Un’analisi di tutto rispetto
di Laura Baldelli
Recensione del libro di Antonio Calafati L’uso dell’economia. La sinistra italiana e il capitalismo 1989-2022.
Nell’analisi dell’autore, critica del pensiero liberale, non troveremo le categorie e i termini marxiani come coscienza di classe, conflitto di classe, imperialismo. Non si mette in discussione il capitalismo, né il liberismo, bensì il neoliberismo del capitalismo sovrano che non vuole sottostare alle regole della democrazia. Il prof. Calafati contesta l’uso ideologico dell’economia politica, definito “una patologia mortale per la democrazia” e quindi per lui è consequenziale anche la condanna delle società del socialismo reale. Il saggio è affascinante come un romanzo, dove l’approccio storico e filosofico ci guida al pensiero di Adam Smith, di Friedrick Engels, di Alexis de Toqueville, di John Stuart Mill, di Joseph Alois Schumpeter per spiegare epoche ed eventi storici della società europea e della metamorfosi della Sinistra Italiana.
Il prof. Antonio Calafati è un economista urbanista. È stato docente universitario presso l’Università Politecnica di Ancona, facoltà di economia Giorgio Fuà, alla Friedrich-Schiller-Universitat di Jena e all’Accademia di Architettura di Mendrisio, inoltre ha coordinato l’International Doctoral Programme in Urban Studies a L’Aquila. È autore dei saggi come Città in nuce nelle Marche, scritto con Francesca Mazzoni per Franco Angeli ed. 2008, Economie in cerca di città. La questione urbana in Italia” ed. Donzelli 2009, Città tra sviluppo e declino (a cura di) ed. Donzelli 2013. La sua ricerca parte sempre dall’osservazione del mondo reale, con un approccio multidisciplinare, contrassegnata da una grande onestà intellettuale e libertà di pensiero, offrendoci una riflessione della storia recente del nostro Paese dall’’89 al ’22, con gli strumenti dell’economia, dell’urbanistica e della sociologia.
Come si evince dal sottotitolo, l’analisi critica è rivolta alla sedicente Sinistra Italiana, responsabile di molti misfatti, nonché della propria sconfitta elettorale.
Perché partire dal 1989? perché il 9 novembre 1989 cadde il muro di Berlino, ma per spiegare meglio gli eventi l’autore inizia dal 1987, quando l’Onu pubblicò il rapporto “Our Common Future”, frutto del resoconto di quarant’anni di studi, analisi, ricerche e soprattutto riflessioni sulle conseguenze ambientali e sociali del modello di economia delle principali democrazie liberali. Per lui il 1987 avrebbe dovuto essere l’anno della consapevolezza che i decenni della grande accelerazione economica della crescita infinita, lontani dalla sostenibilità ambientale e sociale, avevano prodotto dannosi squilibri all’ecosistema e diseguaglianze nel mondo e che andava intrapreso un cambio di rotta verso un modello economico sostenibile ed equo. Tutto era partito dalla prima conferenza sulla protezione dell’ambiente umano e naturale nel 1972 a Stoccolma che aveva richiamato l’attenzione sulla salvaguardia delle risorse naturali a beneficio di tutti, ponendo l’obiettivo della necessaria collaborazione internazionale per la risoluzione dei problemi ambientali senza tralasciare gli aspetti sociali ed economici legati allo sviluppo. Dopo Stoccolma, nello stesso anno, nacque il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite.
Secondo l’opinione dell’autore il rapporto dell’’87 tracciava quindi la via per una cesura epocale: dopo lo sfruttamento indiscriminato di risorse ambientali e umane e la conseguente crisi ecologica e sociale, si auspicava un cambio di paradigma verso una transizione di equilibrio e rispetto dei territori e dei popoli dal punto di vista ambientale, anche con il superamento dello sfruttamento del colonialismo economico, mai abbandonato dall’occidente. Occorrevano studi per nuove forme di sostenibilità socio-ambientale di consumo, anche attraverso forme di cooperazione internazionale, ai fini della democrazia e della pace, fondati sul presupposto che il capitalismo dovesse rientrare sotto il controllo della democrazia, nel rispetto delle regole democratiche per tutti, senza eccezioni.
L’Onu aveva informato i governi del mondo dei danni e delle conseguenze e suggeriva come cambiare, ma quasi tutti i paesi non optarono per il nuovo corso della transizione ecologica e sociale e il mainstream si adoperò affinché quel documento fosse dimenticato, sviando l’opinione pubblica con pervasive armi di distrazioni di massa, creando l’allucinazione collettiva dello sviluppo infinito.
Inoltre una serie di avvenimenti determinarono l’inesorabile espansione e consolidamento del capitalismo sovrano: il 26 dicembre 1991 cadde l’ultimo baluardo del Socialismo e fu ammainata la, per noi gloriosa, bandiera dell’Urss al Cremlino in seguito alla deposizione del presidente Michail Sergeevič Gorbačëv a favore di Boris El’cin: l’Urss, noi lo sappiamo bene, fu un baluardo a difesa, anche e soprattutto, delle democrazie europee.
In Italia, il 3 febbraio 1991, si era già sciolto il Pci, abbandonando anche il suo importante ruolo di presidio della legalità. Fu il risultato della mutazione genetica in atto da tempo per dar vita al Pds, Partito Democratico della Sinistra, per poi mutare in Ds e infine Pd, Partito Democratico nel 2007, dove la parola “sinistra” scomparve definitivamente e coerentemente, vista l’abiura e la scelta neoliberista, che rinnegava perfino “il capitalismo sociale”, che il Pci aveva contribuito a consolidare.
Ma il fatto più rilevante accadde l’anno dopo, il 7 febbraio 1992, con il trattato di Maastricht che definì l’UE e nello stesso anno fu pubblicato La fine della storia di Francis Fukuyama, che intendeva sancire la vittoria definitiva del capitalismo, ma non quello imbrigliato dalla democrazia, bensì quello predatorio imperialista, completamente deregolato dal culto del mercato. L’idea nefasta per l’umanità, cioè la fine della Storia delle società socialiste, divenne egemone tra le élite intellettuali che sposarono il paradigma mercantilista, nell’interpretazione che il mercato competitivo fosse il dispositivo a cui affidare totalmente il processo economico, compresi il rapporto con l’ambiente naturale e la vita individuale e sociale delle persone. Così il capitalismo diventò sovrano sullo Stato e la politica, unico modello organizzativo senza confronti con altre modalità organizzative e di sviluppo.
Il saggio prosegue parlando dell’adesione all’euro che cambiò e stravolse l’economia e la società italiana, perché il mercato globale della moneta, come mercato competitivo, esponeva le democrazie europee al giogo dei mercati finanziari. Ma questo non è mai stato argomento di discussione della Sinistra, neanche dopo la crisi del 2007-08, che così ha dimostrato la sua totale adesione al capitalismo sovrano, il quale ha permesso ai detentori di ricchezza finanziaria di muoversi nel mercato globale in forme spregiudicate e deregolate che hanno provocato disastri economici e sociali.
Eppure la storia ci aveva insegnato – sostiene Calafati – che l’economia e le scienze sociali erano nate nel XVIII secolo come saperi necessari per “servire la democrazia”, ma le democrazie europee, che nel secondo dopoguerra avevano realizzato una dignitosa redistribuzione del reddito, della ricchezza e del benessere, grazie ai compromessi politici, andavano fermate, perché più volte il capitalismo globale aveva sofferto dell’instabilità dei flussi internazionali di materia-energia nella prospettiva della crescita infinita. Proprio dal 1989, iniziò subito la “rivolta delle élite, che è anche il tradimento della democrazia”, come la definì lo storico e sociologo statunitense Christopher Lasch. Quelle élite che si erano dovute piegare alle regole che promuovevano diritti ed eguaglianza. Nel contempo l’Ue iniziò il suo percorso di regressione dai valori democratici che i popoli europei avevano conquistato liberandosi dai fascismi. Era iniziata l’era dell’agenda politica neoliberale, connaturata da un capitalismo privo della dimensione etica e politica, generatore di disequilibri ambientali e sociali, dove il cittadino diventa consumatore. Calafati scrive queste testuali parole: “Sotto i detriti del muro di Berlino muore il modello del capitalismo sociale, scompare la crisi ecologica e ci si dimentica la disperata necessità di mettere nell’agenda politica dei governi la sostenibilità ambientale e la giustizia globale”. Inoltre abbracciare il mercantilismo del capitalismo sovrano include favorire un esasperato individualismo nella società, dove viene meno il senso della collettività. Noi comunisti lo diciamo da sempre, ma quando lo afferma anche un economista che si basa sull’evidenza empirica dei costi sociali di tale modello economico, ci permette di aprire un dialogo franco, proficuo e costruttivo, pur essendo la nostra critica rivolta anche al capitalismo tout court.
La Sinistra italiana, dopo il muro di Berlino e l’autodistruzione dell’Urss, nell’abiura dell’interpretazione marxista del capitalismo, dovendo riformulare il proprio pensiero per un nuovo progetto politico, scelse proprio il paradigma mercantilista, in cui il mercato del lavoro è definito dalla parità tra la domanda e l’offerta, piuttosto che dall’equità del salario per il lavoratore; la mutazione genetica era in corso da tempo e non fu certo solo opera di Occhetto. Infatti in questa scelta i vari D’Alema, Veltroni, Napolitano, come altri, si trovarono perfettamente a loro agio e mantennero le loro posizioni di privilegio. Lo stesso Calafati definisce la scelta del capitalismo sovrano della Sinistra Italiana, “un tradimento”.
In Italia il crollo della Sinistra politica, secondo l’Autore, è stato “determinato dall’incapacità della sua élite intellettuale di connettersi con la riflessione critica sul capitalismo”, favorendo il primato dei governi tecnocratici, che sottomisero il Paese ai poteri finanziari internazionali, cosa mai accaduto in nessun’altra democrazia; ne contiamo ben quattro, tutti sostenuti dalla Sinistra: governo Ciampi 1993-94, il primo governo guidato da un non parlamentare, in cui si gettarono le basi per la svendita dell’Iri presieduta da Romano Prodi; governo tecnico Dini dal ’95 al ’96, in cui l’attacco al sistema pensionistico dei lavoratori si concretizzò con la legge n. 335/1995, segnando il passaggio dal retributivo al contributivo, “il trionfo dell’ideologia neo-liberale” e la conseguente destrutturazione del mercato del lavoro; ma l’anno cruciale fu il 2011, quando Berlusconi fu costretto alle dimissioni, perché il governatore uscente della Banca centrale europea Jean Claude Trichet toglieva, senza averne facoltà, la fiducia al governo italiano, omettendo di chiedere di affrontare con urgenza i disequilibri finanziari; ma la sinistra non pretese elezioni politiche, anzi sostenne e legittimò il governo tecnocratico Monti del 2011-2013, rinunciando a esercitare il proprio ruolo di rappresentanza dei cittadini nel dibattito pubblico, come vorrebbe la democrazia. E così i lavoratori italiani furono puniti con la famigerata legge Fornero che penalizzò ancora le pensioni dei lavoratori mentre Napolitano volle il pareggio di bilancio inchiodato in Costituzione; come conseguenza politica il Pd, alle elezioni politiche del 2013, perse otto punti percentuali rispetto al 2008; più recentemente, dopo le parentesi dei governi delle coalizioni improbabili guidati dal M5s che videro come alleati prima la Lega e poi il Pd, dimostrando un’instabile identità, comparve di nuovo un governo tecnocratico con Mario Draghi, dal 2021 al 2022, preparato dal Pd, con la scusa della grande occasione NextGenerationEU, per il quale occorreva competenza, e si lanciò con enfasi la retorica della rinascita economica del Pnrr. In pratica la Sinistra Italiana ha contrapposto la competenza alla rappresentanza, ovvero alla democrazia. Poi c’è stata la vittoria di Giorgia Meloni, che ha sposato l’agenda Draghi, rimangiandosi tutte le affermazioni precedenti, confermando che il fascismo è sempre al servizio dei poteri forti e contro la democrazia.
I tecnici al potere, in nome dell’economia di mercato, hanno cambiato le leggi che imbrigliavano il capitalismo. Fanno parte di questi cambiamenti le privatizzazioni del prof. Prodi, sostenuto dai traditori del Pci, divenuti fautori della svendita del patrimonio economico dello Stato italiano, che aveva fino a quel momento supportato il welfare degli Italiani, oltre che dare lavoro stabile e tutelato, prestigio internazionale. Prodi, ha trasformato i beni pubblici in beni privati senza sanare alcun debito pubblico che, anzi, è aumentato. Il capitalismo neoliberale fagocita tutti gli altri capitalismi ancora collocati all’interno delle regole democratiche, ma nessun paese dell’Unione Europea come l’Italia ha svenduto così tanto la propria economia e autonomia.
Le produttive aziende dello Stato italiano furono predate dalle multinazionali concorrenti, mentre s’intravedeva già il business della privatizzazione dei servizi al cittadino e per questo andavano smantellati anche tutti i diritti acquisiti, mentre la svendita delle industrie a partecipazione statale fu anche un regalo, con i soldi degli italiani, agli imprenditori italiani, “i capitani coraggiosi”, che le portarono al fallimento.
Prosegue l’autore che la sinistra italiana, “liberata della propria identità”, ha dimenticato anche il pensiero di Norberto Bobbio il quale sosteneva che la libertà di mercato, confusa nelle libertà dei diritti fondamentali, sarebbe stata “un abbraccio mortale”, perché avrebbe distrutto i diritti. Anche il pensiero di Federico Caffè, espresso nella raccolta di saggi In difesa del Welfare State, è caduto nell’oblio. La Sinistra ha rinunciato a esercitare la sovranità della democrazia sul capitalismo, anzi ha decostruito il capitalismo sociale, legge dopo legge, lasciando il Paese in balia del libero mercato deregolato, dove i rapporti giuridici dei contratti di lavoro sono stati progressivamente modificati fino ad arrivare alla negoziazione bilaterale tra datore di lavoro e lavoratore, in cui sparisce il contratto collettivo nazionale, strumento fondamentale per allineare e vincolare alla democrazia il mercato stesso. Il governo Renzi con il Job act del 2014 è stato l’ennesimo omaggio alla deregolamentazione del mercato del lavoro.
I sindacati, dopo la scelta concertativa, hanno gravissime responsabilità: hanno persino accettato che un’ora di lavoro potesse essere l’unità minima di negoziazione nel mercato del lavoro.
Nel vuoto culturale anche colui che sembrava nostalgico dei “vecchi tempi, Bersani, con le liberalizzazioni nel terziario, ha provocato la chiusura delle piccole attività commerciali e artigianali, in favore della grande distribuzione, contribuendo a modificare le nostre città, ormai circondate e assediate dai centri commerciali e dalle catene della globalizzazione.
Eppure il socialismo era nato dallo studio delle città industriali della seconda rivoluzione industriale inglese, divenute metropoli senza natura, degradate dall’inquinamento, dalla povertà, come oggi ci appaiono le città italiane inquinate e soffocate dal traffico privato, cresciute senza regole e progetti urbani, popolate come nell’800 dai poveri che lavorano, con l’aggravante che il patrimonio storico-culturale è preda di guadagni privati, sfruttatori del turismo di massa; inoltre siamo in pieno sfacelo idrogeologico per la cementificazione privata, per il turismo predatorio, per la privatizzazione di beni e servizi dove si risparmia sulla manutenzione, dentro una disoccupazione strutturale che costringe i nostri giovani alla migrazione, mentre ne arrivano altrettanti dai paesi depredati prima di noi.
L’élite intellettuale, ancora sedicente “di sinistra”, vive un totale scollamento dal mondo reale del paese Italia, dentro un’informazione manovrata dai poteri economici sovranazionali e dalla latitanza del mondo accademico che non ha contrastato il pensiero unico, non ha prodotto ricerca, non ha educato ai valori fondanti della Costituzione, non ha trasmesso memoria storica per costruire futuro. Se ne erano e ne sono ancora oggi consapevoli, allora sono dei traditori della Patria.
Infatti prof. Calafati scrive: “…una scelta strategica nelle sue conseguenze: metterà la sinistra in una traiettoria di collisione con la democrazia e la farà naufragare”, perché i disequilibri sociali non solo generano sentimenti anticapitalistici, ma anche antidemocratici e lo dimostra la crescita in Europa della destra estrema, in assenza di una forza politica che difenda la classe dei lavoratori, anche se questa destra estrema al potere sarà come di consueto serva del capitalismo sovrano.
L’autore sostiene che perfino le persone con un buon grado d’istruzione vivono uno spaesamento intellettuale e non sono in grado di fermare questo percorso, perché negli anni la sinistra non ha prodotto cultura, ha delegato ai tecnocrati dell’economia ogni decisione, senza studiare, senza comprendere che facevano gli interessi dei poteri transnazionali, sottomessa culturalmente, intrappolata dentro il paradigma mercantilista dello scientismo economico acritico, omettendo l’ovvia, quanto semplice analisi costi-benefici. Storicamente le teorie dello scientismo economico erano state premiate con il Nobel nel 1970, assegnato a Paul Samuelson e nel 1974 a Friedrick von Hayek, divenendo egemoni negli Usa di Ronald Regan e nel Regno Unito di Margareth Thatcher, con i danni e le conseguenze che ben conosciamo. Eppure l’economia è considerata una scienza empirica e sarebbe bastata l’analisi costi-benefici per evitare certi esiti negativi. Ma gli obiettivi erano altri e non certo il bene dell’umanità.
Draghi, che appartiene a questo ordine economico, non fa economia reale, bensì economia astratta, metafisica, fuori dal tempo e dallo spazio, recitando la litania che il mercato deve essere competitivo, perché così si autoregola, senza mai fare alcuna verifica dei fallimenti delle politiche economico-sociali del capitalismo sovrano: ma i suoi obiettivi sono altri e non riguardano popoli e paesi, non si fonda sul modello del capitalismo sociale basato sulla crescita economica legata all’uguaglianza, anzi trascura l’evidenza empirica dei costi sociali del modello neoliberista e del processo economico.
Il prof. Calafati ci segnala un testo del 1911 che considera profetico, “La teoria dello sviluppo economico” di Joseph Alois Schumpter, tra gli economisti che maggiormente hanno influenzato il corso del ‘900, in cui si profila l’inesorabile sguardo cinico del capitalismo contemporaneo, il quale evita la giustizia distributiva e le conseguenze sociali delle innovazioni tecnologiche, proiettato in una logica di distruzione e creazione (“distruzione creativa”), privo di scrupoli verso gli inevitabili costi sociali. Erano gli anni delle democrazie liberali, prive di diritti sociali e civili, eppure sembra la fotografia dell’attuale mondo dell’impresa, del mondo del lavoro e dei lavoratori.
Invece il mainstream, in mano ai poteri economici, è reo di aver diffuso un immaginario collettivo basato su affermazioni fuorvianti, che puntualmente vengono smentite dall’economia reale, come quella che i consumi regolano il mercato, mentre invece vengono pilotati e dirottati secondo le logiche decise dal mercato con i persuasivi mezzi di comunicazione globali. In Italia l’informazione, collusa con il potere, omette di dire che i soldi del Pnrr non sono sovvenzioni a fondo perduto, ma in gran parte sono debito che l’Italia dovrà rimborsare e l’Ue ha solo facilitato l’indebitamento, consentendo di ottenere prestiti, accesi sui mercati finanziari a basso tasso d’interesse; inoltre l’Italia ha chiesto per il Pnrr le sovvenzioni più alte di tutta l’Ue, mentre gli altri paesi hanno provveduto con proprie risorse: eppure con il governo Monti si era modificata la Costituzione con il vincolo del pareggio di bilancio. Probabilmente i denari saranno sprecati in inutili progetti, anche con la beffa che i cittadini italiani dovranno ripagarli. Anche l’inganno in edilizia, con i contributi del 110% spacciati per intervento keynesiano, ha prodotto debito pubblico e su questo la ragioneria dello stato ha colpevolmente taciuto; mentre è opinione di molti economisti che gli interventi keynesiani non causino debito pubblico.
Oggi è chiaro il piano economico del Pd alternativo alla destra? Entrambi hanno l’agenda Draghi. Ma anche tutta la moderata Sinistra Italiana, tutta liberal, quel campo largo di cui si farnetica, ha un’idea di quale sistema sanitario vogliono? Su quali fondamenti giuridici intendono regolamentare il lavoro? Quale rilancio economico e come combattere la disoccupazione? Quale transizione ecologica intendono perseguire? Quale patrimoniale? Che progetto per le città italiane? Quale rilancio dell’agricoltura? Quale scuola?
Il dibattito invece s’incendia su falsi problemi: si discute sul salario minimo e non sul nostro più basso tasso di occupazione, perché la nostra economia non genera lavoro, mentre con le migrazioni “importiamo nuovi schiavi”, disposti anche a lavorare senza diritti; non ci preoccupiamo della migrazione italiana verso l’estero, cittadini formati a spese delle famiglie italiane e dello Stato che spendono conoscenze e competenze in altri paesi. E poi ci si scandalizza se un rozzo ministro di destra osa parlare di “sostituzione etnica”. Ecco la conseguenza della metamorfosi verso il paradigma mercantilista nella regolazione dell’economia e della società, dove si abbandona l’uso concreto dell’economia legato al valore etico delle condizioni economiche dei cittadini nello spazio e nel tempo, lontano dalla globalizzazione, provocando invece una totale disconnessione tra economia e società.
Come è potuto accadere tutto questo? L’autore ci dà una spiegazione legata “all’insipienza degli intellettuali di riferimento della Sinistra che hanno portato verso il paradigma mercantilista e l’agenda neoliberale”, e anche perché il socialismo scientifico aveva lo stesso determinismo positivista della teoria mercantilista: rigidi e ferrei entrambi, legati al pensiero deduttivo del ragionamento economico e quindi sul piano del metodo sono indistinguibili. Ma, ribattiamo noi, Lenin non seguì questa linea e sull’argomento rimando i lettori allo straordinario e imperdibile articolo di Gianmarco Pisa pubblicato il 30 gennaio 2024 sul nostro giornale nella sezione Questioni teoriche.
Torniamo a Calafati. Gli economisti di sinistra dibattevano con gli economisti del paradigma mercantilista, come dentro un confronto da disputa scolastica tutta teorica, che escludeva l’indagine e l’analisi sul piano concreto, sia delle società del socialismo reale, sia quelle del capitalismo reale, escludendo dalla discussione il capitalismo sociale. Così la sinistra, ormai senza identità, abbracciando il liberismo e pensando di fare del “liberismo di sinistra”, ha deregolamentato il mondo del mercato del lavoro, introducendo modifiche all’ordinamento economico, facendo crescere in modo esponenziale le diseguaglianze, proprie del paradigma del capitalismo sovrano, che reputa necessaria la diseguaglianza, e questo lo rende nemico della democrazia.
Oggi ci ritroviamo in un Paese in cui i salari sono fra i più bassi d’Europa, con relazioni di lavoro degradanti in diversi settori, nonché il più basso livello d’istruzione.
“Ma è eticamente accettabile e politicamente sostenibile in una democrazia, far dipendere la competitività internazionale dell’economia, dalla riduzione dei compensi e dal peggioramento delle condizioni di lavoro di una parte soltanto degli occupati?” si chiede retoricamente l’autore. Che cosa dovrebbe fare l’attuale Sinistra secondo Calafati? Dovrebbe andare a osservare le città, i luoghi di lavoro, i mezzi pubblici per capire come si vive oggi in Italia, proprio come aveva fatto Engels nell’800. Ma io dico che sperare in questo ravvedimento è utopia: non capirebbero, anzi non vogliono capire per poter conservare i propri privilegi e non ammettere le colpevoli responsabilità del degrado in cui viviamo.
La capacità di svolgere una critica assai documentata verso teorie e politiche che hanno determinato una paurosa involuzione delle nostre società ci consentono di esprimere apprezzamento per il lavoro dell’Autore, anche se da comunisti abbiamo un’idea diversa della teoria economica, non proprio una scienza empirica, abbiamo un’idea diversa del socialismo scientifico e soprattutto crediamo che le tendenze di fondo del capitalismo lo rendano comunque incompatibile con la democrazia e non solo nella sua versione neoliberista.
Il prof. Calafati ha giuste critiche anche per la sinistra radicale: incapace, perché priva di strumenti culturali, che anche noi abbiamo visto parcellizzarsi e spendersi per i diritti civili, escludendo quelli sociali, dentro un pacifismo privo delle categorie di analisi dell’imperialismo, legato a una retorica identitaria sentimentale, rituale verso alcuni miti. Infatti le parcellizzate forze comuniste non hanno intrapreso un’analisi seria su tutto il processo che ha visto in Italia sparire la forza politica comunista dalle istituzioni e dal mainstream, né pensano di scendere in campo unite nelle lotte per la pace e a difesa dei lavoratori e consapevoli di come ricostruire la coscienza di classe.
Ma i Comunisti che lottano e cercano l’unità non sono né spariti, né morti in Italia e soprattutto nel mondo. Noi del Movimento per la Rinascita Comunista siamo stati in grado di aggregare i tanti compagni e compagne che credono nel socialismo per una futura umanità, con un grande lavoro di tessitura, analisi, confronto e dialogo, per costruire una forza intellettuale e organizzata che guardi ai Paesi del fronte antimperialista, dove ognuno in modo diverso e dialettico progetta e organizza società ed economie per l’uguaglianza dei diritti e dello sviluppo sostenibile, con l’obiettivo di vivere in pace nel rispetto dell’ambiente, della storia e delle culture di tutti.
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