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Antivirali: fondamentali nella prossima fase della pandemia
di Michele Di Mascio
I farmaci antivirali potrebbero essere uno strumento fondamentale per affrontare la prossima fase della pandemia, quella che sarà caratterizzata dall’emersione di nuove varianti virali. Gli antivirali ad ampio spettro, come il molnupiravir, sono stati identificati quando i virologi dei coronavirus hanno compreso che il gene della polimerasi, la macchina fotocopiatrice del virus, risulta molto conservato nel processo di speciazione dei virus a RNA. La pressione immunitaria agisce, infatti, soprattutto sul gene della proteina spike virale, il target dei vaccini, mentre nessuna pressione dovrebbe agire sul gene della polimerasi virale. In più gli antivirali perdono di efficacia quando somministrati troppo tardi dopo l’infezione e dunque potrebbero essere particolarmente utili per le persone “consapevoli” di essere state esposte al virus. Questo è quello che avviene per i contagi domestici, che sono un driver importante dell’epidemia di COVID-19.
In molti paesi, il decorso dell’epidemia da SARS-CoV-2 conferma nella sostanza le previsioni formulate dal gruppo di epidemiologi della University of Hong Kong coordinato da Joseph Wu, in un articolo pubblicato su Lancet già alla fine del mese di gennaio 2020: senza distanziamento sociale e mascherine, si sarebbe infettato più del 50% della popolazione in pochi mesi. Durante l'anno trascorso, diverse varianti virali, più veloci a diffondersi e, purtroppo, più letali, hanno in parte sostituito il ceppo originario di Wuhan. In più, stanno mettendo alla prova i vaccini sviluppati finora.
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L’incidente di Suez e la fabbrica del mondo
Paolo Perulli intervista Sergio Bologna
La conclusione della crisi di Suez con la ripresa dei flussi marittimi non significa necessariamente il ritorno al business as usual, come si affrettano a cantare gli osservatori economici mondiali. Come nelle crisi finanziarie e in quelle ecologiche e pandemiche, si è trattato di un preciso segnale di fallimento del mercato e del necessario ripensamento del modello di trasporti mondiali delle merci sin qui invalso (gigantismo navale, importazione dall’Asia di gran parte dei prodotti, anche quelli essenziali e strategici, perdita di capacità produttiva dei sistemi locali in agricoltura e nell’industria, danni all’ambiente e inquinamento) i cui costi ambientali, sociali ed economici sono crescenti.
Sulla crisi del trasporto marittimo mondiale di questi giorni abbiamo intervistato Sergio Bologna (Trieste 1937), storico, germanista, traduttore di L’anima e le forme di G. Lukács, studioso del nuovo lavoro autonomo, e uno dei maggiori esperti italiani di logistica e trasporti marittimi che su questi temi ha scritto Le multinazionali del mare (2010).
* * * *
1. La crisi delle forniture mondiali di merci causata dall’incidente occorso alla Ever Given è un episodio eclatante: è un fatto isolato, o mette in luce una criticità nel sistema mondiale della logistica marittima? Quali sono i costi ambientali, oltre che economici e sociali, dell’attuale sistema? Chi sono i vincitori e chi sono i perdenti?
È necessario iniziare dalla situazione che si era determinata dopo la crisi del 2008/9. Sorsero allora i primi dubbi sul modello della globalizzazione, non tanto sui processi di delocalizzazione quanto sulla sostenibilità delle catene di fornitura (le supply chain).
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Blockchain, criptovalute e economia verde: occhio ai facili entusiasmi…
di Costantino Rover
La tecnologia della blockchain è una tecnologia fantastica che cambierà il nostro modo di agire, di scambiarci la proprietà delle cose, di scrivere contratti e persino di pensare e di essere.
Sembra una strada spianata verso la libertà digitale di ciascuna persona ed anche la via maestra verso la green economy.
In superficie è una promessa di quelle che rassicurano.
Abbiamo scavato per cercare le auspicate conferme.
Blockchain e Bitcoin sono davvero la rivoluzione verde verso cui siamo convinti di essere in cammino?
Sono compatibili fra di loro, sviluppo economico e finanziario sostenibile, politiche ambientaliste, politiche salariali, blockchain e cryptocurrency?
Questi ultimi anni sono stati caratterizzati dal ripetuto annuncio della rivoluzione della blockchain, dalla comparsa di molteplici cripto valute e dal lancio della campagna per la guerra ai cambiamenti climatici. Ma siamo certi che la blockchain, il Bitcoin più le sue sorelle e il friday for future siano compatibili tra di loro?
Con la blockchain possiamo già da oggi comprare e vendere e persino possedere monete non emesse da banche, non vincolate ad una area geografica, ad uno Stato, un confine o a un mercato specifico.
Con la blockchain potremo anche garantire servizi pubblici o monitorare la supply chain (cioè la filiera completa: dal produttore al consumatore passando attraverso tutta la catena di fornitori, trasportatori…) e persino la qualità di ciò che indossiamo o mangiamo.
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Joe Biden e la Russia
di Enrico Vigna
“Cumpanis” ringrazia Enrico Vigna per questo prezioso e come sempre documentatissimo contributo
Molti nel periodo dell’ultima campagna elettorale negli Stati Uniti, in particolare nella cosiddetta sinistra italiana, avevano ingenuamente, maldestramente o strumentalmente interpretato la fine dell’era Trump, il giocatore di golf miliardario, narcisista, scriteriato e spesso disorientante, come un segnale di speranza in un cambiamento progressista e in una prospettiva di nuove e più amichevoli relazioni tra le potenze mondiali e nelle aree di crisi o guerra. In questi primi mesi di reggenza, la nuova amministrazione USA ha già delineato e sancito quali saranno gli scenari dei prossimi anni.
Altro che processi di pacificazione, intesa o conciliazioni, la prospettiva sarà di un inasprimento delle relazioni internazionali, nuove tensioni e nuove conflittualità.
È iniziata l’era con cui i leader mondiali dovranno ora fare i conti: l’era di Joe Biden, il simbolo raffigurato del Liberal World Order, l’Ordine Liberale Mondiale.
Eppure, sarebbe sufficiente leggere e documentarsi sui programmi e dichiarazioni elettorali e sulle personalità messe a guida dell’Amministrazione per immaginare i passi futuri.
Qui vorrei documentare in particolare l’aspetto del rapporto con la Russia, anche alla luce delle dichiarazioni offensive e minacciose dei giorni scorsi da parte di Biden verso Putin, un vero e proprio atto ostile e ingiurioso, fuori da qualsiasi prassi diplomatica nella storia delle relazioni internazionali tra paesi.
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Una vera donna
di G. P.
ll mese scorso è stato l’anniversario della nascita della comunista polacca Rosa Luxemburg. Il contributo teorico di costei alla comprensione degli eventi della sua epoca storica è stato piuttosto fuorviante ma la sua passione rivoluzionaria non può essere messa in discussione, considerato che pagò con la vita il tentativo di una sollevazione socialista in Germania.
La sua polemica con Lenin sull’importanza del partito e dell’avanguardia organizzata nei processi rivoluzionari, che la Luxemburg negava perché confidava nella spontaneità della classe operaia, portò il russo ad affermare che: “le aquile possono saltuariamente volare più in basso delle galline, ma le galline non potranno mai salire alle altitudini delle aquile. Rosa Luxemburg sbagliò sulla questione dell’indipendenza della Polonia; sbagliò nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; sbagliò nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; sbagliò nel luglio 1914, quando, con Plekhanov, Vendervelde, Kautsky ed altri, sostenne la causa dell’unità tra bolscevichi e menscevichi; sbagliò; in ciò che scrisse dal carcere nel 1918 (corresse poi la maggior parte di questi errori tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, dopo esser stata rilasciata). Ma a dispetto dei suoi errori lei era – e per noi resta – un’aquila”.
La Luxemburg aveva, inoltre, fornito una interpretazione del capitalismo assolutamente errata, purtroppo recuperata anni dopo dalle correnti terzomondiste e “sottosviluppiste” che fecero perdere altro tempo sull’intendimento delle questioni sostanziali della dinamica capitalistica.
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Per la critica dell’ecologia apolitica
Antropocene e capitale
di Marco Maurizi
“If it’s true that plastic is not degradable, well, the planet will simply incorporate plastic into a new paradigm: the earth plus plastic. The earth doesn’t share our prejudice toward plastic. Plastic came out of the earth. The earth probably sees plastic as just another one of its children. Could be the only reason the earth allowed us to be spawned from it in the first place. It wanted plastic for itself. Didn’t know how to make it. Needed us. Could be the answer to our age-old egocentric philosophical question, “Why are we here?” Plastic… asshole.”
(George Carlin)
Il disagio dell'Antropocene
La definizione di “antropocene” [1] come epoca geologica in cui la traccia dell’umano sembra assumere una centralità finora mai avuta rispetto ai processi naturali si presta a numerosi equivoci. L’idea dell’affermarsi progressivo, inarrestabile e forse irreversibile del predominio dell’uomo rispetto alla natura, infatti, necessita di essere verificato e chiarito dal punto di vista di entrambi i termini che la compongono: in che senso “predominio”? In che senso “dell’uomo”? Cominciamo con il primo punto.
Il termine “antropocene”, infatti, può essere declinato in due sensi diversi e riceve una coloritura differente a seconda di come viene accentato. Si può pensare, da un lato, che la nostra specie abbia raggiunto un tale livello di espansione da imprimere il proprio segno caratteristico sul pianeta, alterando l’ambiente in modo tale da lasciare tracce geologiche più o meno indelebili del proprio passaggio.
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Uscire dal lockdown delle menti
di Geminello Preterossi
“Non crediate che io sia venuto a portare la
pace sulla terra; non sono venuto
a portare la pace, ma la spada”
(Vangelo di Matteo, 10, 34)
Il paradosso del presente, in cui l’orizzonte delle attese collettive si è abbassato e le matrici della memoria comune inaridite, pone interrogativi affrontabili solo attraverso una rinnovata dialettica tra cose ultime e penultime: è possibile una nuova fede politica e spirituale che nasca da una spietata critica del presente e dei sui luoghi comuni perbenisti, senza poter contare su una dimensione utopica, metapolitica? E come evitare che questa “uscita dal presente” imbocchi la strada senza uscita dell’irrealismo, o peggio delle distorsioni antistatali e antipolitiche che le retoriche su presunti “compimenti” post-politici nell’immanenza, garantiti da un’improbabile autonoma produttività del sociale, implicano? È possibile alimentare una vera energia dal basso, che funga da antidoto al disfattismo e susciti nuove speranze, senza poter contare su una qualche forme di religione secolare? O, detto altrimenti: è possibile avere una grande visione del mondo mobilitante, che è necessaria a spostare rapporti di forza e a imporre compromessi avanzati, sapendo da una parte che non ci sono mete finali garantite, compimenti definitivi, e dall’altra che il “capitalismo come religione” rappresenta un tempo apocalittico?
Da un lato c’è bisogno di un orizzonte che non sia angusto, dall’altro questo andare “al di là” non può presumere di realizzare il Giardino terrestre, superando definitivamente conflitti, ambivalenze, effetti di potere.
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Marx oggi. Una rinascita?
di Roberto Fineschi
Introduzione a Karl Marx 2013. A cura di Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Giovanni Sgro’, numero monografico de «Il Ponte», LXIX, 5-6, mag.-giu. 2013
1. Da più parti, non solo nel nostro paese, si parla apertamente di una Marx-Renaissance. In realtà l'interesse per il nostro autore non è mai venuto meno completamente; anche nei momenti più difficili degli ultimi decenni sono apparsi libri e saggi, alcuni dei quali di notevole valore. Ciò che però probabilmente si intende non è tanto stabilire se, da un punto di vista teorico, Marx sia stato oggetto di studio, quanto se egli sia ancor oggi un autore “efficace”, ovvero utilizzabile per comprendere la realtà e, soprattutto, trasformarla. Alla dimensione teorica se ne affianca quindi una più genericamente culturale (Marx fra i padri spirituali del pensiero progressista) e, infine, una più strettamente politica (Marx strumento pratico di lotta). Di questi tre livelli, l'unico ad aver sostanzialmente retto al colpo mortale inflitto dalla fine del cosiddetto “socialismo reale” mi pare sia il primo. Renaissance è allora forse da intendersi come auspicio che, da questo livello base, si torni a dare un contenuto più sostanzioso anche agli altri due; in questa prospettiva pare effettivamente essere rinato un interesse più diffuso, né strettamente teoretico né immediatamente politico, nei confronti della sua opera; dal primo livello, Marx sta riguadagnano terreno nel secondo. Il terzo pare al momento decisamente fuori portata, almeno in numerose realtà occidentali.
Non c'è bisogno di spendere molte parole per ricordare il peso della svolta – proprio “die Wende” la chiamano convenzionalmente in Germania – rappresentata dalla caduta del muro di Berlino, e non solo dal punto di vista degli equilibri geopolitici mondiali dei quali non si intende ovviamente parlare in questa sede.
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Il valore come forma sociale dei mezzi di produzione
di Bruno Astarian
[Capitolo IV de L'Abolition de la valeur, Entremonde, Ginevra 2017]
Dopo avere esaminato il pensiero di Marx in merito al valore e alla sua abolizione, e dopo avere visto quali problemi esso pone, possiamo ora presentare il nostro modo di affrontare la questione. Anch’esso è storicamente determinato. Poiché cerchiamo di comprendere il modo di produzione capitalistico dal punto di vista del suo superamento, il nostro sguardo sulla società capitalistica è determinato dalle forme attuali della lotta delle classi, allo stesso modo che per Marx in relazione alla sua epoca. Marx metteva in primo piano le lotte del proletariato per creare cooperative1. Da parte nostra, consideriamo che le lotte più significative della nostra epoca siano le rivolte anti-lavoro degli operai presi nel contesto della crisi del fordismo. Queste lotte sono apparse negli anni 1960-‘70 nei paesi industrializzati dell’Occidente2. Le ritroviamo oggi in Oriente, dove una parte significativa del lavoro industriale fordizzato è stata trasferita. In queste rivolte, il proletariato affronta il capitale rigettando la propria identità di classe del lavoro. Esso rivendica poco o nulla, non rispetta gli strumenti di lavoro e non avanza delle proposte di presa in carico dell’economia. Quando, anziché rivendicare dei miglioramenti, distrugge in modo apparentemente cieco i mezzi stessi della sua sopravvivenza all’interno del capitale (fabbriche, infrastrutture dei quartieri in cui vive, scuole, mezzi di trasporto etc.), esso esprime il rifiuto di ciò che lo assegna alla condizione proletaria. Ciò non esclude delle lotte più tradizionali (lotte rivendicative o tentativi di autogestione, ad esempio). Ma nel movimento perpetuo e cangiante della lotta di classe, occorre portare un’attenzione particolare alle lotte anti-lavoro in quanto sono la manifestazione delle contraddizioni più avanzate del modo di produzione capitalistico3.
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Il Mare (ex) nostrum al centro di dispute pericolose
di Gaetano Fontana
Negli ultimi mesi l’area del Mediterraneo è al centro di pericolose tensioni regionali ed internazionali. La Libia continua ad essere divisa al suo interno per essere spartita da forze esterne, in Siria le elites politiche e militari appaiono sempre più indebolite, ed entrambe sono chiaramente lontane dal trovare soluzioni pacifiche
Per rendere chiaro lo scenario che si sta delineando in questa area, che è bene ribadire è in piena evoluzione, conviene valutare le dinamiche dei singoli attori e i contrapposti interessi in gioco.
Il 15 settembre 2020 viene formalizzato il trattato di pace “Peace to Prosperity”, fortemente voluto da Donald Trump a suggello del suo mandato presidenziale. La “Pax Americana”, come la definiva the Donald, che prevedeva la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein, di fatto si potrebbe sostanziare nell’annessione da parte israeliana di 132 insediamenti in Cisgiordania. “ L’accordo del secolo” è in perfetta continuità con la politica estera americana avviata da Trump nel febbraio 2017 con l’incontro ufficiale alla Casa Bianca con il primo ministro israeliano Netanyahu e proseguita con lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme nel dicembre 2017 e con il riconoscimento delle alture del Golan come territorio di Israele nel marzo del 2019.
Il piano dell’ex presidente americanoTrump sottende però un progetto strategico di più ampio respiro. Grazie al rafforzamento dei rapporti con gli alleati storici degli Stati Uniti, cioè Israele e Arabia Saudita, l’amministrazione americana intende perseguire l’obiettivo di spaccare il fronte arabo e creare un contesto regionale che faccia da scudo militare contro i nemici statunitensi e dei suoi alleati israeliani, in una sorta di richiamo alla Middle East Strategic Alliance” nota come “Nato Araba” nella quale includere le ricche monarchie del golfo.
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Alla solidarietà di Cuba il capitalismo risponde con l’embargo
di coniarerivolta
Pochi giorni fa, al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU è stata presentata una mozione per la cessazione delle sanzioni economiche unilaterali applicate nei confronti di alcuni Paesi durante il periodo della pandemia. La mozione avanzata da Cina, Palestina e Azerbaigian a nome dei Paesi non allineati era finalizzata, tra le altre cose, a permettere alle nazioni schiacciate dal peso insostenibile degli embarghi di riprendere fiato e accedere sui mercati internazionali a merci essenziali per affrontare la crisi.
La mozione non vincolante – un mero strumento di pressione – è passata con 30 voti a favore, 2 astenuti e 15 contrari, tra cui, tristemente, tutti quelli appartenenti all’Unione europea, Italia compresa. Tra i paesi più duramente colpiti da queste sanzioni, figura certamente Cuba (oltre a Venezuela, Siria, Iran), colpevole di non essersi mai allineata alle politiche internazionali perseguite dagli Stati Uniti. L’UE e l’Italia appoggiano così fedelmente una logica di subalternità e attiva complicità rispetto alla politica estera statunitense, basata da sempre sul sistematico annichilimento militare o economico delle nazioni che sfidano gli interessi americani, soprattutto se queste sviluppano politiche di stampo socialista che sfidano apertamente il paradigma economico dominante.
Per comprendere l’enorme importanza del problema cerchiamo di capire quali sono le conseguenze economiche delle sanzioni.
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L’inimmaginabile
Dall’Era Pandemica alla Vax War: evoluzione di una rivolta prevedibile
di Franco «Bifo» Berardi
…Per conservarsi, il più malato degli animali malati, l’uomo, è costretto a inibire le forze vitali che gli premono dentro, a reprimere gli impulsi che naturalmente lo muovono…
Roberto Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita
Vax Wars
Quando il virus si diffuse rapidamente sul pianeta, lo scambiammo per un invisibile nemico comune e ci sentimmo per un breve momento affratellati. «Andrà tutto bene», scrivevano i ragazzini sui cartelli. Voleva dire: l’umanità associata non può che vincere la battaglia contro il male. Non è sempre andata così?
In verità non è sempre andata così, anzi. Ma potevamo e volevamo crederlo, perché eravamo impegnati nell’ennesima battaglia contro la natura, che stava tentando di sterminarci. Tutta la storia umana è stata una successione di battaglie contro la natura: da quelle battaglie nacquero la tecnica, la medicina, la civiltà sociale. Poi la natura iniziò il suo contrattacco, non per odio nei nostri confronti ma per cieca necessità. Onde oceaniche anomale, foreste in fiamme, ghiacciai alla deriva, e alla fine il virus.
In un primo momento ci siamo sentiti uniti come un unico corpo minacciato. Poi è intervenuta la tecnica, determinazione non simbolica del linguaggio che si inserisce direttamente nella vita, e ha prodotto la formula chimico-algoritmica di un vaccino, che poi non è proprio un vaccino ma piuttosto una protesi mutagena inserita nel sistema immunitario. In seguito, nel giro di pochi mesi è arrivata la produzione delle fiale, dei sieri, dei contenitori, insomma tutta la filiera industriale che rende disponibile la protezione, l’immunità.
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Università libera, università del futuro
Dieci tesi per un manifesto
[‘Dieci tesi per un Manifesto’ è un testo redatto da un gruppo di docenti di diverse aree scientifiche dell’Università di Padova. Il gruppo è nato dal bisogno di condividere esperienze e riflessioni rispetto alla straordinaria trasformazione che sta coinvolgendo in questo periodo l’Università. La pandemia da SARS-CoV-2 ha infatti prodotto una strepitosa accelerazione di alcuni processi che erano stati elaborati e avviati al di fuori di essa e che, secondo gli estensori del Manifesto, rischiano ora sotto la spinta di una logica emergenziale di diventare prassi ordinaria senza nemmeno la possibilità di essere discussi. I materiali elaborati dal gruppo sono reperibili qui]
1. L’università libera è l’università del futuro
Solo la tutela e la garanzia della libera manifestazione del pensiero nelle attività di ricerca e nella didattica, la promozione e la salvaguardia delle differenze culturali e scientifiche nel pluriversum dei saperi è in grado di generare avanzamento virtuoso nelle conoscenze, nelle arti, nelle tecniche, e di creare uno scarto temporale rispetto alle urgenze del contingente in grado di immaginare, pensare, prefigurare, anticipare gli scenari futuri. Ogni forma esplicita o surrettizia di standardizzazione e di uniformazione procedurale, di valutazione algoritmica dei risultati della ricerca e degli apprendimenti, di controllo tecnologico delle attività dei docenti- ricercatori, oltre ad essere negatrice della libertà accademica, mutila qualsiasi intenzione conoscitiva, ne costringe il raggio d’azione entro orizzonti ristretti, consegnando l’operosità accademica alla sola risoluzione di problemi di corto respiro dettati da Agenzie per lo più interessate all’utile immediato.
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Debito pubblico e sovranità monetaria: perché l’Italia rischia il default
di Enrico Grazzini
Che il presidente Draghi dichiari che è il momento di non preoccuparsi del debito pubblico è in parte una buona notizia. Ma finché non recupereremo sovranità monetaria prima o dopo i mercati chiederanno il conto
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato nella conferenza stampa del 25 marzo che “questo non è il momento di preoccuparsi per il debito pubblico”. Per alcuni aspetti questa affermazione è più che giusta: l’aumento della spesa pubblica è infatti indispensabile per contrastare l’emergenza sanitaria; e senza fare nuovo debito la povertà, i fallimenti e la disoccupazione dilagherebbero senza limiti e la pesantissima recessione italiana sarebbe ancora più grave. Ma per molti altri aspetti l’affermazione di Draghi è invece pericolosa e sbagliata: ormai il debito pubblico italiano in euro è arrivato al 160% del prodotto interno lordo ed è molto probabile che senza una svolta decisa di 180 gradi diventi ingestibile. In Italia si sta diffondendo (anche presso gli economisti e i politici più progressisti e illuminati) l’idea illusoria e dannosa che il debito pubblico conti poco perché “tanto la BCE e l’Europa ci proteggeranno” e perché grazie al Next Generation EU da 750 miliardi di euro l’economia europea e italiana riprenderà a correre. È un grave errore. Prima o poi i mercati faranno pagare all’Italia il conto del debito.
Solo qualche tempo fa il presidente del parlamento europeo David Sassoli ha proposto la cancellazione dei debiti in pancia alla BCE, una proposta avanzata anche da diversi economisti, tra cui Thomas Piketty, Gaël Giraud, Leonardo Becchetti e Riccardo Realfonzo, che hanno sottoscritto l’appello “Cancelliamo il debito detenuto dalla Bce e torniamo padroni del nostro destino”.
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Mario Draghi, uno dei Cavalieri dell’Apocalisse
di Fulvio Bellini
Premessa: la storia non è finita nonostante Mario Draghi
Tra le varie forme di morfina che vengono date alla nostra società in stadio terminale, come appunto si fa con i malati di cancro per i quali le diffuse metastasi non danno più speranza di guarigione ma si applicano le cure palliative, vi è anche quella di convincere l’opinione pubblica che la storia sia giunta al suo epilogo, avendo “messo in tasca” la moneta d’oro perfetta: la democrazia parlamentare sul dritto ed il sistema liberista sul dorso del conio. Nel 1992 uno dei tanti maggiordomi del capitalismo trionfante, Francis Fukuyama, pubblicò il famoso saggio “La fine della storia e l’ultimo uomo”. Sosteneva questo erudito lacchè che la caduta del muro di Berlino rappresentava la volontà dell’umanità di tendere inesorabilmente ai sistemi politici ed ai principi della democrazia liberale, meta conclusiva della vicenda storica di ogni popolo della Terra. Chi ha scritto la sceneggiatura della commedia o del dramma, dipende da quale prospettiva la si vede, relativa all’ascesa alla Presidenza del Consiglio di Mario Draghi (e vedremo che non si tratta di sceneggiatori di Bruxelles ma di Washington) a mio avviso si sono ispirati almeno al titolo dello smentitissimo saggio di Fukuyama, creando un personaggio che rappresentasse contemporaneamente la fine per una certa vicenda politica italiana e l’ultimo uomo possibile al governo del Bel Paese. Per gli ideologhi stile Fukuyama, il concetto di fine della storia sottende anche l’esenzione dalla necessità di studiarla, essendo ormai inutile ragionare del nostro passato e dei suoi protagonisti.
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Sono così necessari i vaccini?
Intervista esclusiva alla Dottoressa Loretta Bolgan
Laureata in chimica e tecnologia farmaceutiche, con un dottorato di ricerca in scienze farmaceutiche e una collaborazione come consulente scientifico con Rinascimento Italia sulle problematiche del Covid-19, ci ha colpito per la sua onestà intellettuale e la sua competenza tecnica
Parliamo di vaccini. Lei ha già detto che ne esistono moltissimi e di tutti i tipi. Quelli che interessano il nostro Paese sono, mi corregga se sbaglio, AstraZeneca, Pfizer e Moderna.
Che differenze ci sono tra questi vaccini? Potrebbero essere pericolosi? Come mai vengono spacciati per essere sicuri quando basterebbe andare sul sito di AstraZeneca e di Pfizer per capire che la “fase 3” della sperimentazione siamo noi?
Considerando che ci sono delle domande multiple, cominciamo dalla tipologia di vaccini che abbiamo in corso di sperimentazione e da quelli che sono già approvati.
Noi, adesso, abbiamo in commercio questi tre: due vaccini a mRNA (che sono quelli della Pfizer e della Moderna) e poi quello dell’AstraZeneca.
Teniamo conto che sono in corso di autorizzazione anche il Johnson&Johnson e lo Sputnik V, che sono due vaccini a vettore adenovirale.
Inoltre, a tutt’oggi abbiamo circa duecentosessanta vaccini in corso di sperimentazione clinica e ottanta sono in corso di registrazione.
La maggioranza di questi vaccini sono a proteine con adiuvanti. Più o meno quelli che utilizziamo anche per i bambini.
Una piccola parte sono vaccini di nuova generazione, che contengono come antigene vaccinale il gene della proteina che, in questo caso, è la spike — ovvero la proteina di superficie del virus che gli permette di legarsi al recettore ACE2 presente sulla membrana delle cellule per entrare e infettarle.
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L'asimmetria europea
Intervista a Wolfgang Streeck
In questa intervista, apparsa originariamente in ungherese poi in inglese e qui presentata in italiano, Wolfgang Streeck, autore di “Tempo guadagnato”, analizza alla luce della costruzione asimmetrica dell’Ue a trazione tedesca, la risposta europea alla crisi pandemica. Nomina e pone quindi un problema spesso eluso dagli esponenti, anche critici, dell’ europeismo, che non esita a chiamare imperialismo tedesco. Pur non condividendo le conclusioni, che esprimono una posizione che nel dibattito italiano viene rubricata sotto l’etichetta di “sovranismo di sinistra”, bisogna apprezzare la pertinenza dell’analisi che descrive efficacemente lo spazio politico con cui le lotte devono fare i conti. Infine, altrettanto apprezzabile è il suo ritratto di Angela Merkel, prossima a lasciare, dopo 16 anni, il governo della Germania e la guida della Cdu.
* * * *
Per molti ungheresi la Germania è un modello socioeconomico e politico a cui aspirare. Nell'attuale struttura dell'Unione europea, tuttavia, il modello tedesco potrebbe essere tradotto nel contesto della periferia europea?
In generale, si dovrebbe guardare con molto sospetto all'idea che alcuni modelli nazionali possano essere trapiantati in altri paesi. Ogni paese deve trovare la propria strada per la pace e la prosperità. Ciò vale in special modo per questo caso particolare. La Germania, altamente industrializzata e dipendente dalle esportazioni, può essere ed è il polo di crescita e prosperità dell'UE perché la sua moneta, l'euro, è fortemente sottovalutata, poiché non è solo la valuta della Germania ma anche dell'intera zona euro.
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A lezione dai nazisti
di Tobia Savoca
Nazismo e olocausto non sono deviazioni dal cammino della civilizzazione ma fenomeni della modernità. E alcune idee tecnocratiche e manageriali di allora sono ancora utilizzate nelle società a capitalismo avanzato
Lo spaesamento provocato dalla visione della serie tv ucronica L’uomo nell’alto castello suggerisce punti di contatto tra realtà storiche apparentemente lontanissime. Le forzature suggerite da quest’opera di fanta-storia lasciano spazio all’inquietudine di fronte alle recenti frontiere della ricerca storica e sociologica. Dopo la lettura di Modernità e Olocausto del sociologo Zygmunt Bauman e Liberi di Obbedire: Management e Nazismo dello storico Johann Chapoutot, è più difficile guardarsi allo specchio. Lo studio del Nazismo e dell’Olocausto ha permesso di cogliere dei messaggi sulla natura umana e sul mondo di oggi che restano ancora inascoltati. Questi autori si sono spinti oltre la considerazione che si sia trattato di un incidente di percorso, di una barbara ma temporanea deviazione dal cammino della civilizzazione, concludendo invece che si tratti di fenomeni insiti e possibili nella società moderna. Occorre considerarlo, dice Bauman, come un «laboratorio sociologico», «un test delle possibilità occulte insite nella società moderna […] della quale ammiriamo altre e più familiari sembianze».
Attribuire al Nazismo scelleratezza e irrazionalità serve a negare un’opposta spaventosa evidenza: l’essere umano moderno è capace di qualsiasi atrocità proprio perché è razionale. Troppo razionale. La modernità, intesa come emancipazione della ragione dall’emozione e dell’efficienza dall’etica, ha evocato dei mostri dagli inferi che «l’uomo-mago», diceva Marx, non riesce più a controllare. Per Bauman la civiltà si dimostrò incapace di garantire un uso morale del terrificante potere da essa creato.
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Raniero Panzieri, i “Quaderni Rossi” e la nascita del neomarxismo italiano
di Lorenzo Villani
La figura di Raniero Panzieri ci conduce a mettere in luce le radici del neomarxismo italiano. Personaggio controverso, è stato uno dei principali esponenti di una delle maggiori esperienze teoriche del nostro Paese. Fondatore dei Quaderni Rossi e principale esponente dell’operaismo italiano, nasce nel 1921 a Roma e muore nel 1964 a Torino.
Occorre soffermarsi brevemente sulla sua vita. Laureatosi, ottiene una cattedra presso l’Università di Messina, ove intraprende un’impegnata attività militante fra le fila del Partito Socialista Italiano, divenendone dirigente locale. Sono infatti molteplici i settori di lotta che lo vedono protagonista: dalle occupazioni delle terre agli scioperi presso le miniere di zolfo. Attività militante che, però, lo porterà ben presto a terminare la sua carriera accademica[i]. L’università infatti lo escluderà dall’insegnamento alla luce del suo impegno politico. Conclusa tale fase, Panzieri si trasferirà a Roma. Nella capitale continuerà il suo lavoro da dirigente del partito, divenendo poi co-direttore della rivista Mondoperaio, organo ufficiale del Psi il cui direttore era Nenni. Tutto cambierà in occasione del congresso del ’57. È in tale momento che Panzieri evidenzierà le contraddizioni e le criticità di quest’ultimo.
Si giunge così alla fondazione dei Quaderni Rossi, i quali daranno vita ad una fase inedita nella quale occorre evidenziare l’ampia portata rivoluzionaria sia in termini teorici che pratici.
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Glosse sulla "Ontologia dell'essere sociale" di Lukàcs (III)
di Carlo Formenti
4. L’ideologia come forza materiale
Questa sezione propone un estratto delle riflessioni lukacsiane sull’ideologia come forza trasformativa della realtà sociale, tema cui l’ Ontologia dedica ampio spazio. Per comodità espositiva, ho raggruppato il materiale in quattro sotto-sezioni dedicate, rispettivamente, al doppio significato del termine ideologia, all’ideologia come strumento rivoluzionario, al diritto e alla religione.
a) Il doppio significato del termine ideologia
Lukacs inizia il terzo capitolo del quarto volume citando Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce di Antonio Gramsci (1), a proposito del quale scrive: Gramsci parla di un doppio significato del termine ideologia. Nel suo interessante discorso non possiamo però non rilevare una carenza, e cioè che egli contrappone la sovrastruttura necessaria soltanto alle idee arbitrarie di singole persone. Ciò nondimeno ha il merito di aver messo in evidenza il doppio significato che sta sempre nello sfondo di questo importantissimo termine. Ma purtroppo cade subito vittima di una astrazione convenzionale. Da un lato è certamente vero che i marxisti intendono con ideologia la sovrastruttura ideale che necessariamente sorge da una base economica, ma dall’altro è fuorviante interpretare il concetto peggiorativo di ideologia, che rappresenta una realtà sociale indubbiamente esistente, come un’arbitraria elucubrazione di singole persone (vol. IV, p. 445).
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Alternative all’abisso
di Michael Löwy
Con la crisi climatica e la pandemia appare più evidente come l’idea di progresso della civiltà capitalista sia una strada verso l’abisso. Tra i pochi pensatori marxisti, Walter Benjamin ha avuto una premonizione dei mostruosi disastri che la civiltà industriale in crisi avrebbe potuto generare. Ovviamente non si tratta per Benjamin di tornare al passato preistorico, ricorda il sociologo e filosofo francese Michael Löwy, ma di offrire prospettive nuove di armonia tra società e ambiente naturale. Di certo, tra inevitabili difficoltà e contraddizioni, e lontano dalle attenzioni di media e istituzioni, diversi movimenti di resistenza alla distruzione capitalista della natura, stanno sviluppando in tanti angoli del mondo prospettive anticapitaliste, che intrecciano solidarietà, rispetto dell’ambiente e autogestione democratica.
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C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta che spira dal paradiso si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. (W. Benjamin, Angelus Novus)
Così Walter Benjamin interpreta la celebra tela del pittore Paul Klee. L’attesa perpetuamente insoddisfatta della salvezza… un’attesa in cui l’essere umano è trascinato dal tempo e dal progresso, lasciando alle spalle le tragedie e gli orrori di cui i dominanti sono stati capaci, seminando morte e distruzione ovunque.
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Una democrazia a pezzi
di Alessandro Coppola
La democrazia italiana versa in condizioni catastrofiche, probabilmente le peggiori fra i paesi di quella che un tempo era definita l’Europa occidentale. Le ultime settimane hanno illustrato questa condizione in modo particolarmente persuasivo attraverso le sue varie dimensioni.
Le modalità con le quali si è prodotta la crisi del governo Conte, prima di tutto. Sappiamo che nella crisi non sono mai state pubblicamente formulate da parte di chi l’aveva determinata richieste precise che, soddisfatte le quali, l’avrebbero sventata. Le vere ragioni si sono rivelate in seguito, quando la nascita del governo Draghi è stata rivendicata come l’obiettivo di un’azione che, per l’appunto, non aveva mai posto esplicitamente quell’obiettivo. Questa opacità è resa possibile dalla attesa generalizzata di un intervento presidenziale che, ormai, non è più irrituale ed è diventata un tratto strutturale del nostro sistema. Tanto da permettere ad alcuni attori politici di parassitare le azioni del Presidente. Se Matteo Renzi non avesse avuto la certezza che le camere non sarebbero state sciolte in virtù, per l’appunto, di un intervento presidenziale per un “governo del presidente” non avrebbe potuto aprire una crisi senza mai dichiarare i suoi veri obiettivi, correndo i relativi rischi e trovandosi di fronte ai relativi ostacoli. Renzi è abile e scaltro, ma questa sua abilità è in gran parte prodotta dal contesto di generalizzata deresponsabilizzazione della classe politica e sovra-responsabilizzazione del Quirinale che, per quelli come lui, è diventato ideale.
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Populismo, Dietrologia e Dominio*
Contro l’ideologia della mancanza di alternative
di Marcello Concialdi
In un breve saggio sul populismo di destra e di sinistra, contenuto nel recente Dal punto di vista comunista, Slavoj Žižek afferma che occorrerebbe appoggiare il populismo di sinistra, ben sapendo che fallirà, con l’augurio che dal fallimento possa emergere qualcosa di nuovo. Il filosofo sloveno è convinto che i populismi siano fenomeni permessi dal sistema capitalistico proprio perché questi riuscirà, tramite il loro fallimento, a ottenere la conferma di sé e lo sparigliamento dell’avversario al momento apparentemente più pericoloso. Per Žižek ogni istanza che proviene dal basso, che sia la lotta contro la migrazione o l’uscita dall’Ue, e per quanto sia giustificata, si rovescia in un fallimento finalizzato a dimostrare, sempre e ancora di più, quanto non esistano alternative al modello omnipervasivo imperante. Questa dinamica spinge Žižek all’affermazione estrema: occorre accelerare la disfatta populista per ottenere un nuovo modello di politica che possa finalmente proporsi come paradigma efficace contro il dominio contemporaneo.
Ciò che rende questo dominio profondo e difficile da scalzare non è solo l’effettivo rapporto di potere che c’è tra l’élite e il popolo – di natura economica come bene insegna Marx -, ma anche un’egemonia – una forma ideologica, un sistema di sapere – che relega qualsiasi discorso contrario a questa all’ambito della non-verità o, nel caso più estremo, a quello del tabù. A contribuire al trionfo della narrazione egemonica c’è il fatto che i pozzi del populismo sono fortemente inquinati dalla tendenza digitale “democratica” a mescolare il vero e il falso, in un innegabile circolo consequenziale costituito da populismo e contro-narrazione. Una circolarità che conduce il populismo ad abbeverarsi a piene mani dalla fonte digitale, percepita come spazio di verità e critica.
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Marxismo e scienza borghese
di nucleo comunista internazionalista
La nostra netta posizione politica contro la vaccinazione obbligatoria e contro ogni discriminazione verso chi la rifiuta è per il fatto che giudichiamo questa “cura della malattia” Covid 19 una autentica sperimentazione di massa di cui siamo cavie.
Respingiamo nella maniera più assoluta l’idea largamente prevalente nell’attuale movimento di classe che “siccome non siamo scienziati, lasciamo discutere questa cosa agli scienziati…” (sentito dire da autentici militanti di classe, da reali avanguardie di lotta! Il che dà la misura dell’annientamento politico subito dalla nostra classe, dello stato in cui versiamo e da cui dobbiamo riprenderci). Sembrerebbe che la lotta di classe condotta da postazione comunista rivoluzionaria debba essere sospesa, rimandata a dopo la fine della “guerra al Covid” eludendo il nodo centrale della questione cioè che il metodo e i mezzi adottati per sconfiggere la malattia non sono materia neutra al di sopra delle classi da lasciare in mano “alla scienza” e alla surroga di reale comunità umana quale è lo Stato.
Il nostro schieramento dentro “la guerra al Covid” che è parte di una più generale guerra “per la vita o per la morte” che è in atto innescata dalla catastrofe capitalistica, è conseguente ai principi splendidamente esposti nello studio di cui ripubblichiamo i capitoli centrali.
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Da il programma comunista nn. 21-22/1968
Marxismo e Scienza borghese
B. La medicina
Se prendiamo il casi della medicina, vediamo che anche il suo oggetto non è un dato naturale. In realtà, sia l’uomo che le sue malattie sono in larga misura determinati da tutto il complesso delle sue condizioni di vita.
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Panzieri a Francoforte. E poi subito a Torino
di Marco Cerotto
Riprendendo alcuni spunti e suggestioni di un articolo di Patrick Cuninghame pubblicato in questa sezione lo scorso dicembre (Negri a Francoforte. La polemica tra la Teoria critica e il marxismo autonomo), Marco Cerotto approfondisce una parte della diversificata genealogia che porta allo sviluppo del cosiddetto «neomarxismo» italiano. Lo fa in particolare attraverso la figura di Panzieri – a cui lo stesso autore ha dedicato un prezioso volume uscito di recente nella collana Input di DeriveApprodi (Raniero Panzieri e i «Quaderni rossi») – in relazione con le analisi della teoria critica francofortese, a cominciare da quelle di Friedrich Pollock. Per questa strada l’autore individua la specificità dell’operaismo italiano, nelle sue differenti espressioni, rispetto agli intellettuali francofortesi e alle loro tesi sull’alienazione consumistica e sull’integrazione della classe operaia. Il contributo si conclude aprendo un’altra riflessione importante, sulla rilettura marxiana condotta dalla «Neue Marx-Lektüre» e da Hans-Jürgen Krahl. Per approfondire i temi dell’articolo, oltre al testo e al volume già indicati, consigliamo la lettura del contributo di Diego Giachetti Panzieri e le minoranze comuniste del suo tempo e lo «Scavi» dedicato a Panzieri, a cura di Sergio Bianchi e Alessandro Marucci.
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Influenze culturali del marxismo occidentale
Recentemente è stato pubblicato un articolo piuttosto interessante e che ha proposto un’indagine molto accurata sulle influenze degli intellettuali francofortesi sull’operaismo italiano, in particolare su Negri.
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