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Se 2,5 milioni vi sembrano pochi
di Cristina Tajani*
Sono tanti o sono pochi 2,5 milioni di individui in condizione di povertà assoluta censiti dall’Istat nel 2007? Secondo Orazio Carabini, in un editoriale del Sole 24 Ore del 24/04/09, i dati sulla povertà assoluta pubblicati a fine aprile dall’Istat[1] e la contemporanea indagine della Banca d’Italia sulla distribuzione della ricchezza[2], smentirebbero la diffusa percezione di impoverimento del ceto medio e di aumento delle disuguaglianze che gli italiani avvertono. O meglio, non la confermerebbero se non in minima misura. Infatti i dati dell’Istat ci dicono che dal 2005 al 2007 l’incidenza della povertà assoluta è rimasta pressoché stabile, coinvolgendo circa il 4% delle famiglie e oltre 2 milioni di individui.
La Banca d’Italia, da parte sua, segnala che il nostro paese, pur collocandosi a livello internazionale tra gli stati con il più alto livello della povertà e della disuguaglianza nei redditi familiari, non ha visto nell’ultimo quindicennio un sensibile inasprimento delle disuguaglianze (registrabile, invece, se si osserva l’ultimo trentennio, come documentato in diversi contributi presenti su questa stessa rivista[3]). Dunque la statistica smentirebbe la percezione di crescente insicurezza e disuguaglianza che l’opinione pubblica, in sintonia con il sistema dei media, avverte.
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Giorgiana Masi, le pistole e gli spari
Enrico Campofreda
Le piazze nella tarda primavera del 1977 venivano vietate al ‘Movimento' e conseguentemente a tutti i "disturbatori", compresi i radicali dei primi referendum. La studentessa del liceo Pasteur, colpita da un proiettile della polizia sul lungofiume accanto a ponte Garibaldi, lasciò sull'asfalto la sua giovane determinazione di vincere la paura con cui Andreotti e Cossiga governavano
Fumo e blindati, candelotti e scudi, poi la pistola e la bisaccia. Le tante pistole e gli spari.
Questo vedeva chi dopo le prime cariche della polizia nelle romane piazza Navona e san Pantaleo si ritrovava schiacciato a Campo de' Fiori tempestato da lacrimogeni e colpi d'arma da fuoco. Non si doveva manifestare a Roma come a Bologna, le piazze nella tarda primavera del 1977 venivano vietate al ‘Movimento' e conseguentemente a tutti i "disturbatori", compresi i radicali dei primi referendum. Proprio il grande passo civile della vittoria del referendum sul divorzio, prima sconfitta elettorale della Dc, si voleva celebrare quel pomeriggio. Dal ricordo festoso si passò al dramma. Più d'un manifestante venne ferito da colpi sparati da falsi manifestanti che altro non erano che agenti di Ps usati provocatoriamente dal Ministero degli Interni per seminare paura e poi morte. E la morte prese alle spalle Giorgiana Masi, studentessa del liceo Pasteur, colpita da un proiettile sul lungofiume accanto a ponte Garibaldi, dopo che i giovani erano stati spinti da Parione a Trastevere. Un intero pomeriggio in cui migliaia di agenti predisposti dal responsabile degli Interni Cossiga cercarono ripetutamente di uccidere usando - lo testimoniarono un'infinità di passanti - pistole d'ordinanza e non.
Lo mostrò più d'un filmato, contraddicendo le affermazioni giurate di Cossiga che sosteneva come nessuno, proprio nessun agente, avesse sparato, la polizia invece voleva vendicare il celerino Passamonti ucciso nelle settimane precedenti durante altri scontri al quartiere san Lorenzo. Le squadre speciali in quei mesi di governo Andreotti sorretto dalle astensioni della sinistra non erano una novità.
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Comunismo: qualche riflessione sul concetto e la pratica
Toni Negri
L’affermazione che la storia è storia della lotta di classe, sta alla base del materialismo storico. Quando il materialista storico indaga sulla lotta di classe, lo fa attraverso la critica dell’economia politica. Ora, la critica conclude che il senso della storia della lotta di classe è il comunismo: “il movimento reale che distrugge lo stato di cose presente”. Si tratta di starci dentro a questo movimento. Si obietta spesso che queste affermazioni sono espressioni di una filosofia della storia. A me però non sembra che si possa confondere il senso politico della critica con un telos della storia. Nel corso della storia, le forze produttive normalmente producono i rapporti sociali e le istituzioni dentro i quali sono trattenute e dominate: questo sembra evidente, questo registra ogni determinismo storico. Perché allora ritenere che un eventuale rovesciamento di questa situazione e la liberazione delle forze produttive dal dominio dei rapporti capitalisti di produzione costituiscano (secondo il senso operativo della lotta di classe) un’illusione storica, un’ideologia politica, un non-senso metafisico? Cercheremo di dimostrare il contrario.
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Aggressione all'umanità
Alessandro dal Lago
Quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta, dovrebbe scattare un imperativo primordiale al soccorso. Questo almeno sostengono le mitologie religiose. L'umanità, prima ancora di un'astrazione filosofica, è l'espressione di questo riflesso. Anche se non crediamo al diritto naturale e tanto meno alla retorica dei diritti umani, soprattutto nell'epoca delle guerre umanitarie, sappiamo che il limite minimo della comune condizione umana è definito da quell'imperativo. Rinviando i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano ha deciso di rinunciare di fatto e di diritto a qualsiasi minima considerazione umana. O meglio: ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato da essere umano. E dunque che abbia diritto a vivere, a essere curato e trattato come una persona.
Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul nostro sacro suolo ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame. Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli ai porti d'imbarco, l'Italia li condanna alla detenzione, alle angherie e, come è già documentato da anni, alla morte.
Così nel nome della difesa paranoica della nostra purezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell'opposizione, noi rispediamo nel nulla i nostri fratelli, uomini, donne e bambini. Proprio come, a diecimila chilometri di distanza, in nome della nostra sicurezza, le nostre pallottole uccidono i bambini e le nostre bombe cancellano dalla faccia della terra cento civili in un colpo solo.
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La FIAT prepara chiusure e licenziamenti
Marco Cedolin
Dopo settimane durante le quali i media italiani hanno incensato senza posa le politiche commerciali del gruppo FIAT e l’azione del suo ad Sergio Marchionne, indomito cavaliere lanciato alla conquista della Chrysler e dell’Opel, sembra essere arrivata la prima doccia fredda concernente i progetti per il futuro dell’azienda torinese.
I quotidiani tedeschi hanno ieri reso noti alcuni dettagli del nuovo “progetto Fenice”, attraverso il quale la FIAT intenderebbe perfezionare l’acquisizione dell’Opel e contemporaneamente suggere qualche miliardo di sovvenzioni pubbliche anche in Germania, come in Italia sta facendo sistematicamente da oltre mezzo secolo. All’interno delle 46 pagine che compongono il nuovo piano viene dichiarata l’intenzione di procedere alla chiusura in tutta Europa di una decina di stabilimenti (come riportato sulla cartina) con conseguente licenziamento di almeno 10.000 lavoratori.
In Italia gli stabilimenti a rischio smantellamento dovrebbero essere tre, Termini Imerese in Sicilia, Pomigliano in Campania e la Pininfarina di S. Giorgio Canavese in Piemonte.
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Lezioni per il futuro
La crisi finanziaria del 2008 muterà in radice il nostro mondo o, quando si concluderà, mercati, lavoro, finanza, produzione, assetti geopolitici torneranno al passato? Chi e che cosa hanno innescato la turbolenza prima su Borse e banche poi nella vita di tanti di noi? Quali regole e quali riforme sono necessarie, agli istituti finanziari, alla banche centrali e ai paesi perché la tempesta perfetta non si ripeta? Il Sole 24 Ore apre, in collaborazione con il Financial Times e Foreign Policy, un dibattito sul futuro del nostro mondo e le vie per accelerare la ripresa.
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«Eccesso di diseguaglianza la malattia da guarire adesso»
di Jean-Paul Fitoussi
8 maggio 2009
«È evidente che un processo politico che porti a una vera riforma delle istituzioni di controllo del sistema economico e finanziario internazionale è ovviamente molto complesso. Riuscire ad arrivare a forme di governo globale che non lascino fuori nessuno, che siano davvero inclusive, è un obiettivo che incontra resistenze anche fra quelle istituzioni, come l'Fmi o la Banca Mondiale, che non hanno fatto bene il loro lavoro».
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Cronache dal Regno d'Italia: la politica torna a corte
di Aramcheck
Definitivamente l'Italia è monarchica, dopo poco più di 60 non sempre gloriosi anni, salutiamo con un pizzico di malinconia la Repubblica. L'Italia torna monarchica, culturalmente monarchica più di quanto non lo fosse stata dopo il Risorgimento. Né costituzionale né statutaria, il modello è autenticamente medioevale. Il corpo fisico del sovrano occupa ormai lo spazio pubblico, la politica esce dal polveroso e inefficiente parlamento e torna finalmente a corte.
Nella monarchia non c'è opposizione al sovrano, TUTTI sono sudditi. Lo scontro politico, l'aperta conflittualità dialettica si svolge al di sotto della figura regia, tra frange aristocratiche rivali che possono conrapporsi al re soltanto per interposta persona. Contrariamente che in democrazia la vita privata del re appartiene allo spazio pubblico, viene data in pasto al popolino. La figura del sovrano, ricompare nell'attenzione cortigiana che si dedica alla vita privata e al corpo fisico di sua Maestà, ai suoi vizi e ai suoi vezzi, distogliendo in parte l'attenzione del popolino dall'effettiva liceità e trasparenza del suo agire.
L'immagine del Re è un'estensione della sua camera da letto, le sue gonadi suscitano scandalo e apprezzamento, la sua nomea di uomo vigoroso, se non di vero e proprio satiro, inorgoglisce velatamente la nazione. Gli incontri di Stato con gli altri sovrani, sono feste di palazzo la cui riuscita non si misura in decisioni politiche, ma nella capacità del sire di rubare la scena pur comportandosi da un buon ospite. Il sovrano deve mostrarsi in buoni rapporti coi suoi pari, soprattutto quelli più potenti, per dimostrare di non essere da meno di nessuno, portando lustro al regno.
La rivoluzione forse non sarà un pranzo di gala, ma il G8 sì.
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Gioco d'azzardo con truffa
Alessandro Robecchi
È passato un mese esatto da quando l'Abruzzo ha tremato, l'Aquila è stata colpita e affondata, i suoi cittadini ci sono rimasti sotto, e il Paese intero si è piegato dal dolore. Un mese durante il quale l'unica cosa che si è mossa perfettamente è stata la propaganda di un governo ricco di cinismo ma povero di aiuti. Guai a dubitare, guai a criticare: il consenso obbligatorio impastato con il lutto è diventato censura, la retorica - già fastidiosa di suo - si è innestata su toni da cinegiornale Eiar, davanti al premier salvatore si sono sprecati gli alalà.
Oggi possiamo parlare di questa enorme e crudele truffa cifre alla mano, perché le gambe corte delle bugie del governo Berlusconi, corso a far passerella a L'Aquila, sono scritte nero su bianco.
Otto, dieci, dodici miliardi per l'Abruzzo, dicevano le promesse. Ma il decreto legge n. 39 del 28 aprile suona un'altra musica, ed è un'altra gragnuola di colpi in faccia al popolo d'Abruzzo.
Proviamo un rapido riassunto. Primo: dei 150 mila euro di risarcimento ad abitazione non c'è traccia, non se ne fa cenno. Indiscrezioni dicono che saranno così ripartiti: 50mila cash (chissà quando), 50mila come credito di imposta (a carico dei terremotati), e altri 50mila come mutuo agevolato (che pagheranno i terremotati).
I soldi cash stanziati per i primi due anni (2009 e 2010) superano di poco il miliardo. Se si tolgono quelli spesi per la prima emergenza, rimangono 700 milioni di euro, appena sufficienti per le costruzioni temporanee.
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Il paradosso di Abilene e la dittatura della massa.
di Uriel
Sinora ho citato diverse volte il padadosso di Abilene, e mi hanno chiesto di spiegarlo. Contemporaneamente ho detto “dittatura della massa”, e anche questo termine e’ abbastanza oscuro. Cosi’ adesso vedo di sforzarmi di spiegare entrambe le cose, in un linguaggio semplice.
Il paradosso di Abilene.
Dunque: Nash ha dimostrato che il sistema raggiunga un equilibrio migliore se ogni giocatore si sforza di beneficiare anche il sistema (cioe’ di contribuire al risultato complessivo) oltre che a massimizzare il proprio punteggio. C’e’ pero’ un piccolo problema: se l’informazione non e’ completa, e’ possibile produrre un gioco paradossale assumendo che tutti i giocatori vogliano migliorare il sistema, senza sapere pero’ come farlo.
Il paradosso di Abilene prende il nome da un racconto nato per spiegarlo. Una famiglia che, come molte persone, crede che Abilene sia un posto bellissimo sta organizzando una gita. Nessuno dei partecipanti vorrebbe andare ad Abilene, ma tutti credono (poiche’ e’ risaputo che Abilene sia bellissima) che gli altri vogliano andarci.
Cosi’, poiche’ ognuno intende evitare di essere il tiranno del gruppo, ognuno decide di acconsentire ad andare abilene. Il risultato e’ una stravagante unanimita’, ottenuta rinunciando al proprio payoff a favore di un un presunto payoff globale. Il problema e’ che nessuno voleva andare ad Abilene, e il risultato e’ che nell’intento di massimizzare il payoff collettivo si e’ ottenuto il peggior payoff possibile sia per i singoli che per il gruppo.
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«Darfur a bassa intensità»
Irene Panozzo*
L'inviato speciale dell'Onu ridimensiona la portata del conflitto. Soddisfazione cinese. Ma anche gli Usa stanno cambiando politica
Un conflitto a bassa intensità. Un brivido deve aver percorso le schiene degli ambasciatori dei paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'Onu quando lunedì, in un incontro a porte chiuse, hanno sentito definire il conflitto in Darfur, in corso dal 2003, con queste parole. Ad avere l'ardire di rompere la retorica che, con una certa dose di veridicità, in questi anni ha permeato i discorsi sul Sudan e in particolare la sua regione più occidentale non è stato un analista qualunque. A prendere la parola davanti ai Quindici è stato Rodolphe Adada, ex ministro degli esteri del Congo e rappresentante speciale congiunto dell'Onu e dell'Unione Africana per il Darfur. Ovvero, il responsabile politico e diplomatico dell'operazione di peacekeeping congiunta Onu-Ua, l'Unamid, dispiegata in Darfur a inizio 2008.
A bassa intensità, e non da oggi. Perché, ha spiegato Adada illustrando ai Quindici l'ultimo rapporto del Segretario generale Ban ki-Moon su Unamid, dal gennaio 2008 a oggi le morti causate da atti violenti in Darfur sono state circa 2000. Come a dire, tra le 130 e le 150 al mese negli ultimi quindici mesi.
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Contenuti e rischi dell’accordo sulla riforma della contrattazione
Antonella Stirati
Il 15 aprile Uil e Cisl, ma non la Cgil, hanno sottoscritto un accordo per l’attuazione delle linee di riforma della contrattazione già da tempo in discussione e indicate in un documento sottoscritto nel gennaio scorso. Vediamo gli elementi di novità di questo accordo rispetto a quello del 1993, che ha finora regolato la contrattazione tra le parti, per poi riflettere su alcuni dei suoi possibili effetti sul salario reale e produttività.
I principali contenuti dell’accordo
Quadro generale
Come già nell’accordo del 1993, si prevedono due livelli di contrattazione, uno nazionale ed uno aziendale oppure territoriale, ma viene ora stabilito che non si possa contrattare sulla stessa materia in entrambi i livelli.
La durata di validità dei contratti viene portata da due a tre anni per entrambi i livelli di contrattazione. Durante il periodo di discussione sul rinnovo, per una durata di sette mesi, è prevista una “tregua” sindacale e non dovranno essere indetti scioperi. La stessa norma si applica, per un periodo di tre mesi, nella fase di rinnovo dei contratti aziendali.
E’ prevista la derogabilità da quanto stabilito nel contratto nazionale in aree territoriali interessate da crisi aziendali o per finalità di sviluppo economico delle aree stesse.
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Pandemia? Non ve la prendete con i maiali
Mike Davis
La chimera genetica detta «influenza suina» non è una sorpresa, Science l'aveva prevista da anni. È nata in allevamenti-industrie, ha travolto la Maginot chimica dei grandi paesi, ha beffato l'Oms. In nome del profitto
Le orde di turisti primaverili sono tornate quest'anno da Cancún con un invisibile ma sinistro souvenir. L'influenza suina messicana, chimera genetica probabilmente concepita in qualche pantano fecale di un industria di maiali, all'improvviso minaccia di portare la sua febbre in giro per il mondo. Il suo rapido propagarsi nel continente nord americano rivela una velocità di trasmissione superiore all'ultima varietà pandemica ufficialmente riconosciuta, la febbre di Hong Kong del 1968. Rubando la scena all'assassino ufficialmente designato, l'H5N1 altrimenti conosciuto come influenza aviaria – che oltretutto ha dimostrato di mutare vigorosamente – questo virus suino costituisce una minaccia di sconosciuta magnitudo. Sicuramente, sembra meno letale della Sars del 2003 ma, essendo un'influenza, potrebbe durare molto più di questa ed essere meno incline a tornare nelle segrete caverne da cui è saltata fuori. Ammesso che una normale influenza stagionale di tipo A uccide un milione di persone ogni anno, un suo anche modesto incremento di virulenza, specialmente se accoppiato con un'alta incidenza, potrebbe produrre una carneficina pari a un grande conflitto bellico. Intanto, una delle sue prime vittime sembra essere la consolante fiducia, per lungo tempo predicata dagli spalti dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che la pandemia potesse essere contenuta tramite una rapida risposta della burocrazia medica, indipendentemente dalla qualità dello stato di salute della popolazione locale.
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Dietro l'accordo Fiat - Chrysler
di Emiliano Brancaccio
La grande stampa, il governo e i vertici del partito democratico hanno salutato con euforia le recenti operazioni espansioniste della Fiat su scala globale. Oggi l’approdo nel mercato statunitense tramite l’intesa con Chrysler, e forse domani la conquista di Opel in Germania, sono stati interpretati come sintomi di quella italica capacità di “aggredire i mercati esteri” che è stata in questi giorni rimarcata dal presidente del Consiglio e da molti altri. I lavoratori tuttavia non dovrebbero lasciarsi ingannare da questa pioggia improvvisa di lustrini tricolore. La realtà infatti è che la Fiat ha acquisito il controllo strategico di Chrysler sotto la condizione che i sindacati americani accettassero un accordo capestro: congelamento dei salari, scatto degli straordinari solo oltre le 40 ore settimanali, cancellazione delle vacanze di Pasqua e di altre festività per due anni, pericoloso acquisto di una gran massa di azioni Chrysler da parte del fondo pensione dei dipendenti, e completa rinuncia agli scioperi fino al 2015. Massimo Giannini su Repubblica ha parlato di una soluzione responsabile e non ideologica da parte delle rappresentanze sindacali statunitensi. Ma sarebbe più onesta definirla una resa senza condizioni, che peserà non poco sulla localizzazione dei licenziamenti da un lato e dall’altro dell’Atlantico e che dunque costituirà un enorme problema per i sindacati italiani. Siamo insomma di fronte all’ennesimo episodio di quel generale processo di inasprimento della guerra tra lavoratori che sta sempre più caratterizzando l’evoluzione della crisi economica in corso.
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H1N1 è una normale influenza, ma lo spettacolo continua
di mazzetta
“Il virus dell'influenza suina è dello stesso tipo di quello dell'influenza stagionale che circola per il mondo ogni anno e uccide circa lo 0.1% degli infettati”. Lo ha comunicato il World Influenza Centre di Mill Hill, Gran Bretagna, dove hanno analizzato a fondo il virus dell'influenza suina. Alle stesse conclusioni sono giunti altri ricercatori: l'influenza suina è nulla di più di una “banale” influenza. Non c'è più un solo serio istituto di ricerca che ritenga il virus in grado di portare stragi o capace di una particolare resistenza a cure e rimedi già noti e disponibili. Nessun allarme del genere di quelli che circolano ancora in queste ore è quindi giustificato. La sua pericolosità è nella media di quella di altri virus influenzali, che ogni anno mietono decine di migliaia di vittime nel mondo senza suscitare particolare allarme.
Meno letale di quello dell'influenza aviaria, il virus dell'influenza suina è contagioso come altre forme comuni d'influenza e come questi interagisce con la popolazione umana. L'allarme per l'influenza suina è quindi infondato. Inutili le draconiane misure di profilassi, inutili allarmismo e paura, inutile anche la corsa all'accaparramento di medicine anti-virali. L'arrivo della stagione calda sarà più che sufficiente per stroncarla drasticamente come accade per agli altri virus influenzali.
Non è difficile comprendere come sia nato l'allarme. In Messico hanno effettivamente tardato ad accorgersi del nuovo virus, non tanto per le ricordate inefficienze dello Stato, quanto per il fatto che questa epidemia era in tutto e per tutto sovrapponibile alla gran parte delle epidemie influenzali che ogni stagione fanno il giro del mondo infettando una gran parte dell'umanità, compresa quella messicana. Quando se ne sono accorti, il timore di aver fatto un danno grosso ha spinto autorità sanitarie e governative ad esagerare in prudenza e nel volume dell'allarme. Resta il fatto che in Messico, nella corrente stagione influenzale, il virus della suina ha ucciso meno messicani dei altri virus già noti agli epidemiologi: qualche decina contro qualche migliaio.
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Profumo cede i mutui UniCredit agli amici di Galan
Il 10 novembre 2008 UniCredit Banca per la Casa Spa ha ceduto i crediti relativi a mutui ipotecari privati alla società Cordusio RMBS Securisation Srl
In questi giorni migliaia di titolari di mutui UniCredit stanno ricevendo una lettera in cui viene loro comunicato che il 10 novembre 2008 UniCredit Banca per la Casa Spa ha ceduto i crediti relativi ai loro mutui ipotecari alla società Cordusio RMBS Securisation Srl. Si tratta di un’operazione di cartolarizzazione. Il veicolo Cordusio incassa crediti per quasi 24 mld di euro ed emetterà bond per 22,5 mld garantiti dal pagamento delle rate da parte di coloro che negli anni passati hanno acceso mutui presso UniCredit. Un’emissione che viene definita dal Sole24Ore “mozzafiato, senza precedenti per il mercato italiano e tra le più grandi in Europa”. UniCredit assicura che questa operazione ha scopo puramente “prudenziale”, perché la banca non ha problemi di liquidità e che i titoli verranno utilizzati come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento da parte della BCE, cioè a garanzia dei prestiti concessi da quest’ultima. Moody’s inizialmente assegna al bond rating A1, il livello più alto della classe A, che contrassegna i “debiti di buona qualità,
ma con rischio futuro”, dunque un titolo di qualità “media”. A febbraio lo aumenta addirittura al livello più alto Aaa (prime: massima sicurezza del capitale, quello assegnato ai titoli di Stato americani): "L'azione di rating odierna è scaturita dall'aumento della riserva di cassa dell'operazione da 150.000.000 euro (0,63% del portafoglio originario) a 880.000.000 euro (3,7% del portafoglio originario), interamente finanziato da un ulteriore prestito subordinato" – afferma l’agenzia, presa da un ottimismo repentino quanto inspiegabile e che negli anni passati aveva assegnato rating incredibilmente alti ai titoli legati ai mutui subprime.
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Il caso Barclays: mordere la mano che nutre
di Mario Braconi
Interrogando Google si scopre che all’esotico nome di Valiha corrisponde uno strumento musicale tipico del Madagascar ricavato da due canne di bambù, simile ad una cetra: se sono pochi a saperlo, ancora meno sono quelli che sanno (e capiscono) cosa si nasconda realmente dietro all’omonimo “schema” strutturato dalla banca britannica Barclays. Secondo un esperto fiscale, si tratta di un “meccanismo elusivo ad alta precisione”, consistente in un “interest rate swap” (derivato di tasso d’interesse) stipulato tra Barclays e Credit Suisse con modalità particolari. Quali? Queste: si è riuscito a far sparire i profitti dai conti di Barclays e a farli ricomparire magicamente (ed esentasse) su quelli di Credit Suisse (non c’è da meravigliarsi se gli accordi prevedevano che alla banca britannica spettasse il 70% del cosiddetto risparmio fiscale derivante dall’operazione).
Accanto a Valiha al mondo è stato dato fare la conoscenza con almeno altre sei strutture, tutte identificate con nomi tanto suggestivi quanto misteriosi, tutti partoriti dalla fervida mente di qualche genio bancario di Barclays. E poiché di misteri si parla, esaminiamo Knight, ovvero “Cavaliere”: niente tavola rotonda, però, né singolar tenzoni, ma, assai meno nobilmente, un dispositivo geniale, messo a punto con l’unico scopo di “aggirare le norme fiscali sulle controllate estere” con un utile previsto di poco più di 60 milioni di euro in minori pagamenti di imposte.
Non male anche il progetto Berry, ovvero “bacca”: un frutto di bosco che per il Fisco britannico deve avere certamente un sapore aspro, essendo perfino ai suoi esperti impossibile districarsi tra i vari giri cui sono sottoposte le Index Linked Gilts (obbligazioni indicizzate) che ne costituiscono la “materia prima”:
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Sale la febbre suina insieme ai profitti di Big pharma
di Marco Cedolin
Prima la SARS, poi l’influenza aviaria, infine la febbre suina. Dall’inizio del secolo l’incubo della pandemia continua a riproporsi evocando i fantasmi di un lontano passato fatto di pestilenze e bubboni marcescenti, da leggere attraverso le lenti del presente che parla il linguaggio della guerra batteriologica, degli esperimenti con virus mutanti, dei laboratori segreti all’interno dei quali gli agenti virali vengono manipolati.
Come accaduto con la SARS e con l’influenza aviaria, anche l’epidemia di febbre suina che avrebbe già fatto un’ottantina di vittime in Messico e contagiato alcune persone negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda, si manifesta fenomeno estremamente difficile da interpretare. Sia per quanto riguarda le conseguenze che l’epidemia potrebbe avere a livello mondiale, sia per quanto concerne gli intrecci politici ed economici che sempre si muovono sullo sfondo di “allarmi globali” come questo, destinati a traumatizzare pesantemente l’opinione pubblica.
Stando alle ultime notizie la situazione a Città Del Messico, dove l’epidemia avrebbe avuto inizio, risulta piuttosto grave. Le vittime accertate sarebbero 81 e le autorità hanno deciso la chiusura delle scuole e delle università, oltre alla sospensione delle messe in tutte le parrocchie cittadine a tempo indeterminato.
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La crisi tra emergenza e interessi
Felice Roberto Pizzuti
Se si separa l’enfasi delle dichiarazioni conclusive del G20 dalla concretezza delle misure annunciate, la valenza principale del summit di Londra è nell’ammissione della dimensione epocale della crisi in atto che non è solo finanziaria, ma riguarda il meccanismo di crescita economico-sociale e gli equilibri economico-politici maturati a partire dai passati anni ’70, quando finì la cosiddetta “età dell’oro” iniziata nel secondo dopoguerra.
Nel trentennio post bellico il keynesismo, favorendo una migliore distribuzione del reddito e lo sviluppo del welfare, contribuì a conciliare il capitalismo con la democrazia, stimolando una grande crescita della ricchezza economica e una sua più estesa diffusione. Con la successiva progressiva affermazione del neoliberismo, la ricerca del profitto è diventata sempre più avulsa dalla stessa sfera reale dell’economia capitalistica e, ancor più, dalla dimensione sociale dei rapporti economici. L’enorme sviluppo della sfera finanziaria, il peggioramento distributivo e l’indebolimento delle scelte pubbliche hanno accentuato l’allontanamento dell’economia dai bisogni reali e dalla centralità del lavoro come strumento della produzione e della socialità dell’uomo.
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Imbarazzante
di Giulietto Chiesa
Ieri sera, guardando Anno Zero, ho provato imbarazzo. Per Vauro, per Sabina Guzzanti, per Corrado Guzzanti (che non c'era ma che abbiamo rivisto nel più mirabile editoriale politico degli ultimi quindici anni).
I veri eroi della serata, i veri combattenti: i comici, i pazzi.
Il resto è stato, appunto, imbarazzante.
Michele Santoro ha messo in scena il suo teatrino. Non dissimile, questa volta, da quello di Bruno Vespa. Perfino nello stile.
C'erano tre dei principali corresponsabili morali del degrado cui siamo giunti. Nell'ordine dell'improntitudine: Paolo Mieli, Enrico Mentana, Gad Lerner. Quest'ultimo, nel contesto generale della ‘langue de bois’ (lingua di legno, dicono i francesi per indicare chiacchiere dove la verità sparisce) è apparso addirittura in preda a una furia iconoclasta, quando ha chiarito i suoi, e degli altri, redditi - ma, s'intende, al ribasso. Riferendosi a se stesso, e agli altri presenti, ha parlato di "pappa e ciccia".
La pappa sono loro, la ciccia è quella del Padrone.
Gli altri due hanno fatto, come si suoi dire a Genova, i pesci in barile. Come se non avessero contribuito, dai loro posti di comando, a inquinare i rapporti tra media e potere, tenendo bordone, giorno dopo giorno, e aumentando i loro conti in banca. Invece davano l'impressione di venire da Marte.
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Goodbye liberismo. Ma ora?
di Alberto Burgio
Benché la responsabilità della crisi che imperversa distruggendo ogni giorno migliaia di posti di lavoro ricada per intero sulle classi dirigenti occidentali (degli Stati Uniti e dei loro partner capitalistici), il racconto della crisi è appannaggio pressoché esclusivo di banchieri, imprenditori e governanti, preoccupati di giustificare il quotidiano saccheggio di risorse pubbliche a beneficio delle imprese private in odore di fallimento. Non si tratta di un dettaglio trascurabile. È una circostanza che coinvolge la gestione politica della crisi e che può incidere in modo rilevante sui suoi stessi sviluppi. Perciò è fondamentale che vengano prodotte letture alternative, capaci di fornire strumenti analitici alle voci critiche superstiti. E per questo salutiamo con favore un libro scritto, a tamburo battente, da Alfonso Gianni, Goodbye liberismo (Ponte alle Grazie, pp. 368, euro 16,50) che ha il merito di riflettere sulla crisi ricercandone le radici nella vicenda ultratrentennale del neoliberismo.
Tale ampio angolo visuale è il maggior pregio del libro, che offre al lettore informazioni di non sempre agevole reperimento (a prezzo, forse, di una relativa scarsità di riferimenti ai contraccolpi della crisi sulle politiche macroeconomiche dei governi e sulla ristrutturazione in senso autoritario delle forme di controllo sociale e di comando dei processi produttivi).
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Quando tutto è pronto a saltare
di Pino Cabras
Il presidente statunitense Barack Obama sembra cercare un punto mediano impossibile, mentre passa fra gli scuotimenti della Grande Crisi, scossoni che richiedono scelte senza precedenti, come vedremo. Ai conservatori le sue parole provocano ribrezzi da rivoluzione. A chi invece vuole una qualche Revolution, Obama appare come un assiduo conservatore. Le fanfare per l’annunciata chiusura di Guantanamo non offuscano il fatto che sia ancora aperta, le parole distensive verso Cuba non sono partite da un ammorbidimento dell’embargo, la condanna della tortura non si estende ai torturatori, i tuoni della Casa Bianca contro gli extraprofitti dei banchieri non si traducono in lampi su Wall Street, dove anzi arriva un fiume di liquidità. Sullo sfondo ci sono sfide estreme.
I toni sono cambiati tanto dai tempi di Bush, ma la forza d’inerzia dei grandi fatti sociali, economici, finanziari, politici e militari dell’ultimo decennio domina ancora la risultante delle forze. Le grandi navi non si fermano subito.
Poteri influenti aspirano a chiudere la parentesi della crisi, innanzitutto nell’informazione, in nome di un qualche ‘status quo ante’ che si vorrebbe dietro l’angolo. Obama prova a cogliere questa impazienza per dare ali alla speranza, e invoca anche lui i futuri «segnali di risalita». Essendo più prudente di altri, prova però a dire che ci saranno ancora molte sofferenze prima di toccare il fondo.
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Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II
Come promesso nel post precedente, eccovi la seconda parte di tre. Se vi siete persi la prima parte, leggetela prima di procedere: racconta quella che sarà la Grande Fuga della Cina dal Dollaro.
Inevitabile default degli USA - GEAB 34 parte II
Tutti coloro che hanno letto la nostra Lettera Aperta ai leader del G20 pubblicata sul Financial Times il 24 Marzo (qui la nostra traduzione della lettera, NDFC) hanno già un’idea della nostra analisi di questo Summit di Londra. Ma dobbiamo ammettere che i risultati sono ancora peggiori di quanto immaginato.
[...]
Secondo LEAP/Europe2020, durante l’attuale crisi gli USA stanno scivolando giorno dopo giorno in una depressione che non ha pari nella storia della nazione e che sta arrivando ora al suo punto di rottura politico e sociale.
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Ecco il canto delle sirene: la crisi è finita
di Ilvio Pannullo
La grande buffonata che sta andando in scena in questi giorni parla di una possibile, anzi probabile se non addirittura certa, ripresa. Insomma il peggio è passato, è stato solo un brutto sogno. Dimostrando un eroico sprezzo del ridicolo, si azzardano addirittura i tempi che - manco a dirlo – saranno più che rapidi, praticamente immediati. Inutile dire che lo scempio di una televisione complice del disastro appare, così, in tutta la sua crudezza: le facce impudenti di coloro che hanno prosperato creando la catastrofe per tutti noi, accuratamente nascondendo e coprendo quello che stavano facendo, sono ora disposte nuovamente in fila per convincerci che la peggiore crisi del capitalismo sia già finita. Sono ovviamente tutte balle: quella che stiamo vivendo è una crisi di fiducia ed è proprio sulla fiducia delle masse che si gioca la partita. L’esito di questo folle gioco, che vede come protagonisti tutti quanti sono cointeressati al mantenimento dello status quo, non potrà che essere tragico. Non per tutti, s’intende. Chi non ha mai perso non intende iniziare certo a perdere ora.
Come dice saggiamente l’europarlamentare uscente Giulietto Chiesa “per l’economia della truffa l’ultima spiaggia è sempre la penultima”. Banchieri, centrali e meno centrali, ma anche giornalisti, commentatori di pagine economiche e di prime pagine, prima tutti lautamente retribuiti per non dire quello che sapevano, o che avevano l'obbligo professionale almeno di supporre, fanno ora a gara per ipotizzare miracolosi recuperi interpretando, il più ottimisticamente possibile, anche il più ridicolo trend rialzista
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GEAB 34 parte I - La Grande Fuga della Cina dal Dollaro
Ed eccoci di nuovo agli affezionati lettori con l'appuntamento mensile con il GEAB Report di Europe2020. Se non sapete di chi stiamo parlando, potete approfondire a questo post dedicato a quanto durerà la crisi economica.
Il GEAB 34 si articola in tre parti: una prima parte dedicata alla grande fuga della Cina dalla trappola del dollaro, una seconda parte dedicata al default del debito americano, una terza sul prezzo dell'oro e suggerimenti finanziari.
In questo post traduciamo ampi stralci della prima parte: la fuga della Cina dal dollaro.
La parola agli esperti di Europe2020.
Estate 2009: il crollo del sistema monetario internazionale è in arrivo
La prossima fase della crisi sarà il risultato di un sogno cinese.
In effetti, cosa mai potrebbe sognare la Cina, catturata - a sentire Washington - nella trappola del dollaro dei suoi 1400 miliardi di titoli di debito denominati in dollari?
Se ascoltiamo i leader americani e le loro schiere di esperti dei media, la Cina sogna solo di restare prigioniera, ed anche di intensificare la durezza della sua condizione di prigionia acquistando sempre più T-Bond (titoli del debito americano) e dollari.
In realtà, tutti sanno cosa sognano i prigionieri, no?
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Sui pirati vi stanno ingannando
di Johann Hari
4 febbraio 2009
Chi immaginava che nel 2009, i governi del mondo avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre leggete queste righe, la Marina Reale Britannica - appoggiata dalle navi di più di due dozzine di paesi, dagli USA alla Cina - sta navigando nelle acque somale per combattere degli uomini che ancora raffiguriamo come furfanti dalla pantomima del pappagallo sulla spalla. Presto combatteranno le navi somale ed anche inseguiranno i pirati sulla terraferma, in uno dei più disastrati paesi sulla terra.
Ma dietro le stranezze da linguaggio dei pirati di questa storia, vi è uno scandalo non rivelato. La gente che i nostri governi etichettano come "una delle grandi minacce dei nostri tempi" hanno una storia straordinaria da raccontare - e qualche buon diritto dalla loro parte.
I pirati non sono mai stati affatto quel che pensiamo siano. Durante l'"età d'oro della pirateria" - dal 1650 al 1730 - l'idea del pirata come rapinatore insensato e selvaggio, che tuttora persiste, è stata creata dal governo britannico in un grande sforzo di propaganda. Molte persone comuni la ritenevano falsa: i pirati erano spesso liberati con la forza dalla forca da folle di sostenitori. Perché?
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