovano interessante. Ma una barriera psichica impedisce loro di divenire consapevoli di questo sentimento. Il subconscio avverte che c’è un desiderio e si chiede “chi è che sta provando questo desiderio?”, “non certo io, io sono la Donna, quell’essere angelicato privo di istinti ecc., mentre lui è l’Uomo, quella bestia famelica sempre con la bava alla bocca ecc., è lui che sta provando questo desiderio per me!”. Da quel momento in poi la ragazza comincerà a comportarsi come se il maschio la stia desiderando ardentemente, a dire frasi ambigue che hanno come presupposto il fatto che lui sta morendo d’amore per lei, ad ammiccare, a sorridere, fino a che il maschio, o il terapeuta, se non si accorgono di quello che sta succedendo, si ritrovano davvero a impazzire di passione per lei. Le donne, in questo caso, “proiettano” addosso all’uomo il desiderio che vorrebbero che lui provasse per loro, e l’uomo, il suo subconscio, inesorabilmente, si “identifica” con il personaggio che loro hanno trasferito su di lui.

In conclusione, se lo schema interpretativo che ho delineato è corretto, non è vero che il maschio è oppresso dalle donne, sono sempre i maschi (e le donne) delle classi dominanti che opprimono gli uomini e le donne delle classi più povere, sia socialmente che sessualmente. La donna non è vero che si è liberata, sono cambiate le forme dell’oppressione, ma era ed è sempre rimasta un oggetto. Ma questa liberazione non potrà mai avvenire se non si cambiano i valori individualistici sottostanti all’organizzazione sociale complessiva, giungendo a un ordine comunitario nel quale sia garantito il diritto alla vita per tutti (positivo non solo negativo). D’altra parte, in un mondo fondato sull’interesse personale è ben difficile che un sentimento per definizione disinteressato, come l’amore, possa farsi strada.

Con questo spero di aver dato un contributo significativo alla soluzione di questo enigma.

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Comments

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Mario M
Sunday, 07 April 2024 09:10
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La differenza biologica, sufficiente, secondo me, a spiegare tutte le differenze comportamentali appena descritte, è che la femmina, per definizione, quando fa sesso può rimanere incinta. Il maschio no.
È da qui che scaturisce l'asimmetria fra i due comportamenti, su cui si innestano le influenze religiose, politiche ed economiche. Oggi è soprattutto l'aspetto economico che prevale: la donna sa che lei rispetto a lui possiede un patrimonio sui generis, quasi spirituale, che l'uomo brama, e la prostituzione è un modo di riportare il patrimonio al suo significato pecuniario. L'uomo che non riesce a trovare una donna, molto probabilmente avrebbe anche difficoltà a gestire una famiglia. Però, in media, per un uomo che non trova una donna, c'è una donna sola, che però vive questa solitudine in modo meno doloroso, perché il sesso e l'affettività per lei riveste una componente ambientale: non è spasmodicamente attratta dall'uomo.
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Fabrizio Marchi
Sunday, 07 April 2024 11:51
Le donne non sono spasmodicamente attratte dagli uomini, come dici tu, proprio in ragione di quella asimmetria sessuale a cui faccio riferimento io stesso nel mio articolo, che è una condizione naturale, biologica (non vedo cosa ci sia di reazionario in questo, a meno di non pensare che non esista nulla di naturale e tutto sia solo e soltanto un prodotto del processo culturale) che vede necessariamente i maschi nella posizione di coloro che chiedono e di conseguenza non di coloro che decidono, che infatti sono le femmine. Non vedo, anche in questo caso, cosa ci sia di tanto scandaloso in questa che è una semplice constatazione che non ha nessuna necessità di chissà quali studi di antropologia per essere compresa.
Ed è evidente che il soggetto dominante in questa relazione non può che essere quello che decide, non certo quello che chiede. E' poi altrettanto evidente che questa condizione naturale - appunto, l'asimmetria sessuale di cui sopra - determina a sua volta tutta una serie di conseguenze di ordine sociale, economico, culturale ecc. Ma qui il discorso si farebbe molto lungo e, come ha già scritto l'autore dell'articolo, ci ho scritto un paio di libri dove approfondisco il tema. La mia opinione è che il sistema e l'ideologia capitalista su questa asimmetria ci si sia infilato come un topo nel formaggio perchè tale asimmetria riduce il rapporto fra i sessi ad una relazione improntata alla razionalità strumentale (cioè della domanda e dell'offerta) dove soltanto chi dispone del capitale si trova in una posizione di vantaggio. E' per questo che la grande maggioranza degli uomini si trova in una condizione di subalternità, sia in quanto soggetti sociali sia in quanto soggetti sessuati (maschili).
Non c'è dubbio poi che ci sia anche una quota non indifferente di donne che è sprovvista di capitale (comunque inferiore a quella maschile). Penso ovviamente alle donne di ceto sociale basso e non sessualmente attraenti (cioè quelle che non dispongono di nessun capitale, come la maggioranza degli uomini). Questo conferma ancora una volta che il principio fondativo del femminismo, la sorellanza di genere, l'a priori dell'appartenenza di genere - è una sostanziale menzogna, perchè la condizione complessiva di una donna ricca e bella o anche non ricca ma bella (che quindi dispone almeno di una quota di capitale, cioè la capacità attrattiva), in questa società è completamente diversa da quella di una donna non ricca e non bella. E' il femminismo che ha cercato e cerca di accomunare tutte le donne come se fossero un'unica sola categoria, ma si tratta di una evidente manipolazione che finisce a colpire anche molte donne. E questo conferma la natura intrinsecamente sessista e interclassista del femminismo stesso. Infatti, che cos'hanno in comune la ricca signora borghese con la sua colf filippina e la sua baby sitter ecuadoriana che sono state costrette ad abbandonare il loro paese e i loro figli per venire ad accudire quelli della ricca signora borghese? Nulla, a parte lo stesso apparato genitale. E che cosa ha in comune la strafiga, in questa società che esalta la visibilità e la bellezza, con una donna che strafiga non è? Nulla, anche in questo caso.
Chiunque non sia prigioniero della sua gabbia ideologica è in grado di constatare quanto sto dicendo, anche esperendolo personalmente. Il problema nasce, come per l'autore dell'articolo in risposta al mio, quando si deve a tutti i costi far quadrare la realtà con la propria ideologia. Un'operazione che, oltre ad essere profondamente antimarxista (ma su questo si potrebbe anche passare sopra perchè il pensiero di Marx non è la Verità Rivelata e neanche la Scienza Esatta e Infallibile, comunque anche quest'ultima fallibile per definizione altrimenti non sarebbe scienza ma religione..) è ovviamente una forzatura ideologica che non ha nessun fondamento nella realtà vera. Ma questo concetto lo approfondirò rispondendogli direttamente quando avrò tempo.
Un’ultima considerazione. La contraddizione fra “ontologisti” e “culturalisti”. Per i primi, diciamo così la destra, nulla è trasformabile, perché l’”essere” è in un determinato modo e nulla è trasformabile. Questo modo di vedere conduce inevitabilmente all’immobilismo; la realtà è quella che è per condizione naturale e quindi dobbiamo accettarla così come è per quella che è. Questa – volendo semplificare all’inverosimile – è la concezione del pensiero conservatore che vuole appunto conservare e salvaguardare lo status quo, e per farlo ricorre appunto alla sua visione filosofica e ideologica del mondo.
Sul versante opposto ci sono i “culturalisti”, ai quali appartiene anche l’autore dell’articolo. Per questi non esiste nulla di naturale perché tutto è culturale, quindi tutto può essere trasformato e, diciamola meglio, plasmato a piacimento. Da qui all’ingegneria genetica e sociale è una “sgommata” come diremmo dalle mie parti (Roma). Entrambe queste due concezioni finiscono inevitabilmente nel degenerare in forme, sia pur diverse, di totalitarismo (categoria che a me non piace molto anche perché utilizzata molto male ma credo che ci capiamo..).
L’errore di queste due diverse visioni è a monte, quindi diciamo di natura epistemologica. L’essere umano, infatti – e questa è la sua specificità che lo contraddistingue da tutte le altre specie viventi – e’ un essere naturale e culturale nello stesso tempo. Fin da quando siamo scesi dagli alberi e forse anche prima quando abbiamo cominciato a scegliere i frutti sugli alberi da mangiare in base ad una minima forma di ragionamento appena superiore a quella delle scimmie, abbiamo iniziato il processo culturale che è connaturato nella nostra specie. Quindi la separazione fra natura e cultura che operano sia gli “ontologisti” che i “culturalisti” è priva di fondamento e di ogni senso. E’ in ragione di questa separazione che l’autore dell’articolo può tacciare il sottoscritto di essere un reazionario di destra. Perché per lui è vietato dalle sue tavole ideologiche ammettere che possa esistere una natura umana (sia pure con la specificità che ho appena spiegato) e che esistano comunque dei fondamenti biologici (e non vedo cosa ci sia di male in questo). Uno di questi è, appunto, l’asimmetria sessuale fra maschi e femmine che c’è sempre stata e sempre ci sarà. Ma ammettere questo significa anche ammettere che in effetti le donne sono mediamente in grado di esercitare un grande potere sugli uomini (che in effetti perlopiù esercitano, un potere che nella società capitalistica attuale raggiunge proporzioni mai viste). Ma ammettere ciò significa recitare il de profundis al femminismo e anche a una (piccola) parte del pensiero marxiano, in realtà fondamentalmente quello engelsiano (Marx si è occupato poco o nulla di questo tema) e questo l’autore che pone l’ideologia prima della realtà, non può permetterselo, pena una crisi irreversibile di identità anche personale. E’ proprio da questo modo di porsi che è sempre scaturito il dogmatismo, una brutta bestia da debellare che molto probabilmente non sarà mai debellata.
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