Introduzione a Lenin, Quaderni filosofici, Milano, Pgreco, 2021
di Roberto Fineschi
1.
I testi apparsi con il titolo Quaderni filosofici non sono una “opera” di Lenin concepita a tavolino, si tratta bensì di una raccolta di annotazioni di lettura e di estratti da opere filosofiche di vari autori non per la pubblicazione ma a fini di studio; essi furono compilati in periodi diversi della sua vita e riuniti editorialmente dopo la sua morte sotto questo titolo. L’arco di tempo coperto va dalle prime note sulla Sacra famiglia di Marx ed Engels del 1895 fino alle annotazioni su uno scritto di Plenge del 1916. La parte più ampia, l’unica che Lenin stesso abbia effettivamente intitolato Quaderni filosofici, risale agli anni 1914-15, periodo in cui, a Berna, egli lesse e annotò importanti opere riempiendo ben otto quaderni ordinatamente numerati e titolati. Di particolare rilievo è la lettura, celebre, della Scienza della logica di Hegel che da sola occupa tre degli otto quaderni.
In italiano sono apparse due edizioni intitolate Quaderni filosofici: la prima, a cura di Lucio Colletti, per Feltrinelli nel 19581; essa è basata sull’edizione russa del 19472. La seconda, a cura di Ignazio Ambrogio, è apparsa per Editori Riuniti/Progress in tre diverse pubblicazioni: come vol. 38 delle Opere (1969)3, come volume a sé (1971)4 e, infine, come seconda parte del III volume delle Opere scelte in sei volumi (1973)5. È basata sull’ultima edizione russa6 che aggiunge importanti testi rispetto a quella del 1947 ed è quindi più completa di quella di Colletti; per questa ragione si è deciso di utilizzarla per una ristampa anastatica. Se l’edizione di Ambrogio è da preferire, sono tuttavia necessarie delle precisazioni.
Per quanto il curatore nell’avvertenza e nelle note dia tutte le necessarie informazioni relative a date di redazione e testi di riferimento, la struttura potrebbe forse causare dei fraintendimenti per tre ragioni. La prima è che sotto il titolo generale Quaderni filosofici sono raccolti scritti diversi solo una parte dei quali è stata effettivamente così intitolata da Lenin7. Sarebbe forse stato meglio usare un titolo generale diverso per la raccolta e quello in questione solo per la rispettiva parte. Va detto che è questo un difetto di quasi tutte le edizioni in commercio, non solo in Italia. La seconda è che l’ordine di presentazione non è sempre cronologico e questo non è immediatamente visibile nel testo, ma ricostruibile solo attraverso le note e l’avvertenza; un lettore poco esperto potrebbe fraintendere e credere che successione fattuale nel testo e ordine di stesura coincidano. La terza è che non è immediatamente visibile la discontinuità fra testo e testo; si potrebbe pensare che si tratti di un corpus unico. Essendo questa una ristampa anastatica e non potendo pertanto intervenire direttamente, reputo utile fornire uno schematico elenco cronologico.
1895, Berlino. Riassunto della “Sacra famiglia” di Marx e di Engels. 23 pagine di un quaderno a sé. Probabilmente agosto 1895 (comunque tra maggio e settembre di quell’anno, durante il suo primo soggiorno fuori della Russia).
1903, Ginevra. Annotazioni bibliografiche su Ueberweg e Paulsen. Si trovano in un quaderno di appunti su libri di carattere economico.
1904 (non prima del 15 novembre). Recensione di Ernst Teichmann ai libri di Ernst Haeckel. Foglietto a sé.
1908 (tra febbraio e ottobre). Estratti da Josef Dietzgen, Scritti filosofici minori. 1908 (non prima di maggio). Estratti da G. V. Plechanov, Questioni fondamentali del marxismo.
1908 (non prima). Estratti da Vladimir Šuljatikov, La giustificazione del capitalismo nella filosofia europea occidentale.
1909 (prima metà), Parigi. Schede relative ai libri di scienze naturali e filosofia della biblioteca della Sorbona scritte a matita su due fogli a sé.
1909 (non anteriori). Estratti da Abel Rey, La filosofia moderna.
1909 (non anteriori). Riassunto delle Lezioni sull’essenza della religione di Feuerbach. Singoli fogli, poi riuniti in forma di quaderno.
1909 (non anteriori). Estratti da Abraham Deborin, Il materialismo dialettico. 1909-1911 (non prima, non dopo). Estratti da Plechanov, N. G. Černyševskij. 1909-1911. Estratti da Steklov, N. G. Černyševskij.
1913 (non prima). Annotazioni bibliografiche. Quaderno intitolato Statistica agricola austriaca e altro.
1914/5, Berna. Quaderni filosofici. Il titolo in corsivo dopo il numero è di Lenin. Probabile ordine cronologico.
1) Hegel. Logica I. Estratti dalla Scienza della logica; contiene sino all’estratto di pagina 215 del IV volume dei Werke hegeliani, 1834. Lenin cita tutte le opere di Hegel dall’edizione tedesca dei Werke in 18 volumi, Berlino, 1832-1845 (più un volume supplementare pubblicato nel 1887).
3) Hegel. Logica II. Fino all’estratto di pagina 282 del V volume dei Werke, 1834.
3) Hegel. Logica III. Estratti sino alla fine del V volume dei Werke, e dell’Enciclopedia, nonché annotazioni relative al Traité de Chimie di J. Perrin. Gli estratti e le note sulla Scienza della logica sono stati compilati tra il settembre 1914 e il 17 dicembre dello stesso anno (data scritta dallo stesso Lenin sul testo) e hanno una numerazione progressiva sempre di Lenin (pp. 1-115).
4) Feuerbach. Riassunto del Leibniz di Feuerbach. Compilato probabilmente nel periodo settembre-novembre 1914.
5) (varia +) Hegel. Contiene le note su Genoff, Volkmann, Verworn, e l’inizio del riassunto delle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel.
6) Hegel. Fine del riassunto delle Lezioni sulla storia della filosofia. Gli estratti e le note sulle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel sono stati compilati all’inizio del 1915. Lenin utilizza i volumi XIII-XV dell’edizione dei Werke sopra menzionata, Berlino, 1833-1836.
7) Hegel. Estratti dalle Lezioni sulla filosofia della storia di Hegel. Prima metà del 1915.
8) Filosofia. Note su Dannemann, Darmstadt, Napoleone, riassunto della Logique de Hegel di Noël, frammento intitolato Piano della dialettica (logica) di Hegel, note su Haas e Lipps, riassunto dell’Eraclito di Lassalle, frammento A proposito della dialettica, riassunto della Metafisica di Aristotele. Concluso maggio 1915.
1916 (non oltre giugno). Annotazioni su Plenge; si trovano nei Quaderni sull’imperialismo (quaderno “β”).
Possibile, se non addirittura probabile, l’esistenza di altri materiali a noi non pervenuti. Solo a titolo di esempio, dei molti titoli inclusi nella ricca bibliografia in calce alla voce Karl Marx scritta da Lenin nello stesso periodo per il Dizionario Enciclopedico Granat non si hanno appunti, ma, almeno per alcuni dei testi indicati, è dichiarato dallo stesso Lenin uno studio approfondito.
In termini generali, nella lettura del testo bisogna tenere presenti dei caveat. Il primo e più importante è che non si tratta di testi scritti per la pubblicazione, quindi non sono stati autorizzati dall’autore. Il secondo è che il testo presenta più livelli. In genere è diviso in due colonne; da una parte si hanno gli “estratti”, ovvero la trascrizione sul quaderno di parti del testo che Lenin stava leggendo; dall’altra i suoi interventi che si distinguono in tre differenti modalità: 1) sottolineature ed enfatizzazioni, 2) commenti a lato che sembrano in genere sintetizzare il contenuto o il significato del passo in questione nei termini dell’opera stessa, 3) commenti più articolati, in genere racchiusi dentro a un riquadro, che rappresentano – sempre in linea generale – una più autonoma riflessione questa volta di Lenin. La distinzione è naturalmente indicativa e in certi casi la differenza tra il livello 2 e il livello 3 è oggetto di interpretazione.
2.
Poiché i periodi di scrittura sono diversi, ricostruire un quadro storico per ciascuno di essi pare compito eccessivo per una breve introduzione come la presente. Mi concentrerò dunque sul periodo 1914/5, con qualche accenno al 1908-11, momento collegato all’altra celebre opera filosofica di Lenin, vale a dire Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria8. In quest’opera, l’intento di Lenin è una critica filosofica, ma soprattutto politica delle posizioni espresse nella raccolta di articoli dal titolo Saggi sulla filosofia del marxismo di V. Bazarov, A. Bogdanov, A. Lunačarskij, S. Suvorov e altri apparsa nel 19089, nonché di altre pubblicazioni la più importante tra le quali è sicuramente l’opera di Bogdanov Empiriomonismo10. La disputa filosofica non è che la dimensione intellettuale di uno scontro politico altrettanto acceso e alla fine insanabile tra Lenin e la sinistra del partito, gli otzovisti, contrari alla partecipazione ai lavori della Duma. Al di là del fattore tattico contingente, a dividere i due gruppi era la stessa concezione del partito e il ruolo degli intellettuali al suo interno: mentre Lenin riscontra dei limiti intrinseci nella capacità auto-organizzativa del proletariato e perciò individua la necessità di un gruppo di rivoluzionari di professione che guidi e gestisca il movimento politico – la cui estrazione non è necessariamente proletaria, anzi il più delle volte è borghese –, gli otzovisti vedono l’obiettivo principale della lotta nello sviluppo di una autonoma cultura proletaria, nell’educazione delle masse affinché esse stesse esprimano i propri leader dall’interno, in particolare in una fase di stallo come quella successiva alla fine delle attività rivoluzionarie del periodo 1905-07. Celebri in questo senso sono le loro scuole di Capri e Bologna. Lo scontro politico ha il suo riverbero intellettuale nella discussione teorica, soprattutto nel tentativo di una rifondazione filosofica del marxismo che tenga conto delle nuove posizioni epistemologiche empiriocriticiste sviluppate soprattutto da Mach e Avenarius e fatte proprie da Bogdanov e da altri. Secondo Lenin, tali posizioni teoriche sono coerenti con gli errori tattici di questi autori, che danno una veste filosofica alle loro posizioni politiche.
In Materialismo ed empiriocriticismo, l’opera dedicata alla loro critica, Lenin sviluppa alcuni concetti fondamentali della propria concezione filosofica che ritorneranno nei Quaderni filosofici con accenti talvolta diversi. In realtà, come vedremo, la discussione sulla continuità o discontinuità tra quest’opera e i successivi appunti è uno dei punti più controversi nel dibattito. Uno dei temi su cui Lenin insiste di più in quest’opera è la centralità dell’esistenza della realtà indipendentemente dal pensiero che la pensa; è questo un elemento chiave della sua professione di “materialismo dialettico”11. Secondo Lenin gli empiriocriticisti dissolvono la materia nelle leggi di essa che sono, come tali, prodotto del pensiero e hanno realtà al suo interno; così facendo, essi sostengono posizioni idealistiche e soggettivistiche che Lenin, ripercorrendone la catena genealogica, fa risalire a Berkeley e vedono in Kant un passaggio altrettanto decisivo. Questo è un elemento importante anche nella prospettiva della critica del marxismo kantiano in auge in quegli anni. La questione spinosa, già emersa nelle risposte degli empiriocriticisti a Plechanov che pure li aveva accusati di idealismo, è l’apparente riemergere della “cosa in sé” al di là del pensiero. Lenin, per sottrarsi a questa critica, fa dei distinguo e sostiene che non esiste, in linea di principio, alcun aldilà e, quindi, alcuna cosa in sé; la distinzione è solo tra conosciuto e non ancora conosciuto. Le cose, che esistono fuori di noi e indipendentemente da noi, si “riflettono”, si “rispecchiano” nel processo conoscitivo che non le crea, ma le conosce relativamente. Il concrescere di queste verità relative è però verità assoluta a ogni suo stadio perché quello che si sa è vero in quanto corrisponde al mondo obiettivo che esiste fuori e indipendentemente dal pensiero; questa verità oggettiva è colta in una fase determinata del processo conoscitivo che l’umanità ha della realtà; che non si sappia tutto, non significa che non si possa, in linea di principio, sapere tutto; e ciò non significa che quel tanto parziale che si conosce adesso non sia vero oggettivamente. La pratica è la chiave dell’accordo tra mondo soggettivo e oggettivo: la realizzazione pratica dell’apparato teorico ne dimostra la verità. Gli empiriocriticisti, non avendo una concezione obiettiva della materia, mancano dell’elemento di verifica e quindi riducono la teoria/realtà a mera costruzione soggettiva e alla sua coerenza/universalizzazione nella conoscenza inter-umana. Le annotazioni filosofiche a noi pervenute fino a questi anni e quelle degli anni immediatamente successivi sembrano concentrarsi proprio su letture “materialistiche” e, se si escludono autori “recenti” come Marx e Feuerbach, non riguardano grandi classici della filosofia.
3.
La formazione filosofica di Lenin è marcatamente segnata da alcuni autori attraverso i quali recepisce le opere di Marx ed Engels e da una certa cultura politica. Si tratta soprattutto di Černyševskij e Plechanov. Le opere classiche “filosofiche” cui Lenin si rifà sono soprattutto gli engelsiani AntiDühring e Ludwig Feuerbach. Attraverso quegli autori, includendo nella lista anche Dietzgen e Herzen, Lenin individua come punto nodale della problematica politico/filosofica del suo tempo la formulazione di una filosofia – il materialismo dialettico – che possa autonomamente reggere il confronto con le filosofie borghesi. Egli vede nella contrapposizione tra idealismo e materialismo la battaglia campale con la filosofia borghese, come indicato da Engels nel Feuerbach. Bisogna, tuttavia, stare attenti – pensa Lenin – a non ricadere in un piatto materialismo volgare, ma conservare i grandi progressi prodotti soprattutto grazie alla dialettica hegeliana. Il tema del carattere centrale e rivoluzionario della dialettica hegeliana passa in Lenin sicuramente grazie alla lettura di Černyševskij, Herzen e Plechanov12; essi vi individuano una grammatica rivoluzionaria caratterizzata da “salti”, vale a dire che si contrappone a una mera trasformazione gradualistica e che si articola bensì attraverso punti di rottura. L’Anti-Dühring funge in questo senso da orizzonte di senso e quadro di riferimento per un’ulteriore elaborazione del tema della dialettica materialistica che, da un lato, deve tenere ferma l’esistenza indipendente della realtà rispetto al pensiero – materialismo –, dall’altra il carattere dinamico – dialettico – della realtà, che ha in sé il proprio moto, del quale fa parte anche la conoscenza e la soggettività.
L’idea della “dialettica” come tema fondamentale per pensare l’unità della realtà in tutti i suoi aspetti si rinforza nella mente di Lenin attraverso un passaggio fondamentale, non sempre adeguatamente apprezzato nelle interpretazioni, vale a dire lo studio approfondito del carteggio di Marx ed Engels uscito in quattro volumi nel 1913 a cura di Bebel e Bernstein13. Pur non gradendo particolarmente la curatela, Lenin trae da questi quattro volumi qualcosa di simile a quanto farà successivamente con le opere filosofiche, vale a dire 76 fitte pagine di un grosso quaderno piene di estratti annotati e commentati (corrispondono a 480 nell’edizione tedesca moderna)14. I temi che più lo appassionano sono il metodo dialettico, il tentativo engelsiano di sviluppare una dialettica della natura, la dimensione conflittuale, politica, dialettica della contrapposizione di classe; vale a dire trovare il modo di tenere insieme i nessi del reale in tutti i suoi aspetti. Alla fine dello studio di questo carteggio, Lenin fa gli “estratti degli estratti”, cioè seleziona quindici delle sue annotazioni in ben sette delle quali compare il nome di Hegel15. Il secondo indizio che permette di affermare che lo studio delle lettere porta direttamente alla dialettica – e quindi a Hegel come suo teorico più eminente – è la recensione che Lenin scrisse di questo carteggio a caldo nel 1914 per il “Prosveščenije”, ma che apparirà solo molti anni dopo, il 28 novembre 1920, sulla “Pravda” in occasione del centenario della nascita di Engels. In questo testo Lenin commenta: “Se tentiamo di definire con una sola parola, per così dire, il perno di tutto il carteggio, il punto centrale verso il quale converge tutta la rete delle idee espresse e discusse, questa parola sarà: dialettica. L’applicazione della dialettica materialistica alla rielaborazione di tutta la economia politica, fin dalle sue basi, – la storia, le scienze naturali, la filosofia, la politica e la tattica della classe operaia: – ecco che cosa interessa più di tutto Marx ed Engels, ecco in che cosa essi apportano quanto c’è di più essenziale e di più nuovo, ecco in che cosa consiste il loro geniale passo in avanti nella storia del pensiero rivoluzionario”16. A settembre del 1914 inizierà a studiare sistematicamente la Scienza della logica.
4.
Il periodo in cui Lenin redige i Quaderni fi ofi è decisivo sotto vari aspetti. Egli si trova in esilio ormai da diversi anni e vive a Cracovia, con soggiorni di villeggiatura a Pororin; da lì si sposta in varie parti d’Europa per partecipare alle iniziative legate alla sua attività politica. Sono anni di scontri, in cui adotta un giudizio sempre più severo su Kautsky e differenzia sempre più la propria posizione da quella di Rosa Luxemburg. I temi più discussi nei suoi interventi, articoli, carteggi sono la questione nazionale e il riformismo di cui è estremamente critico. Lo scoppio della Prima guerra mondiale e il “tradimento” dei partiti socialisti che votano i crediti di guerra spingono all’estremo anche lo scontro politico contro i “traditori” della II internazionale che viene ritenuta politicamente finita. Allo scoppio della guerra Lenin e la moglie devono lasciare la Polonia – egli verrà pure incarcerato per alcuni giorni in quanto cittadino di uno stato nemico – e si recano a Berna, dove si creano condizioni paradossalmente favorevoli a un periodo di studio: l’impossibilità di un’azione politica immediata e la disponibilità di una ricca collezione di opere presso le locali biblioteche permettono a Lenin uno studio meticoloso e relativamente sistematico della produzione teorica di Hegel: legge, copia e annota la Scienza della logica (affiancata dall’Enciclopedia per alcune parti), le Lezioni di storia di fi ofi e le Lezioni di fi ofi della storia. Fa poi lo stesso con altre opere, fra cui la Metafi ica di Aristotele e, non a caso, l’Eraclito di Lassalle, proprio l’opera menzionata da Marx nella lettera a Engels in cui parla del “servizio” che gli ha fornito la rilettura della Scienza della logica e in cui critica Lassalle per l’incapacità di intendere il metodo dialettico che al più scimmiotta formalisticamente; lettera ovviamente ben evidenziata da Lenin nei suoi estratti del carteggio di Marx ed Engels17.
Una ragione contingente per questi studi è la richiesta del marzo 1914 di scrivere la voce Karl Marx per il Dizionario Enciclopedico Granat18. Tuttavia, come testimonia Krupskaja19, le sue ampie letture continueranno anche dopo la spedizione del testo nel novembre dello stesso anno. In realtà, la maggior parte dei Quaderni furono redatti dopo la conclusione di quell’articolo che tuttavia è indicativo per intendere quale fosse l’orizzonte delle ricerche di Lenin in quel periodo. Sicuramente è questo un momento di riflessioni feconde che pongono le premesse di altre sue importanti opere teoriche. Più o meno nello stesso periodo Lenin redige i Quaderni sull’imperialismo, sulla base dei quali scriverà L’imperialismo fase suprema del capitalismo20. Nel corso del 1917, rientrato in Russia per l’inizio della rivoluzione di febbraio, Lenin avrà modo di completare un’altra sua opera capitale, Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione21. Al di là delle interpretazioni e del giudizio, si tratta evidentemente di un momento importante dello sviluppo teorico leniniano e non pare ci possano essere dubbi sul fatto che uno dei temi centrali sia la dialettica – più precisamente connotata come materialismo dialettico – e l’analisi di Hegel come suo teorico più eminente.
Ciò detto, bisogna prendere atto che non è certo Lenin a “scoprire” il tema di un uso materialistico della dialettica: il progetto di cogliere i germi di materialismo nella Logica hegeliana, di rovesciarla, era già stato annunciato dagli stessi Engels e Marx e quindi dai “filtri” russi sopra menzionati (Černyševskij, Herzen e Plechanov). La Logica, come tale, non poteva essere utilizzata perché piena di Ideemystik; ciononostante, rimaneva la massima formulazione delle leggi della dialettica. Leggere e tentare di capovolgere la Logica hegeliana era il desideratum che Marx ed Engels avevano lasciato in eredità ai posteri e a cui neppure il più grande filosofo marxista loro successore, Plechanov, era riuscito a ottemperare. È di nuovo importante mettere in evidenza come questa determinazione maturi in Lenin proprio grazie allo studio del carteggio di Marx ed Engels sopra menzionato. Le tracce di Hegel nelle opere leniniane precedenti sono infatti poche e qualitativamente di scarso rilievo. La Krupskaja per ben due volte racconta che già in gioventù, ai tempi del confino siberiano, Lenin aveva letto vari filosofi, fra cui Hegel, e che pure di lui discuteva con altri confinati22. Il riferimento tuttavia è generico e di queste letture non si hanno riscontri. La testimonianza più concreta di un riferimento a Hegel è in Che cosa sono gli amici del popolo23; qui, in realtà, più che occuparsi direttamente del filosofo tedesco, Lenin polemizza con quei critici di Marx che lo accusavano di hegelismo, di uso disinvolto della sua fantomatica “triade”, quindi di idealismo gnoseologico, in virtù del quale la coerenza della teoria si sarebbe retta sulla deduzione dialettica. In particolare, controbattendo alle critiche di Michajlovskij, Lenin utilizza temi derivati dalla postfazione alla seconda edizione tedesca del primo libro del Capitale, sviluppando un’argomentazione basata su di un realismo non particolarmente sofisticato, che non pare cogliere né la sostanza della filosofia hegeliana né la natura dell’operazione che Marx fa in quelle pagine. È insomma uno scritto polemico, il cui scopo è una difesa d’ufficio di Marx più che una ricostruzione effettiva del suo confronto con Hegel.
Come detto, assai diversa la prospettiva e la profondità delle riflessioni dei Quaderni filosofici, dove la lettura diretta, orientata dalle questioni di fondo prima indicate, permette a Lenin una precisione di analisi sconosciuta nelle opere precedenti. È bene evidenziare da subito che Lenin mai esce dall’orizzonte culturale della ricezione convenzionale di Hegel, quindi lo considera un mistico, un idealista per cui il pensiero sostituisce la realtà, la crea; si tratta in sostanza dell’impostazione di fondo di Feuerbach, la contrapposizione tra materialismo e idealismo. Questo è il contesto in cui Hegel fu assorbito dagli stessi Marx ed Engels, che pure mai si spinsero oltre questa eredità interpretativa seppur con differenti sensibilità nel corso della loro produzione intellettuale24; esso passa anche in Lenin via Plechanov esattamente in questi termini. Tuttavia, nel corso della lettura, alla mente di Lenin va affiorando sempre più l’idea che per lo stesso Hegel la dialettica viva nelle cose stesse, le animi, ne determini le forme di moto in strutture sempre più complesse e articolate. Sembra insomma apprezzare nella stessa logica hegeliana i germi di una ontologia realista che chiama materialismo dialettico. Ciò non arriva però al punto di fargli abbandonare la convinzione che la filosofia hegeliana resti prigioniera di una Ideenmystik, cioè che sia basata su un predominio dello spirito, di una sorta di Dio plotiniano, che si sostituisce alla realtà effettiva. Questa la tensione di fondo del testo. Al suo interno emergono categorie chiave che, da una parte, non possono non rimandare retrospettivamente a quanto sostenuto in Materialismo ed empiriocriticismo, dall’altra si dimostrano capaci di più precisa articolazione e contestualizzazione. In questa prospettiva, si enucleano alcuni concetti chiave, almeno a due dei quali vorrei dedicare una maggiore attenzione: il rispecchiamento e la prassi.
Una delle parti della Scienza della logica che più interessa Lenin, quella da cui fa più estratti, è la dottrina del concetto, quella in cui Hegel teorizza il soggetto, la sua dialettica che lo fa trapassare nell’oggetto e il suo finale superamento nell’idea e nel metodo. Passaggio decisivo per raggiungere questo traguardo è la dialettica di conoscenza e pratica, sapere a fare. Sono questi tra i passi che più appassionano Lenin che vi vede il nodo teorico sia per rovesciare Hegel sia per trovare la mediazione tra teoria e prassi; questo era l’annoso e scottante problema politico/filosofico da risolvere. Qui le interpretazioni sono variegate e non può essere questa la sede per esprimere giudizi definitivi. In linea generale, mi pare si possa affermare che Lenin cerca, attraverso queste categorie, di mettere insieme teoria e pratica in una maniera coerente: la teoria rispecchia, in un modo specifico, una realtà che esiste al di fuori della coscienza. Una questione delicata è stabilire come questa maniera specifica si articoli nel suo rispecchiamento nella mente umana; è questo il terreno del metodo e Lenin pare propendere verso una posizione che, nel dibattito successivo sul metodo marxiano, è stata definita logico-storica e che ha la propria origine in Engels. Ciò emerge anche dai passaggi specifici in cui Lenin fa direttamente riferimento alla teoria marxiana del Capitale. Di esso, dice notoriamente, non si può capire niente senza aver letto e inteso la Scienza della logica tutta intera; da esso va estrapolata una logica propriamente materialistica. La teoria tuttavia, per quanto sofisticata e corretta possa essere, non è di per sé valida, oggettivamente vera, a meno che non venga verificata nella prassi. Qui Lenin vede il senso profondo dell’intuizione hegeliana che teorizza il rovesciarsi della teoria nella pratica e viceversa; egli vi individua pure il collegamento profondo con le Tesi su Feuerbach: il nocciolo del rovesciamento di Hegel, la prassi come criterio della verità oggettiva. Lenin pone il problema, ma non va oltre.
5.
Vediamo adesso una breve rassegna del dibattito che si è concentrato intorno ad alcuni punti nodali già toccati nelle pagine precedenti. Brevemente li si può elencare come segue: 1) il senso e il ruolo della filosofia per Lenin, 2) la continuità/discontinuità con la riflessione filosofica precedente, in particolare con Materialismo ed empiriocriticismo, 3) in questo contesto, la dialettica tra teoria e prassi, il rispecchiamento e il senso del rovesciamento marxiano di Hegel25.
Sulla base dell’ispirazione leniniana del materialismo dialettico, in Unione Sovietica si sviluppò un’operazione incrociata che metteva insieme Materialismo ed empiriocriticismo con le posizioni di Engels espresse nell’Anti-Dühring e, soprattutto, negli appunti della Dialettica della natura (ancora non pubblicati ai tempi di Lenin). Questo sviluppo, nella sua forma più organica e ortodossa, divenne una dottrina di Stato legata alla figura di Stalin e prese il nome di DIAMAT. L’operazione anche qui filosofico-politica consisteva nel portare a termine il processo di enucleazione di una filosofia marxista i cui germi si individuavano nelle opere menzionate al fine di fornire una dottrina ufficiale al neonato Stato sovietico. Si trattò di un’operazione che Stalin compì prima attraverso il recupero dell’autentico – a suo dire ovviamente – pensiero leniniano in Princìpi del leninismo (1924) e Questioni del leninismo (1926), per poi ufficializzare questa sintesi nell’opera canonica dal titolo Materialismo dialettico e materialismo storico (1938). Il materialismo dialettico, fondato sulle tre leggi universali indicate da Engels nella Dialettica della natura – “la legge della conservazione della quantità in qualità e viceversa, la legge della compenetrazione degli opposti, la legge della negazione della negazione”26 –, che valevano tanto per il mondo fisico quanto per quello sociale – materialismo storico come sua sottoarticolazione – diveniva così ideologia di Stato. I suoi principi fondamentali venivano schematizzati in maniera astratta e formalistica e applicati a tutto lo scibile, inevitabilmente perdendo contatto con l’effettiva analisi della realtà e delle sue contraddizioni. Per schematizzare, la genealogia di questa posizione era dunque Engels (Marx), Plechanov, Lenin, Stalin. Se questa interpretazione si cristallizzò come dottrina ufficiale e quindi per un lungo periodo sostanzialmente predominante nel mondo sovietico, altri interpreti affrontarono il problema in maniera più libera, soprattutto in “occidente”.
Alcuni, anche se da prospettive e con scopi diversi, finirono per concordare sul debole contenuto filosofico dell’opera di Lenin. Tra i più radicali in questo senso vi è Pannekoek che argomenta come, soprattutto riferendosi a Materialismo ed empiriocriticismo, Lenin semplicemente ignori le effettive posizioni di Avenarius, Mach, Bogdanov, ecc., e che le ricostruisca a proprio uso e consumo; a quel punto le attacca come forma di idealismo soggettivo27. Questa operazione, priva di effettivo contenuto filosofico, avrebbe invece un obiettivo politico, per il quale strumentalmente si piega, o addirittura si inventa, il contenuto in questione. Una posizione per certi versi analoga è sostenuta da Scherrer che ricostruisce sia il pensiero di Bogdanov che la temperie politico-culturale in cui quel dibattito ebbe luogo; l’opera di Lenin costituirebbe una sorta di anatema e avrebbe come scopo la distruzione politica di Bogdanov, più che l’effettiva critica delle sue posizioni28. Stigmatizzandolo come idealista, Lenin lo vuole escludere in linea di principio dal gioco politico e l’effettivo obiettivo del suo attacco non sono le posizioni filosofiche più o meno artatamente ricostruite, ma lo schieramento politico degli otzovisti. Ignorare i contenuti politici e filosofici da loro proposti sarebbe una scelta deliberata da inquadrare in una precisa tattica politica. Althusser completa il quadro, fornendo una cornice teorica a questo atteggiamento di Lenin. A suo modo di vedere grazie a Marx sappiamo che la filosofia non è scienza, ma ideologia e che il suo sviluppo non è autonomo, bensì riflesso delle contraddizioni storico-politiche cui dà espressione. La scienza che Marx sviluppa è quella della storia e come tale sancisce una rottura con la tradizione filosofica e con la filosofia stessa; di essa si può fare un uso scientifico pur non essendo essa stessa scienza. Questo uso consiste nel trasformarla in uno strumento di lotta ideologica da utilizzare con finalità egemoniche contro gli avversari politici e l’ideologia/filosofia che essi propongono. Si tratta, in sostanza, di spiegare da un punto di vista teorico interno alla posizione di Lenin l’uso politico e scientifico che egli, intenzionalmente e legittimamente, fa della filosofia. Non ha quindi senso investigare la coerenza e il signifi ato del pensiero filosofico di Lenin, bisogna bensì capirne l’uso politico – non scientifico, perché la filosofia non è scienza. È il tema dalla “partiticità” della filosofia29.
Se negli autori menzionati, l’effettivo contenuto filosofico lascia il campo alla pratica politica, altri, sempre in “occidente”, hanno invece preso sul serio la filosofia leniniana, cercando di mostrarne pregi e difetti, sempre da diversi punti di vista e con risultati talvolta opposti. Un contributo noto è quello di Colletti, apparso come introduzione alla prima edizione italiana dei Quaderni filosofici e poi ripreso nel suo celebre Il marxismo e Hegel30. La matrice dellavolpiana spinge Colletti, da una parte, a rifiutare la Logica hegeliana come una metafisica in senso deteriore che pretende di definire la realtà dell’essere sulla base della logica del pensiero, sostituendo misticamente il pensiero della realtà alla realtà stessa. Ai suoi occhi, dunque, l’apprezzamento leniniano per la Scienza della logica non può non apparire minato alla radice da un’incomprensione di fondo, per la quale si ritiene che un’ontologia sia possibile. Colletti non vede rotture tra le due opere filosofiche più importanti di Lenin – in verità, pur trattandosi di un’introduzione di ben 150 pagine ai Quaderni filosofici , appena li si menziona; la dialettica materialistica, proprio per la sua coerenza di principio con l’impostazione hegeliana, non è rovesciabile e risulta essere una mera variante di una cattiva metafisica. Proprio nella comprensione leniniana del potenziale materialistico della filosofia hegeliana, cioè nel concetto chiave di tutti i Quaderni filosofici, Colletti vede il limite di fondo di questa intrapresa. Essa è fallimentare per il suo cripto-hegelismo, derivazione diretta del criptohegelismo engelsiano della Dialettica della natura31.
Paradossalmente, sulla base di ragionamenti in qualche modo affini, si è giunti ad affermare l’esatto contrario di quanto sostenuto da Colletti. Diversi autori – fra i quali il più significativo è Anderson32, ma per un quadro più generale si veda il volume a cura di Budgen, Kouvelakis & Žižek33 – hanno infatti individuato addirittura una sorta di rivoluzione nei Quaderni fi ofi , dettata proprio da una nuova professione di hegelismo collegata a sua volta al concetto di prassi. Grazie a questa ripresa di Hegel, Lenin supererebbe il meccanicismo deterministico di cui la sua precedente opera Materialismo ed empiriocriticismo sarebbe l’espressione massima (e quindi il successivo DIAMAT che da questa opera deriverebbe). In sostanza, attraverso Hegel/prassi, Lenin romperebbe con il meccanicismo, a loro avviso, anti-hegeliano di Engels, Plechanov e dello stesso Lenin del 1909. Esattamente tutto ciò che per Colletti era cripto-hegeliano, per questi interpreti non ha nulla a che vedere con Hegel e anzi l’hegelismo e la prassi rappresenterebbero la rottura con quel mondo. Questa rottura viene poi messa in relazione con il fiorire dell’hegelo-marxismo di Lukács, di Korsch e di altri, che proprio nel soggetto, nel lavoro e nella sua alienazione riscontra una coerenza di impianto con Hegel. Anderson si sforza poi di ricostruire anche una tradizione nel dibattito occidentale che ha dato seguito a questo assunto, non nascondendo tuttavia alcune criticità relative al fatto che Lenin mai rinnegherà pubblicamente le sue posizioni precedenti. Questo è, a suo modo di vedere, sicuramente problematico ma non sufficiente a inficiare l’idea di un cambiamento sostanziale.
Altri hanno visto nella prassi un concetto sicuramente chiave, ma senza insistere eccessivamente con il riferimento a Hegel e cercando semmai di contestualizzarla in un percorso di sviluppo/differenziamento con la produzione precedente. Fistetti individua nel tema della partiticità della filosofia e nella critica di Mach il più forte elemento di continuità, con degli accenti gramsciani collegati alle categorie di egemonia, prassi ed eteronomia della scienza. Attraverso Hegel si individuerebbe nella produttività del cervello sociale il livello logico-storico del primato della politica che riarticola le forme disarticolate del processo stesso. C’è quindi il passaggio alla dimensione politica e il riferimento alle Tesi su Feuerbach per il momento della prassi34. Secondo Negri invece l’incontro con Hegel porrebbe l’accento maggiormente sull’elemento soggettivo in opposizione al meccanicismo precedente. Il soggetto è la classe operaia; grazie alla lettura hegeliana, ci sarebbe una revisione del concetto di organizzazione verso un più marcato soggettivismo; Negri, forzando la terminologia e inserendo concetti completamente assenti nel testo, parla di passaggio dal vecchio approccio “composizione, organizzazione, insurrezione” ad un nuovo ordine che si articola in “insurrezione, organizzazione, composizione”. La dialettica diventa quindi scienza dei comportamenti storici delle masse, procedendo oltre il materialismo e proponendo un concetto di conoscenza basato sulla prassi umana collettiva, operaia, che fa la storia modificando natura e rapporti di forza; e che ridefinirebbe in questi termini anche il rispecchiamento non come mera passività. Questo condurrebbe Lenin a un ripensamento del concetto di organizzazione del Che fare?, in quanto ora organizzazione significherebbe dialettica complessiva del movimento rivoluzionario35.
In contrapposizione all’idea di una rottura che avrebbe luogo nei Quaderni filosofici, Mayer cerca di mostrare una sostanziale continuità nella definizione di dialettica; essa è intesa in primo luogo come la negazione di regole eterne nella guida della pratica e, in secondo luogo, come carattere sempre concreto della verità. Il termine inizia ad apparire regolarmente nelle opere di Lenin dal 1904 ed è paradossalmente meno frequente dopo le annotazioni hegeliane. La dialettica come carattere concreto della verità è la costante dei suoi scritti tattici e il punto chiave per la critica sia dello spontaneismo che dei menscevichi. Mayer ha anche buon gioco nel mostrare come questa idea di dialettica non sia originale di Lenin, ma venga da Černyševskij e Plechanov; quando quest’ultimo sarà criticato, lo sarà proprio per non essere stato coerente con il suo stesso principio dialettico, cioè quando si scorderà del carattere concreto della verità36. Altro contributo importante è quello di White, il primo a porre la giusta e necessaria enfasi sugli estratti dal carteggio Marx-Engels come decisivo punto di passaggio allo studio di Hegel37.
Alla fine di questa carrellata di alcune delle interpretazioni più interessanti della filosofia di Lenin, è necessario menzionare il filosofo che forse più di ogni altro ha preso sul serio l’impianto leniniano, cercando di tenere insieme, senza perdere alcun pezzo, Hegel, il materialismo, il rovesciamento e la prassi: Hans Heinz Holz. In estrema sintesi, la sua tesi è che Hegel non ha bisogno di essere rovesciato, perché: 1) la sua filosofia, nei suoi stessi termini, è già da intendere come rispecchiamento e non come idealismo spiritualistico; 2) come teoria del rispecchiamento non è possibile fare meglio di Hegel: egli rappresenta effettivamente il punto più alto della speculazione filosofica occidentale. Non c’è dunque bisogno di invertirlo nei termini tradizionali. L’elemento di distinzione sta piuttosto nella necessità di tornare alla pratica per verificare la teoria. Quest’ultima è capace di pensare la totalità in un momento dato e finito dello sviluppo di essa; non per questo la sua visione prospettica è non-vera, è piuttosto prospetticamente vera. Essa necessita tuttavia di tornare al tutto della realtà ponendo, verificando, superando la sua prospetticità nella prassi. È questo il passaggio che manca in Hegel e che Lenin cerca quantomeno di delineare nella sua lettura del filosofo tedesco38.
6.
Sebbene in questa sede non sia possibile discutere diffusamente le posizioni esposte e procedere a un’analisi dettagliata dei testi – per la quale mi riservo di realizzare uno studio più ampio – a mio modo di vedere, scrivendo i Quaderni filosofici, Lenin non cambia orientamento sulla maggior parte della sue idee fondamentali che già si potevano individuare in Materialismo ed empiriocriticismo: l’esistenza della realtà esterna indipendentemente dal pensiero che la concepisce, il moto come qualità intrinseca della materia in virtù della contraddizione che alberga in essa, l’oggettività delle leggi fondamentali della dialettica che è nelle cose e solo di riflesso nel pensiero, Hegel come filosofo mistico idealista che ha germi di materialismo ma non è materialista. Del resto, l’elemento della prassi nei Quaderni filosofici, che alcuni hanno ritenuto innovativo o addirittura rivoluzionario e su cui si è posta grande enfasi nel dibattito, a un’attenta lettura non appare del tutto nuovo; esso infatti, sia esplicitamente che di fatto, già si riscontra in Materialismo ed empiriocriticismo. La sua dimensione attiva, creatrice o di soggetto non è in contraddizione con la teoria materialistica che Lenin aveva in mente; anzi a me pare che egli si sforzi proprio di includere l’azione dentro questa teoria generale non per scardinarla, ma per completarla. Una linea di lettura che privilegia continuità e sviluppo di un processo di lungo corso pare a me quella suggerita dal testo nel suo complesso. Il tema resta ovviamente aperto e oggetto di dibattito.
In quest’ottica, i problemi aperti e l’attualità di queste note sono collegati alle domande a cui esse stesse non sono state capaci di rispondere. Non bisognerebbe scordare che si trattava, in realtà, di un lavoro preparatorio a una ipotetica futura opera sulla dialettica materialistica che però non solo non fu mai scritta, ma neanche fu concretamente progettata; a Marx ed Engels, dunque, nella lista di coloro che, dopo Hegel, non sono riusciti a costruire una teoria dialettica più o meno complessiva si aggiunge il nome di Lenin. Come si è visto, successivamente, dei tentativi sono stati fatti: il DIAMAT ha tuttavia creato più problemi e dubbi di quanti non ne abbia risolti; una proposta alternativa è stata scavalcare la questione e porla in termini di prassi; anche questa risposta però ha forse fatto il suo tempo e mostrato i suoi limiti, in quanto la dimensione teorica ha quasi sempre finito per schiacciarsi su quella pratica, senza mediazione.
Malgrado questi fallimenti passati, a meno che non ci si voglia rassegnare all’individualismo metodologico o al predominio di una teoresi incardinata in un’antropologia filosofica, non resta che riprendere il cammino da dove si è interrotto e tentare di sviluppare una teoria dei processi all’altezza delle sfide del presente. Per questa via, una delle strade interrotte è quella dei Quaderni filosofici.
* * * *
Avvertenza
Il testo riprodotto anastaticamente è V. I. Lenin, Quaderni filosofici, a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1971. Le annotazioni di Lenin sono state pubblicate per la prima volta in Unione Sovietica nei tomi IX (1929) e XII (1930) della Miscellanea di Lenin e successivamente riunite in un volume unico nel 1933 con il titolo di Quaderni filosofici di cui si sono fatte quattro ristampe, l’ultima delle quali è uscita nel 1947 (vedi nota 2). Nel 1958, arricchite con altri materiali, sono state incluse nell’edizione delle Opere (IV edizione, v. 38). Ulteriormente ampliata con i brani di Dietzgen e di Steklov, la raccoltà è apparsa nel 1963 nel v. 29 delle Opere complete (V edizione) (vedi nota 6). Nella presente edizione il curatore si è attenuto a quest’ultimo volume che però non viene seguito completamente. Egli ha suddiviso il materiale in due sezioni: la prima comprende estratti, frammenti e schede; la seconda passi di libri e articoli annotati (ciascuna sezione è in ordine cronologico). Per il testo in russo il curatore ha seguito il vol. 29 e lo ha ricontrollato sui manoscritti leniniani. Per le parti non russe (estratti e citazioni contenuti nella prima sezione e brani di libri riportati nella seconda) la traduzione è stata condotta direttamente sui testi originali. Quando possibile, il curatore ha tenuto conto delle principali versioni italiane esistenti (come per la Scienza della logica di Hegel) o ne ha riprodotto il testo (come per La sacra famiglia di Marx ed Engels). Il curatore ha visionato edizioni precedenti apparse in Francia (a cura di L. Vernant e E. Bottigelli, Paris, 1955), in Italia (a cura di L. Colletti, Milano, 1958, rist. 1969), in Urss (Philosophical Notebooks, a cura di C. Dutt e S. Smith, Moscow, 1963), nella Repubblica Democratica Tedesca (Werke, v. 38, Berlin, 1964). Le locuzioni straniere usate da Lenin sono state mantenute nel testo e tradotte in nota. Le note a piè di pagina, non indicate esplicitamente come note del traduttore, sono di Lenin; nella seconda parte sono invece dell’autore del rispettivo testo. Le note numerate sono redazionali; è poi accluso l’elenco dei libri e dei periodici citati e un indice dei nomi.
Comments