Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 2710
Il discorso razzista come giustificazione dello sfruttamento
Intervista ad Alberto Burgio
Si intitola Critica della ragione razzista il recente saggio di Alberto Burgio, professore ordinario di Storia della filosofia all’università di Bologna. Il titolo è una parafrasi del più classico fra i classici di filosofia moderna, La critica della ragion pura di Karl Immanuel Kant, e non è ovviamente un caso. Kant è infatti il più significativo esponente dell’Illuminismo tedesco, ed è proprio sull’illuminismo che Burgio punta l’obiettivo, individuando in quel momento storico la nascita delle teorie razziste a giustificazione di fenomeni inconciliabili con la morale europea, come il colonialismo e la tratta degli schiavi. «Il razzismo – scrive Burgio – prende forma proprio mentre in Europa si svolge la battaglia vittoriosa delle borghesie nazionali contro i privilegi feudali per la propria emancipazione economica e politica, civile e religiosa. Questo nesso, nient’affatto esteriore, è la base materiale di quella struttura unitaria del discorso razzista di cui cercheremo di mostrare la centralità». Ed è proprio sul secondo capitolo del libro, dal titolo «Le razze degli illuministi», che abbiamo incentrato la nostra conversazione con Alberto Burgio, il cui volume ha lo scopo ultimo di fornire una lettura profonda e attenta della modernità di cui siamo figli, o meglio della «malattia congenita della modernità» che viene qui diagnosticata e ricondotta alla sua genesi. Quella stessa malattia che ci porta a manifestazioni di intolleranza e di violenza nei confronti dei migranti che dall’est europeo o dal sud del Mediterraneo tentano di giungere fino a noi.
* * * *
La storiografia è pressoché unanime nel considerare l’esperienza coloniale nelle Americhe (e in particolare la tratta e la riduzione in schiavitù dei neri) il luogo di nascita del discorso razzista. Una questione essenziale chiama in causa sulla base di tale premessa la schiavitù antica: come mai una teoria razzista non prese forma in connessione allo sviluppo dell’economia schiavistica in Grecia e nel mondo romano quando si svilupparono le prime vere e proprie società schiavili della storia?
- Details
- Hits: 2058
Lotta di classe, repressione statale e violenza padronale
di Eros Barone
[…] Ai nostri padroni, chiunque siano, / piace tanto la nostra discordia, / e finché ci disuniranno / resteranno i nostri padroni. / Avanti senza dimenticare / di che è fatta la nostra forza! / Che si mangi o che si abbia fame, / avanti senza dimenticare: la solidarietà! [...]
Bertolt Brecht – Hanns Heisler, Canto della solidarietà.
1. I fatti, il potere e il diritto
La premessa da cui occorre partire è che vi è un riemergere del conflitto capitale-lavoro e di reazioni ad esso cui non eravamo più abituati dagli anni Sessanta del secolo scorso. Questo è il messaggio che ci invia la morte di Adil Belakhdim, un giovane e combattivo sindacalista del S.I. Cobas assassinato da un autista crumiro nel corso di un picchetto svoltosi davanti al magazzino della Lidl di Biandrate: ultimo anello, per ora, di una catena sanguinosa di azioni aggressive e repressive poste in essere dallo Stato e dai padroni contro le lotte dei lavoratori del settore della logistica. 1
Gli analisti ci dicono, dal canto loro, che la democrazia liberale borghese e lo stesso Stato costituzionale di diritto, sorti dalle ceneri della seconda guerra mondiale, stanno vivendo una crisi profonda, probabilmente irreversibile, determinata da più fattori: la globalizzazione imperialista, i mutamenti della tecnologia, la trasformazione securitaria dei rapporti sociali, i flussi migratori, l’impoverimento di massa e i nazionalismi. Sennonché questo tema cruciale – la crisi della democrazia liberale borghese – non è stato finora affrontato in maniera e in misura adeguate, come dimostra l’oscillazione interpretativa tra la categoria della ‘democrazia autoritaria’ (un ossimoro meramente descrittivo e scarsamente esplicativo) e la categoria della fascistizzazione (un approccio che tiene maggiormente conto delle trasformazioni economico-sociali, politico-istituzionali e ideologico-culturali in corso).
- Details
- Hits: 1478
Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, I
di Alessandro Visalli
“La costruzione del liberalesimo – Invarianti e variazioni”
L’importante ed ambizioso libro di Andrea Zhok è uscito nel 2020 per l’editore Meltemi nella collana diretta da Carlo Formenti, “Visioni eretiche”, e di questa collana rappresenta sicuramente una delle pietre miliari. È da lungo tempo che condivido il punto di vista di Andrea e quindi questa lettura che farò, oltre ad essere come sempre influenzata dalle mie idiosincrasie ed orientamenti, ne risentirà. Inoltre, risentirà delle accentuazioni tematiche e delle priorità che reputo (non necessariamente in accordo con l’autore) attuali.
Detto in altre parole, vuole essere, anche qui come sempre, un invito a leggere direttamente il libro e trarne ciò che interessa e non alla sua sostituzione con questo pallido fantasma.
Per la sua complessità ed ampiezza compiremo la lettura di questo testo in tre parti:
- La prima, questa, tratta del processo di costruzione delle invarianti della ragione liberale e dei suoi caratteri tipici,
- La seconda, individuerà i “Regimi di ragione” che scaturiscono dalla struttura liberale e neoliberale di pensiero e pratica, quindi della ragione postmodernista,
- Nella terza parte, i “Regimi di verità” della ragione liberale verranno mostrati nelle loro applicazioni politiche, ovvero nella particolare forma di politico impolitico che è generato dalla ferrea logica liberale (tanto più forte quando non si vede e ci si pensa avversari).
- Details
- Hits: 1486
Contro lo smart working. Per una vera comunità del lavoro
di Matteo Falcone
Savino Balzano: Contro lo smart working, Laterza, 2021
È intuitivo comprendere come dopo un’esperienza così totalizzante, come sono stati questi 15 mesi di pandemia, almeno negli ambienti più accorti, si senta la necessità di discutere del nostro futuro. In una recente lezione intitolata La grande migrazione online: costi e opportunità, tenuta da Juan Carlos De Martin, professore ordinario di ingegneria informatica al Politecnico di Torino ed uno degli studiosi più attenti alle trasformazioni prodotte dalle tecnologie sulla nostra società e sulla nostra democrazia, sottolineava come sia arrivato il momento di iniziare una seria riflessione collettiva sul post-pandemia e su quale futuro vogliamo costruire per la nostra comunità nazionale. Un futuro che, ci avvertiva, verrà comunque costruito, ma senza un franco dibattito democratico lo sarà in modo più opaco e, probabilmente, prescinderà dagli interessi della maggioranza della popolazione italiana.
Contro lo smart working di Savino Balzano, appena edito da Laterza (2021), rientra pienamente all’interno di questo spirito. L’autore dichiara fin dalle prime pagine del saggio di avere come primo obiettivo innanzitutto quello di tentare di aprire un dibattito franco (e dal suo punto di vista critico) sul lavoro agile o, riprendendo la vulgata mediatica, sullo smart working. Un dibattito che oggi – come lo stesso autore non manca di sottolineare variamente – sembra essersi raccolto attorno a questioni marginali, concentrandosi spesso, se non prevalentemente, sui potenziali effetti positivi che il lavoro agile produce su una serie di questioni problematiche presenti nel nostro Paese (e non solo nel nostro Paese), piuttosto che essere centrato, come dovrebbe essere, innanzitutto sugli effetti di questo nuovo strumento di flessibilizzazione del lavoro sui lavoratori e sui loro diritti.
- Details
- Hits: 2716
Sraffa, Marx e la “Critica dell’economia politica”
di Alberto Lombardo
Prosegue, con questo intervento di Alberto Lombardo, il dibattito apertosi su "Cumpanis" sul rapporto tra Sraffa e Marx, a cui hanno dato vita gli studiosi Federico Fioranelli, Ascanio Bernardeschi e Giorgio Gattei
Il “Capitale – Critica dell’economia politica”
Perché Marx fece seguire il sottotitolo “Critica dell’economia politica” al titolo della sua più celebre opera? Se ci si soffermasse accuratamente su questo particolare, tanto in mostra quanto sfuggito ai più, probabilmente tutta una serie di equivoci si sarebbero evitati.
“Critica” significa che l’ultima cosa che Marx volesse fare era costruire un “sistema” (di hegeliana memoria) che spiegasse i meccanismi dell’economia a partire da leggi preesistenti (nel senso che esistono prima e indipendentemente da) i reali e multiformi e innumerevoli processi che invece si vogliono spiegare. Dove per “spiegare” Marx ci ha insegnato che egli intende: realizzare un’astrazione storicamente determinata” per cogliere, al di là dei dati empirici, le tendenze generali e la connessione logica e storica. Quindi tutto il contrario di quello che la “scienza economica”, in particolare quella odierna, pretende di trovare: sistemi autoconsistenti, che trovano rispondenza nella coerenza matematica dei modelli.
Tra parentesi vogliamo anche criticare la tendenza opposta, che è quella econometrica, in cui spesso si affastellano dati statistici estremamente dettagliati, che spesso mancando di trovare la corrispondenza con le teorie di cui sopra, si affannano a ritagliarne altre che si adattano perfettamente ai propri dati, ma spesso a non molto altro.
Tutte le categorie – e in particolare quelle dell’economia politica, quali il lavoro, il denaro, ecc. – sono frutti dell’astrazione.
- Details
- Hits: 3124
Il mito dell’insostenibilità della spesa pensionistica
di Thomas Fazi
Tra i tanti miti che continuano ad essere propagandati sul funzionamento dell’economia, uno dei più perniciosi riguarda senz’altro la spesa pensionistica e la sua presunta insostenibilità, uno dei mantra della politica italiana da almeno vent’anni. L’idea di fondo è che il “normale” nonché effettivo funzionamento dei sistemi pensionistici, e nella fattispecie di quello italiano, consista nel prelevare una certa percentuale dalla busta paga del lavoratore che poi viene “accantonata” in una sorta di “cassetta” previdenziale a cui lo Stato attingerà una volta che il lavoratore è andato in pensione per finanziare la pensione dello stesso.
A qualcuno che basi la sua concezione dell’economia sulla “saggezza convenzionale” – dunque alla maggior parte dei cittadini, ahinoi –, tale sistema potrebbe parere avere una sua logica. Peccato che questa rappresentazione del funzionamento del nostro sistema pensionistico non solo non abbia alcun senso, ma non corrisponda neanche alla realtà. Non ha senso perché gli Stati, a differenza di noi comuni mortali, non “risparmiano” oggi per aumentare la propria capacità di spesa un domani. La stessa idea che un surplus del bilancio pubblico rappresenti un risparmio nell’accezione tradizionale del termine, cioè una somma che viene “messa da parte” per poter essere spesa un domani, è errata: esso certifica semplicemente che in un dato periodo le entrate dello Stato sono superiori alle uscite, ma quei soldi non vengono accantonati, vengono effettivamente distrutti, tramite una semplice operazione contabile (giacché non paghiamo le tasse con i contanti ma per mezzo di trasferimenti bancari). Da ciò si evince come l’idea che lo Stato “metta da parte” i nostri contributi oggi per poi restituirceli un domani non abbia alcun senso.
- Details
- Hits: 1870
La postura della classe professionale-manageriale
di Asad Haider
Con la traduzione di questo contributo di Asad Haider, studioso marxista statunitense di origine pakistana, Transuenze esce in parte dai propri abituali temi incentrati su lavoro ed economia in senso stretto. La questione al centro di questo articolo riflette il problematico (da sempre) e oggi troppo spesso banalizzato rapporto tra «collocazione di classe», ideologia e politica. Il testo (scritto prima delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 3 novembre) muove dal confronto polemico, usiamo questi termini per velocità, tra «neopopulismo di sinistra» e «politiche dell’identità» intorno al ruolo della cosiddetta classe professionale-manageriale nei processi di costruzione di una politica anticapitalista. Il termine classe professionale-manageriale, coniato a suo tempo da Barbara e John Ehrenreich («The Professional-Managerial Class», 1977), in Italia è poco utilizzato, sul piano sociologico è prossimo a quello di «classe media salariata» o, se si preferisce, di «lavoratori della conoscenza», la cui funzione nella divisione sociale del lavoro si può – in modo generico e semplificato – individuare nella riproduzione della cultura e delle relazioni materiali capitaliste. In senso lato, tuttavia, possiamo dire che questo contributo chiama in causa il posizionamento ideologico e materiale delle figure del lavoro intellettuale in senso ampio. Haider, nell’individuare le sostanziali affinità epistemologiche tra il discorso «anti-PCM» e «pro-PCM», nella loro comune adesione ad un registro riduttivamente sociologico che elude i problemi dell’organizzazione e dell’ideologia nella formazione di una politica di classe, ci sembra fornire la base per impostare una riflessione che, ne siamo certi, ha risvolti importanti anche per la nostra specifica realtà.
- Details
- Hits: 994
Nancy Fraser, “Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo?”
di Alessandro Visalli
Il libricino[1] edito da Castelvecchi è la traduzione della Lectio magistralis che la professoressa Fraser ha tenuto alla rassegna di incontri “Ripensare la comunità”, che la casa editrice ha tenuto nel 2019 a Roma[2]. Si tratta dunque di un testo molto sintetico, scritto per essere letto. Un testo che contiene numerose formule eccessivamente sintetiche, per certi versi comprensibili per il genere del testo ma che dimostrano anche in qualche modo la scarsa dimestichezza con l’insieme del dibattito marxista della tradizione accademica americana (con importanti eccezioni, ovviamente[3]). Parte, infatti, dalla proposta di superare “l’economicismo”, ma si muove alla fine interamente entro di esso; critica in Marx la sottovalutazione del lavoro riproduttivo, senza comprendere i contesti ravvicinati e polemici dei testi che critica; sviluppa, in forma travestita, quel che è un discorso di dipendenza riferito a donne e ‘colored’, ma certamente generalizzabile; costruisce, alla fine, una proposta che ha un tono decisamente già sentito e in effetti è in contrasto con alcune delle sue premesse (se non altro quelle libertarie).
Ma veniamo in ordine. Per la Fraser bisogna superare gli stretti economicismi e “occuparsi di trasformare la relazione tra la produzione e il suo retroterra di condizioni di possibilità, cioè la riproduzione sociale, il potere dello Stato, la natura non-umana e le forme di ricchezza che si trovano fuori dei circuiti ufficiali del capitale, ma comunque alla sua portata”[4].
- Details
- Hits: 1794
Comizi d’amore 2.0 (FVG). Call for artists
di Alina Tomasella e Andrea Muni
Se oggi domandassimo a una persona qualunque per strada, a una persona “reale”, cosa ne pensa del ruolo della donna rispetto all’uomo nella nostra società, o se ritiene corretto promuovere l’approvazione di un disegno di legge a contrasto di ogni forma di discriminazione e istigazione all’odio di genere, quale risposta ci verrebbe davvero riservata? Cosa risponderebbe, davvero, la signora seduta al bar o il ragazzo che prende il sole sul bagnasciuga? Cosa pensa la gente, fuori dai denti, dell’amore e dell’eros, ora che le grandi battaglie per la liberazione sessuale si studiano sui libri di storia?
È il 1963, Pier Paolo Pasolini imbraccia microfono e telecamera, esce dai salotti della borghesia intellettuale romana e gira l’Italia per ascoltare la gente su sesso, amore e dintorni. Ne nasce un film: Comizi d’Amore. Un esperimento di “cinema-verità” in cui coesistono naturalmente le opinioni degli “istruiti” e quelle degli “ultimi”, quelle degli intellettuali e quelle del “popolo” – spesso culturalmente rozzo, ma retto e gentile (come piaceva dire a PPP). Ne scaturisce una raccolta di facce, parole e pensieri senza filtro; il ritratto di un popolo che (specialmente al sud) è ancora totalmente ignaro dell’imminente stravolgimento di valori che inizia già a investire il Paese, che di lì a poco Pasolini denuncerà col nome di “mutazione antropologica”.
- Details
- Hits: 1869
L’abc delle imposte sui redditi in Italia
di Roberto Artoni
Come sono tassati i redditi in Italia? L’analisi dei dati sull’Irpef e le altre imposte suggerisce le misure necessarie: ridurre l’evasione, tassare meglio i redditi da capitale e immobiliari, introdurre aggiustamenti mantenendo la progressività delle imposte
Ripetendo vicende più volte vissute in passato, è in corso il dibattito sulla riforma dell’Irpef, intesa come passo essenziale per il miglioramento del sistema di prelievo fiscale nel nostro paese. L’Irpef è un’imposta personale e progressiva che in linea di principio dovrebbe colpire il reddito complessivo delle persone fisiche, qualunque sia l’origine, capitale lavoro o immobili. Di fatto in tutti paesi, non solo in Italia, il tentativo di riportare nella stessa base imponibile tutte le categorie di reddito si è rivelato illusorio. Oggi l’Irpef si applica solo ai redditi di lavoro autonomo e dipendente, oltre che alle pensioni. Al contrario, ai redditi di capitale e immobiliari si applicano in larghissima misura regimi sostitutivi.
In un’analisi di questa imposta i problemi sono di duplice natura, e quindi materia di possibili riforme. Si deve analizzare l’Irpef com’è attualmente configurata, per valutarne la coerenza con il principio costituzionale per il quale il sistema tributario deve essere ispirato a criteri di progressività. Si dovrà poi stabilire se i regimi sostitutivi applicati ai redditi diversi da lavoro sono adeguatamente coordinati con l’imposta personale.
Nelle questioni tributarie è infine evidente che esiste una forte dissociazione fra enunciazioni normative e loro concreta applicazione: le migliori intenzioni possono essere rese vane da diffusi fenomeni di evasione.
- Details
- Hits: 1792
Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo
Un’anteprima
A brevissimo sarà in libreria per i tipi di Orthotes Editrice Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, uscito nel 2019 e curato nella versione originale da Ashish Kothari, Ariel Salleh, Arturo Escobar, Federico Demaria e Alberto Acosta. Il suo “arrivo” in Italia, curato da Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi e Salvo Torre, è frutto di un processo di traduzione militante, uno sforzo collettivo, a cui tante e tanti hanno partecipato – esempio di un “fare sapere” realmente cooperativo e partecipato.
Pluriverso è una raccolta di definizioni, di saggi brevi e analisi critiche sui processi che affondano le radici nella modernità, nel capitalismo, nel dominio di Stato e nelle pratiche maschiliste, a partire dalla globalizzazione neoliberale. Vi si mettono a critica le soluzioni di mercato (dal greenwashing agli approcci riformisti) e vi si descrivono iniziative di trasformazione radicale. Utile allo studio e alle iniziative di lotta per un mondo plurale, ricorda che in esse trova espressione la consapevolezza che un mondo ecologicamente saggio e socialmente giusto non solo sia possibile e necessario, ma per certi versi già esista.
Condividiamo oggi la Prefazione all’edizione italiana, di chi l’ha curata. Inoltre, due anteprime dal testo che ne dimostrano sia l’ampiezza di approcci che il legame con un dibattito vivo e condiviso anche dal nostro box di Ecologia Politica negli ultimi anni: Produzione Neghentropica di Enrique Leff e Il Salario al lavoro domestico di Silvia Federici.
* * * *
Prefazione all’edizione italiana
di Maura Benegiamo, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi, Salvo Torre
- Details
- Hits: 1184
Nancy Fraser, “La fine della cura”
di Alessandro Visalli
In questo piccolo testo è contenuto un intervento del 2016, edito da Mimesis nel 2017[1], nel quale la militante femminista americana Nancy Fraser si esercita in una denuncia della difficoltà del capitalismo, nella fase dell’accumulazione flessibile e della finanziarizzazione, a riprodurre la società e gli individui. In fondo l’idea è molto semplice, ed anche molto tradizionale: il capitalismo è, in ogni sua fase storica, interessato essenzialmente all’accumulazione del capitale ed annega nel gelido mare del calcolo utilitarista ogni altra considerazione. Una società improntata al capitalismo non è dunque orientata alla sua propria riproduzione, e dei suoi membri, ma all’estensione dello sfruttamento ai fini dell’accumulazione ed alla concentrazione. La riproduzione ne deriva, semmai, some effetto secondario eventuale. Questa tesi è pienamente marxiana.
La cosiddetta “crisi della cura”, deriva come somma di numerosi squilibri che producono nel loro insieme la compressione di capacità sociali non compiutamente mercatizzabili (come quella di generare e crescere figli, prendersi cura degli amici e dei familiari, mantenere le famiglie e le comunità più ampie e sostenere i legami sociali). Secondo l’ingenerosa posizione della Fraser tutte queste cose sono state “storicamente assegnate alle donne” (anche se, successivamente, lamenta che “mantenere le famiglie” sarebbe ingiustamente una prerogativa maschile). Tutto questo vasto ed eterogeneo insieme (cose importanti, ma vaghe come “sostenere i legami sociali”, palesemente svolte da entrambi i sessi) è, secondo il punto difeso, indispensabile, ma spesso non è in quanto tale remunerato.
- Details
- Hits: 1132
Appunti per un neoliberalismo dai margini
di Luca Villaggi
Utilizzando in particolare le analisi di Quinn Slobodian e Melinda Cooper, Luca Villaggi riflette sulla natura del progetto neoliberale. Lo fa riattraversando criticamente la riflessione di Karl Polanyi, i rischi di un certo conservatorismo o nostalgia a cui possono condurre: infatti, se mercato e capitale sono concepiti come forze essenzialmente disgreganti della vita sociale, la resistenza viene immaginata in termini di restaurazione, o al massimo di rinnovamento, di quelle proprietà e di quelle solidarietà sociali che il capitalismo tende a distruggere. Secondo l’autore, approfondire i modi con i quali il neoliberalismo ha cercato di «disciplinare i margini» e di ricostruire una società profondamente diseguale, differenziata e gerarchica, rappresenta un compito imprescindibile per la riflessione critica.
* * * *
Le riflessioni che seguono sono state sollecitate da Globalists. The End of Empire and the Birth of Neoliberalism di Quinn Slobodian e Family Values. Between Neoliberalism and the New Social Conservatism di Melinda Cooper, dei quali si è tentato di individuare una chiave di lettura comune. Da un lato abbiamo un volume che si propone di enfatizzare la natura antidemocratica e neocoloniale del progetto neoliberale, dall’altro lato abbiamo un testo che sottolinea la perturbante affinità elettiva del pensiero neoliberale con il neoconservatorismo sociale. Da una parte, vi è la rigorosa ricostruzione della prospettiva globale che il neoliberalismo dell’Europa centrale e continentale assume fin dalla propria origine, e dall’altra parte incontriamo un’analisi della convergenza che unisce i neoliberali statunitensi con una variegata costellazione di conservatori sociali nel tentativo di risolvere la crisi della famiglia fordista.
- Details
- Hits: 1400
Il G7 guidato da Biden attacca la Cina
“Build back better for the word” versus “Nuova Via della Seta”
di Fosco Giannini
Quali sono stati gli esiti più importanti del summitt del G7 (USA, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito) tenutosi in Cornovaglia, contea sud-occidentale dell’Inghilterra, dall’11 al 13 giugno ultimi scorsi? Molto è nella ” Dichiarazione di Carbis Bay”, il documento che ha preso il nome dal luogo di villeggiatura dove si è tenuto il summit delle 7 potenze del mondo (cosi come tutta la stampa occidentale ha definito i paesi che hanno partecipato all’incontro, dimenticando di aggiungere, dopo “7 potenze del mondo”, l’aggettivo “occidentale”, poichè la Repubblica Popolare Cinese, esclusa dal summit dal revanscismo imperialista di Biden, è oggettivamente più “potenza mondiale” di tutti i 7 della Cornovaglia).
Che cosa hanno messo, dunque, i 7, nella “Dichiarazione di Carbis Bay”? E anche: che cosa hanno omesso?
Partiamo da ciò che hanno omesso e, in verità, pavidamente, rimosso. Ciò che non hanno riportato nella dichiarazione finale è stato lo scontro politicamente violento che, seppur registrato e diffuso nel mondo dai media, non è stato, appunto, “ratificato”, per imbarazzo e vergogna, nella “Dichiarazione” finale e ufficiale, tra il Primo Ministro del Regno Unito, Boris Jhohnson, e i leader dei paesi dell’Ue. Su cosa è avvenuto tale scontro?
Dopo il 30 giugno dovrebbero entrare pienamente in vigore i controlli sulle merci che partono dalla Gran Bretagna per giungere in Irlanda del Nord, controlli sulle merci che l’Ue reputa necessari in quanto la Gran Bretagna è fuori dall’Ue e l’Irlanda del Nord nè è, invece, un paese membro.
- Details
- Hits: 1104
Sul femminismo oggi
Un dialogo a distanza fra Chiara Zoccarato e Alessandro Visalli
Quasi tutti gli articoli apparsi su questo blog sono di mio pugno. Solo in pochi casi ho accolto interventi di altri autori (sollecitati da me), questo è uno di quelli. Dopo essere intervenuto in più occasioni sul tema della degenerazione teorica e ideologica di un femminismo mainstream sempre più allineato con gli interessi del sistema capitalistico e con i valori e i principi neoliberali, ho deciso di pubblicare una riflessione inviatami dall'amica Chiara Zoccarato, la quale, pur duramente critica nei confronti delle correnti maggioritarie del femminismo, rivendica i motivi di fondo di un conflitto di genere che ritiene parte integrante della battaglia socialista e anticapitalista. Assieme al suo contributo, ho deciso di pubblicare anche le riflessioni critiche che quel testo ha sollecitato da parte di Alessandro Visalli (che me le aveva inviate dopo averlo a sua volta ricevuto da Chiara). Ovviamente entrambi gli autori sono stati avvertiti della mia intenzione e si sono dichiarati d'accordo. Penso che far circolare il loro dibattito sia importante, non solo per i temi che affronta, ma anche e soprattutto perché il modo in cui li affronta ha il merito di disincagliare la discussione dalle secche della sterile contrapposizione fra accuse incrociate di misoginia e misandria, in cui ultimamente sembra essersi impantanata. Ringrazio quindi queste due persone, della cui fraterna stima e affetto mi onoro, per avermi offerto questa occasione [Carlo Formenti].
* * * *
Alcune considerazioni sulla questione femminile
di Chiara Zoccarato
Qualcuno dice che la lotta di classe disturba il sistema, la lotta tra i sessi no.
E’ un’affermazione ad effetto, da verificare con più attenzione.
- Details
- Hits: 1749
Non era depressione, era capitalismo
La solidarietà tra rivoltosi è la cura migliore
di Franco «Bifo» Berardi
Pochissimo si parla degli eventi cileni, qui in Europa, terra di soldi e di vaccini. Anzi niente.
Ma una scritta comparsa sui muri di Santiago c’è arrivata.
Dice: No era depresión era capitalismo
È una frase densa di implicazioni: dice che la solidarietà tra rivoltosi è la cura migliore (insieme all’innamoramento e alla poesia) contro la depressione.
Ma dice anche un’altra cosa: che il capitalismo contemporaneo produce depressione.
Ai tempi di Freud, il capitalismo borghese e austero produceva nevrosi.
Ai tempi di Guattari, il capitalismo globale liberista e biopolitico (che Guattari e Deleuze cartografano in anticipo, come Foucault ne La naissance de la biopolitique) era destinato a produrre psicosi schizofrenica, e panico. Così è andata, in effetti: l’accelerazione dell’Infosfera ha prodotto un’intensificazione spasmodica della psicosfera: l’ansia panica è divenuta endemica, e la depressione è dilagata nella mente collettiva.
Ma oggi, ai tempi della pandemia e del collasso ecosistemico, oggi che cosa accade? Da un paio di decenni la depressione ha dilagato nella psicosfera giovanile. Il ciclo di precarietà, competizione, emulazione, umiliazione, l’invasione del tempo mentale da parte di un’eccitazione senza gioia ha agito come moltiplicatore della depressione.
Con depressione intendiamo l’effetto di un prolungato protendersi del desiderio verso un oggetto che sfugge, la caduta del desiderio, l’affievolirsi e lo spegnersi della tensione che dà senso all’esistenza.
- Details
- Hits: 3643
La rivoluzione incompiuta di Keynes: saggio sulla metodologia
di Anna Carabelli
Nella sua introduzione alla serie di Manuali Economici di Cambridge (1922-3), Keynes scrive: “La teoria dell’economia non fornisce un corpo di conclusioni stabilite immediatamente applicabili alla politica. È un metodo piuttosto che una dottrina, che aiuta il suo possessore a trarre conclusioni corrette” (CW XII, 856).
Questo passaggio evidenzia la continuità tra il Trattato sulla probabilità e le opere economiche di Keynes. Nella sua discussione con Roy Harrod nel 1938, cioè nel suo manifesto metodologico più maturo e schietto, quando afferma che “l’economia è una branca della logica, un modo di pensare, piuttosto che una scienza pseudo-naturale”, Keynes sta semplicemente riaffermando la sua posizione precedente (CW XIV, 296).
La visione di Keynes della teoria economica è quindi quella di un metodo o logica, forse meglio descritta come un apparato di ragionamento probabile. Nel capitolo 21 della Teoria Generale, scrive che l’oggetto dell’analisi economica “non è quello di fornire una macchina, o un metodo di manipolazione cieca, che fornirà una risposta infallibile, ma di fornire a noi stessi un metodo organizzato e ordinato di pensare a problemi particolari”. Aggiunge che “dopo aver raggiunto una conclusione provvisoria isolando i fattori complicati uno per uno, dobbiamo poi ritornare su noi stessi e permettere, meglio che possiamo, le probabili interazioni dei fattori tra di loro”.
- Details
- Hits: 1431
Alle origini della distinzione tra Marx esoterico e Marx essoterico
di Palim Psao
Contrariamente a quanto credono alcuni marxisti, non è stata la corrente della Critica del Valore ad aver stabilito per la prima volta la distinzione tra un Marx essoterico e un Marx esoterico.
Nel contesto dei marxismi tedeschi, questa distinzione è stata utilizzata dalle differenti correnti e dai vari autori del campo marxista; e questo ben al di là di quelli che erano i vari circoli/riviste legati alla corrente della Wertkritik (la quale, in realtà, non ha fatto altro che inscriversi in un dibattito preesistente; cosa che invece non viene affatto recepito dalla grande maggioranza dei marxisti francofoni, in gran parte all'oscuro dei dibattiti teorici marxisti nella Germania degli anni '70).
Per la prima volta, questa distinzione tra i "due Marx" venne fatta, nel 1957, da quello che è stato il primo serio marxologo dopo la seconda guerra mondiale: Roman Rosdolsky, in "Der esoterische und der exoterische Marx. Zur kritischen Würdigung der Marxschen Lohntheorie I–III", in: Arbeit und Wirtschaft, Jg. 11 (novembre 1957) , Nr. 11ff (una rivista sindacalista austriaca, della quale, da parte francese, solo Ernest Mandel sembra esserne a conoscenza, e che segnala questo articolo nel suo "La Formation de la pensée économique de Karl Marx"). Mandel ne riporta solo una parte:
«Più di cento anni fa, Marx incominciò a scrivere le sue lezioni di economia. Si tratta di un periodo considerevole di tempo, soprattutto se si considerano le enormi trasformazioni che il mondo ha subito da allora.
- Details
- Hits: 1859
Formare un mondo diverso: contro una scuola delle classi dirigenti, per la scuola che emancipa
di Lucia Donat Cattin – USB scuola
La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente […] L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale. Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare‑media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
A. Gramsci “Quaderni dal Carcere” QXII
L’assemblea di Cambiare Rotta, che si terrà a Bologna il 13 giugno, si terrà in quel luogo perché lì ha avuto inizio quel processo di Bologna, nato a fine anni ’90 del Novecento, volto ad “armonizzare” i sistemi europei di istruzione, che aveva in realtà lo scopo di metterli tutti armonicamente al servizio delle aziende e del sistema di produzione capitalistico.
In questa direzione sono andate, da quel momento in poi, tutte le iniziative europee sull’istruzione e quelle dei governi del nostro paese, innestando quel pilota automatico che ben conosciamo e che caratterizza le scelte politiche, economiche e sociali dei governi dei paesi europei da vent’anni a questa parte: l’Unione Europea decide e i governi nazionali applicano.
- Details
- Hits: 2591
La guerra fredda contro la Cina
Ovvero l'autogoal dell'occidente
di Carlo Formenti
Mentre scrivo queste pagine, il neo presidente Biden viaggia per il mondo nel tentativo di costruire un fronte euroatlantico in funzione anticinese e antirussa, ovviamente sotto egemonia statunitense. Un progetto che costerebbe caro agli alleati europei (per i quali uno sganciamento dalla partnership economica con la Cina comporterebbe effetti catastrofici), per cui è prevedibile che raccoglierà molti consensi sul piano formale assai meno sul piano sostanziale. Ancor più irrealistico appare l’obiettivo di rompere il legame fra Cina e Russia, convincendo la seconda a schierarsi con l’Occidente, soprattutto perché fondato non su aperture e concessioni, bensì su continue provocazioni politico-militari – vedi Ucraina e Bielorussia – e sanzioni economiche (con il risultato che per la Russia l’alternativa obbligata diventa quella fra capitolazione e ulteriore avvicinamento alla Cina). Pura stupidità, sopravalutazione delle proprie forze, sottovalutazione di quelle degli avversari? Probabilmente un mix di questi fattori, ma soprattutto c’è l’ottusa ripetizione di vecchie strategie inadeguate al nuovo contesto mondiale, così come c’è una chiara incomprensione della logica di un competitor – la Cina – assai diverso dall’Urss, il rivale sconfitto qualche decennio fa. A tale proposito, per chi volesse dotarsi di un minimo di conoscenze attendibili – al posto dell’indigeribile paccottiglia che ci viene quotidianamente propinata dai media di regime, con la complicità di non pochi intellettuali “di sinistra” – su cosa è la Cina di oggi, è consigliabile la lettura de La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, di Fabio Massimo Parenti, professore associato alla China Foreign Affairs di Pechino e docente al Lorenzo de Medici, The Italian International Institute di Firenze (il libro è appena uscito da Meltemi). Qui di seguito anticipo alcuni argomenti di questo lavoro.
- Details
- Hits: 1166
I fatti di Tavazzano Lodi nelle complicazioni della fase
di Michele Castaldo
Il fatto quotidiano, giornale democratico che ha sostenuto i governi Conte Uno e Conte Due, sui fatti di Tavazzano Lodi, titola in prima pagina: « Fedex Tnt: squadrismo contro gli operai licenziati ». Poi comincia l’articolo dicendo: « sarà un’indagine a svelare se il presidio dei lavoratori assaltato con bastoni e bottiglie è stato opera di bodyguard pagati dall’azienda ».
Sono i miserabili democratici al servizio di sua maestà il capitale che si scandalizzano per fatti che nei tempi moderni ormai non dovrebbero più accadere. Cerchiamo di entrare più da vicino sui fatti, e capire in profondità le complicazioni che presenta la fase per le condizioni dei lavoratori e la possibilità della loro organizzazione per difendersi in questa crisi.
Indipendentemente se siano stati bodyguard o lavoratori di imprese del nuovo appalto nel nuovo impianto di FedEx Tnt di Tavazzano Lodi ad aggredire gli operai licenziati della FedEx Tnt di Piacenza che cercavano di farsi sentire, perché licenziati in 298, bloccando il transito dei mezzi in entrata e in uscita delle merci, c’è un responsabile criminale che
si chiama rincorsa del profitto e che siede nelle poltrone dei capitani d’industria. Dunque c’è innanzitutto un imputato certo, pertanto non cerchiamo nella risposta del magistrato, che indaga, il colpevole, peggio ancora se certe indagini vengono affidate a certi magistrati come la dottoressa Pradella che giustificò l’intervento della polizia, a Piacenza, in virtù di « gravi fattori di pericolosità » nei confronti di lavoratori che chiedevano qualche sacrosanto diritto « garantito dalla Costituzione », o – peggio ancora – come il giudice per le indagini preliminari, la signora Donatella Bonci Buonamici che definì « atto di civiltà » la scarcerazione degli indagati incarcerati da un altro magistrato.
- Details
- Hits: 1324
Il prezzo della crisi
di Marco Bertorello e Danilo Corradi
Anche se gli addetti ai lavori sembrano non preoccuparsene più di tanto, dopo un lungo periodo di ristagno dei prezzi la crisi pandemica potrebbe costituire l’innesco di una impennata inflazionistica frutto della crisi del paradigma austeritario
La crescita dei prezzi ad aprile negli Stati uniti ha riacceso il dibattito attorno alla possibilità di una ripartenza del fenomeno inflazionistico. Il dato registrato è stato pari a +4,2% su base annua, una percentuale superiore di quasi un punto rispetto a quella attesa. In Europa e in Cina l’inflazione al consumo è ancora sotto quota 2%, ma la tendenza è alla crescita e soprattutto appare superiore alle previsioni la risalita dei prezzi alla produzione in Cina, che sempre ad aprile ha fatto segnare un +6,8%. Questi due dati non potevano passare inosservati dopo un lungo periodo di parziale deflazione, ma complessivamente non hanno preoccupato gli addetti ai lavori. Sembra farsi strada l’idea che il fenomeno abbia natura sostanzialmente temporanea, un rimbalzo dei consumi e delle scorte nel quadro del superamento dei mesi più duri relativamente alle misure di contenimento della pandemia.
Pur non potendo vendere certezze di segno opposto, l’idea del semplice rimbalzo ci convince poco, tanto più che l’ipertrofia e le contraddizioni della finanziarizzazione, che hanno spinto David Harvey a parlare di «complessità assai contorte del sistema finanziario», inviterebbero a dismettere metodologicamente l’idea che possano esistere certezze granitiche. Il quadro dell’economia globale è incerto e assai aperto a varie possibilità, tra cui quella di una fiammata inflazionistica non va esclusa. Tale evenienza era stata da noi avanzata in tempi non sospetti proprio sulle pagine di Jacobin Italia al termine della scorsa primavera, cioè in piena pandemia e recessione. Un’ipotesi che all’epoca poteva apparire azzardata, ma che oggi deve perlomeno essere presa in considerazione seriamente.
- Details
- Hits: 2554
La tragedia (o meglio la farsa) della tassa minima sui profitti
di Marco Bersani e Andrea Fumagalli
Atto I. Il potere delle multinazionali
Secondo il rapporto 2020 “Top 200. La crescita del potere delle multinazionali”, elaborato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, le imprese multinazionali sono 320.000 e occupano 130 milioni di dipendenti, pari al 4% degli occupati mondiali. Il loro fatturato è pari a 132mila miliardi di dollari, con profitti netti pari a 7.200 miliardi di dollari. Il 14% di questo fatturato è coperto dalle prime 200 imprese multinazionali.
Molte multinazionali hanno un fatturato superiore al Prodotto Interno Lordo degli Stati: nella comparazione, nei primi 100 posti compaiono 42 multinazionali (con la prima al 25esimo posto). Ma se il confronto viene effettuato tenendo conto delle entrate degli Stati e dei fatturati, le multinazionali presenti nei primi cento posti diventano 69 (con la prima al 13esimo posto).
Sempre secondo tale rapporto, le società quotate in Borsa sono circa 41.000, con un capitale complessivo di 84mila miliardi di dollari, pari al Pil dell’intero pianeta.
Tra gli azionisti delle prime 10.000 di queste società figurano per il 41% investitori istituzionali (assicurazioni, fondi di investimento, fondi pensione), per il 27% azionariato diffuso, per il 14% investitori pubblici, per l’11% imprese private e per il 7% investitori individuali.
I primi dieci fra gli investitori istituzionali gestiscono da soli il 57% della ricchezza totale finanziaria, mentre fra gli investitori pubblici, è il capitale pubblico cinese a fare la parte del leone (57%).
- Details
- Hits: 1851
Lo sdoppiamento virtuale dello spazio pubblico
di Renato Curcio
Riprendiamo questo lungo e interessante articolo di Renato Curcio, uscito sulla rivista “Su la Testa” (qui il link)
Con l’inizio del terzo millennio l’espansione del continente digitale planetario ha investito l’Italia e coinvolto nell’erosione progressiva dello spazio pubblico gran parte dei suoi cittadini. Con “spazio pubblico” non intendo soltanto quell’insieme di luoghi aperti e reali, ovvero non virtuali, entro cui lo Stato dovrebbe garantire a tutti la libertà di esercitare apertamente i diritti di cittadinanza, d’informazione, di attività culturale e politica in tutte le varianti. Ancora prima, infatti, lo si dovrebbe considerare come uno spazio strategico per la maturazione e il consolidamento delle nostre abilità relazionali; delle capacità di progettazione comune, di collaborazione empatica e di operatività condivisa. Come una grande rete di luoghi immaginati, voluti e liberamente istituiti da aggregazioni sociali autonome e autogestite. Luoghi aperti, dunque, in virtù dei quali possano svilupparsi e assumere una forma storica i momenti di confronto e le forme sorgive della creatività e del mutamento sociale. Nella seconda metà del Novecento gli spazi pubblici post-bellici avevano vissuto in questo Paese un importante scossone. Le deboli attrezzature associative istituite per via burocratica dallo Stato dovettero cedere il passo a nuove esigenze culturali portate avanti da un fermento generazionale e laico nato in alternativa anche ad altre istituzioni robustamente sostenute da enti religiosi o privati.
- Details
- Hits: 1183
I «disastri naturali sociali» e il nuovo movimento per il clima
di Thomas Meyer
1.
La rapida diffusione del movimento di difesa del clima nel mondo è veramente notevole (cfr. Haunss; Estate 2020). Notevole è anche l'odio di cui questo movimento è talvolta oggetto, specialmente l'odio contro Greta Thunberg. Semplicemente, il soggetto borghese in crisi non vuole ammettere che il suo stile di vita capitalista è diventato insostenibile. Perfino i più piccoli cambiamenti nelle viti che regolano il sistema, fanno andare su tutte le furie il «cittadino preoccupato». A partire da questo, il movimento per il clima non viene visto come un'occasione o come un'opportunità di riflessione e viene invece, fin dall'inizio, continuamente interrotto da «isteriche reazioni difensive» (cfr. Hartmann 2020, 118ss.). La «virilità tossica» si scarica attraverso innumerevoli commenti di odio e si manifesta per mezzo di "contro-movimenti" assurdi e assolutamente reazionari come i "Venerdì per la cilindrata" (attualmente con circa 500.000 membri). [*1] Coloro i quali vedono la loro automobile come se fosse un'estensione del loro cazzo sembra che si sentano simbolicamente evirati da una ragazza.
Mentre da una parte il cambiamento climatico è diventato ovvio e scontato, dall'altra viene ostinatamente negato dai populisti e dai radicali di destra (come Donald Trump e Beatrix von Storch).
Page 187 of 612