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Formare un mondo diverso: contro una scuola delle classi dirigenti, per la scuola che emancipa
di Lucia Donat Cattin – USB scuola
La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente […] L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare‑media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
A. Gramsci “Quaderni dal Carcere” QXII
L’assemblea di Cambiare Rotta, che si terrà a Bologna il 13 giugno, si terrà in quel luogo perché lì ha avuto inizio quel processo di Bologna, nato a fine anni ’90 del Novecento, volto ad “armonizzare” i sistemi europei di istruzione, che aveva in realtà lo scopo di metterli tutti armonicamente al servizio delle aziende e del sistema di produzione capitalistico.
In questa direzione sono andate, da quel momento in poi, tutte le iniziative europee sull’istruzione e quelle dei governi del nostro paese, innestando quel pilota automatico che ben conosciamo e che caratterizza le scelte politiche, economiche e sociali dei governi dei paesi europei da vent’anni a questa parte: l’Unione Europea decide e i governi nazionali applicano.
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La guerra fredda contro la Cina
Ovvero l'autogoal dell'occidente
di Carlo Formenti
Mentre scrivo queste pagine, il neo presidente Biden viaggia per il mondo nel tentativo di costruire un fronte euroatlantico in funzione anticinese e antirussa, ovviamente sotto egemonia statunitense. Un progetto che costerebbe caro agli alleati europei (per i quali uno sganciamento dalla partnership economica con la Cina comporterebbe effetti catastrofici), per cui è prevedibile che raccoglierà molti consensi sul piano formale assai meno sul piano sostanziale. Ancor più irrealistico appare l’obiettivo di rompere il legame fra Cina e Russia, convincendo la seconda a schierarsi con l’Occidente, soprattutto perché fondato non su aperture e concessioni, bensì su continue provocazioni politico-militari – vedi Ucraina e Bielorussia – e sanzioni economiche (con il risultato che per la Russia l’alternativa obbligata diventa quella fra capitolazione e ulteriore avvicinamento alla Cina). Pura stupidità, sopravalutazione delle proprie forze, sottovalutazione di quelle degli avversari? Probabilmente un mix di questi fattori, ma soprattutto c’è l’ottusa ripetizione di vecchie strategie inadeguate al nuovo contesto mondiale, così come c’è una chiara incomprensione della logica di un competitor – la Cina – assai diverso dall’Urss, il rivale sconfitto qualche decennio fa. A tale proposito, per chi volesse dotarsi di un minimo di conoscenze attendibili – al posto dell’indigeribile paccottiglia che ci viene quotidianamente propinata dai media di regime, con la complicità di non pochi intellettuali “di sinistra” – su cosa è la Cina di oggi, è consigliabile la lettura de La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, di Fabio Massimo Parenti, professore associato alla China Foreign Affairs di Pechino e docente al Lorenzo de Medici, The Italian International Institute di Firenze (il libro è appena uscito da Meltemi). Qui di seguito anticipo alcuni argomenti di questo lavoro.
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I fatti di Tavazzano Lodi nelle complicazioni della fase
di Michele Castaldo
Il fatto quotidiano, giornale democratico che ha sostenuto i governi Conte Uno e Conte Due, sui fatti di Tavazzano Lodi, titola in prima pagina: « Fedex Tnt: squadrismo contro gli operai licenziati ». Poi comincia l’articolo dicendo: « sarà un’indagine a svelare se il presidio dei lavoratori assaltato con bastoni e bottiglie è stato opera di bodyguard pagati dall’azienda ».
Sono i miserabili democratici al servizio di sua maestà il capitale che si scandalizzano per fatti che nei tempi moderni ormai non dovrebbero più accadere. Cerchiamo di entrare più da vicino sui fatti, e capire in profondità le complicazioni che presenta la fase per le condizioni dei lavoratori e la possibilità della loro organizzazione per difendersi in questa crisi.
Indipendentemente se siano stati bodyguard o lavoratori di imprese del nuovo appalto nel nuovo impianto di FedEx Tnt di Tavazzano Lodi ad aggredire gli operai licenziati della FedEx Tnt di Piacenza che cercavano di farsi sentire, perché licenziati in 298, bloccando il transito dei mezzi in entrata e in uscita delle merci, c’è un responsabile criminale che
si chiama rincorsa del profitto e che siede nelle poltrone dei capitani d’industria. Dunque c’è innanzitutto un imputato certo, pertanto non cerchiamo nella risposta del magistrato, che indaga, il colpevole, peggio ancora se certe indagini vengono affidate a certi magistrati come la dottoressa Pradella che giustificò l’intervento della polizia, a Piacenza, in virtù di « gravi fattori di pericolosità » nei confronti di lavoratori che chiedevano qualche sacrosanto diritto « garantito dalla Costituzione », o – peggio ancora – come il giudice per le indagini preliminari, la signora Donatella Bonci Buonamici che definì « atto di civiltà » la scarcerazione degli indagati incarcerati da un altro magistrato.
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Il prezzo della crisi
di Marco Bertorello e Danilo Corradi
Anche se gli addetti ai lavori sembrano non preoccuparsene più di tanto, dopo un lungo periodo di ristagno dei prezzi la crisi pandemica potrebbe costituire l’innesco di una impennata inflazionistica frutto della crisi del paradigma austeritario
La crescita dei prezzi ad aprile negli Stati uniti ha riacceso il dibattito attorno alla possibilità di una ripartenza del fenomeno inflazionistico. Il dato registrato è stato pari a +4,2% su base annua, una percentuale superiore di quasi un punto rispetto a quella attesa. In Europa e in Cina l’inflazione al consumo è ancora sotto quota 2%, ma la tendenza è alla crescita e soprattutto appare superiore alle previsioni la risalita dei prezzi alla produzione in Cina, che sempre ad aprile ha fatto segnare un +6,8%. Questi due dati non potevano passare inosservati dopo un lungo periodo di parziale deflazione, ma complessivamente non hanno preoccupato gli addetti ai lavori. Sembra farsi strada l’idea che il fenomeno abbia natura sostanzialmente temporanea, un rimbalzo dei consumi e delle scorte nel quadro del superamento dei mesi più duri relativamente alle misure di contenimento della pandemia.
Pur non potendo vendere certezze di segno opposto, l’idea del semplice rimbalzo ci convince poco, tanto più che l’ipertrofia e le contraddizioni della finanziarizzazione, che hanno spinto David Harvey a parlare di «complessità assai contorte del sistema finanziario», inviterebbero a dismettere metodologicamente l’idea che possano esistere certezze granitiche. Il quadro dell’economia globale è incerto e assai aperto a varie possibilità, tra cui quella di una fiammata inflazionistica non va esclusa. Tale evenienza era stata da noi avanzata in tempi non sospetti proprio sulle pagine di Jacobin Italia al termine della scorsa primavera, cioè in piena pandemia e recessione. Un’ipotesi che all’epoca poteva apparire azzardata, ma che oggi deve perlomeno essere presa in considerazione seriamente.
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La tragedia (o meglio la farsa) della tassa minima sui profitti
di Marco Bersani e Andrea Fumagalli
Atto I. Il potere delle multinazionali
Secondo il rapporto 2020 “Top 200. La crescita del potere delle multinazionali”, elaborato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, le imprese multinazionali sono 320.000 e occupano 130 milioni di dipendenti, pari al 4% degli occupati mondiali. Il loro fatturato è pari a 132mila miliardi di dollari, con profitti netti pari a 7.200 miliardi di dollari. Il 14% di questo fatturato è coperto dalle prime 200 imprese multinazionali.
Molte multinazionali hanno un fatturato superiore al Prodotto Interno Lordo degli Stati: nella comparazione, nei primi 100 posti compaiono 42 multinazionali (con la prima al 25esimo posto). Ma se il confronto viene effettuato tenendo conto delle entrate degli Stati e dei fatturati, le multinazionali presenti nei primi cento posti diventano 69 (con la prima al 13esimo posto).
Sempre secondo tale rapporto, le società quotate in Borsa sono circa 41.000, con un capitale complessivo di 84mila miliardi di dollari, pari al Pil dell’intero pianeta.
Tra gli azionisti delle prime 10.000 di queste società figurano per il 41% investitori istituzionali (assicurazioni, fondi di investimento, fondi pensione), per il 27% azionariato diffuso, per il 14% investitori pubblici, per l’11% imprese private e per il 7% investitori individuali.
I primi dieci fra gli investitori istituzionali gestiscono da soli il 57% della ricchezza totale finanziaria, mentre fra gli investitori pubblici, è il capitale pubblico cinese a fare la parte del leone (57%).
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Lo sdoppiamento virtuale dello spazio pubblico
di Renato Curcio
Riprendiamo questo lungo e interessante articolo di Renato Curcio, uscito sulla rivista “Su la Testa” (qui il link)
Con l’inizio del terzo millennio l’espansione del continente digitale planetario ha investito l’Italia e coinvolto nell’erosione progressiva dello spazio pubblico gran parte dei suoi cittadini. Con “spazio pubblico” non intendo soltanto quell’insieme di luoghi aperti e reali, ovvero non virtuali, entro cui lo Stato dovrebbe garantire a tutti la libertà di esercitare apertamente i diritti di cittadinanza, d’informazione, di attività culturale e politica in tutte le varianti. Ancora prima, infatti, lo si dovrebbe considerare come uno spazio strategico per la maturazione e il consolidamento delle nostre abilità relazionali; delle capacità di progettazione comune, di collaborazione empatica e di operatività condivisa. Come una grande rete di luoghi immaginati, voluti e liberamente istituiti da aggregazioni sociali autonome e autogestite. Luoghi aperti, dunque, in virtù dei quali possano svilupparsi e assumere una forma storica i momenti di confronto e le forme sorgive della creatività e del mutamento sociale. Nella seconda metà del Novecento gli spazi pubblici post-bellici avevano vissuto in questo Paese un importante scossone. Le deboli attrezzature associative istituite per via burocratica dallo Stato dovettero cedere il passo a nuove esigenze culturali portate avanti da un fermento generazionale e laico nato in alternativa anche ad altre istituzioni robustamente sostenute da enti religiosi o privati.
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I «disastri naturali sociali» e il nuovo movimento per il clima
di Thomas Meyer
1.
La rapida diffusione del movimento di difesa del clima nel mondo è veramente notevole (cfr. Haunss; Estate 2020). Notevole è anche l'odio di cui questo movimento è talvolta oggetto, specialmente l'odio contro Greta Thunberg. Semplicemente, il soggetto borghese in crisi non vuole ammettere che il suo stile di vita capitalista è diventato insostenibile. Perfino i più piccoli cambiamenti nelle viti che regolano il sistema, fanno andare su tutte le furie il «cittadino preoccupato». A partire da questo, il movimento per il clima non viene visto come un'occasione o come un'opportunità di riflessione e viene invece, fin dall'inizio, continuamente interrotto da «isteriche reazioni difensive» (cfr. Hartmann 2020, 118ss.). La «virilità tossica» si scarica attraverso innumerevoli commenti di odio e si manifesta per mezzo di "contro-movimenti" assurdi e assolutamente reazionari come i "Venerdì per la cilindrata" (attualmente con circa 500.000 membri). [*1] Coloro i quali vedono la loro automobile come se fosse un'estensione del loro cazzo sembra che si sentano simbolicamente evirati da una ragazza.
Mentre da una parte il cambiamento climatico è diventato ovvio e scontato, dall'altra viene ostinatamente negato dai populisti e dai radicali di destra (come Donald Trump e Beatrix von Storch).
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Il futuro è oggi. L’urgenza di un modello di sviluppo alternativo
di Fabrizio Venafro
Il recente ennesimo disastro ecologico causato dall’affondamento di una nave cargo al largo delle coste dello Sri Lanka, ripropone prepotentemente la questione ambientale e in particolare dell’enorme quantità di plastica prodotta e dispersa nelle acque del globo. Dopo giorni di incendio, la nave affonda disperdendo enormi quantitativi di plastica e petrolio nell’oceano e sulle spiagge. È stato stimato che negli oceani la quantità di materiale inorganico immesso dall’uomo è ormai maggiore di quella di materia organica, costituita da pesci e alghe. Le microplastiche presenti nel ciclo dell’acqua sono ormai diffuse ovunque e fanno parte dell’alimentazione dei pesci (costituendo una sorta di plancton tossico) e tramite questi della nostra. L’invenzione della plastica, salutata quale grande progresso del XX secolo, si sta rivelando un vero e proprio cavallo di Troia per la salute umana. Un materiale che ha insitauna contraddizione dovuta al fatto che, a dispetto della lunga durata, viene impiegato per la produzione di oggetti usa e getta. Quello della plastica è solo uno dei problemi ambientali che ci vengono posti dalle sfide per il futuro e che pongono l’attuale modello di sviluppo sul banco degli imputati. La cosa bizzarra, quasi uno scherzo del destino, è che continuando secondo il modello espansivo perseguito finora, la catastrofe si abbatterà sullo stesso genere umano che ne subirà direttamente le conseguenze e potrebbe autoestinguersi. La Terra sopravvivrà a tutti gli stress cui la stiamo sottoponendo, ma si può dire la stessa cosa per il genere umano? Il nostro è un genere che provoca la propria estinzione e questa è una peculiarità della nostra specie, che pur si distingue per l’uso della razionalità.
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Michel Foucault filosofo del secolo
di Rocco Ronchi
Jules Vuillemin, insigne storico della filosofia che molto aveva contribuito alla elezione di Michel Foucault al Collège de France nel 1970, a distanza di appena un anno da quell’evento, nutriva più di un dubbio sulla bontà di quella scelta. Era stata ottenuta al prezzo di non poche negoziazioni con una Accademia poco incline ad accogliere tra le sue file l’autore di un libro inclassificabile come Folie et déraison (in italiano tradotto con il titolo Storia della follia nell’età classica, che era il sottotitolo francese), libro nato da una tesi dottorato che aveva consacrato il giovane studioso proveniente dalla provincia francese (Foucault era nato a Poitiers il 15 Ottobre del 1926) nell’Olimpo della cultura parigina. In Michel Foucault. Il filosofo del secolo. Una biografia, Feltrinelli 2021 (trad. it. Lorenzo Alunni; ed. originale 2011), Didier Eribon racconta di una telefonata preoccupata di Vuillemin a Georges Dumézil, il grande storico delle religioni, che era stato il nume tutelare della carriera di Foucault fin dagli anni del suo apprendistato filosofico all’École Normale. Sembra che gli chiedesse sgomento “Cosa abbiamo fatto? Mio Dio, cosa abbiamo fatto?” (p. 291). Sfogliando i giornali, Vuillemin vi trovava le immagini del neoletto che insieme a Sartre, al quale, però, tutto era a priori perdonato, e ai maoisti, che erano egemoni sulla scena studentesca, si faceva interprete delle rivendicazioni sociali e politiche più radicali. Non mancavano poi imbarazzanti episodi di cronaca.
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Il “lupo marxicano”
di Giorgio Gattei
Giorgio Gattei, docente e storico del pensiero economico ed economista marxista italiano, che ha partecipato al dibattito apertosi nella Sezione Quadri di "Cumpanis" sulla questione Sraffa - Marx, ci invia questo suo prezioso contributo, con Sraffa ancora protagonista
Come fu che Pierino Sraffa chiuse in gabbia il “lupo marxicano”, ma lasciandoci la chiave per ridargli la libertà ("Dianoia", giugno 2018)
Quando nel 1988 ho letto per la prima volta Pierino e il lupo di Gianfranco Pala (dono graditissimo dell’autore) adesso ripubblicato da Franco Angeli, mi sono divertito come non mai: brillante, intelligente, irriverente, prendeva a pretesto l’omonima favola sinfonica (1936) di Serghei Prokofiev (la cui storia è riportata integralmente, a spizzichi, nel corso del libro) per servirsene come il canovaccio per narrare, come recita il sottotitolo, «come fu che Pierino (Sraffa) riuscì a catturare il lupo marxicano salvandolo dai fucili dei cacciatori, epperò facendolo rinchiudere in gabbia».
Tuttavia il libro è prolisso, zeppo di note e di due appendici che fanno quasi un volume a parte, e poi tratta di un argomento, quale la “teoria del valore-lavoro e dintorni”, che oggi pare questione d’archeologia. Ci sono, insomma, troppe parole e troppi animali, col richio che il lettore poco addentro alle segrete cose della “triste scienza” (la political economy di un tempo) finisca per perdersi in tanto zoo. Certamente una ristampa alleggerita di alcune parti polemiche (su temi che allora erano oggetto di feroci dibattiti, ma che adesso non dicono più nulla) avrebbe favorito, ma tant’è: lo si è voluto ripubblicare tale e quale. Trattandosi tuttavia di un libro importante che riporta in scena argomenti cruciali (“critici”, come avrebbe detto il lupo marxicano) che mai andrebbero dimenticati dagli economisti, azzardo un riassunto della trama e ci ricamo un po’ sopra per dar conto anche del seguito della storia di Pierino e del suo lupo, che fortunatamente non si è fermata al 1988, vigilia del più tristo 1989.
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L’illusione della globalizzazione fiscale
di Giacomo Gabellini
Il gigantesco pacchetto di stimoli fiscali elaborato dall’amministrazione Biden e recentemente approvato dal Congresso ha suscitato grandi speranze, nonostante gli enormi problemi legati alla sua applicazione pratica. In concreto, il governo prevede di finanziarlo tramite «il più grande aumento delle tasse mai visto dal 1942», a carico delle fasce alte della società e delle aziende. Secondo i calcoli di Washington, i circa 2.000 miliardi di dollari richiesti dal piano dovrebbero essere rastrellati mediante l’innalzamento delle aliquote relative ai prelievi sugli utili societari (dal 21 al 28%) e sui profitti delle imprese multinazionali Usa realizzati all’estero (dal 10,5 al 21%). Per evitare che l’inasprimento della pressione fiscale all’interno dei confini statunitensi accentui ulteriormente la già spiccatissima propensione delle imprese Usa a spostare la propria sede fiscale all’estero e a ricorrere al fenomeno dell’estero-vestizione per sfuggire al fisco nazionale, Biden e il suo segretario al Tesoro Janet Yellen hanno cercato di richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla necessità di porre fine alla competizione fiscale in cui gli Stati Uniti sono pienamente coinvolti quantomeno dal 2010.
In quell’anno, mentre annunciavano pubblicamente l’intenzione di porre l’abolizione del segreto bancario in cima alla scala delle priorità, governo e Congresso ufficializzavano l’introduzione del Foreign Account Tax Compliance Act (Fatca), una legge che impone a qualsiasi istituzione finanziaria, sia statunitense che straniera, di fornire alle autorità tutte le informazioni riguardanti i clienti statunitensi.
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Una nuova internazionale nera, dalla Spagna all’America Latina
di Geraldina Colotti
L’attualità dell’America latina mette in primo piano le elezioni di domenica 6 giugno in Messico e in Perù, mentre continuano le proteste in Colombia, a cui il governo Duque risponde con massacri silenziati dai media occidentali.
Al riguardo, iniziamo col raccogliere l’invito del filosofo messicano Fernando Buen Abad che si occupa di semiotica radicale e combattiva e che, alle sue riflessioni sulle elezioni in Messico, ha premesso la vignetta di un cervello in gabbia come invito a non ottundere il pensiero critico seguendo le menzogne mediatiche. In Messico, che conta 129 milioni di abitanti, andrà alle urne un totale di 94 milioni di aventi diritto. Voteranno per il rinnovo della Camera dei Deputati, dove si eleggeranno 500 nuovi membri. A livello locale, si vota in 15 governazioni, 30 municipi e 30 congressi locali.
Morena, il partito del presidente Lopez Obrador, si presenta in una coalizione denominata Juntos Hacemos Historia, e composta anche dal Partido del Trabajo (PT), dal Partido Verde Ecologista de México. I due partiti di destra, il Pri e il Pan, vanno invece uniti nell’alleanza Va por Mexico. Un dato significativo per un paese nel quale le violenze patriarcali e omofobiche sono molto elevate, è il record di candidati alla Camera dei movimenti LGBTIQ+ , e il fatto che quasi il 2% degli oltre 5.300 candidati ai diversi incarichi ha dichiarato in un’inchiesta di identificarsi come parte della comunità. In queste elezioni, vi sono candidati che si definiscono transgender, omosessuali e muxe, un terzo genere riconosciuto all’interno della cultura degli zapotechi di Oaxaca, nel Messico meridionale, che indica una persona alla quale è stato assegnato individualmente il sesso maschile, ma che si veste e si comporta con modalità femminili.
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Perché ho parlato contro i lockdowns
Sulla necessità di sfidare il senso comune sul Covid
di Martin Kulldorff
Nota introduttiva a cura della Redazione de La Fionda
Dall’inizio dell’epidemia di Sars-Cov-2, abbiamo assistito all’amplificarsi e all’imporsi di un approccio e di una dinamica politica, mediatica e scientifica, che ha fatto della censura e della politicizzazione di dubbi argomentati, di opinioni, posizione scientifiche autorevoli o addirittura di farmaci e protocolli terapeutici, una forma di gestione di ciò che nel discorso pubblico e nello spazio sociale delle democrazie occidentali, può esser considerato legittimo e dicibile, e di ciò che invece deve essere rifiutato come fake. Si tratta di un metodo di controllo o, per meglio dire, di governo della pubblica opinione e del suo spazio di accettabilità e di legittimità: metodo che era già radicato e praticato nell’era pre-Covid, rispetto, ad esempio, a temi riguardanti l’Unione Europea, le questioni economiche e monetarie, o ancora i rapporti geo-politici tra gli Stati o i problemi legati all’immigrazione, ma che ha fatto dell’epidemia e della questione sanitaria il nuovo campo d’azione e di delimitazione del discorso pubblico.
Questo metodo di governo della pubblica opinione, così come delle posizioni scientifiche, ha sostanzialmente racchiuso le maggiori questioni problematiche riguardanti l’epidemia, delimitando il campo del discorso considerato legittimo perché certificato da autorità politiche, TV, giornali e social media come vero, e costruendo, al tempo stesso, una cappa di indicibilità su chi ha sollevato dubbi e interrogativi capaci di mettere in discussione quella narrazione ufficiale. La sola possibilità di espressione libera che non incorra né nel meccanismo di delegittimazione pubblica e mediatica, né nella conseguente censura, consiste nel presentare le tesi opposte alla narrazione certificata e vera, come delle pure ipotesi senza alcuna pretesa veritativa.
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Trump, Fort Detrick e il Covid 19
Il colpevole silenzio degli Stati Uniti sulla vera origine del coronavirus
di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli
Tutta una serie di variegate informazioni e di fatti concreti, combinati strettamente tra loro a partire da alcune clamorose anomalie, provano e attestano oltre ogni dubbio che:
1. Il coronavirus ha iniziato a contagiare e devastare il mondo trovando il suo luogo di origine e di propagazione nella base militare e nel laboratorio batteriologico di Fort Detrick, collocato nello stato del Maryland degli Stati Uniti, fin dal luglio del 2019 e quindi più di tre mesi in anticipo rispetto ai casi riportati a Wuhan e in Cina;
2. Il governo Trump, gli apparati statali americani e l’amministrazione Biden in carica dal gennaio del 2021, hanno via via cercato, coscientemente e costantemente, di coprire e nascondere tale gravissimo evento di contaminazione durante il periodo compreso tra il luglio del 2019 e il presente, ossia per due lunghi e sanguinosi anni: una menzogna permanente e perfettamente consapevole di Washington che ha direttamente causato e prodotto il dilagare della paurosa strage di più di tre milioni di esseri umani, insanguinando dall’estate del 2019 quasi tutto il nostro pianeta e provocando circa 600.000 vittime innocenti nella stessa America.
Fin dal 1943 e senza soluzione di continuità uno dei principali siti militari statunitensi per la guerra batteriologica, Fort Detrick, registrò al suo interno una prima e innegabile “fuga” verso il mondo esterno del batterio che causa l’antrace (una gravissima infezione, con sintomi molto simili a quelli creati dalla polmonite) già il 18 settembre 2001, ossia solo una settimana dopo gli attentati dell’11 settembre.1
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Alla ricerca dell’alleato: la Agrarfrage di Karl Kautsky
di Eros Barone
La Questione agraria (1899) di Karl Kautsky si compone di tre parti distinte, anche se fra loro logicamente connesse: una prima parte generale e prevalentemente teorica; una seconda parte dedicata all’analisi degli aspetti specifici dell’agricoltura sul finire del secolo XIX, con una particolare attenzione alla Germania; una terza parte conclusiva in cui sono formulate le grandi linee del programma politico della socialdemocrazia tedesca nei confronti dei contadini e riguardo ai problemi dell’agricoltura. Il fine che viene esplicitamente perseguito dall’autore è quello di «… studiare se e come il capitale si impadronisce dell’agricoltura, la trasforma, rende insostenibili vecchie forme di produzione e di proprietà e crea la necessità di nuove forme. Soltanto quando avremo risposto a queste questioni potremo vedere se la teoria di Marx è applicabile all’agricoltura o no…». 1 In altri termini, Kautsky si è prefisso di sottoporre Il Capitale ad una specie di verifica, e quanto questa sia stata positiva è testimoniato dall’influsso durevole di quest’opera sull’ala sinistra della socialdemocrazia e sul pensiero di Lenin in particolare. 2 Nelle note seguenti si cercherà di porre in luce le categorie teoriche, i contenuti più rilevanti e il metodo dialettico che caratterizzano il ‘magnum opus’ kautskiano e, grazie anche al confronto con l’elaborazione di Lenin sullo stesso tema, ne rendono quanto mai ricca ed istruttiva la lettura.
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Infrastrutture e globalizzazione: una sfida strategica
di Francesco Giuseppe Laureti e Stefano Guarrera
Fin dall’antichità, le infrastrutture riflettono la capacità, tipica dell’essere umano, di rimodellare il territorio secondo le proprie necessità. Se è vero che, in origine, era il fabbisogno di beni di prima necessità e di materie prime a guidare i commerci dall’Europa attraverso le rotte del Mediterraneo e, in seguito, su distanze ben più lunghe, fino all’Estremo Oriente, ecco che l’esigenza di facilitare gli spostamenti, velocizzare il flusso di merci, semplificare le comunicazioni e collegare gli angoli più remoti del globo emerge prima di quanto si sia portati a credere.
Eppure, c’è chi offre una versione più prudente e attenta alle sfide e ai rischi che possono derivare dalle dinamiche economiche e geopolitiche innescate e catalizzate dalle opere infrastrutturali di carattere strategico.
Nel suo The Great Convergence: Information Technology and the New Globalization, Richard Baldwin, professore di Economia internazionale al Graduate Institute di Ginevra, racconta di come la pax mongolica che vigilò sulla Via della Seta tra XIII e XIV secolo non fu soltanto fattore di sviluppo dei commerci tra Occidente e Oriente, ma anche motivo di rapida diffusione della peste bubbonica. L’epidemia senza precedenti che spazzò via tra un quarto e metà della popolazione europea era stata veicolata dai traffici commerciali di un tentativo di globalizzazione, secoli prima della comparsa di treni e battelli a vapore. L’Europa sarebbe uscita prostrata da questa terribile crisi.
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Alla lotta contro i licenziamenti e contro il governo Draghi!
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Siamo ad un passo dallo sblocco dei licenziamenti di massa, e sulla stampa di regime, il regime-Draghi, è partito il battage propagandistico dell’“andrà tutto bene”, che già ci assordò tempo fa, e abbiamo visto com’è andata. Al megafono il forzista Brunetta, ministro della p.a.: “Siamo alla vigilia di un nuovo boom economico. Stiamo vedendo all’opera gli ‘spiriti animali’ della nostra Italia. Con le nostre riforme (…), una rivoluzione gentile. È il momento Italia” (la Repubblica, 30 maggio). Il capo di Bankitalia Visco ha lanciato l’identico messaggio.
C’è euforia nei palazzi del potere
Il boom di cui parlano sarebbe in realtà un semplice rimbalzo dal fosso (-8,9%) in cui è caduta nel 2020 l’economia italiana insieme a quella mondiale; un rimbalzo che, se andasse “tutto bene” (+4,3% nel 2021, +4,0% nel 2022), la riporterebbe nel 2023 ai livelli del 2019, che erano inferiori a quelli del 2007. Ma non è detto che vada come prevedono.
La loro euforia si fonda sull’ipotesi di una ripartenza a razzo di Stati Uniti e Cina in grado di trainare l’intera economia mondiale. Su questa ripartenza a razzo gravano, in realtà, diverse incognite, che potrebbero farla cortocircuitare anche piuttosto a breve. A cominciare dall’andamento della pandemia da covid-19 nel mondo, e dalla non remota possibilità di nuove pandemie in arrivo.
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L’obbedienza alla ragione è un invito alla rivolta. La proto-Grammatologia di Hamann
di Leo Essen
Nel 1756 Johann Georg Hamann, concittadino e amico di Kant, si reca a Londra per una missione segreta. La ditta Berens (Isaiah Berlin, Il mago del Nord) gli affida una missione la cui esatta natura è a tutt’oggi un mistero. Il compito di Hamann sarebbe stato quello di proporre agli inglesi un eventuale distacco dell’area baltica «tedesca» dall’Impero russo e la nascita di uno Stato autonomo o semiautonomo. La missione si conclude con un nulla di fatto.
A Londra Hamann abita in casa di un insegnante di musica, inizia a suonare il liuto e si vota a una vita di terribile dissipazione. Dopo solo 10 mesi accumula debiti per 300 sterline, versa in uno stato di prostrazione, miseria e solitudine. Poi lascia la casa del musicista e si trasferisce in una modesta pensione, dove, da buon pietista, il 13 marzo 1758 inizia a rileggere le Bibbia. Annota i suoi progressi spirituali giorno per giorno.
Tornato in Germania rifiuta l’invito di Kant di scrivere un manuale di fisica a quattro mani, e nel 1767 accetta un posto di funzionario all’Amministrazione generale delle imposte e dei dazi.
Nel Settecento, la Prussia di Federico il Grande, è, tra tutte le provincie tedesche, la più progressista. La burocrazia di Berlino deve raggiungere il livello di quella francese. Esperti stranieri, soprattutto francesi, vengono invitati alla corte di Potsdam e messi al lavoro. La lingua della corte è il francese.
Ai francesi (Voltaire, Maupertuis e La Mettrie, solo per citare i più famosi), dice Berlin, vengono assegnati gli incarichi intellettuali di maggior prestigio. Sono messi a capo degli uffici amministrativi dello Stato, con grave onta di tutti i veri prussiani (specie nella zona orientale del paese, roccaforte del tradizionalismo), che brontolano, ma obbediscono.
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L’analisi concreta della situazione concreta
Appunti su “L’Imperialismo” di Lenin
di Alberto Lombardo*
Il contributo di Lenin alla teoria marxista è stato inestimabile. Egli ha vissuto il trapasso definitivo dalla fase prevalentemente concorrenziale del capitalismo a quella imperialistica. Nel suo famoso L’imperialismo. Fase suprema del capitalismo, dell’aprile del 1917, egli delinea gli aspetti storici di questo trapasso.
Dice Lenin:
Ma, a mano a mano che le banche si sviluppano e si concentrano in poche istituzioni, si trasformano da modeste mediatrici in potenti monopoliste, che dispongono di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli industria, e così pure della massima parte dei mezzi di produzione e delle sorgenti di materie prime di un dato paese e di tutta una serie di paesi.
L'”unione personale” delle banche con l’industria è completata dall'”unione personale” di entrambe col governo.
Inoltre
Per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci; per il più recente capitalismo, sotto il dominio dei monopoli è diventata caratteristica l’esportazione di capitale.
Lenin poi fornisce le celebri 5 caratteristiche che definiscono l’imperialismo.
«Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo.
… i suoi cinque principali contrassegni [sono]:
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Lo Stato ecologico
di Erald Kolasi
Il problema centrale dell'economia è la scarsità, o almeno è così che si racconta la storia. L'argomento di base è che abbiamo desideri infiniti ma risorse limitate, e poiché non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, dobbiamo necessariamente ideare un sistema per distribuire beni e risorse. [1]
Entrare nell'economia di mercato efficiente, con i suoi prezzi e salari fissati dalle forza magica della domanda e dell'offerta, presunti guardiani del magazzino del nirvana economico. C'è un nocciolo di involontaria verità dietro questa narrazione. I limiti naturali impongono certamente scarsità assolute impossibili da superare. Ad esempio, nel sistema solare la quantità di uranio è fissata, e anche se sintetizziamo determinate sostanze utilizzando altre sostanze, la quantità totale che possiamo produrre sarà comunque limitata dalla disponibilità delle materie prime che entrano nel processo di produzione. Non possiamo andare contro al principio di conservazione dell’energia.
Sebbene i vincoli naturali sull'offerta siano importanti, la maggior parte delle scarsità economiche che governano le nostre vite sono in realtà sociali e artificiali. La domanda e l’offerta non sono forze naturali che fluttuano nell'aria; sono realtà artificiali stabilite da un ambiente sociale interattivo che coinvolge governi, corporazioni, istituzioni e classi. I cicli di domanda e offerta sono costrutti sociali progettati per rispondere a una domanda fondamentale: chi ottiene cosa?
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Il falso mito del banchiere eroe
“Basta con la retorica sul whatever it takes: Draghi alla Bce strozzò la Grecia per salvare le banche tedesche”
Enrico Mingori intervista Emiliano Brancaccio
Intervista all'economista Emiliano Brancaccio: "La verità è che con il whatever it takes Draghi smentì se stesso e le teorie liberiste di cui era ed è portatore. Il premier è un tecnocrate di destra. Sul blocco dei licenziamenti deve essersi perso tutti gli studi empirici che dimostrano come la flessibilità ostacoli l'occupazione. Sul Fisco non farà mai quella riforma in senso progressivo che ha promesso e vi spiego anche perché. Il Recovery? Scordatevi i 209 miliardi, saranno al massimo 60. E saranno usati più per incentivi che per investimenti. Intanto in Europa si stanno già preparando al ritorno dell'austerity"
L’austerity? Chi la crede morta e sepolta si sbaglia. I falchi del rigore sono stati costretti dalla pandemia a prendersi una pausa, ma sono già pronti a tornare. L’avvertimento arriva dall’economista Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica all’Università del Sannio, che in questa intervista a TPI boccia sonoramente le politiche economiche del “tecnocrate” Mario Draghi e smonta la retorica del “whatever it takes”: con quella frase, dice, “Draghi, in realtà, smentì se stesso”.
* * * *
Professore, durante un recente dibattito con il suo collega Daron Acemoglu del Mit di Boston, lei ha esibito una serie di ricerche empiriche secondo cui la flessibilità del lavoro non favorisce la crescita dell’occupazione ma al contrario la ostacola. Le chiedo: il blocco dei licenziamenti negli ultimi 15 mesi è servito a contenere l’emorragia di posti di lavoro oppure – come dicono Draghi, Confindustria e l’Ue – ha inquinato il mercato favorendo i garantiti a scapito dei precari?
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Ex Ilva, “Vendola colpevole perché debole con i più forti”
Rita Cantalino intervista Michele Riondino
L’attore tarantino commenta la sentenza del processo “Ambiente Svenduto”: “La classe politica e imprenditoriale è responsabile di crimini contro un’intera comunità. La difesa di Nichi Vendola? Ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci”
Il 30 maggio a Taranto è stata una giornata molto importante. Dopo sei anni e più di trecento udienze la Corte d’Assise ha emesso la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto, che ha sancito il disastro ambientale e sanitario in città, distribuendo circa 300 anni di carcere a imprenditori, politici e tecnici coinvolti nei fatti.
Abbiamo intervistato Michele Riondino, attore da sempre molto attento alle dinamiche della propria città e tra coloro che ogni anno portano avanti la manifestazione Uno Maggio, festival cittadino che è divenuto, dal 2013, palco per gran parte delle vertenze ambientali del Paese.
* * * *
Michele, cosa è successo a Taranto la scorsa settimana?
La sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto ha condannato una classe politica e imprenditoriale, colpevole di crimini contro la città e contro un’intera comunità. Si tratta di una sentenza che certifica ciò che la società civile ha sempre sostenuto: avevamo ragione nelle nostre battaglie, quando chiedevamo giustizia ambientale e sociale. Anche se, nonostante la condanna, anche adesso il sistema Impresa Italia continua a fare orecchie da mercante.
Ti riferisci alle reazioni dell’ex Presidente della Regione Nichi Vendola? Come commenteresti le sue uscite?
Sulla forma in cui le ha espresse preferisco non esprimermi nemmeno. La sua dichiarazione parla da sé, ricorda più un Berlusconi dell’ultima ora che Gramsci e solo per questo dovrebbe porsi delle domande.
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Sblocco dei licenziamenti e liberalizzazione del subappalto
Un attacco frontale alla dignità e alla sicurezza dei lavoratori
di Domenico Cortese
Nel decreto legge Sostegni-bis è stato stabilito che il blocco dei licenziamenti non andrà oltre il 30 giugno per le grandi aziende e fine ottobre per le piccole e medie imprese. L’unica “concessione” che il governo Draghi sembra fare alla classe lavoratrice coinciderebbe con l’istituzione di una Cassa integrazione agevolata per le aziende accompagnata dal divieto, per queste, di licenziare. In altre parole, vince Confindustria su tutta la linea, con il solo ammortizzatore sopravvissuto per i lavoratori concesso a patto di espungere totalmente ogni voce di costo per il padronato.
Infatti, dal 1° luglio 2021 i datori di lavoro che non potranno più utilizzare la cassa integrazione ordinaria Covid-19 prevista dal decreto Sostegni (i.e. massimo 13 settimane tra il 1° aprile 2021 ed il 30 giugno 2021) potranno accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria prevista dal D.Lgs. n. 148/2015 senza tuttavia pagare contributi addizionali fino al 31 dicembre 2021. Durante l’utilizzo dei predetti ammortizzatori, le imprese resteranno allora vincolate al divieto di licenziamenti.
Il quadro che si profila lungo l’estate del 2021 diviene perciò estremamente pesante per i lavoratori, non tanto e non solo per le conseguenze occupazionali che lo sblocco apporterà (si va dai 150 mila posti di lavoro che si perderanno secondo la Fondazione Adapt1 ai quasi 600 mila stimati da Bankitalia e ministero del lavoro2, che si aggiungerebbero ai 900 mila occupati in meno da inizio pandemia) quanto per il crollo del potere politico e negoziale che risulta già evidente da un intervento dei sindacati confederali fiacco e convenzionale.
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Discussioni circa la teoria della crisi di Itoh
di Bollettino Culturale
La letteratura marxista dedicata allo studio delle crisi economiche è piuttosto ampia e poco condivisa. I diversi filoni teorici tendono a concentrarsi su un solo aspetto del processo di riproduzione del capitale ed a collocarlo come elemento determinante della crisi. Il sottoconsumismo cerca di spiegare la crisi adducendo l'incapacità della società di consumare tutto ciò che produce; i teorici della sproporzione sottolineano che lo squilibrio tra i vari settori produttivi impedisce la piena realizzazione del valore prodotto; la teoria della carenza di manodopera sostiene che l'aumento dei salari può essere una barriera all'accumulazione, e così via. Tutte queste spiegazioni puntano ad aspetti osservabili dell'apparenza del fenomeno, ma non riescono a identificare i nessi causali sottostanti in modo tale da riunire le contraddizioni del capitalismo in un corpo teorico coerente e consistente.
Lo scopo di questo articolo è analizzare, alla luce della legge generale dell'accumulazione del capitale e di altri sviluppi teorici di Marx, gli argomenti della teoria della crisi basata sulla scarsità di forza lavoro (nota anche come profit squeeze). Makoto Itoh, il principale rappresentante di questo filone teorico, intende dimostrare che l'aumento dei salari, derivante dall'esaurimento dell'esercito industriale di riserva, costituisce una barriera all'accumulazione e, quindi, l'elemento causa della crisi. Questa proposizione contraddice la tesi fondamentale dell'opera di Marx secondo cui il capitalismo produce inevitabilmente una sovrappopolazione relativa che tende a ridurre i salari, anche se presenta, in alcuni periodi, un aumento dei tassi salariali.
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Che farcene del “Che fare?” di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij
di Mariano Guzzini
Mi si consenta di ricordare a me stesso ed al “lettore perspicace” (come lo chiama Černyčevskij) le circostanze che mi misero in contatto con l’edizione italiana del “Che fare?” di Černyševskij, edito nel febbraio 1977 dagli Editori Riuniti. Quaranta quattro anni fa.
Per me quello fu un anno di svolta.
Dal giugno dell’anno prima ero segretario – a 33 anni – della federazione provinciale del Pci di Ancona (14.300 iscritti, veri), avevo in agenda il viaggio in Unione Sovietica che spettava ai segretari di federazione dei capoluoghi di regione appena eletti, per farsi conoscere al Cremlino, e soprattutto per conoscere dall’interno la sorgente dell’ “Oro di Mosca” (Cervetti), e stavo preparando un congresso provinciale in vista del primo congresso regionale, di Pesaro, sull’onda dell’entusiasmo per l’avanzata elettorale dei comunisti del 20 e 21 giugno 1976, il migliore risultato della storia del Pci. Arrivammo al 34,37%, guadagnando oltre sette punti. La Dc si attestò sul 38,71, perdendo qualcosa (4 seggi, mentre noi ne conquistammo ben 49) e cominciando a sentire il fiato dei comunisti sul collo.
Quel libro arrivò in federazione nel solito pacco che gli Editori riuniti spedivano a tutti i componenti del Comitato centrale per far circolare tutto quello che erano in grado di stampare, grazie al sullodato “oro di Mosca” e al nostro lavoro di autofinanziamento. Non ho mai fatto parte del Comitato centrale, ma ero in grado di intercettare quei pacchi dono e di alleggerirli di qualche volume, grazie alla benevola indifferenza del destinatario, Paolo Guerrini, che proprio in quella tornata del 15 giugno era entrato in Parlamento proponendomi alla segreteria da lui tenuta fino a quel momento.
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