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Alcune note a margine sul neoliberismo
Dall’«ordine spontaneo» di Hayek al «triedro del potere» di C. Galli
di Salvatore Bianco
Avvertiti della lezione socratica, che di ogni cosa incitava a chiarificarne il senso, e al netto del neoliberista di turno che dirà sempre e comunque che il neoliberismo semplicemente non esiste, avviamo queste brevi note col dichiarare in esplicito che si assumerà qui il neoliberalismo quale paradigma economico storicamente determinato. Corre l’obbligo altresì precisare che si utilizzerà la nozione di «paradigma» nell’accezione classica coniata da Thomas Kuhn, sia pure nel contesto ancora limitato delle rotture epistemologiche (La struttura delle rivoluzioni scientifiche,1962), per rimarcare la dimensione non solo teoretica ma preminentemente pratica del nuovo modello economico vincente. In apertura del suo famoso saggio scrive infatti Kuhn che il paradigma è «una costellazione di concetti, percezioni e valori che creano una particolare visione della realtà» per cui rappresenta «gli occhiali attraverso cui vediamo la realtà» e, ovviamente, dei relativi modi di agire.[1]
Attraverso una vera e propria rivoluzione economica e sociale, sia pure apparentemente incruenta, sul finire degli anni Settanta una nuova visone generale del mondo ha cominciato, infatti, ad affacciarsi nelle già travagliate società occidentali. Ha demolito in un decennio, o poco più, lo Stato sociale keynesiano, egemonico nel trentennio precedente, istituendo via via, in forme sempre più compiute, una «sovranità globale di mercato».
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La geopolitica del petrolio
con il Professor Giuseppe Gagliano (Cestudec)
Giancarlo Capozzoli ha realizzato con l'autorevole Professor Giuseppe Gagliano, Presidente del Centro Studi Carlo De Cristoforis (Cestudec), e docente dell'Istituto alti Studi Strategici e Politici (IASSP), questa analisi storico strategica della guerra del petrolio e delle sue conseguenze geopolitiche nel corso degli anni
Dalla fine del XIX secolo, la corsa al petrolio ha accompagnato lo sviluppo del mondo e la sua crescita. Ha contribuito sia a migliorare drasticamente le condizioni di vita che a volte a distruggerle con una velocità impressionante. Questa dicotomia spiega in gran parte l’importanza strategica che le viene attribuita. Ancora oggi l’accesso all’oro nero fornisce questa leva essenziale per il dominio economico e militare. La sua conquista ha portato a molti conflitti, ha anche ridisegnato alcuni confini e modificato gli equilibri di potere internazionali. Gli Stati sono naturalmente gli attori apparenti in queste aspre lotte. Ma alcune grandi compagnie petrolifere svolgono un ruolo altrettanto importante nel teatro delle operazioni.
Tuttavia, come ha detto Sun Tzu, “L’intero successo di un’operazione sta nella sua preparazione.” Ebbene ,il successo della conquista del petrolio non fa eccezione a questa regola e richiede un lavoro di intelligence efficace a monte. Di conseguenza, i metodi utilizzati saranno moralmente ambigui e molto spesso andranno oltre il quadro della legalità. I servizi di intelligence utilizzeranno quindi i mezzi a loro disposizione spiando, rintracciando e persino istigando rivoluzioni nei paesi presi di mira. Inoltre creeranno stretti legami con politici e imprese per cooperare meglio e difendere gli interessi nazionali. Il loro utilizzo sarà poi a volte difensivo, a volte offensivo a seconda delle manovre da eseguire.
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Frammenti di welfare: formare al lavoro nei piani di ripresa post-pandemica
di ∫connessioni Precarie
Nell’Europa dei Recovery Plan la formazione è destinata a ricoprire un ruolo centrale nel welfare post-pandemico. Nella corsa dei governi nazionali per accedere ai fondi con cui ristrutturare i propri sistemi produttivi e sociali, il welfare assume il volto di una competizione tra progetti: quelli dei governi nazionali e quelli di lavoratori e lavoratrici alla ricerca di un’occupazione sempre più sfuggente e precaria, che richiede di accumulare costantemente quella condanna che è il capitale umano. Valorizzare sé stessi, aggiornare costantemente le proprie conoscenze e competenze diventa il motivetto che donne, precari e migranti dovranno ripetersi perché questo è il criterio sempre più stringente per accedere a una cittadinanza gerarchicamente differenziata secondo la quota di sapere sociale che ciascuno porta con sé.
Di fronte alla crisi pandemica che ha rimesso al centro del discorso politico la necessità di un intervento pubblico nella gestione della riproduzione sociale, e dunque della capacità di assicurare le condizioni economiche e sociali della produzione, l’Europa pianifica per la prima volta avendo a disposizione dei fondi per farlo. L’obiettivo dei suoi piani però non è una novità, anzi si pianifica quel che resta di un vecchio sogno europeo già perseguito in vari in modi negli ultimi vent’anni: fare della formazione e del lavoro un tutt’uno, legare a doppio filo il welfare con le politiche attive per il lavoro, a cui viene interamente piegata la formazione, normalizzare la precarizzazione rompendo il confine tra pubblico e privato.
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Cinismo, suicidio e la forza del caos
Ovvero: fate figli per incrementare il numero degli infelici da suicidare
di Franco «Bifo» Berardi
Prologo in cielo
Maggio 2021: la ministra della Famiglia Elena Bonetti ha comunicato agli Stati Generali della Natalità che presto sarà concesso l’assegno unico e universale da 250 euro per ogni figlio. L’assegno è stato votato insieme da Enrico Letta e dal suo alleato Matteo Salvini, che insieme si sono anche recati al portico di Ottavia per esprimere solidarietà ai massacratori israeliani.
C’è qualche nesso tra il gesto infame di Enrico Letta e del suo alleato Salvini e gli Stati generali della Natalità?
Nessuno naturalmente.
Ma forse a pensarci meglio le due cose sono una sola: per evitare che la razza bianca scompaia occorre pagare le donne bianche perché producano infelici da gettare nella fornace della guerra suicidaria che si delinea come unico orizzonte di futuro. Su questo Letta e Salvini vanno d’amore e d’accordo.
Non c’è nessun Male, dal momento che non c’è nessun Bene, e che non c’è nessuna Verità. Però c’è il dolore che sento
Kunikos vs Cinico
Non è facile definire il cinismo perché la storia di questo concetto è ambigua.
Nell’ultimo seminario, quello che pronunciò quando si avvicinava la morte (Le courage de la vérité), Foucault parla del cinismo di Antistene e Diogene di Sinope che fiorì nel quarto secolo prima di Cristo.
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Cinque buone ragioni per essere comunisti (e non di sinistra)
di Carlo Formenti
In coda a un dibattito sulle "Prospettive del comunismo oggi" al quale ho partecipato ieri sera (trovate qui il video: https://fb.watch/5BfY9aMSQW/ ) Marco Rizzo ha annunciato la mia candidatura come capolista del Partito Comunista alle prossime elezioni municipali di Milano. I motivi che mi hanno convinto a compiere questa scelta erano già impliciti nel post "Riflessioni autobiografiche di un comunista (finora) senza partito", che avevo pubblicato non molti giorni fa su questo blog. Ma ho ritenuto che fosse il caso di ribadirle e sintetizzarle qui di di seguito
Perché il comunismo è un’ideologia più giovane e vitale del liberalismo
Chiarisco che il termine ideologia è qui inteso nel senso forte, positivo che Gramsci e Lukacs gli attribuivano: non falsa coscienza bensì l’insieme dei valori, principi, visioni del mondo, conoscenze, memorie collettive, ecc. che costituisce l’identità sociale e antropologica di una determinata classe (anche quando essa perde consapevolezza di sé dopo avere subito una dura sconfitta da parte degli avversari). Ciò posto, va ricordato che l’ideologia comunista è giovane: se ne fissiamo la nascita alla pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels (1848) non ha ancora due secoli di vita (mentre il liberalismo ne ha almeno sei). I suoi fondatori furono troppo ottimisti nel prevederne il trionfo in tempi brevi. Oggi sappiamo che la via è lunga e difficile, costellata di avanzate e ritirate, vittorie (come quelle del 1917 in Russia e del 1949 in Cina) e sconfitte (come quella del 1989 che ha visto il crollo dell’Urss). Ma sappiano anche che, malgrado i cinque monopoli (Samir Amin) sui quali può contare il nemico di classe (sui mezzi di produzione, sulla finanza, sulle tecnologie, sulle conoscenze scientifiche, sui media), e malgrado il disastro dell’89, la via socialista ha dimostrato una poderosa capacità di resilienza, soprattutto nell’Oriente e nel Meridione del mondo, al punto che oggi, grazie ai trionfi dello stato/partito cinese, è di nuovo in grado di contendere al capitalismo occidentale il dominio mondiale, come dimostrano
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Il salto dai valori ai prezzi. Leo Essen, Servire Dio e Mammona
di Eugenio Donnici
Nella mia immersione, come lettore, nell’originale raccolta di testi ideata da Leo Essen, ho trovato molti spunti di riflessione che hanno stimolato l’arte del conoscere e messo a tacere, in un certo senso, le forti pressioni, a cui siamo esposti, per le forme di apprendimento per competenza, connesse, per lo più, con la matrice anglofona. Per l’altro verso, invece, ho colto l’opportunità di riprendere e articolare una breve rivisitazione di concetti chiave come valore, prezzo e plusvalore
Sebbene il linguaggio dell’autore sia ricco e acuto, denso e puntuale, rigoroso e complesso, per via dei tanti pensatori universali e ostici a cui fa riferimento (Hegel, Kant, Leibniz, Marx, Nietzsche, ecc.), senza dimenticare gli economisti della scuola austriaca di fine Ottocento, i modelli matematici di Sraffa applicati all’economia, le profonde e precise elucubrazioni di Keynes sulla moneta, e così via, si può affermare con scioltezza che lo scorrere del testo non subisce appesantimenti, ma richiede di approfondire la propria conoscenza, dedicandoci il tempo necessario e la giusta attenzione.
Il suo ritmo è incalzante e si muove con disinvoltura nel confrontare l’empirismo con l’idealismo; il pensiero filosofico è contaminato da quello economico e viceversa, non s’intravvedono cesure nette e lineari nelle varie forme di sapere che si dispiegano nel tempo e nello spazio: al momento opportuno, con un guizzo magistrale, trova la sintesi e i collegamenti tra valori e prezzi, ne evidenzia le implicazioni, stroncando le sterili polemiche.
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Deglobalizzazione e decoupling non sembrano vicini
di Vincenzo Comito
La Cina sta diminuendo il volume degli investimenti in Occidente, e in Europa, a vantaggio dei paesi del Sudest asiatico. Inoltre sta aumentando gli investimenti per rendersi autonoma su semiconduttori e aviazione civile. Ma è troppo poco per pensare a una crisi della globalizzazione
La globalizzazione è qui per restare
E’ da tempo ormai, prima con l’avvento di Donald Trump negli Stati Uniti e poi con lo scoppio della pandemia, che si discute di deglobalizzazione e di decoupling come di elementi che sembrano ormai almeno per la gran parte inevitabili e in parte in atto. In realtà la situazione appare molto complessa e non riconducibile a semplici slogan giornalistici.
Ricordiamo che la globalizzazione è stata una trama collettiva fondamentale delle vicende umane nel corso dei millenni. Peraltro segue dei cicli; così a periodi di crescente integrazione economica tra i paesi, come successe ad esempio tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e lo scoppio della prima guerra mondiale, seguì a partire dalla fine della guerra e sino a tutti gli anni trenta un periodo di crescente chiusura delle frontiere. Poi è ripartita ancora più fortemente di prima, dal momento che presenta grandi vantaggi, anche se troppo spesso si concentrano nelle mani di pochi.
Nel più recente periodo, che ha visto i processi di globalizzazione presentarsi con un’intensità e una pervasività mai raggiunte prima, è mancata un’azione dei governi per far fronte alle conseguenze negative, a partire dalla difesa del lavoro, nonché per dare corso ad un impegno per la riduzione delle diseguaglianze e del potere dei grandi gruppi privati.
Bisogna inoltre ricordare che, guardando di nuovo alla storia, molte crisi producono alla fine una maggiore, e non una minore, globalizzazione (James, 2021).
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2001-2021. Il Forum Sociale Mondiale e il movimento altermondialista
Bilancio provvisorio e alcune considerazioni per il futuro
di Giorgio Riolo
I.
A vent’anni dal primo Forum Sociale Mondiale (Fsm) di Porto Alegre del gennaio 2001 e in seguito in Italia, nel luglio dello stesso anno, gli avvenimenti del G8 di Genova, al cui controvertice, così ferocemente represso, vi fu quella straordinaria partecipazione anche grazie al precedente del Fsm di Porto Alegre, si possono avere due modi. Il solito e rituale modo della celebrazione, il rinverdire il protagonismo di taluni e talune in quegli eventi ecc. oppure, atteggiamento più fecondo, riflettere e ponderare alla luce dei decenni trascorsi per trarre le lezioni e per proiettare nell’oggi e nel futuro ciò che necessariamente impariamo nel cammino.
II.
Beninteso, il fenomeno dei movimenti antisistemici e della mobilitazione mondiale della società civile e dei movimenti sociali e politici contro la globalizzazione neoliberista non data solo dal primo Fsm di Porto Alegre.
Si è sempre detto che il Fsm, e il corrispondente movimento altermondialista, non è un “dato”, bensì è un “processo”. E come tale presenta dei prodromi, delle premesse, presenta un percorso evolutivo che rimonta almeno nei decenni precedenti. Con il trionfo del neoliberismo negli anni ottanta e poi ancor più negli anni novanta, dopo la fine del socialismo reale e la contemporanea crisi e fine dei movimenti di liberazione nazionale, dei progetti nazionali e popolari (Samir Amin) dei cosiddetti paesi non-allineati. La fine del Terzo Polo mondiale così spesso non preso in considerazione per capire cosa è cambiato nel volto del pianeta.
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Introduzione a Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Pgreco, 2021
di Roberto Fineschi
1.
I testi apparsi con il titolo Quaderni filosofici non sono una “opera” di Lenin concepita a tavolino, si tratta bensì di una raccolta di annotazioni di lettura e di estratti da opere filosofiche di vari autori non per la pubblicazione ma a fini di studio; essi furono compilati in periodi diversi della sua vita e riuniti editorialmente dopo la sua morte sotto questo titolo. L’arco di tempo coperto va dalle prime note sulla Sacra famiglia di Marx ed Engels del 1895 fino alle annotazioni su uno scritto di Plenge del 1916. La parte più ampia, l’unica che Lenin stesso abbia effettivamente intitolato Quaderni filosofici, risale agli anni 1914-15, periodo in cui, a Berna, egli lesse e annotò importanti opere riempiendo ben otto quaderni ordinatamente numerati e titolati. Di particolare rilievo è la lettura, celebre, della Scienza della logica di Hegel che da sola occupa tre degli otto quaderni.
In italiano sono apparse due edizioni intitolate Quaderni filosofici: la prima, a cura di Lucio Colletti, per Feltrinelli nel 19581; essa è basata sull’edizione russa del 19472. La seconda, a cura di Ignazio Ambrogio, è apparsa per Editori Riuniti/Progress in tre diverse pubblicazioni: come vol. 38 delle Opere (1969)3, come volume a sé (1971)4 e, infine, come seconda parte del III volume delle Opere scelte in sei volumi (1973)5. È basata sull’ultima edizione russa6 che aggiunge importanti testi rispetto a quella del 1947 ed è quindi più completa di quella di Colletti; per questa ragione si è deciso di utilizzarla per una ristampa anastatica. Se l’edizione di Ambrogio è da preferire, sono tuttavia necessarie delle precisazioni.
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Propaganda
di Finimondo
«Quando tutti pensano
alla stessa maniera,
nessuno pensa molto»
Walter Lippmann
Per cominciare, sgombriamo subito il campo da un equivoco che puntualmente si viene a creare. Cosa si intende per propaganda? Secondo una definizione risalente ai primi anni 50, più volte ripresa in virtù della sua sostanziale precisione, la propaganda è «una tecnica di pressione sociale che mira alla formazione di gruppi psicologici o sociali a struttura unificata, attraverso l’omogeneità degli stati affettivi e mentali degli individui presi in considerazione».
Occorre perciò tenere bene in mente che la propaganda costituisce una tecnica di omologazione, se si vuole comprendere quanto sia errata e fuorviante la consolidata abitudine di considerarla una sorta di diffusione organizzata di idee. Se si limitasse a ciò, ad essere criticabile sarebbe solo la forma che essa può talvolta assumere, ma di per sé sarebbe ritenuta comunque giustificata poiché corrispondente ad un bisogno reale ineludibile. Nessuno può infatti negare che ogni pensiero degno di questo nome tende a trovare una propria espressione pratica, e chiunque desideri realizzare un progetto che vada oltre se stesso non può esimersi dall’affrontare il problema di come comunicare al maggior numero di persone ciò che reputa vero, giusto, utile.
Ma non è di questo che qui si tratta, e pazienza se nel 1793, in piena Rivoluzione francese, venne formata in Alsazia una associazione che prese ufficialmente il nome di Propaganda, il cui compito era quello di diffondere le idee rivoluzionarie nelle città e nei villaggi.
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Il senso della politica oltre il Covid
di Luca Cimichella
I. Stato d’eccezione e Restaurazione
La politologia del XX secolo, almeno a partire da Schmitt, ci ha insegnato a pensare la relazione consustanziale, presente in tutta la politica moderna fin dalla sua fondazione hobbesiana, tra istanza amorfa, caotica e incontrollabile della realtà umana (“stato di natura” che riemerge come stato di eccezione) e istanza politica, mediatrice e stabilizzante (ordine giuridico), che nasce a seguito del bisogno di sicurezza e incolumità dei soggetti umani nella comunità. Queste due istanze sono talmente reciproche e interrelate da provocarsi a vicenda, spesso addirittura in contemporanea e nella stessa situazione storica. Ad un eccesso di astrazione burocratico-tecnica del potere costituito segue infatti un corrispondente bisogno di rappresentanza popolare, e viceversa, ad un eccesso di immediatezza ideologico-identitaria corrisponde un’esigenza di maggiore razionalizzazione e giuridificazione del potere.
La crisi pandemica mondiale ha offerto una vera e propria svolta a questa dialettica verticale-orizzontale, la cui risoluzione è stata però dettata non da un mutamento di linea e classe politica legittimata dal basso (come nel 2018), bensì da un espediente squisitamente extra-politico, foriero in sé di caos, e messa in atto altrettanto impoliticamente dai nuovi organismi sovrani dello stato eccezionale: in Italia il comitato tecnico-scientifico, promosso dall’esecutivo di governo, e a livello mondiale gli enti sanitari internazionali (uno su tutti, l’OMS).
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Insonnia cilena, destra strabattuta
di Facundo Ortiz Núñez *
È stata una sorpresa che ha demolito le previsioni di tutti gli analisti: le elezioni di questo fine settimana hanno confermato quanto sperimentato nel 2019 durante le proteste sociali.
La destra non ha raggiunto la soglia del 1/3 necessario per porre il veto nell’assemblea costituente e la struttura politica del paese è cambiata, forse irreversibilmente, con l’emergere di nuove forze costituenti e un notevole spostamento a sinistra.
Questa cronaca scritta da Valparaíso durante l’insonnia della scorsa domenica notte offre un resoconto preciso per capire la nuova mappa di un Cile che ora dovrà affrontare le elezioni presidenziali di novembre.
*****
Il Cile ha celebrato le sue “macro-elezioni” questo fine settimana, da cui sono emerse più di 2.700 incarichi, tra consiglieri, sindaci, governatori e costituenti, una curiosa conseguenza del periodo di mobilitazioni più anti-istituzionale del paese in decenni.
Le forze ereditate dalla dittatura avevano fatto di tutto per fermare l’ondata di cambiamento. Dichiarare uno stato di eccezione e riempire le strade di militari. Svuotare con colpi di manganello, lacrimogeni e proiettili di gomma. Accecare e imprigionare i ragazzi ribelli. Per blindare un processo costituzionale per garantire a loro stessi una quota di potere. Riempirlo di trappole e ostacoli per limitare la vera democrazia. Far piovere soldi sui loro candidati per privilegiarli nella campagna e mettere a tacere gli sconosciuti.
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Contro! Un manifesto per uscire dalla solitudine politica
di Gabriele Guzzi
Per parlare dell’ultimo libro di Alessandro Di Battista (Contro! Perché opporsi al governo dell’assembramento, PaperFIRST 2021), partiremo da un estratto delle sue conclusioni.
“Mi sento solo, mi ci sento da quanto è scomparsa la mia adorata mamma, da quando in una trincea che credevo affollata sono rimaste solo alcune vecchie vettovaglie, da quando ho scelto seguendo i miei ideali. Credo che l’essere umano, e in particolare chi fa politica, ceda spesso all’incoerenza, perché la solitudine spaventa. La solitudine fa schifo. Si camminerà a testa alta e ci si guarderà pure allo specchio, ma sempre soli si resta.”
Qui è racchiuso, a nostro avviso, il senso complessivo del libro, la sua forza e i suoi punti problematici, quelli che toccano le questioni di fondo, su cui tenteremo un’analisi.
La solitudine che lamenta Alessandro Di Battista in questo passaggio è un’emozione che intreccia fatti personali, su cui non possiamo che esprimere solo la nostra più sincera vicinanza, e fatti politici. Il fatto politico è che la solitudine è diventata lo stato d’animo fondamentale dei nostri tempi. E questo non solo perché a livello psicologico ed esistenziale stanno emergendo sempre più fenomeni di isolamento, depressione, sfiducia per il futuro, come ci conferma un recente studio dell’Università di Padova[1], ma perché la politica non riesce più ad esprimere una direzione aggregativa di senso.
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Mega-elezioni per il “laboratorio bolivariano”
di Geraldina Colotti
Il presidente del CNE, l’intellettuale Pedro Calzadilla, ha annunciato il calendario di massima che porterà alle elezioni del 21 novembre in Venezuela: le “mega-elezioni”, come sono state definite, giacché si voterà lo stesso giorno per eleggere i 23 governatori o governatrici, i 335 sindaci o sindache e centinaia di membri dei consigli regionali e comunali. Le loro candidature verranno presentate tra il 9 e il 29 agosto, mentre il 26 settembre si svolgerà una simulazione di voto per verificare il funzionamento di tutte le fasi del processo elettorale. La campagna elettorale, ha detto Calzadilla, comincerà il 28 ottobre e terminerà il 18 novembre, mentre si procederà a organizzare, come di consueto, molteplici audit del sistema di voto, altamente automatizzato, per assicurarne il perfetto funzionamento e la trasparenza.
Guardando ai quasi 23 anni di esistenza del processo bolivariano, ognuna delle 25 elezioni che si sono svolte appare un piccolo condensato di storia per comprendere la complessa cartografia del presente, punti di resistenza contro l’imperialismo, disegnati dal “laboratorio bolivariano”. A differenza di quanto avviene nelle democrazie borghesi, il voto in Venezuela non è infatti un feticcio da ostentare a ogni tornata elettorale, ma una leva per far crescere ulteriormente la coscienza delle masse, il potere popolare, per compattare e ampliare il blocco storico che sostiene la rivoluzione, e per decidere quando, come e con quali alleati si deve avanzare tra guerra di movimento e guerra di posizione, manovrando in equilibrio tra conflitto e consenso.
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Come e perchè il neoliberalismo ha inghiottito (e digerito) il femminismo
di Carlo Formenti
Marxismo e liberalismo non sono solo due ideologie: sono anche ideologie (1), ma sono anche e soprattutto due paradigmi reciprocamente incompatibili, nella misura in cui incorporano visioni del mondo, principi e valori etici, metodi di analisi scientifica, bisogni umani e obiettivi politici fra loro antagonisti, così come sono antagonisti gli interessi di classe rappresentati dai partiti e movimenti che ad essi si inspirano. La tesi che sosterrò in questo scritto è che il femminismo - termine con cui non intendo qui quel variegato insieme di correnti culturali che esiste da più di un secolo, bensì il movimento femminista politicamente organizzato, nato fra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta -, inizialmente sviluppatosi come articolazione interna del paradigma marxista (cui ha apportato il proprio contributo, allargando il concetto di sfruttamento ed evidenziando il ruolo del lavoro riproduttivo per la conservazione degli equilibri della società capitalistica), se ne è progressivamente separato, impegnandosi – senza successo – ad autodefinirsi come paradigma autonomo – e sotto vari aspetti concorrente – rispetto al marxismo, ottenendo quale unico risultato la propria integrazione nel paradigma liberale (nella forma neoliberale che quest’ultimo ha assunto a partire dagli anni Ottanta), del quale rappresenta oggi a tutti gli effetti una corrente ideologica (e qui il termine – diversamente da quanto chiarito in nota (1) - va inteso nel senso corrente di falsa coscienza).
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L’Accordo globale sugli investimenti UE-Cina e il suicidio dell’Europa
di Giambattista Cadoppi
Che cosa è il CAI?
Il Comprehensive Agreement on Investment (CAI) è un accordo globale sugli investimenti tra Cina e Unione Europea. L’accordo UE-Cina, negoziato che è durato sette anni a partire dall’ottobre 2013, è andato a rilento ed è stato concordato in linea di principio il 30 dicembre 2020. L’accordo mira a sostituire decine di trattati bilaterali di investimento tra i 27 Stati membri dell’UE e la Cina.
Questo accordo mira a facilitare l’accesso delle due parti ai reciproci mercati e in particolare, per quanto riguarda l’Europa, un’apertura più ampia al mercato cinese.
Il CAI è diverso dall’accordo di Fase Uno USA-Cina, che non solo richiede un maggiore accesso al mercato cinese per le aziende americane, ma obbliga Pechino ad acquistare beni americani, dall’agricoltura alla manifattura. Alcuni di questi sostituiscono beni precedentemente acquistati dall’Europa (Keegan 2020). Comprensibile, dunque, che gli USA si oppongano ad un approfondimento dei rapporti commerciali tra Cina e Europa che eventualmente comporterebbe un danno per Washington. Gli americani, a differenza degli europei, non sono stupidi.
Il CAI non è un accordo di libero scambio. Si tratta di un accordo di investimento internazionale che si situa nella tradizione dei trattati bilaterali di investimento.
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Razzismo, Antisemitismo, Islamofobia
di Étienne Balibar
Un intervento di Étienne Balibar su islamofobia e antisemitismo
Il testo che segue è l’intervento di Étienne Balibar a un convegno su Razzismo e Antisemitismo, i cui atti completi sono stati pubblicati come numero speciale del The Journal of the Hannah Arendt Center for Politics and Humanities at Bard College. La pubblicazione in italiano è utile perché contribuisce a capire meglio le questioni teoriche soggiacenti ad alcuni fenomeni, come la radicalizzazione speculare degli integralismi, la controversia fra integristi universalisti e antirazzisti e il nazionalismo di classe che ostentano Stephane Beaud e Gérard Noiriel contro l’intersezionalità. Ricordiamo che in Francia l’ostilità contro antirazzisti, “intersezionalisti”, antisessisti e anti-islamofobia è diventata una vera e propria crociata che di fatto unisce l’estrema destra, la pseudo-sinistra laicista e repubblicana, e quindi nazionalista se non apertamente sciovinista, e infine il governo e il presidente Macron, che hanno varato una legge sulla sicurezza globale e una contro il “separatismo” con evidente connotazione islamofoba. Questo schieramento nazionalista che Macron vuole egemonizzare di fatto, oltre a cercare di togliere potenziali voti alla concorrente Le Pen in vista delle elezioni presidenziali del 2022, mira a cancellare ogni spazio alle rivendicazioni antirazziste che negli ultimi anni sono anti-islamofobe, femministe, antisessiste e quindi intersezionaliste. Tutte istanze condannate in quanto nemiche di una “universalità laica repubblicana” francese che, come segnalava lo stesso Balibar in un altro suo saggio, non aggrega ma divide, esclude.
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1971: l’incontro tra Foucault e Sartre
di Francesco Bellusci
Esattamente cinquant’anni fa è accaduto che, in un preciso momento del secolo scorso, i due “filosofi del secolo” stringessero un sodalizio inaspettato e durevole. È il 27 novembre 1971: una mattina cupa e fredda, tipica dell’autunno francese, ma anche tesa, alla Goutte-d’Or, banlieu situata al centro di Parigi, ai piedi della collina di Montmartre e connotata dalla presenza numerosa di famiglie e di lavoratori immigrati di origine maghrebina. Le tensioni razziali nel quartiere si sono acuite con l’affaire Djellali Ben Ali: un adolescente algerino che, dopo aver malmenato la portinaia del suo immobile, viene ucciso a colpi di fucile dal marito della stessa portinaia, col pretesto di un presunto tentativo di stupro perpetrato dal giovane nei confronti della moglie. La condanna lieve a sette mesi, in primo grado, all’omicida fa scattare una mobilitazione degli intellettuali di sinistra, che si affianca a quella dei comitati locali e dei militanti della Gauche prolétarienne (GP), con l’organizzazione di una manifestazione e di un “appello ai lavoratori del quartiere” , alla cui testa si pongono a sorpresa: Michel Foucault e Jean-Paul Sartre.
Così, quella mattina fredda è anche il giorno del primo incontro e del “disgelo” tra i due maîtres à penser francesi, divisi, già da alcuni anni, dalla scia di acredine che contrassegnò la polemica nata all’indomani della pubblicazione di Le parole e le cose di Foucault, nel 1966.
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Stato di Israele e questione palestinese: ben oltre la “questione ebraica“
di Michele Castaldo
Avvertenza: scrissi queste note e le pubblicai sul mio sito oltre 11 anni fa. Le ripropongo rispetto al nuovo massacro da parte dello Stato di Israele nei confronti del popolo palestinese perché sono più attuali che mai
“La storia è radicale e percorre parecchie fasi,
quando deve seppellire una figura vecchia“
È difficile riuscire a ragionare di fronte a tanta crudeltà, alla disparità delle forze in campo tra lo stato di Israele e la resistenza palestinese che si esprime in questa fase nel gruppo islamico di Hamas. Mai la storia è uguale a sé stessa, bisogna guardare ai fatti senza sovrapporre ad essi schemi di precedenti cicli storici. L’odierno Stato di Israele non è la comunità religiosa o etica religiosa della diaspora, del martirio o dell’olocausto. La storia macina e modifica ogni cosa, i rapporti fra gli uomini, le comunità, le nazioni, gli imperi e cosi via.
Molti ebrei che emigrarono tra la seconda metà del 1800 e la prima decade del 1900 dall’Ucraina, dalla Polonia, dalla Germania, dalla Russia verso gli Stati Uniti d’America, ebbero un ruolo importante nello sviluppo delle lotte operaie e proletarie di quel florido paese, furono artefici della costituzione di società di mutuo soccorso, di sindacati, di partiti socialisti e comunisti. Molto spesso furono veri e propri passaparola fra le lotte operaie che si sviluppavano negli States e le prime organizzazioni operaie in Ucraina, in Russia, nella stessa Germania. Furono artefici di un filo conduttore che trasmetteva le tensioni da un continente all’altro, oltre ad esprimere – come ben noto – alcune figure carismatiche del movimento operaio mondiale come Marx, Rosa Luxemburg, Poul Levy, Leone Trotzky e tanti altri.
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Il Piano di Rilancio e Resilienza: soldi pochi e selezione verso l’alto
di Alessandro Giannelli
Scritto ed integralmente concordato dal premier Draghi con l’ Unione Europea, il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza, rappresentato come il piano economico più imponente dal dopo guerra ad oggi, è stato inviato il 29 aprile a Bruxelles.
Totalmente bypassato il Parlamento (che comunque lo ha approvato a scatola chiusa e praticamente all’unanimità) e con tutto il quadro politico istituzionale impegnato nel frattempo ad accapigliarsi sullo spostamento dell’orario del coprifuoco dalle 22 alle 23…
Il piano si compone di sei missioni espressamente indicate da Bruxelles (digitalizzazione, transizione verde, mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute), all’interno delle quali si sviluppano 16 componenti, ed è accompagnato da 4 riforme di contesto (giustizia, PA, semplificazioni e concorrenza) a cui si aggiunge la riforma fiscale (certamente non in chiave redistributiva) della quale si comincerà a discutere a giugno.
Le cifre e la logica del Piano
Senza troppo soffermarci sulle cifre, ma giusto per avere la dimensione reale e non propagandistica della “potenza di fuoco” messa in campo: si tratta di circa 200 miliardi (dei quali circa 70 in sovvenzioni e circa 122 in prestiti da restituire) stanziati per il nostro paese e da spalmare in 6 anni, a cui vanno aggiunti circa 13,5 miliardi di fondi europei nell’ambito del programma React-Eu.
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La tara fatalistica di Marx e Lenin - secondo Braudel
di Leo Essen
Nelle ultime pagine del secondo volume di Civiltà materiale. Economia e capitalismo (secoli XV-XVII). I giochi dello scambio, Braudel si chiede perché in Europa e non in Cina, perché a Firenze e non a Costantinopoli; si chiede perché il capitalismo sia attacchino in Italia e non in Nord Africa, e quali siano stati gli ingredienti che hanno reso possibile questa affermazione.
L’ingrediente fondamentale è stato lo Spirito protestante, come sostiene Weber, oppure la speciale razionalità Europea come dice Sombart?
Il modo di ragionare di Weber, dice Braudel, un modo ricco di sfumature, un modo sottile e confuso di ragionare, è un modo al quale devo confessare di essere allergico non meno di quanto lo fosse Lucien Febvre.
La dimostrazione di Weber, dice Braudel, è piuttosto sconcertante, e si perde in una meditazione molto complessa. Egli, dice, si pone alla ricerca di una minoranza protestante che sarebbe portatrice di una mentalità, tipo ideale dello «spirito capitalista». Tutto ciò, dice, implica tutta una serie di presupposti. Complicazione supplementare: la dimostrazione viene compiuta all’indietro nel tempo, procedendo dal presente verso il passato.
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Pasolini, “Le ceneri di Gramsci”
di Laura Baldelli
“Di quel Gramsci, che negli anni ’40 era stato figura centrale nella sua formazione e punto di riferimento, specie riguardo al ruolo dell’intellettuale nella creazione e valorizzazione di una cultura popolare e nazionale; e del quale, appunto, non rimangono che ceneri”
Pasolini si conferma sempre più tra i più grandi intellettuali del’900, di respiro europeo, un artista fuori del tempo per le sue intuizioni artistiche e sociali; un autore prolifico dalla produzione poliedrica, originale nei vari generi e linguaggi: saggistica, letteratura, cinema, pittura, teatro. Lavori che hanno origini e spinte autobiografiche, ma anche sostenute da un’ideologia forte e da un’intenzione pedagogica.
Tutta l’opera di Pasolini nelle sue varie forme artistiche, ordinata cronologicamente, racconta la storia d’Italia, soprattutto dagli anni ’50 ai ’70, i decenni della rivoluzione antropologica: il passaggio da popolo a massa.
Pasolini riconobbe però nell’espressione lirica il suo canale privilegiato e la sua produzione poetica addirittura fu concepita come “letteratura espressione di appassionata testimonianza di vita” e veicolo d’idee; proprio in un momento storico-letterario in cui invece il successo era tutto per la lirica ermetica, post-ermetica e nuove avanguardie emergevano.
Infatti, con “Le ceneri di Gramsci” scelse contro corrente “la poesia civile” e la tradizione nella forma metrica, recuperando le terzine di enjambement, di endecasillabi con la ricerca della rima incatenata come Dante e Pascoli, considerandola il metro narrativo per eccellenza (non a caso la Divina Commedia fu scritta così) e soprattutto la forma migliore per esprimere la passione.
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Il Komintern e il fascismo
di Salvatore Tinè
Parte I
In questa prima parte dell’analisi sull’atteggiamento dell’Internazionale Comunista riguardo al fenomeno fascista, si mette in evidenza come il Komintern abbia rilevato fin dalla marcia su Roma la pericolosità del fascismo e il suo carattere internazionale in quanto espressione della crisi mondiale del capitale, e abbia individuato nella tattica del fronte unico la modalità per combatterlo
Il tema del fascismo, delle sue cause e della sua natura, è al centro della discussione politica e dell’elaborazione strategica del Komintern già a partire dal suo IV Congresso apertosi a Pietroburgo il 5 novembre del 1922, pochi giorni dopo la marcia su Roma. Non sfugge al gruppo dirigente del “partito mondiale della rivoluzione” la dimensione internazionale degli avvenimenti italiani, il loro riflettere un contesto di generale controffensiva capitalistica che sembra rallentare i ritmi e i tempi del processo rivoluzionario innescato in Europa centrale e occidentale dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Di fronte alla sfida lanciata dalla prima rivoluzione operaia vittoriosa della storia, e nonostante l’estrema gravità della crisi economica e sociale seguita allo sfacelo della guerra imperialista, le classi dominanti del mondo capitalistico dimostrano di possedere ancora una forte capacità di resistenza e di tenuta politica e organizzativa. Il fascismo è una delle forme politiche che assume la controffensiva e la reazione borghesi. Di fronte a esse i comunisti sono chiamati proprio mentre si costituiscono come tali su basi totalmente rinnovate rispetto alle vecchie tradizioni del socialismo della II Internazionale, a muoversi e agire anche sul terreno della politica unitaria, sia per accumulare e unificare le forze rivoluzionarie che per conquistare la maggioranza del proletariato e una parte delle stesse masse popolari.
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Gli obiettivi occupazionali dell’Unione europea: una farsa senza fine
di coniarerivolta
Il vertice di Porto si è chiuso con l’ennesimo proclama entusiasta della Commissione europea che promette di raggiungere obiettivi fantasmagorici entro il 2030. Per fortuna, questa volta persino la stampa filoeuropeista si è accorta che si tratta di impegni ‘morali’ perché, come siamo abituati a vedere, di concreto non c’è un bel nulla. Anzi.
Nel consesso portoghese si è data grande enfasi al cosiddetto ‘Pilastro dei diritti sociali’, una delle patine zuccherine che l’Unione europea ha inserito nella sua agenda fatta di austerità e liberismo. Tre gli obiettivi da raggiungere entro il 2030, fissati dalla Commissione europea e ribaditi al summit di Porto, per dare attuazione al suddetto pilastro: un tasso di occupazione nell’insieme dei paesi UE di almeno il 78%; una partecipazione di almeno il 60% degli adulti a corsi di formazione ogni anno; la riduzione del numero di persone a rischio di esclusione sociale o povertà di almeno 15 milioni (di cui 5 milioni di bambini). Risuona così l’eco della famosa Agenda Europa 2020 che fissava come obiettivi l’anno appena trascorso super giù i medesimi traguardi: almeno il 75% della popolazione europea occupata nella stessa fascia d’età; ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio di povertà o di esclusione sociale; ridurre il tasso di abbandono scolastico a meno del 10% e portare almeno al 40% il tasso dei giovani laureati.
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Big Pharma, un mostro da conoscere
di Fulvio Bellini
Premessa: Big Pharma, riscriviamone la storia
Il mantra del 2020 è stato certamente la pandemia da Covid-19, ancora oggi gravido di terribili conseguenze in termine di contagiati nel mondo: quasi 157 milioni d’individui, oltre 3.272.000 morti, dati ufficiali e desunti dal sito della John Hopkins University, quindi da considerare per difetto anche se non è facile determinarne la percentuale. Nel 2021 perdura la pandemia di un virus che, come un abile stratega, adotta delle varianti che assumono forme diverse a seconda della longitudine e della latitudine dove si sviluppa (variante inglese, brasiliana, sudafricana, indiana) per sfuggire ai nuovi avversari di quest’anno: i vaccini. In quest’articolo tenteremo d’indagare il tema dei vaccini appunto e dei loro produttori: le multinazionali del farmaco denominate appropriatamente “Big Pharma”, cercando di osservare tali fenomeni sotto molteplici aspetti, tranne quello puramente sanitario ed epidemiologico che non ci compete, ma che per assurdo non è nemmeno quello principale. Cercheremo invece di svolgere un percorso simile ad una salita, da una pianura nebbiosa fino alla cima di una collina baciata da un cielo terso dal quale getteremo uno sguardo su possibili scenari futuri che, purtroppo, non è detto siano migliori dell’attuale.
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