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Politicamente corretto
Un'ideologia autoritaria e violenta
di Carlo Formenti
Nel momento in cui la pandemia sta provocando centinaia di migliaia di morti e milioni di disoccupati e nuovi poveri, per tacere della sospensione della democrazia decretata dalla nomina di Mario Draghi a proconsole della provincia italiana da parte delle oligarchie occidentali che preparano una nuova guerra mondiale per uscire dalla crisi, la sinistra non trova niente di meglio che eleggere a proprio eroe un giullare di regime come il rapper e influencer Fedez, o spendersi per l’approvazione di una legge (presentata dal Pd Alessandro Zan) che andrebbe a rafforzare la rete di lacci e laccioli con cui l’ideologia del politicamente corretto imbriglia la libertà di espressione. Opporsi volta per volta alle mosse di questa politica che conduce a piccoli passi verso l’instaurazione di un regime al cospetto del quale i cosiddetti “totalitarismi”, contro i quali veniamo quotidianamente sollecitati a protestare, ci sembreranno modelli di libertà, non basta più: è il momento di lanciare una controffensiva sistematica e, visto che le forze politiche che dovrebbero condurla sul terreno politico e istituzionale sono al momento deboli, soverchiate dal rumore mediatico, il fronte principale su cui combattere è quello della lotta ideale, a partire dalla decodificazione dei legami che unificano le varie manifestazioni di questa offensiva “libertaria”, dietro alla quale si celano in realtà precisi interessi di classe ed esplicite mire autoritarie.
Occorre aiutare chi tende a formarsi un’opinione su questa o quella singola questione a cogliere il quadro d’assieme, a capire le dimensioni e la pericolosità di un’operazione di indottrinamento di massa in corso a livello mondiale (sia chiaro che non alludo a un oscuro “complotto”: a creare le condizioni che consentono a interessi, aspirazioni, ideologie e progetti politici di convergere, fino a generare uno “spirito del tempo”, sono precisi processi di trasformazione materiale).
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Superior stabat lupus
di Il Pedante
Non smette mai di sorprendere il modo in cui le scienze naturali, dacché le si è imbracciate per imporre i provvedimenti più radicali mai osati in tempo di pace, stanno fornendo non solo il combustibile del rogo su cui bruciano intere pagine della nostra carta costituzionale, ma anche i loro stessi statuti, le basi cognitive che le rende praticabili. È, quello tra scienze e politica, l'abbraccio reciprocamente mortale di due naufraghi che si avvinghiano, si intralciano e si trascinano insieme negli abissi, come dimostra l'ultimo anno trascorso nel segno della «crisi pandemica».
Consideriamo le chiusure, i coprifuoco e le restrizioni. Ne è valsa la pena? Ci stanno proteggendo dai danni della nuova malattia? Non potendosi fare una contro-osservazione in laboratorio sarebbe impossibile dare una risposta apodittica, ma è onesto riconoscere che le prove analogiche accumulatesi dall'esordio dell'emergenza sono molto lontane dal promuoverli in modo statisticamente solido. Sui mezzi di informazione si è parlato del paradosso svedese, di praticare un lockdown leggero senza perciò patire conseguenze peggiori di altri Paesi che hanno chiuso con più rigore. Ma senza piluccare nei casi particolari, la generale assenza di correlazioni significative tra intensità delle restrizioni e impatto clinico della malattia non è un segreto: ribadita fin dall'inizio da numerosi studi (qui l'ultimo in ordine di tempo), è approdata anche in televisione. È toccato pochi giorni fa al giornalista Federico Rampini rivelare in prima serata che «quei Paesi che sono praticamente usciti indenni, con dei numeri della mortalità microscopici, non hanno usato lockdown a tappeto».
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Un mondo di mondi
La storia globale e i problemi del nostro tempo
Intervista di Alberto Deambrogio a Giorgio Riolo
Il libro che tu e Massimiliano Lepratti avete scritto si può per molti versi considerare “inattuale”. In un tempo come il nostro, caratterizzato da forti tensioni populiste, sovraniste e per altri versi piegato a un presente eterno da gestire tecnocraticamente, voi fate una scelta nettamente eccentrica, che si annuncia fin dal doppio esergo affidato ad Edgar Morin e Fernand Braudel: sguardo critico, globale, sistemico, attento alla complessità degli intrecci. Vuoi spiegarci perché è utile oggi ripercorrere la storia dell’umanità attraverso una precisa scelta metodologica e storiografica, che riprenda il lascito di intellettuali come appunto Braudel o Wallerstein, Arrighi, Frank, Amin, Wolf?
Questo libro nasce dal desiderio di dare un contributo alla cultura critica e alternativa al corso dominante nel mondo contemporaneo. Tanto più necessaria oggi. Nella buona divulgazione della storia, in primo luogo, e, in secondo luogo, nel contrastare le concezioni dominanti nel nostro tempo. Essendo culture e subculture fortemente impegnate a mostrare che questo è “il migliore dei mondi possibili”, che “c’è stata storia, ma ora non più” (Marx). Il presente come ultimo stadio dell’evoluzione umana e pertanto reso eterno. Insomma, un libro che mira a contrastare la filosofia complessiva del neoliberismo e della globalizzazione capitalistica.
È un tentativo nella direzione della critica radicale dell’eurocentrismo, dell’occidentalocentrismo, del pregiudizio della “superiorità bianca”, anche a sinistra, dell’economicismo e del determinismo.
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Il virus dell'Occidente
Recensione di Elena Fabrizio
Stefano G. Azzarà, Il virus dell’Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d’eccezione, Mimesis 2020, pp. 425 - ISBN 978-88-5757-155-3
Dopo più di un anno dalla diffusione della pandemia del Covid-19, e dopo aver preso atto delle modalità con le quali l’Occidente ha reagito alla situazione di emergenza, il dibattito mediatico e politico continua a ripetere che niente sarà più come prima; se nell’immediatezza questo riferimento reattivo al passato era ben lontano dal rappresentare una presa di coscienza dei problemi strutturali della democrazia liberale e capitalistica, a tutt’oggi, a fronte della pesante crisi economica e sociale, quei problemi continuano ad essere ignorati dall’agenda politica. Scritto a ridosso della prima fase della crisi pandemica, con questo libro Azzarà riflette sulla questione filosofica fondamentale che essa ha inevitabilmente posto per offrire una chiave di lettura capace di decifrare, in quel richiamo ad un passato che non deve ritornare, la realtà di un’egemonia liberale che rilancia se stessa affinché «non cambi nulla nell’essenziale».
La questione filosofica è molto ben sintetizzata dalla metafora che dà titolo al libro, e con la quale si indica l’operazione di mistificazione e arrogante presunzione che intellettuali, politici, filosofi, politologi hanno messo immediatamente in scena nella costruzione di un nemico virale che cercherebbe di contaminare un organismo che presenta se stesso nella sua astratta purezza (la democrazia liberale e la centralità del mercato) per esimerlo da ogni forma di autocritica. Invece di cogliere l’occasione per prendere coscienza dei problemi della società capitalistica e delle ragioni della aggressività con cui la pandemia si è diffusa, di guardare all’esperienza cinese che è riuscita a reagire all’emergenza grazie ad uno Stato capace di governare l’economia e la produzione per il benessere generale, di provare a immaginare un modello sociale alternativo, l’Occidente è rimasto congelato nella fase storica di regressione fondamentalista riapertasi dopo la fine della Guerra fredda.
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Perché il Piano per la Ripresa potrebbe non essere sufficiente per un autentico rilancio del Mezzogiorno
di Nicola Dimitri
1. «Crede, e spera, nella Madonna, il fabbricante di Madonne?»[1]
Con queste parole Carlo Emilio Gadda si domandava se è sempre sovrapponibile, nell’artista che compie un’opera, l’aspetto del credere con quello dell’eseguire. Altrimenti detto, Gadda si chiedeva se tra lo stato emotivo interno, che spinge un soggetto a immaginare di compiere un’attività (in questo caso, preordinata alla realizzazione di un’opera d’arte), e l’atto esterno, che consiste nell’eseguire e osservare il comando necessario per realizzare l’opera, vi fosse sempre intimità, inevitabile coincidenza.
Per impiegare ancora i termini di Gadda: «Qual è il grado di adesione interna, di accensione intima nei confronti del tema, che induce ad opera l’artista, che gli guida la mano sulla tela?»
Ebbene, quello di Gadda era sicuramente un interrogativo retorico. Infatti, non sempre la mano che esprime l’atto e che permette di realizzare un’opera, è fedele testimone dello stato emotivo interno che pure induce a realizzare l’opera, così come infine sarà.
In effetti, ciò che ha a che fare con l’eseguire non sempre corrisponde a quel che riguarda il credere.
Già Ludwig Wittgenstein, benché in altri contesti, ci avvertiva del rapporto rivale e per certi versi dicotomico che può emergere tra il credere e l’eseguire, sottolineando, ad esempio, che l’essere persuasi di seguire una regola non equivale certo ad eseguire una regola.
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Ergastolo ostativo. C’è chi dice no
Alba Vastano intervista Cesare Antetomaso
Intervista a Cesare Antetomaso, avvocato penalista, portavoce sezione romana Associazione ‘Giuristi democratici’ “…il tempo è più che mai maturo anche per rivendicare con forza l’abolizione dell’ergastolo, pena in insanabile contraddizione con i princìpi del nostro ordinamento e già espunta dai sistemi penali di larga parte degli Stati civili, poiché incompatibile con la finalità di recupero del detenuto e negatoria del diritto alla speranza, anche nei casi in cui la detenuta o il detenuto abbia già scontato numerosi anni di carcere e dato prova della capacità e volontà di reinserimento sociale”
L’argomento è di quelli tosti. Si tratta di ‘ergastolo ostativo’, quell’istituto che, a differenza del comune ergastolo, non consente benefici penitenziari. Negati quindi benefici come: i permessi premio, la liberazione condizionale, il lavoro esterno, la semilibertà e qualsiasi misura alternativa alla detenzione. Non è un assoluto, in quanto i detenuti potrebbero beneficiarne a condizione che, ai sensi dell’art. 58-ter o.p., collaborino con la giustizia. La Corte costituzionale con un comunicato emesso il 15 aprile u.s. dichiara che l’ergastolo ostativo è anticostituzionale e rimanda la questione alle delibere in merito del Parlamento.
Intanto la questione in essere pone degli interrogativi. Ergastolo ostativo sì o no? Il dilemma assume toni alti quando ci si riferisce ai detenuti con le limitazioni previste dall’art. 4 bis che ha introdotto il concetto estremo del ‘fine pena mai’. Si condanna il detenuto alla pena perpetua, in netto contrasto con l’art.27 della Carta costituzionale che disciplina la funzione rieducativa della pena.
La questione è dirimente nell’opinione comune, ma anche fra giuristi è contrastante. Il magistrato Gian Carlo Caselli dichiara che definire incostituzionale l’ergastolo ostativo significherebbe indebolire le misure antimafia e conferma il suo pensiero in merito in una sua recente dichiarazione:
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Il Recovery Plan, il Sud e le promesse mancate
di Francesco Zezza
Tra il 15 ed il 25 Aprile 2021, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato alle Camere il Documento di Economia e Finanza per il 2021 (DEF) e la versione (aggiornata) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – parte del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto di sostegno all’economia da 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione Europea per rispondere alla crisi pandemica.
La Legge di Bilancio per il 2021 introduce un nuovo scostamento del deficit pubblico, pari a 30 miliardi di euro per il 2021, 6.5 per il 2022 e 4.5 per il 2023.
Il PNRR fornirà ulteriori investimenti pubblici per 191,5 miliardi – che saranno finanziati attraverso il Recovery and Resilience Facility (RRF), lo strumento chiave dell’NGEU – e un consistente pacchetto di riforme, che interesseranno principalmente i settori della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza.
Nelle parole del Governo, il Piano “[è un] intervento epocale, che intende riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana, e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale. Il Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e contribuisce in modo sostanziale a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari territoriali.”
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Noi e il nostro Covid
Che cosa si deve sapere, ma la TV non dice
a cura di Comitato per la salute*
Siamo in guerra contro un virus? Indossiamo l’uniforme-mascherina, veniamo arruolati per i “vaccini”, osserviamo il coprifuoco e i razionamenti di beni e servizi, denunciamo i traditori che non si adeguano alla fine degli incontri e degli spostamenti, del lavoro per moltissimi? È questo il modo di mantenere la salute?
Questo opuscolo vuole divulgare le conoscenze sul virus Sars-Cov-2 e la malattia Covid-19 che causa, dopo un anno di “pandemia” in cui è evidente la volontà di mantenere una situazione emergenziale per motivi che nulla hanno a che fare con la tutela sanitaria.
La Covid-19 è una malattia curabile senza ricovero ospedaliero se presa in tempo. I medici di Ippocrate hanno curato il 100% dei loro pazienti a casa (http://www.ippocrateorg.org; vedi anche https://www.facebook.com/groups/terapiadomiciliarecovid19). Le medicine necessarie sono diverse per ogni fase della malattia ma si tratta comunque di farmaci non particolarmente sofisticati né costosi, come il plasma di chi ha superato la malattia (plasma iperimmune) e l’idrossiclorochina, un derivato del chinino. Questo farmaco è stato ingiustamente accusato dalle autorità sanitarie di effetti collaterali peggiori della malattia che può curare e sconsigliato o addirittura proibito da AIFA, EMA, OMS (poi tornate sui loro passi), mentre secondo Harvey Risch, professore di epidemiologia a Yale, l’uso di idrossiclorochina avrebbe potuto evitare almeno metà delle morti negli USA.
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Il capitalismo della sorveglianza
di Antonio Noviello
Dalla rivista D-M-D' N°16
Abstract: in questo breve saggio parleremo del libro Il capitalismo della sorveglianza della professoressa Shoshana Zuboff[2], ricercatrice alla Harward Business School. Il libro presenta il sottotitolo: il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri. La scrittrice si pone l’obiettivo di indagare in profondità lo scenario del nuovo ordine economico, derivante dallo sfruttamento dei dati prodotti consapevolmente e inconsapevolmente dalle pratiche umane associate alle nuove tecnologie. In effetti, nonostante l’enfasi nel definire un nuovo ordine economico del capitalismo, osserveremo come nelle pratiche di produzione e di sfruttamento massivo della tecnologia e dei dati e delle indubbie diseguaglianze e concentrazioni di potere, otterremo nient’altro che il capitalismo di sempre, ossia quello dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’atomizzazione dell’individuo e della appropriazione e concentrazione massima di plusvalore prodotto.
* * * *
Benvenuto alla macchina
Benvenuto figliolo
Benvenuto alla macchina
Dove sei stato?
Va tutto bene sappiamo dove sei stato
Sei stato nella conduttura, riempiendola in tempo
Fornito di giocattoli ed “esplorazioni per ragazzi”
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Walter Siti, la letteratura fa bene quando fa male
di Paolo Landi
Avvicinarsi all'immensità di un tema come il Bene e il Male in letteratura rende subito chiaro a Walter Siti che poteva farlo solo affidandosi alla sua curiosità o alle sue incazzature, o al suo scoraggiamento. Avendo dedicato proprio alla letteratura la sua vita, prima studiandola alla Scuola Normale, poi insegnandola all'Università, poi pubblicando romanzi, non poteva scrivere questo avvincente saggio (Contro l'impegno – Riflessioni sul Bene in letteratura, Rizzoli 2021) altro che componendo un mosaico con la tecnica dell'accostamento di fiction, saggi, programmi tv, incursioni nel linguaggio dei social, su testi che lo hanno di volta in volta incuriosito, innervosito, demoralizzato. Ma la pazienza e la lucidità con cui demolisce alcuni libri spesso primi in classifica, per poterci rivelare le loro "virtù" all'incontrario e trasformando quindi la forza del cestino in una formidabile occasione di conoscenza, è quella del grande critico: mentre evita i trabocchetti della superiorità morale, si interroga sul cambiamento delle modalità di lettura e di giudizio di scritti che, in nessun caso, dovrebbero mai essere cestinati, né mutilati "ma soltanto spiegati".
L'incipit folgorante di questo libro è "l'onesta parafrasi di una delle poesie più mature del maggior poeta lirico italiano di tutti i tempi" che, riportata così, senza virgolette e senza spoiler, provoca uno choc a noi lettori, in via di assuefazione al politically correct del #metoo.
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Templi moderni: il grande reset e la nuova gnosi
di Andrea Valdroni
Lo Gnosticismo è quindi mortalmente auto-limitante, ma un movimento gnostico è in grado di causare un’enorme distruzione materiale e sociale prima di perire ignominiosamente a causa della sua stessa depravazione spirituale
Thomas F Bertonnau, Voegelin on Gnosticism – A Revisitation
A più di un anno dalla sua iniziale comparsa in Cina, l’origine del Covid 19 è ancora avvolta nel mistero.
Liang Wannian, lo scienziato a capo del contingente cinese del team di ricercatori istituito congiuntamente da Cina e OMS per far luce sull’origine del virus, commentando i risultati del suo gruppo così riassume lo scorso marzo lo stato delle conoscenze: “nessuno ha ancora individuato il progenitore diretto del virus… e dunque la pandemia rimane un mistero irrisolto.
Ad oggi, la scienza semplicemente non ha risposte, tuttavia ciò non impedisce a Mario Draghi, in occasione della sua prima apparizione al G7 in veste di Primo Ministro, di dichiarare perentoriamente che è necessario “curare il clima per combattere il Covid”.
Curiosa affermazione: se non sono note né l’origine del virus né le tappe attraverso le quali questo è entrato in contatto con l’uomo, non si capisce su quali basi il premier italiano si senta autorizzato a mettere in relazione “la lotta al Covid” con un altro fenomeno come il “cambiamento climatico”, anch’esso ancora oggetto di acceso dibattito scientifico, a dispetto della propaganda mediatica a senso unico.
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La nottola ancora sonnecchia
di Augusto Illuminati (Università di Urbino)
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
La pandemia ha sconvolto non solo i modi di vita e l’economia su scala globale, ma in qualche modo anche le nostre categorie interpretative. Di qui tanto l’urgenza quanto la difficoltà di una convincente ristrutturazione teorica. Le sole cose che però possiamo chiaramente definire sono l’entità della crisi della produzione e dei consumi, cui cerca di porre rimedio un riscoperto interventismo statale apertamente in deficit, e il delinearsi di una contraddizione fra il lavoro di cura e la difesa dei profitti industriali e commerciali spinta fino al limite del negazionismo. Intendendo per “cura” il terreno conflittuale del Welfare e della riproduzione sociale (dalla sanità all’allevamento ed educazione degli umani) e non alla manutenzione selettiva della forza-lavoro, come nella Sorge heideggeriana o nelle dottrine e pratiche neoliberali.
* * * *
La nottola non si è ancora levata in volo perché il crepuscolo è lontano, perché stiamo proprio all’inizio di un ciclo, neppure in una fase di interregno fra due assetti di realtà – uno agonico e l’altro a grandi linee già definibile. Scriveva nel 1820 un cane morto che la filosofia giunge sempre in ritardo, apprende il proprio tempo nel pensiero dopo che la realtà è bell’e fatta. Forse si sottovaluta la forza del momento in cui l’ideale si oppone al reale e propende un po’ troppo per il riconoscimento più che per la modificazione del mondo, ma insomma resta pur sempre una messa in guardia contro le fughe in avanti, le sintesi frettolose che anticipano lo svolgimento storico mentre le contraddizioni sono ancora tutte aperte e indecidibili.
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Ritorno a Francoforte
di Giorgio Fazio
È recentemente uscito per Castelvecchi “Ritorno a Francoforte. Le avventure della nuova teoria critica”. Ne pubblichiamo qui l’introduzione per gentile concessione dell’autore e dell’editore, che ringraziamo
La teoria critica della Scuola di Francoforte è oggi al centro di una nuova attenzione. In un passaggio storico che vede il moltiplicarsi di crisi che vanificano aspettative di benessere, provocano sentimenti di disorientamento e di impotenza, generano bisogni di sicurezza che alimentano pulsioni identitarie e autoritarie, si torna a leggere i testi di questa corrente di pensiero novecentesca, trovandovi strumenti per capire la nostra contemporaneità. Si ha l’impressione, anzi, che alcune diagnosi “francofortesi” siano diventate più vere oggi rispetto a qualche decennio fa, quando ancora sembrava potessero perpetuarsi gli equilibri sociali del capitalismo democratico del dopoguerra, prima che prendesse avvio la stagione del neoliberismo.
Quando si parla di teoria critica della Scuola di Francoforte si fa riferimento innanzitutto al gruppo di ricerca interdisciplinare raccoltosi attorno alla figura di Max Horkheimer nei primi anni Trenta del XX secolo. La sede istituzionale di questo circolo fu l’Istituto per la ricerca sociale, l’organo in cui vennero pubblicati i risultati delle sue ricerche la Zeitschrift für Sozialforschung. Entrambi furono luoghi di indagini innovative sulla società, a cui presero parte, in modo diverso, figure del calibro di Theodor Wiesegrund Adorno, Walter Benjamin, Erich Fromm, Otto Kirchheimer, Leo Löwenthal, Herbert Marcuse, Franz Neumann, Friedrich Pollock e altri.
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"Razza, nazione, classe. Le identità ambigue"
Una recensione per nuove strategie di lotta
di Bollettino Culturale
“Razza, nazione, classe. Le identità ambigue” è un'opera composta da tredici capitoli di due autori diversi e, come vedremo, potrebbe benissimo essere inteso come due distinti libri. Mentre Wallerstein è chiaro e conciso, la scrittura di Balibar è estremamente complessa (forse nello stile possiamo riconoscere le rispettive nazionalità degli autori). I frutti migliori vengono estratti da Balibar in seconda lettura, matita alla mano. Balibar è anche autore di un'ampia prefazione che, data la sua complessità, serve meglio da guida per quella seconda lettura che non esitiamo a consigliare. Al contrario, Wallerstein scrive in modo leggero e può essere affrontato senza problemi partendo una comprensione generale delle basi del marxismo.
Entrambi gli autori adottano una prospettiva critica, prendendo le distanze in alcuni punti dal marxismo "classico". Tuttavia, leggendo Balibar abbiamo l'impressione di trovarci davanti a un autore che non è marxista, nello stesso preciso senso in cui lo stesso Marx dichiarava di non esserlo neanche lui. Quanto a Wallerstein, che Balibar considera forse troppo economicista e non per questo necessariamente meno rigoroso, crediamo di poterlo collocare entro i parametri di ciò che ci si può aspettare da un autore di questa tradizione. Sebbene mostri alcune distanze importanti, queste sono ancora specifiche. Ciò che Wallerstein propone è una lettura di Marx adattata alla realtà socio economica dell'attuale sistema-mondo.
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Il Primo Maggio è la tua festa. In cerca dell’unità perduta dei lavoratori
di Andrea Muni
Quando i lavoratori si riuniscono […] si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della socialità, e ciò che sembra un mezzo, è diventato un fine. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi. Quando i lavoratori si uniscono […] il fumare, il bere e il mangiare insieme, non sono più “mezzi” per stare uniti, “mezzi” di unione politica. A loro basta la socialità, l’unione, la conversazione che questa stessa socialità ha a sua volta per scopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell’uomo s’irradia verso di noi da quei volti induriti dal lavoro
(K. Marx, Manoscritti economico-filsofici)
Il 27 aprile scorso gli operai di una fonderia controllata dalla Renault hanno sequestrato per alcune ore, come si usava fare un tempo, alcuni dei loro manager per protestare contro i tagli previsti al personale e contro la decisione di smantellare la fonderia. La notizia in Italia è stata diffusa online nientemeno che da www.quattroruote.it (perché interessa il mondo dei motori, e non certo per solidarietà con i lavoratori), a ennesima testimonianza del disinteresse, per non dire della censura, che cultura e media mainstream esercitano nei confronti della reale condizione dei lavoratori e delle loro lotte nel Paese e in Europa. Eppure i rapporti dei media pseudo-progressisti italiani con la Francia, a giudicare dalla enorme visibilità data all’arresto dei sette ex-brigatisti italiani, sembrano più che ottimi.
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Sinistra, disciplina e libertà
di Alessandro Pascale
Dialogo Magris-Rizzo, "Corriere della Sera", 28 marzo u.s.: alcune considerazioni
Perchè ancora un partito comunista?
Magris fa notare come il Partito Comunista guidato da Rizzo sia «un partito nel senso classico del termine anziché una fluida formazione come molti altri attuali raggruppamenti politici, numericamente più forti»; «il suo Pc è piccolo, ma non è un gruppuscolo; è immune dalla superbia ideologica, culturale e vagamente esoterico che caratterizza spesso le cerchie dei pochi fieri di essere pochi, una supponente aristocrazia d’accatto». Più avanti caratterizza l’azione del partito così: «l’elemento più originale del suo discorso è la critica a chi si proclama di sinistra mentre ne ignora o ne viola, a suo avviso, alcuni valori fondamentali».
La sorpresa di Magris riguardo alla tenuta “solida” del PC merita una riflessione. Il sociologo Zygmunt Bauman ha descritto la società occidentale con la formula della “modernità liquida”, caratterizzata dal dissolvimento di ogni legame stabile e duraturo. L’egemonia ideologica in questa società è la cosiddetta “condizione postmoderna”, ossia la morte delle “ideologie”, o dei “pensieri forti” (Vattimo) che dir si voglia. La caduta della modernità in questo pastiche che propugna politeismo dei valori, relativismo estremo, fino addirittura all’aperto scetticismo moderno è un processo che si è accompagnato cronologicamente all’offensiva neoliberista. Il testo fondamentale del postmodernismo, firmato Lyotard, data 1979, esattamente lo stesso anno in cui la Thatcher e Reagan annunciavano il ritorno in grande stile della pratica mercantile spinta a livelli fondamentalisti.
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Come il nazismo ha creato il moderno manager
di David Bidussa
Nazismo e management di Johan Chapoutot è un libro spinoso, urticante, ma indispensabile per capire le lunghe radici del tempo presente. Non capita spesso nella saggistica storica. Un precedente illustre è Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman, libro che ha stentato molto a divenire un luogo culturale. Non perché quel libro sia non compiuto, ma perché mettere in questione il senso comune è sempre un’impresa complicata e destinata all’insuccesso.
Mi spiego meglio.
Quando nel 1989 Zygmunt Bauman pubblica Modernità e Olocausto, il libro si salva perché Bauman ha ormai raggiunto una certa rispettabilità, ma non contribuisce a rovesciare significativamente il senso comune. Per questo, a differenza di altri suoi testi diventati “manifesto del nostro tempo” veri e propri hashtag, quel titolo non riesce a compiere quel salto.
Dove stava lo scandalo o l’imbarazzo suscitato da quel libro? Stava nel descrivere un tema e nel non dare un nome, ma obbligare il suo lettore a rivedere complessivamente il modo in cui era stato archiviato un passato. Dire che l’olocausto non era finito nel 1945, ma che ciò che lo aveva reso possibile non solo era sopravvissuto a quell’evento, ma costituiva un tratto essenziale della modernità e delle sue inquietudini, dopo il 1945, a meno di non sorvegliare, costituiva il centro della questione.
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Curare il Covid-19 a casa: studio clinico su un possibile trattamento precoce
di Istituto Mario Negri
È stato appena pubblicato su MedRxiv in versione pre-print * lo studio dal titolo "A simple, home-therapy algorithm to prevent hospitalization for covid-19 patients: a retrospective observational matched-cohort study" (Un semplice algoritmo [ndr. schema sistematico di calcolo] per il trattamento domiciliare di pazienti Covid-19 per prevenire l'ospedalizzazione: uno studio di osservazione retrospettiva).
Come precisa il prof. Remuzzi, coautore dello studio,“pur essendo in attesa della pubblicazione ufficiale, abbiamo pensato di rendere noti i dati emersi alla comunità scientifica perché i risultati sull'ospedalizzazione sono di un certo interesse".
Lo studio in questione, infatti, si propone, come altri studi attualmente in corso, per il trattamento domiciliare dei pazienti Covid-19, di presentare ai Medici di Medicina Generale una possibile cura precoce nelle prime fasi dell'infezione.
Nei primi 2-3 giorni, infatti, il Covid-19 è in fase di incubazione: la persona non presenta ancora sintomi, ovvero è presintomatica. Nei 4-7 giorni successivi, la carica virale aumenta facendo comparire i primi sintomi (tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea, vomito, diarrea). Intervenire in questa fase, iniziando a curarsi a casa e trattando il Covid-19 come si farebbe con qualsiasi altra infezione respiratoria, ancora prima che sia disponibile l'esito del tampone, potrebbe aiutare ad accelerare il recupero e a ridurre l’ospedalizzazione.
Seguire questo approccio offre vantaggi sia ai pazienti che al il sistema sanitario, il cui sovraccarico è attualmente ancora un problema.
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Nancy Fraser, “Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi”
di Alessandro Visalli
Per i tipi di Meltemi, collana Visioni Eretiche, diretta da Carlo Formenti, è uscito nel 2019 questo impegnativo libro, sotto la poco usuale forma di un dialogo tra le due autrici. Il testo affronta l’ambiziosa impresa di fare il punto su come si possa sviluppare oggi una descrizione generale ed una critica al capitalismo. Le due autrici hanno una formazione piuttosto diversa: Nancy Fraser, settantadue anni, insegna scienze politiche e sociali e filosofia alla New School di New York, è Presidente della divisione est dell’American Philosophical Association, è stata a lungo condirettore di Constellations[1]. Dal punto di vista accademico e della influenza editoriale è certamente una donna di potere. Laureata nel 1969 e dottorata nel 1980, attraversa biograficamente tutta la parte ascendente del movimento libertario americano. Si specializza nel corso degli anni novanta nell’articolazione del concetto di “giustizia”, per il quale distingue due dimensioni reciprocamente separate, ma correlate: la giustizia distributiva e la giustizia del riconoscimento. Seguendo la traccia di questa concettualizzazione la Fraser è giunta al termine a sostenere che i movimenti identitari, concentrati sul riconoscimento di diverse identità di gruppo all’interno della società, hanno compiuto l’errore di trascurare l’altra dimensione correlata della distribuzione. Di qui è passata a criticare il femminismo liberale, come abbiamo visto in alcuni suoi recenti articoli[2], come in un libro del 2013[3] e nel recente manifesto “Femminismo per il 99%”[4].
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Lenin e il taylorismo proletario
di Marco Beccari e Domenico Laise
Lenin mostra, già prima della rivoluzione, un interesse per l’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, mettendo in guardia i bolscevichi dal non commettere l’errore, simile a quello dei luddisti, di combattere il taylorismo in quanto tale e non il suo uso capitalistico
Questo articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019. [1]
Nel 1913 Lenin partecipa a un convegno sul taylorismo a San Pietroburgo. Nello stesso anno scrive un primo articolo, molto critico, comparso sulla “Pravda”, dal titolo: Il sistema scientifico per spremere sudore [2]. Tale sistema è quello elaborato e sperimentato da Taylor, con il quale: “si spreme il sudore secondo tutte le regole della scienza”. Lenin si domanda innanzitutto: ”In che cosa consiste questo sistema scientifico?” La risposta è: “Nello spremere dall’operaio tre volte più lavoro in una eguale giornata lavorativa”. Precisa inoltre che “il progresso della tecnica e della scienza significano nella società borghese il progresso nell’arte di spremere il sudore”.
Un anno dopo, nel 1914, Lenin ritorna sul tema e scrive un altro breve articolo dal titolo: Il taylorismo asserve l’uomo alla macchina [3].
Lenin, in questo nuovo articolo, premette che “il capitalismo non può segnare il passo nemmeno un istante … La concorrenza … costringe … ad inventare sempre nuovi mezzi di produzione per ridurre i costi di produzione. E il dominio del capitale trasforma tutti questi mezzi di produzione in strumenti per opprimere ancora di più l’operaio”. Il taylorismo è simile, cioè, alle altre innovazioni scientifiche. Esso è, difatti, una innovazione scientifico-organizzativa che accresce la forza produttiva del lavoro sociale, vale a dire è un veicolo che accresce la produttività del lavoro sociale.
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Governare la società del dopo covid
a cura di Salvatore Biasco
Documento di sintesi delle discussioni organizzate dal Network “Ripensare la cultura politica della sinistra” il 28 dicembre 2020 e il 5 e 6 marzo 2021
Le coordinate politiche del documento
Il filo rosso delle discussioni tenute in incontri (chiusi) dal nostro Network ha riguardato l’orizzonte possibile per la sinistra nella riorganizzazione del Paese dopo la tempesta della pandemia. Non a caso il documento di sintesi parla di biforcazione nelle scelte da adottare, il cui percorso dipenderà in gran parte dal tipo di politiche che il Paese progetterà e implementerà.
Non si trattava di discutere il Recovery Plan avanzando un ennesimo contropiano e neppure di redigere un manifesto. Ma di mettere a fuoco una cultura politica capace di condurre alle domande giuste nella definizione di una visione dell’Italia, senza lasciarle poi sospese nell’aria, ma indagando anche le possibili risposte ed entrando, per quanto possibile, nel merito delle questioni. Nel corso degli incontri (pur con l’intervallo di appena due mesi) si è verificato un significativo passaggio di fase, che invita a riflettere sugli interlocutori e destinatari di queste riflessioni collettive.
La visione culturale che ispira questa sintesi non combacia con gli schemi mentali cui ci ha abituato la sinistra ufficiale in questi anni. Mai come in questo momento è divenuta evidente come la sua modesta capacità di produrre idee, il suo distacco dal paese reale e l’indeterminatezza della rappresentanza, siano alla base dell’indubbia sconfitta che ha subito con le vicende che hanno portato all’avvento del governo Draghi. Quella sconfitta non può essere archiviata solo come questione di numeri parlamentari. Essa pone in rilievo ancora una volta che fuori da una qualificante presenza di governo la sinistra rimane disarmata, senza egemonia, senza idee forza, progetto politico e mobilitazione sociale.
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Malattia e mercato
di Salvatore Bravo
I popoli non sono più costituiti da cittadini, ma sono potenziali malati a cui far consumare farmaci, la nuova plebe deve brucare farmaci, in questo modo dipende dal mercato gestito dalle multinazionali e nel contempo è ossessionata dalla salute: scruta i sintomi di ogni potenziale malattia, ne insegue l’evoluzione, ne vuole prevenire lo sviluppo. La distinzione tra malati e sani diviene tanto sottile da non essere più distinguibile. L’antiumanesimo si radica, anche, nel mito della salute ad ogni costo, del corpo come feticcio da adorare e servire, mentre la vita interiore avvizzisce e la creatività è addomesticata con la fobia della malattia. L’atomocrazia si espande mediante la paura dell’altro, il quale è portatore di virus e batteri. Ogni politica decade e si cancella nel timore che l’altro sia il latore della morte. La trasformazione del cittadino in paziente è il successo delle multinazionali del farmaco colluse con la politica, un flusso indeterminato e vorticoso di denaro. Non solo hanno negato il giuramento di Ippocrate seppellendolo nella strategia di marketing, ma hanno trasformato i popoli in plebi impaurite dalla malattia. I nuovi pazienti sono sollecitati ad allungare i giorni della propria vita affidandosi religiosamente a medici e luminari che spesso sono rappresentanti delle multinazionali, sono la truppa che assalta il mercato diffondendo timori, incutendo il terrore, ammalando i pazienti che dovrebbero guarire. Il mercato trasforma il farmaco in prodotto e il cittadino in consumatore, per arrivare a questo obiettivo deve diffondere l’inquietudine della malattia.
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Austerità e riforme: il Piano di Draghi è servito
di coniarerivolta
Dopo una lunga attesa, la nuova versione del Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) firmata dal premier Draghi è finalmente tra noi. Si tratta del programma di investimenti che il Governo deve presentare alla Commissione europea entro la fine di aprile per poter spendere la quota italiana del Next Generation EU, lo strumento che l’Europa ha messo in campo per rispondere alla crisi da Covid-19.
Mentre la stampa ci racconta di una straordinaria capacità programmatica dei competenti, materializzatasi in un documento chiave per accedere ai fantastiliardi in arrivo dall’UE nei prossimi anni, ad un’attenta lettura le cifre di cui stiamo parlando si rivelano purtroppo per quei due spicci che sono. Non solo, il contenuto del Piano si presenta come l’ennesimo addentellato di un percorso di pericolose riforme e di austerità lacrime e sangue.
I soldi, per prima cosa, vanno contati
Già, perché quando parliamo di ‘risorse europee per risollevarci dalla crisi‘ stiamo parlando, conti alla mano, di circa 200 miliardi di euro spalmati su sei anni. Si tratta, in larga parte, di prestiti, e di risorse che finanzieranno progetti già in programma e in bilancio.
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Riconoscere il dominio, riprendersi la vita
di I Diavoli
“Dominio”, l’ultimo libro di Marco D’Eramo, racconta di come la nuova guerra di classe – quella dichiarata dai ricchi contro i poveri, e vinta dai ricchi contro i poveri – sia stata una guerra combattuta sul piano dell’ideologia, volta a imporre la ragione neoliberale sul mondo e nella mente di ognuno di noi, lasciandoci credere all’impossibilità di un’alternativa.
Quello che dobbiamo fare, se vogliamo riprenderci una minima parte di quello che i padroni ci hanno tolto in questi anni, è comprendere come e perché siamo stati noi a darglielo. E come siamo stati pure contenti di farlo, regalando loro diritti e tutele faticosamente conquistate nel passato.
Simili agli indigeni che salutavano lo sbarco dell’uomo bianco come epifania della divinità, e a lui offrivano i migliori doni e frutti della propria terra, prima di farsela espropriare e di farsi trucidare, così noi, esseri liberi del mondo occidentale, da quando il capitalismo estrattivo ha cominciato a ricavare valore da sentimenti, emozioni e desideri, diventate lavoro tout court, abbiamo offerto noi stessi in sacrificio alle divinità neoliberali.
Ma come è potuto succedere tutto questo? «Una spiegazione», scrive Marco D’Eramo, «ce la fornisce Wendy Brown. Detta brutalmente: la vittoria della controffensiva ideologica dell’ultimo mezzo secolo, della counter-intellighentsia, non ha privatizzato solo ferrovie, scuole, sanità, eserciti, polizia, autostrade, ma ci ha privatizzato il cervello».
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Pensare la pandemia: la soglia tra “pubblico” e “privato”, la crisi attuale e le forme del potere. Presentazione
di Fabio Frosini (Università di Urbino), Anxo Garrido Fernández (Universidad Complutense de Madrid)
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
1. Questa rivista, quest’anno di pandemia
In quest’anno pandemico si sono moltiplicate le prese di posizione, più o meno autorevoli, di “esperti” del settore (epidemiologi e virologi), spesso in stridente contraddizione tra loro. Sono però in particolare i politologi, i sociologi, gli antropologi e in primo luogo, sì, i filosofi che vengono chiamati a gran voce a dire la loro su questo “evento” che a detta di tutti sarà uno spartiacque “storico” o “epocale”. Non staremo qui a elencare i fascicoli monografici che talvolta in tempi record sono stati pubblicati, i libri e libretti di maîtres-à-penser e il profluvio, pressoché inarrestabile, di interviste e articoli1. Noi stessi ci vediamo partecipi ‒ volenti o nolenti ‒ di questo «naufragio continuo e comune non meno degli scritti nobili che de’ plebei» (per riprendere la frase memorabile di un libro che ebbe, immeritatamente, scarsa fortuna)2. Siamo del resto coscienti della difficoltà di dire qualcosa di sensato nella cacofonia più totale: anche per questa ragione abbiamo accolto in questo dossier un articolo di quotidiano pubblicato il 23 marzo 2020 da José Luis VILLACAÑAS, Il filosofo democratico, che riflette con grande lucidità sul significato della parola del filosofo in questo tipo di circostanze e ‒ spunto gramsciano ‒ sul carattere “democratico” di essa3.
Per parte nostra, abbiamo pensato di proporre un approccio che riflette uno degli assi portanti di questa rivista: il pensiero di Gramsci sull’egemonia e i suoi “apparati”, vale a dire le forme di organizzazione in cui la società penetra, ramificandosi, dentro lo Stato e viceversa, lo Stato entra con forza nelle più varie sfere sociali, cioè private.
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