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Lenin e “la questione economica fondamentale”
Dai Quaderni sull’imperialismo al Saggio popolare
di Eros Barone
«…le alleanze “interimperialistiche” o “ultraimperialiste” non sono altro che un “momento di respiro” tra una guerra e l’altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un’altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste…».
Lenin, L’imperialismo.
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Genesi della categoria leniniana di imperialismo
La categoria concettuale di imperialismo ebbe largo corso, nella letteratura politica di diverso colore, a partire dall’inizio del Novecento, ma essa veniva adoperata prevalentemente per indicare i caratteri dell’azione politica. Bisogna giungere all’opera del socialdemocratico Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario, 1 perché venga individuata nella formazione del capitale finanziario, in quanto fusione del capitale bancario con il capitale industriale fondata sulla preminenza del primo, la causa strutturale del fenomeno politico dell’imperialismo. Sennonché, come osserverà Lenin nei suoi appunti sull’imperialismo (pubblicati sotto il titolo di Quaderni sull’imperialismo), 2 Hilferding ignora o quasi la spartizione del mercato mondiale che viene operata dai trust internazionali, ignora il rapporto tra il capitale finanziario e il formarsi di un ceto parassitario che vive di reddito azionario, ignora i nessi tra lo svilupparsi dell’imperialismo e il sorgere dell’opportunismo nel movimento operaio. 3 Insomma, non gli sono chiare tutte le conseguenze politiche dei processi strutturali che egli è nondimeno il primo ad indagare in modo organico.
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“ECITY. Antropologia della Tecnica”. Una introduzione a “NOCITY” di Antonio Martone
di Gerardo Lisco
“NOCITY. Paura e democrazia nell’età globale” edito da Castelvecchi, il nuovo lavoro di Antonio Martone, docente di filosofia politica presso l’Università di Salerno, merita di essere introdotto dalla lettura del suo precedente saggio e cioè “ECITY. Antropologia della tecnica”.
I due volumi sono inscindibili ed è per questa ragione che la mia riflessione prende le mosse dal primo volume. “ECITY. Antropologia della Tecnica” è una riflessione filosofico – antropologica sul mondo connesso nel quale l’individuo, privo di identità e di senso di appartenenza, sempre più ridotto a nodo della rete di comunicazione, vive un’esistenza fluida e perciò di apparente libertà. L’ ECITY non è altro che la descrizione del nuovo totalitarismo dominato dall’economia neoliberale, ossia il liberalismo fondato sul diritto proprietario, in combinato disposto con il post moderno che, avendo abbattuto i confini tra le ideologie e privato di senso i termini destra e sinistra, ha creato il vuoto occupato appunto da questa non – ideologia, segnando la morte stessa della Storia.
Il saggio di Martone, analizza in prospettiva storica la genesi dello Stato moderno partendo dal Leviatano di Hobbes per soffermarsi sull’analisi, anticipatrice della crisi della Democrazia, condotta da Tocqueville in “ La Democrazia in America”[1]. Come scrive Martone nel suo saggio analizzando <<le radici del moderno>> se lo Stato moderno, sul piano teorico, nasce con Hobbes[2] e sull’idea del contratto sociale, ossia sulla cessione di parte della sovranità individuale a favore del potere assoluto dello Stato; sul piano politico ne sanciscono la nascita i Trattati di Pace di Osnabruk e Munster alla fine della Guerra dei Trent’anni.
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Appunti (e spunti di riflessione) sulla maledizione pandemica
di Nicola Casale
Pubblichiamo questi “appunti” usciti su nucleocom.org, a nostro avviso particolarmente lucidi e preziosi. Se non mancano alcuni elementi di disaccordo, condividiamo appieno che l’«abbaglio micidiale» preso da buona parte degli antagonisti e dei rivoluzionari rispetto all’Emergenza da Covid-19 sia stata (e sia) – ancor più della «cretineria venduta come scienza» – la confusione tra “collettività” e Stato: cioè il nodo irrisolto delle disfatte rivoluzionarie del Novecento. Così come troviamo assai convincenti gli spunti di analisi sui modi e le ragioni della gestione cinese dell’epidemia (dal blocco alle cure ai vaccini) e del tutto condivisibili le annotazioni finali sulla mobilitazione contro il lasciapassare e l’obbligo vaccinale. Insomma, un po’ di aria fresca. Buona lettura.
Fin dal primo manifestarsi della pandemia una maledizione sembra aver colpito la gran parte della sinistra antagonista e di quella rivoluzionaria. Gli effetti più evidenti e grotteschi si vedono da quando sono iniziate le mobilitazioni di piazza contro il green pass e l’obbligo vaccinale, da cui il grosso di queste tendenze non solo si è tenuto rigorosamente a distanza, ma si è unito al coro governativo contro gli irresponsabili individualisti, negazionisti, no vax, fascisti, ecc.
Francamente non mi stupisco. Credo che queste reazioni fanno parte di una dinamica inevitabile che segue una situazione di sempre più profonda crisi del capitale, all’interno della quale le precedenti posture di classe proletaria e delle soggettività politiche che vi si sono sviluppate intorno sono destinate a subire un completo spiazzamento. L’epoca di cui si stanno definitivamente chiudendo anche gli strascichi è quella dello scontro tra proletariato e borghesia e quella che ora si manifesta con vigore (pur essendo da tempo iniziata) è quella tra capitalismo e comunismo.
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Come potrebbe essere una società ecosocialista?
di David Klein
Prima di descrivere le possibili caratteristiche di un futuro ecosocialismo, vale la pena considerare perché un tale sistema sia addirittura necessario. Perché i problemi che l'ecosocialismo risolverebbe non possono essere risolti anche all'interno dell'attuale sistema capitalista globale?
La Parte I di questo saggio affronta tale questione riassumendo recenti rapporti scientifici sullo stato del clima e l'entità della crisi ecologica; facendo una revisione dei metodi e delle tecnologie disponibili che potrebbero essere utilizzati per affrontare le crisi climatiche ed ecologiche; e descrivendo brevemente l'incapacità strutturale del capitalismo di fornire soluzioni proporzionate alle crisi. La Parte II riprende poi il tema del titolo: l'ecosocialismo, insieme alle strategie per procedere in quella direzione.
Parte I: Contesto e background
È difficile sopravvalutare la minaccia alla vita sulla Terra rappresentata dalle crisi climatiche ed ecologiche. Nel 2019, un articolo su Nature ha avvertito che fino a un milione di specie di piante e animali sono sul punto di estinguersi, e uno studio delle Nazioni Unite dello stesso anno ha identificato il riscaldamento globale come uno dei principali fattori del declino della fauna selvatica. Gran parte della devastazione avvenuta fino ad oggi è stata catalogata nel rapporto del WWF Living Planet del 2020, che ha registrato un calo del 68% della popolazione di vertebrati in tutto il mondo solo negli ultimi cinque decenni. Più succintamente, gli scienziati riferiscono che la Terra sta vivendo una sesta estinzione di massa (la precedente estinzione di massa, avvenuta 66 milioni di anni fa, ha posto fine ai dinosauri).
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Sul privilegio
Note critiche su Agamben-Cacciari
di Roberto Finelli e Tania Toffanin
Abbiamo inteso di scrivere qualche riflessione insieme su quanto Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”), perché ci sembra utile fare un poco di chiarezza sullo spirito del tempo, sul Zeitgeist, di cui i due autori citati ci appaiono essere solo l’epifenomeno più vistoso e accreditato.
Vogliamo provare brevemente a comprendere cosa ci sia dietro una tale rivendicazione di libertà individuale, sottratta ad ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in un richiedere verosimilmente assai dimentico della definizione data, ormai tempo addietro, da Franco Fortini, secondo cui “la mia libertà inizia, non dove finisce, ma dove inizia la libertà dell’altro”. E dunque comprendere perché il nostro tempo, storico e culturale, si sia connotato, sempre più, per una moltiplicazione e ipertrofia dei diritti individuali del singolo, di contro ai diritti comuni e sociali.
Il dibattito che l’obbligatorietà della certificazione verde ha aperto si situa, peraltro, all’interno di uno scenario internazionale che impone alcune riflessioni. Pensiamo infatti che tale dibattito sia fondamentalmente centrato sui diritti individuali, all’interno di un contesto nel quale le libertà individuali sono pienamente garantite. Per contro, quanto sta succedendo in Afghanistan ci impone di riflettere, a partire proprio dalle libertà individuali, in termini meno eurocentrici. Sforzo questo che pensiamo sia necessario per uscire dal provincialismo del dibattito italiano ed europeo in tema di diritti fondamentali e libertà personali.
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Afghanistan, 40 anni di devastazione imperialista nel cuore dell’Asia
di CityStrike
Sembra un ritorno al passato quello a cui stiamo assistendo in questi giorni.
Improvvisamente assediati da una bulimica quantità di veline sensazionalistiche sull’Afghanistan, riscopriamo l’esistenza di un conflitto che si protrae da 40 anni e che, dopo 20 anni di “impegno” occidentale diretto, registra la riconquista completa del controllo del paese da parte dei Talebani: esattamente il medesimo soggetto per spodestare il quale si era mossa la pachidermica macchina da guerra USA/Nato.
Siccome stiamo parlando della guerra più lunga dell’epoca contemporanea, per costruire un ragionamento comprensibile sulla questione è bene riavvolgere il nastro, avendo cura di approcciare i fatti tramite gli strumenti dell’analisi marxista.
Il contesto geografico e storico
L’Afghanistan è un Paese dell’Asia centro-meridionale, che confina ad ovest con l’Iran, a sud-est con il Pakistan, a nord con le ex repubbliche sovietiche del Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan e ad est con la Cina, per soli 70km di frontiera.
Fin dall’antichità, la posizione geografica ha fatto dell’Afghanistan il crocevia dell’Asia centrale, ponendo il paese al centro di dispute imperiali di varia provenienza: dai greci ai persiani, dai mongoli a turchi, arabi, britannici e russi, praticamente ogni dominazione, dal mondo antico ad oggi, ha incrociato le proprie vicende con quelle afghane.
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Kit di pronto soccorso antifascista contro il nuovo lasciapassare. Un segnale importante che vale la pena amplificare
di Wu Ming
Clicca per ingrandire/scaricare l’infografica di Antifasciste contro il pass. Prima, però, ti chiediamo di leggere il testo qui sotto.
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Glosse al "Principio Speranza" di Ernst Bloch
di Carlo Formenti
Con questo post completo la trilogia iniziata con le Glosse all'ontologia dell'essere sociale di Gyorgy Lukacs e proseguita con la recensione alla "Filosofia imperfetta" di Costanzo Preve. Si tratta di tre testi che rappresentano la prima stesura di un libro di prossima pubblicazione il cui tema principale sarà la distinzione fra i tre regimi discorsivi che convivono nell'opera di Marx - grande-narrativo, deterministico-naturalistico e ontologico-sociale - e la necessità di liberarsi dell'eredità (storicamente datata) dei primi due e rivendicare l'assoluta attualità del terzo nella prospettiva di una rinnovata progettualità di trasformazione socialista del mondo.
1. Sogno, desiderio, speranza. Una ontologia del non ancora.
Lukacs, pone il lavoro al centro della sua Ontologia(1) ponendolo come modello di ogni prassi sociale, e definendolo “l’unico punto in cui è ontologicamente dimostrabile la presenza di un vero porre teleologico come momento reale della realtà materiale”. Nel primo volume del Principio speranza Ernst Bloch sembrerebbe incamminarsi nella stessa direzione. Cita il passaggio del primo libro del Capitale in cui Marx afferma che a distinguere il peggior architetto dalla miglior ape è il fatto che nella mente del primo il risultato dell’opera è già presente prima della sua esecuzione, commentando che “l’animale si riferisce allo scopo nei modi delle sue successive brame, l’uomo invece oltre a ciò se lo raffigura” (vol. I, p. 56). Indica nel lavoro il modello di quelle attività finalistiche che plasmano la realtà in quanto storia del soddisfacimento dei bisogni umani.
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Autointervista sulla gestione della pandemia da covid-19
di Nico Maccentelli
Ho ritenuto di scrivere questo articolo nella forma dell’autointervista perché per me così è stato più facile mettere insieme le riflessioni che ho fatto in questi ultimi mesi. La pandemia che ci sta sconvolgendo la vita da oltre un anno e mezzo e la gestione che ne viene fatta non può essere esente da dubbi, preoccupazioni, che riguardano la nostra vita, quella di chi ci sta vicino e di tutta la collettività. I miei ragionamenti sono quelli di un comunista, che come tale sa che nel rapporto tra umanità e natura non esistono zone franche, neutre: questa pandemia in particolare è nata da un salto di specie, comunque da un rapporto, una contraddizione tra l’umano da una parte ben interno sul piano ontologico e teleologico ai rapporti sociali capitalistici, e dall’altra l’ecosistema, la natura. Un rapporto mediato dalla scienza e dalla tecnologia che sono interne a questa contraddizione, anch’esse con uno scopo di parte.
Ho sempre pensato che la parola “biopolitica” fosse una definizione ridondante e che bastasse il termine “politica” per comprendere l’insieme di pratiche riguardanti la vita organizzata nella società. Ma oggi lo stravolgimento della vita individuale e sociale riguarda più profondamente i corpi (compresa la psiche), la loro esistenza biologica e relazionale, la loro estensione nello spazio. Fino a questo punto è arrivato il controllo sociale, aggiungendo al “sorvegliare e punire” di Foucault un terzo elemento: “colpevolizzare”. Un mutamento antropologico è in atto, dentro lo stesso sistema di relazioni sociali che è il modo di produzione capitalistico. Ma veniamo all’autointervista.
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Alcune domande sulla gestione del covid-19, vaccinazioni e green pass
D. Come sai stiamo assistendo in questo periodo a una divisione riguardo l’opinione sui vaccini. Cosa ne pensi tu?
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È il turno della Francia
di Giulio Palermo
Lunedì sera, il Presidente Macron ha aggiornato i francesi sul nuovo giro di vite sui loro diritti. Lo ha fatto, come è ormai costume, con un annuncio a reti unificate per radio e televisione.
Dal 21 luglio per accedere ai luoghi di svago e di cultura, tutte le persone non vaccinate di più di 12 anni dovranno produrre un test PCR negativo di meno di 48 ore. A inizio agosto, queste misure si estenderanno a bar, ristoranti, centri commerciali, ospedali (!), treni e aerei. Il 15 settembre scatterà l’obbligo di vaccinarsi per il personale infermieristico e non medico di ospedali, cliniche, case di riposo, istituti per disabili e per tutti i professionisti e i volontari in contatto con gli anziani e le altre categorie a rischio. A settembre, sarà anche predisposta una campagna di richiamo per permettere a quelli che si sono vaccinati per primi, che “vedranno presto diminuire il loro livello di anticorpi, di beneficiare di una nuova iniezione” (sì è proprio così: mentre ci dicono che il vaccino è la soluzione finale, danno per scontato che il suo effetto protettivo dura solo pochi mesi!). Nelle scuole saranno lanciate specifiche campagne di vaccinazione all'inizio dell'anno scolastico. I test PCR, finora gratuiti, “saranno resi a pagamento, al fine di incoraggiare la vaccinazione”. Già da oggi, sono inoltre rinforzati i controlli alle frontiere. Infine, cercando di prendere la faccia della maestrina buona, Macron ammonisce con chiarezza: “dovremo senza dubbio porci la questione della vaccinazione obbligatoria per tutti i francesi, ma per ora io scelgo di essere fiducioso”.
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Lettera aperta a Contropiano, su green pass e dintorni
di Roberto Sassi - Nico Maccentelli - Valerio Evangelisti
Seguiamo Contropiano, ed occasionalmente vi collaboriamo, fin dalle sue origini, lo riteniamo un prezioso strumento di controinformazione e formazione politica, per questo ci siamo presi il tempo per riflettere e confrontarci prima di scrivere questa lettera.
Riteniamo profondamente sbagliato e dannoso l’approccio con cui è stato affrontato il problema del green pass ed in generale dell’emergenza pandemica, sentiamo l’urgenza di aprire un dibattito sul tema che consenta di rettificare queste posizioni.
Il vaccino senza alternative?
I compagni che difendono o tollerano il green pass partono da un assunto mille volte ripetuto dal governo: la vaccinazione universale è l’unico modo per sconfiggere il virus. Un’affermazione totalmente infondata. Sono molti i modi per affrontare la malattia, anche prevenendo il ricovero ospedaliero: ci sono decine di farmaci, spesso a basso costo, che hanno avuto ottimi risultati, anche nella cura a domicilio. In Cina (dove la libertà di scelta terapeutica è a fondamento del sistema sanitario fin dalle sue origini) è stata utilizzata con successo anche la medicina tradizionale, bloccando le ondate epidemiche prima ancora di disporre del vaccino.
Eppure, non appena qualcuno si alza a sostenere la possibilità di guarigione per altra via che non sia il vaccino, incorre in scomuniche, minacce, insulti.
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Diario di una pandemia
di Lorenzo Biondi
Quando si parla della pandemia di COVID-19 bisognerebbe subito porre una domanda: sarebbe stato possibile gestire diversamente la pandemia, limitando i famosi lockdown ai tre mesi dell’anno scorso? Sarebbe stato possibile convivere col virus oppure fermare tutta l’organizzazione sociale ed economica era l’unica soluzione?
A mente più o meno fredda, dopo un anno e mezzo di dati, informazione e controinformazione, la risposta sembrerebbe propendere per la convivenza, piuttosto che per lo stato d’emergenza permanente nel quale ancora ci troviamo. E come si sarebbe potuto convivere col virus?
Innanzitutto, bisogna partire da una questione fondamentale: i lockdown erano sul serio inevitabili?
Probabilmente, nei primi mesi dallo scoppio della pandemia, cioè da marzo a maggio 2020, possono aver avuto una qualche utilità, successivamente molto meno.
A tal proposito possiamo citare gli studi del professor John Ioannidis, epidemiologo e professore alla Stanford University[1]. Cosa emerge dai lavori condotti dal professor Ioannidis? Gli studi dell’epidemiologo di Stanford mettono in evidenza come la gestione della circolazione epidemica dipenda essenzialmente da modelli statistici. Secondo i modelli utilizzati dal professore, infatti, emergerebbe una non significativa incidenza delle misure di contenimento non farmacologiche (cioè i lockdown); tra i paesi presi in esame dal professore abbiamo Regno Unito, Francia, Germania, Iran, Italia, Olanda, Spagna, Corea del Sud, Svezia e Stati Uniti d’America.
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Come interrompere una dialettica
Benjamin, Jesi e la rivolta contro il tempo
di James Martel - Emanuele E. Pelilli
Introduzione
La categoria di dialettica è allo stesso tempo quasi invisibile e profondamente pervasiva[1]. Mentre comunemente viene considerata come proveniente da sinistra, essendo associata alla teoria dell’hegelismo di sinistra e poi al marxismo, allo stesso modo è stata utilizzata anche dall’hegelismo di destra e conservatore. La teoria dialettica è soprattutto una modalità di abitare il tempo, una specie di struttura costruita per il progresso del tempo che, pur non portando sempre a istanze teleologiche (a seconda di come viene concettualizzata), permette attraverso un certo grado di presupposizione, di influenzare ciò che viene dopo. È, in un certo senso, un modo di proiettare il presente, o almeno parte del presente, nel futuro (o a volte anche nel passato), un modo di spiegare il futuro con termini che sono attualmente disponibili e di costruire, soprattutto, una forte relazione tra causa ed effetto che in un certo senso garantisce che almeno alcuni aspetti del presente saranno conservati nei – e attraverso – i processi distruttivi che il pensiero dialettico tende a concettualizzare e produrre.
Ci sono svariate ragioni per apprezzare il pensiero dialettico per il modo in cui funziona da narrazione del tempo più ricca e profonda di un vuoto progressismo liberale, che afferma semplicemente che il passaggio omogeneo del tempo stesso è tutto ciò che è necessario perché la storia proceda. La teoria dialettica riconosce cioè la natura antagonista del tempo storico. È anche in sintonia con il modo in cui la materialità e l’oggettività – almeno in certa versione, particolarmente quella marxista – gioca un ruolo in questo antagonismo, aggiungendo un elemento che non dipende interamente dagli attori umani che sono coinvolti nei suoi ritmi.
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Incredibile! C'è luce a sinistra!
di Sara Gandini
Avrei potuto scriverli io questi 14 punti, fin dall'inizio della pandemia. E qualcosa ho fatto, tanto da essere tacciata da personaggi che si definiscono di sinistra (per quel poco che questa parola oramai significa) e dal mondo femminista di essere pro-confindustria
Che a distanza di un anno e mezzo qualche riflessione in più ora si possa fare?
Io continuo a sperare.
Il seguente testo è di Mike Haynes e secondo me vale la pena di leggerlo attentamente perché non rinuncia a pensare tenendo conto della mia amata medicina che si basa sulle evidenze scientifiche (Evidence Based Medicine) in ambito di salute pubblica.
Come lui sono convinta che le scelte fatte durante la pandemia siano state prese su criteri ben lontani da quelli che si radicano sulla EBM e che questo non abbia fatto bene al paese a nessun livello. E a distanza di un anno e mezzo dall'inizio della pandemia è ancora così (scusate per la brutta traduzione).
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Covid-19 e la sinistra in 14 punti
di Mike Haynes
Faccio parte di quello che Owen Jones ha definito "il meraviglioso e strano mondo estremamente di nicchia degli scettici sul lockdown di sinistra". Non credo che Bill Gates sia al centro di una cospirazione globale né seguo Piers Corbyn. La mia nicchia è quella di pensare che abbiamo bisogno di una seria analisi socialista di quello che sta succedendo.
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La trappola dell'Afghanistan, 180 anni fa
Uno scritto di Friedrich Engels
a cura di Eros Barone
«Non è affatto una bizzarria pubblicare questo testo di Friedrich Engels sull'Afghanistan, scritto nell'estate del 1857 per la New American Cyclopœdia.» Così Valentino Parlato presentava tale testo in un suo articolo di dieci anni fa. E proseguiva dichiarando di essere convinto che sull'Afghanistan dominasse ancora una clamorosa ignoranza della sua storia e della sua geografia. Giova allora ricordare che dopo il disastroso intervento militare sovietico nel paese, un prestigioso generale dell'Urss ebbe a dire: «Se avessimo letto Engels, mai e poi mai ci saremmo imbarcati in questa avventura».
Sarebbe stato opportuno consigliare la lettura di questo scritto del “Generale” a tutti quelli che, nel corso di questi ultimi 180 anni, hanno voluto intervenire in Afghanistan, ma è noto che la storia è una maestra severa quanto inascoltata. Del resto, in Afghanistan dai tempi di Engels a oggi assai poco è cambiato: l'unico cambiamento rilevante è la diffusione della coltura del papavero da oppio, di cui oggi l'Afghanistan è il maggior produttore mondiale, mentre i maggiori importatori sono i paesi dell’Occidente capitalistico, ‘in primis’ gli Stati Uniti. Sennonché la lettura dello scritto engelsiano sarebbe stata utile ed istruttiva, al netto del livello culturale ed intellettuale dell’attuale responsabile della Farnesina, anche per gli altri responsabili del governo italiano.
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Afghanistan: vasto paese dell'Asia, a nord-ovest dell'India. In una direzione si estende tra la Persia e le Indie, nell'altra tra l'Hindukush e l'Oceano Indiano. In passato comprendeva le province persiane del Khorasan e del Kohistan, oltre che le regioni di Herat, Belucistan, Kashmir, Sind e una considerevole porzione del Punjab.
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No al green pass: inefficace contro il virus, utile solo a distrarre, dividere e reprimere i lavoratori
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Come mesi fa siamo stati contrari al decreto Draghi che ha stabilito l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario, e abbiamo difeso gli infermieri che si sono opposti ad esso; così ora siamo contro il green pass in quanto strumento di propaganda inefficace nel contrasto del Covid-19, e utile soltanto a deviare l’attenzione dell’opinione pubblica e a scaricare sui singoli (in primo luogo sui proletari scettici sul vaccino, spaventati, disinformati o più semplicemente impossibilitati a vaccinarsi) la responsabilità e i costi in termini repressivi dei disastri prodotti da stato e padroni, prima e durante la fase pandemica. Disastri che sono indissolubilmente connessi al modo di produzione capitalistico, al caotico aggrovigliarsi delle sue contraddizioni e alla sua natura devastatrice e predatoria, fondata sulla massimizzazione dei profitti a discapito di qualsiasi tutela della collettività, ivi compresa la salute e la vita dei lavoratori e, con essi, dell’intera specie umana.
La pandemia/sindemia da covid-19 è infatti il prodotto di una serie di fattori predisponenti tutti riconducibili ai meccanismi del capitalismo, e per questa ragione ci siamo fin dall’inizio battuti per metterne in luce le cause (ciò di cui pressoché nessuno si occupa), e per sostenere l’auto-difesa della propria salute da parte dei lavoratori.
In coerenza con questo inquadramento della pandemia, dal febbraio 2020 ci siamo battuti contro padroni e padroncini, proprietari e direttori di case di cura in testa che, mettendo il profitto al di sopra della salute e della vita delle persone, volevano tenere tutto aperto, una pretesa che ha provocato migliaia e migliaia di morti – bestia chi non li vede, o li mette tra parentesi.
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Green Pass: la guerra tra poveri che distrae dalle falle di uno Stato
di Alessia Diana
Un tampone negativo, un certificato di guarigione o l’essersi fatti somministrare la seconda dose di uno dei quattro vaccini a disposizione: saranno questi, a giorni, i criteri secondo cui si deciderà chi potrà tornare a vivere una vita quanto più vicina possibile a quella condotta prima del marzo 2020. L’introduzione dell’obbligo di possedere la Certificazione Verde per accedere a gran parte delle attività e manifestazioni che caratterizzano l’antica socialità ormai è una realtà tanto imminente quanto poco chiare sono le informazioni su come l’essenzialità del nuovo lasciapassare si estenderà di qui a pochi mesi. In un momento di fortissima instabilità economica e sociale, un provvedimento del genere, già di per sé terreno florido per lunghe discussioni di carattere giuridico, sanitario e politico è stato accolto, come prevedibile, in maniera assolutamente non uniforme.
Se c’è infatti chi ha reagito alla decisione del governo in modo favorevole, non sono mancate violente proteste. Non prevedere la possibilità di una reazione del genere da parte di una cittadinanza che nell’ultimo anno e mezzo ha vissuto un clima di tensione che non si sperimentava da decenni sarebbe equivalso, del resto, a sperare in un’utopia. Dopo quasi diciotto mesi da quando parole e concetti come quello di quarantena, di saturazione degli ospedali e di fasce di colore per le restrizioni sono entrate a far parte del quotidiano, la tensione ha trovato una nuova e ben più pericolosa valvola di sfogo.
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O’Connor: tra Marx e Polanyi per unire "rosso" e "verde"
di Bollettino Culturale
Con l'articolo intitolato “Capitalism, Nature and Socialism. A Theoretical Introduction”, pubblicato nel 1988 nel primo numero della rivista “Capitalism, Nature, Socialism” e che potete leggere in italiano nel libro “La seconda contraddizione del capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia” edito da Ombre Corte e con un’ottima introduzione di Jacopo Nicola Bergamo e Emanuele Leonardi, James O'Connor presenta per la prima volta la sua teoria della “seconda contraddizione del capitalismo”, considerata fino ad oggi da numerosi analisti come una delle tappe più importanti nel tentativo di elaborare un marxismo sensibile alle tematiche dell’ambientalismo. O'Connor specificherà ulteriormente la sua proposta teorica ed empirica nella raccolta di testi che compongono il libro “Natural Causes: Essays in Ecological Marxism” pubblicato dieci anni dopo, nel 1998.
A differenza di John Bellamy Foster che vede Marx come un pioniere dell'ecologia, James O'Connor sostiene che nell'opera di Marx manca un'analisi del legame tra capitalismo ed ecologia, non venendo considerata l'ormai onnipresente distruzione ambientale nella sua teoria dell'accumulazione capitalista e nel suo progetto politico di socialismo. Con la teoria eco-marxista della "seconda contraddizione", O'Connor cerca di risolvere ciò che identifica come un buco del pensiero marxiano. Afferma che un'analisi completa e adeguata del capitalismo non può essere soddisfacente se non include i sistemi naturali e il loro ruolo specifico nella produzione di valore e plusvalore, nonché nell'accumulazione di capitale. Inoltre, l'autore si propone di costruire una “teoria generale” che tenga conto dei legami tra: l'accumulazione di capitale, le tendenze del capitalismo a vivere crisi economiche ed "ecologiche" e i movimenti e le lotte sociali.
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L’arte di governare nel torbido. Due ipotesi su Green Pass e (assenza di) obbligo vaccinale
di Wolf Bukowski*
Se «non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore», dice Mario Draghi. Dunque per lui chi non si vaccina non è semplicemente un untore, ma un assassino.
Ora, secondo ogni logica, se il capo dell’esecutivo ha notizia che ci siano degli assassini in giro, deve ordinare ai birri di metterli in ceppi. Fuori dalla metafora odiosa a cui il primo ministro ci costringe, è chiaro che a un tale livello di allarme – che i governanti vi credano o meno non è dirimente – dovrebbe conseguire un obbligo vaccinale generalizzato, con esenzioni esclusivamente di ordine medico. Le note che seguono sono per spiegarmi perché ciò non avvenga.
Vorrei però in premessa fosse chiaro, anche a chi ha il vizio di leggere in fretta o di travisare a favor di social, che non sto auspicando l’obbligo vaccinale. In generale non lo auspicherei in nessun caso, e anzi ritengo siano le forzature in tal senso a generare diffidenza e sospetti. Quello dell’obbligatorietà rimane però un argomento sensato da dibattere; ciò che invece è sciocco negare è che esista uno specifico dei vaccini, perché i loro eventuali effetti collaterali colpiscono una persona che non ha contratto la malattia, e che magari non l’avrebbe mai contratta in vita sua. Ogni paragone da twitter con i farmaci – «Anche i farmaci che prendi potrebbero avere effetti a lungo termine che non conosci!» – è destituito di ogni fondamento, perché i farmaci curano, bene o male, e spesso con effetti collaterali, patologie già insorte; quindi il bilancio tra costi e benefici di un farmaco si fa sul corpo della stessa persona.
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Marx e Masoch
di Leo Essen
I
Nel capitolo XXIV – il penultimo – del primo libro del Capitale Marx parla della (cosiddetta) accumulazione originaria e dice che, visto che l’accumulazione del capitale presuppone il plusvalore e il plusvalore presuppone la produzione capitalistica, ma questa a sua volta presuppone la presenza di masse considerevoli di capitale e forza lavoro nelle mani di produttori di merci; visto tutto ciò, dice, questo movimento sembra aggirarsi in un circolo vizioso, dal quale gli economisti (Marx cita Adam Smith) escono soltanto immaginando un’accumulazione «originaria» - Smith la chiama appunto «previous accumulation»; una (cosiddetta) accumulazione originaria, dice, precedente l’accumulazione capitalistica, e che non sia il risultato del modo di produzione capitalistico, ma il suo punto di partenza.
Nell’economia politica, dice Marx, questa accumulazione originaria ha suppergiù la stessa parte che in teologia ha il peccato originale: Adamo dette un morso alla mela e così il peccato piombò sul genere umano. Se ne spiega l’origine, dice Marx, narrandola come un aneddoto – come un mito.
Per l’economia politica il punto di ingresso nella storia non ha storia.
L’economia politica distende il circolo in una linea retta. Ora tutto si svolge in modo naturale. Solo che, non potendo il capitalismo essere uscito dalle mani di un capitalista, si deve far retrocedere la sua nascita ad un tempo mitico, naturale, eterno, e far sbucare il capitalismo da un presunto stato di innocenza.
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Green pass e obbligo vaccinale – Contraddizioni insanabili del capitalismo nella frattura pandemica
di City Strike
Premessa metodologica
Quella che segue non è la nostra posizione sul dibattito in corso su green pass, vaccini ecc., ma una serie di note sulle contraddizioni che da questo dibattito emergono. Per noi non ha senso inseguire la cronaca quando ogni giorno vengono alla luce novità vere o presunte che spesso rendono il quadro generale incomprensibile. Non ci interessa, quindi, contrapporci con qualcuno, collocarci in qualche schieramento, strizzare l’occhio a chissà quale soggetto.
Quel che ci interessa è provare a fornire elementi di riflessione su come si affrontano le discussioni.
La complessità delle questioni che affronteremo nel testo pensiamo sia nota ai nostri lettori, la possibilità di essere fraintesi è quindi elevata.
Il testo è correlato da note che riteniamo essenziali per comprenderlo e non appesantirne la lettura. Devono perciò essere considerate come parte integrante dell’analisi e chiediamo quindi la pazienza di leggerle.
Al contempo, questo è un testo che trascura diverse questioni sulle quali occorrerebbe un approfondimento che a volte non è alla nostra portata perché mancano dati coerenti su cui fondare l’analisi, mentre in altri casi, non abbiamo le competenze per poterci esprimere.
Tuttavia, quello che leggerete di seguito pensiamo sia riassumibile in poche righe: crediamo nelle risposte collettive alle sfide che ci si presentano. Crediamo che il sistema in cui abbiamo vissuto e in cui viviamo non sia strutturalmente in grado di rispondere ad esse, se non amplificando le fratture sociali interne e verso l’esterno. In queste fratture i rivoluzionari devono intervenire non per inseguire rivolte più o meno estese, ma per sviluppare coscienza di massa dei problemi reali.
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Su un capolavoro di F. Engels (La situazione della classe operaia in Inghilterra) e una onesta ricerca sui “morti per disperazione” nell’Amerika di oggi
di Luca Bistolfi
“Morti per disperazione”: uno studio e un classico fanno riflettere sul sistema capitalistico. Che non aumenta il benessere, ma esalta disparità e dolore
Questo bell’articolo di L. Bistolfi (che francamente conosciamo poco, o nulla) stabilisce un accostamento interessante tra il massimo capolavoro (forse) di Federico Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (al 1844), appena ripubblicato da Feltrinelli – un libro da leggere e da rileggere ! -, e un’onesta ricerca di due accademici statunitensi su tre flagelli che imperversano negli Stati Uniti di oggi, e spingono i più disperati, in genere proletari o proletarizzati, verso la morte: l’alcool, la droga, il suicidio.
In tempi come questi, fatti di messaggi brevi, con tempi di lettura minimi e cronometrati (2, 5, 8 minuti), invitare alla lettura di libri e allo studio, ed in particolare allo studio dei nostri classici, è controcorrente. Lo sappiamo bene. E nondimeno invitiamo, incitiamo i frequentatori di questo blog a leggere i libri indispensabili (quello di Engels è tale) e, se si ha tempo, anche quelli utili a comprendere gli implacabili antagonismi del capitalismo.
* * * *
Bisogna elevare un grande plauso alla recente pubblicazione per i tipi di Feltrinelli della Situazione della classe operaia in Inghilterra, l’opera di Engels che lasciò ammirato Marx e che di fatto segnò l’inizio del loro sodalizio umano e politico. Un lavoro denso e preciso edificato sulla stampa e sulle relazioni delle commissioni dell’epoca e sulla diretta osservazione dell’autore, che schiude le porte dell’inferno sulla terra mostrando con spietatezza la realtà dei lavoratori e delle lavoratrici, bambini inclusi, a mezzo dell’Ottocento.
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La morbilità capitalista e la crisi globale
di Murray Smith, Jonah Butovsky e Josh Watterton - [*1]
Lo sconvolgimento sociale del 2020-21 potrebbe segnare una grande svolta nella storia mondiale. L'emergenza sanitaria globale causata dal Covid-19 e la crisi economica ad essa associata hanno prodotto effetti sociali e politici estremamente dirompenti e di vasta portata. Anche prima dell'inizio della pandemia - va notato - l'economia mondiale era già sull'orlo di una grave recessione, vacillando dopo una prolungata - e notevolmente tiepida - ripresa dalla Grande Recessione del 2008-09. Dopo diversi decenni di crescita lenta, questo era tutto ciò che era in grado di offrire: austerità e persistenti problemi di redditività nella sfera del capitale industriale, dove si producono valore e plusvalore. La recessione è stata poi notevolmente amplificata dai lockdown (totali o parziali) imposti dagli stati nazionali alle industrie, ai servizi pubblici e alle piccole imprese. Come risultato di questo processo, sono stati raggiunti livelli di disoccupazione e contrazione economica che rivaleggiano con quelli visti nella Grande Depressione del 1930.
Come affrontare questa crisi globale "combinata" avvenuta tra il 2020 e il 2021? Con poche eccezioni, le risposte che vengono date dai media aziendali, degli strati manageriali professionali, delle élite politiche e da molti economisti appaiono notevolmente uniformi. Coerentemente con la maggior parte delle valutazioni convenzionali circa i problemi attuali dell'umanità, questo evento viene visto come se fosse un fenomeno naturale: ecco che improvvisamente e «misteriosamente» è apparso un virus stranamente infettivo e subdolo ... Di fronte a questa emergenza, si comincia a fare un gran parlare delle decisioni e delle azioni consapevoli degli individui (professionisti della salute, politici, dirigenti d'azienda e giornalisti dei grandi media) in reazione ad essa. Questo serve a minimizzare il ruolo decisivo giocato da quelle potenti forze strutturali sociali che istigano, sfruttano e determinano la forma e la grandezza della crisi.
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Strage di Stato
di Sandro Arcais
Quella che segue è una mia presentazione ragionata del libro di Pasquale Bacco e Angelo Giorgianni, Strage di Stato. Le verità nascoste della Covid-19. Un libro che chiaramente vi consiglio di leggere
Il testo e i loro due autori possono essere contestualizzati nell’odierno conflitto che dilania il capitale statunitense, e quindi più latamente occidentale.
Grosso modo tale conflitto lo possiamo tratteggiare in questo modo:
– Il capitalismo della manifattura tradizionale (chimica, petrolio, agroindustria, grande distribuzione tradizionale, tabacco, ecc.)
– Il capitalismo della grande finanza, dell’informazione, dei dati, della biotecnologia, dell’high tech, ecc.
Il primo capitalismo ha aperto e condotto quella lotta di classe per l’egemonia culturale iperliberista che è partita alla fine degli anni Sessanta e ha trionfato in tutto l’Occidente, con sacche di resistenza sempre più flebile, incerta, spaesata e isolata in Europa. Grazie al fenomeno delle fondazioni, questo capitalismo ha imposto l’ideologia neoliberista del libero mercato, del libero movimento dei capitali, della deregolamentazione, della privatizzazione, dello stato minimo, delle tasse minime e del taglio alle tasse dei ricchi, del pareggio di bilancio, dell’austerità, del welfare privato per chi può e del welfare pubblico di sussistenza per i poveri, dell’individuo imprenditore di se stesso, ecc. Questo è il capitale trionfante degli anni Ottanta-Novanta-primi Duemila.[1]
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Perdere è una questione di metodo
di Elisabetta Teghil
Sono venuta a esplorare il relitto.
Le parole sono propositi.
Le parole sono mappe.
Sono venuta a vedere il danno che è
stato fatto
e i tesori che sono rimasti. […]
Siamo, sono, sei
per viltà o per coraggio
quell’uno che torna sempre
a questa scena
portando un coltello, una macchina
fotografica
un libro dei miti
nel quale
i nostri nomi non compaiono.
Adrienne Rich
<Alla fine degli anni ’70 i capitalisti ritrovano capacità offensiva e avviano un nuovo ciclo storico neoliberista. Quaranta anni più tardi la questione sembra ormai definitivamente risolta, hanno fatto tabula rasa del passato. La via tracciata sembra senza ritorno. E’ stata intaccata l’idea stessa di sinistra non solo sulla fattibilità dei suoi progetti ma sul futuro stesso di cui era portatrice. Un sentimento di vuoto, come la perdita di una certezza. Una sorda disperazione che paralizza.>*
A guardare alla quasi totalità delle rivendicazioni e delle lotte dell’oggi ci troviamo di fronte ad un panorama sconfortante e non perché siano poche rarefatte e discontinue, ma perché improntate a modalità assolutamente dissociate dalla realtà che abbiamo di fronte.
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L'eterno "Drang nach Osten" europeo
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BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
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Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Fabrizio Poggi: Abituare gli italiani alla guerra
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
Diego Giachetti: Dopo la fine del comunismo storico novecentesco
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
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A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
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Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
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Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
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Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto