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Quello che sta per succedere e perché
di Fabrizio Tringali
Dopo un 2012 turbolento, il nuovo anno è iniziato in un clima economico di relativa tranquillità. Gli spread sono bassi e la crisi sembra concedere una tregua. Ma cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Le difficoltà sono davvero superate o sono destinate a riproporsi? Poiché esistono due opposte chiavi di lettura della crisi, per rispondere a queste domande è necessario capire quale sia.
Vediamole.
Chiave di lettura 1: Crisi dei debiti sovrani
Secondo questa chiave di lettura, alcuni Paesi europei hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità. Hanno aumentato il loro debito pubblico senza migliorare la competitività, rischiando il default. L'aumento degli spread indica che i mercati sono restii ad investire in titoli di Paesi spendaccioni e già molto indebitati.
La soluzione della crisi consisterebbe dunque nel rafforzare la disciplina di bilancio, imponendo un tetto al rapporto debito/PIL e implementando drastiche misure di austerity che diminuiscano la spesa. Per scoraggiare la speculazione, a livello europeo andrebbero inoltre introdotte forme di mutualizzazione dei debiti sovrani (acquisto di titoli da parte della BCE, emissione di Eurobonds) in modo che tutti i Paesi si impegnino a garantire, collegialmente, il pagamento degli interessi e il rimborso dei titoli in scadenza emessi dai singoli Stati.
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Il Freud di Fachinelli
di Pietro Barbetta
La scrittura di Elvio Fachinelli è piena di dissidenze, a tratti autobiografica, semplice, poi ostica. Si tratta di frammenti clinici, tratti dall’esperienza interiore. Un ottuso psicoanalista potrebbe pensare a Fachinelli come a un’Autorità (l’apostrofo non servirebbe, Autorità è maschile). Un inquisitore catturarlo nelle maglie della psicoanalisi ufficiale. Non è Weiss, non avrebbe stroncato Svevo. Né Musatti, non avrebbe esercitato il ruolo di Padre pubblico. Si colloca a sinistra. Scandalo della stupidità di molti intellettuali che non possono pensare a uno psicoanalista libertario: filosofi Milanesi, gazzettieri Romani, sociologi Bolognesi, politologi Torinesi, sognanti saperi astratti, che dicano la verità oggettiva.
Se fosse vissuto ai tempi di Reich – il pensiero di Reich lo conosceva bene – avrebbe subito la medesima inquisizione, ma la qualità della scrittura polifonica lo avrebbe salvato.
Quando scriveva Fachinelli erano terminate le pagine oscure dell’IPA? Dopo che Jones aveva accolto la psicoanalisi ariana mentre si preparava a espellere Reich. E ancora – certo meno gravi, ma altrettanto autoritari – i rischi corsi da Melanie Klein, i silenzi sulle dissidenze di Ferenczi, l’espulsione di Lacan.
Fachinelli viveva a Milano nel tempo della liberazione, quando il parco Lambro era più interessante della Statale.
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Recessione e deficit 2013
Guida pratica per... praticoni
di Orizzonte48
Dunque, dunque, Visco dichiara (tra "leggere" contestazioni di cui si sorprende) che "le regole (europee) di contenimento del debito non impongono necessariamente misure restrittive".
Bankitalia, però, quasi contemporaneamente, determina la recessione 2013 nell'1% del PIL.
La prima affermazione di Visco si bassa sul fatto che...ignora il moltiplicatore, e che, sostanzialmente, pare ritenere che le misure di "crescita" siano, in presenza di austerity "espansiva", le famose "riforme strutturali" sul lato dell'offerta che tanto beneficio danno e daranno al PIL italiano. Insomma, "egli" continua a credere nel crowding-out: tagli alle spese, dunque "meno Stato", fanno "crescere", perchè si ottiene ("dicono") aspettativa di minori tasse da parte degli "operatori razionali" a trazione "equivalente ricardiana" e comunque si ottiene una più, (indovinate), razionale allocazione delle risorse.
Ma se si sbaglia su questo può essersi sbagliato pure sulla misura della recessione.
Vediamo com'è andata nel 2012. Alla fine del 2011, si registra "crescita zero" e un indebitamento netto pubblico, (deficit/PIL) pari al 4%.
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Confindustria alla ricerca del profitto perduto
di Pasquale Cicalese
Solita solfa, “flessibilità del lavoro”, come se questa ti risolvesse i problemi. Ne hanno fin troppa dall’epoca del Pacchetto Treu e la produttività del lavoro è crollata. Nel frattempo, questi signori hanno avuto 15 anni di boom di profitti, evaporati nelle bolle azionarie e nel mattone. Non ci pensavano mica ad investire nelle aziende, piuttosto le spolpavano per arricchire i patrimoni familiari, i quali sono stati bruciati nella grande crisi. Ora li devono ricostituire, ma è dura, alquanto dura. Pensavano di andare in Cina per il “basso costo” del lavoro, ma quella dirigenza gli ha combinato uno “stoppino” con la reflazione salariale. Gli rimane la Moldavia, il Nord Africa, il Bangladesh, ma con questi paesi non ci fai poi molto. Unica controtendenza alla caduta del saggio di profitto la vedono nella “svalutazione salariale interna”; che poi le dimensioni delle loro aziende siano ridicole, che nessuno si quoti in borsa o che da un trentennio non investono una lira nelle loro imprese a loro importa poco.
Semplicemente non ci arrivano. Eppure, nel documento di Confindustria c’è anche altro da sottolineare. Uno dei cardini è la riforma del Titolo V della Costituzione, che nel 2001, grazie ai “geniali” Bassanini e Amato, ha dato un potere enorme alle regioni, con l’esplosione della spesa corrente e il conseguente ingrassamento del capitale commerciale.
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Dalla fine delle sinistre nazionali ai movimenti sovversivi per l’Europa
Toni Negri
I. Quando si dice globalizzazione dei mercati si intende che con essa vanno imponenti limiti alla sovranità dello Stato-nazione. Il fatto di non aver compreso la globalizzazione come un fenomeno irreversibile costituisce l’errore essenziale delle sinistre nazionali nell’Europa occidentale. Fino alla caduta dell’Unione Sovietica la leadership americana consistette nel combinare, prudentemente ma con continuità, le specificità nazionali dei paesi compresi nelle alleanze occidentali (e nella Nato soprattutto) e la continuità dell’imperialismo classico, raggruppandoli dentro un dispositivo di antagonismo con il mondo del “socialismo reale”. Dal 1989 in poi, crollato il mondo sovietico, allo hard power della potenza americana si è man mano sostituito il soft power dei mercati: la libertà dei commerci e la moneta hanno subordinato, in quanto strumenti di comando, il potere militare e di polizia internazionale – il potere finanziario e la gestione autoritaria dell’opinione pubblica hanno d’altra parte costituito il campo sul quale soprattutto si è esercitata la nuova impresa politica di sostegno alla politica dei mercati. Il neoliberalismo si è fortemente organizzato a livello globale, gestisce l’attuale crisi economica e sociale a proprio vantaggio avendo verosimilmente davanti a se un orizzonte radioso…. A meno di rotture rivoluzionarie, non essendo immaginabile una trasformazione democratica e pacifica degli attuali ordinamenti politici del neoliberalismo sull’orizzonte globale.
Di contro, al rafforzamento del sistema capitalistico nella forma neoliberale, lo sbandamento delle forze politiche della sinistra dopo ’89 è stato massiccio.
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Ripensare Marx e i marxismi
di Alfio Neri
Marcello Musto, Ripensare Marx e i marxismi. Studi e saggi, Carocci, Roma 2011, pp. 373. € 33
Il modo di leggere Marx è cambiato negli ultimi anni. Gli scritti sono (quasi) sempre quelli ma sono intervenuti due fattori nuovi che hanno cambiato molte cose. Innanzitutto, i nuovi equilibri geopolitici hanno reso obsolete le letture legate agli schieramenti della guerra fredda. Inoltre siamo molto vicini alla (speriamo) definitiva edizione delle opere complete di Marx ed Engels. In questo momento, l’intricata matassa dei testi pubblicati in vita (pochi) e delle opere rimaste manoscritte (tante) è ora, finalmente, disponibile. La fine della guerra fredda e la pubblicazione integrale di tutto (o quasi) quello che Marx ha scritto ci permettono di leggere in modo nuovo l’intera sua opera. Il punto di partenza è, comunque, un paradosso: in settanta anni il paese del socialismo scientifico non ha avuto il tempo di terminare un’edizione filologicamente scientifica delle opere complete del suo massimo ispiratore.
Negli ultimi anni è stato fatto molto per sbrogliare l’intricata matassa degli scritti di Marx e il lavoro filologico di Musto è uno dei più interessanti. Sulla base delle recenti acquisizioni ottenute con la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (Marx-Engels-Gesamtausgabe, MEGA), Musto ricostruisce con rigore e acume tutta una serie di tappe della biografia intellettuale di Marx e della sua opera. Questo lavoro di attenta lettura mette in luce l’enorme distanza tra la teoria critica di Marx e il dogmatismo dei marxismi che, dalla fine Ottocento ad oggi, sono seguiti. Si tratta di un lavoro importante che sta aprendo nuove prospettive di notevole spessore teorico.
La chiave di volta della vicenda sta, probabilmente, nella straordinaria vicenda della pubblicazione dei suoi scritti. La storia edizione dell’opera omnia di Marx, su adeguati criteri filologici, è sconcertante.
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La democrazia fa male alla crescita*
Slavoj Žižek
In una delle ultime interviste prima della sua fine, Nicolae Ceauşescu si sentì chiedere da un giornalista occidentale come giustificasse il fatto che i cittadini romeni non potessero viaggiare liberamente all’estero nonostante la libertà di movimento fosse garantita dalla costituzione. La sua risposta fu nel solco della migliore tradizione dei sofismi stalinisti: “È vero”, disse, “la costituzione garantisce la libertà di movimento, ma garantisce anche il diritto a una patria sicura e prospera. Siamo quindi in presenza di un potenziale conflitto di diritti: se i cittadini romeni fossero autorizzati a lasciare il paese, il benessere della loro patria sarebbe a rischio. In questo conflitto, è indispensabile operare una scelta, e il diritto a una patria prospera e sicura ha naturalmente la priorità”.
Sembra proprio che questo principio sia ancora oggi vivo e vegeto in Slovenia. Il mese scorso la corte costituzionale ha stabilito che un referendum sulla legge che istituiva una “banca cattiva” e una holding sovrana sarebbe incostituzionale, e di fatto ha proibito il voto popolare. Il referendum era stato proposto dai sindacati dei lavoratori che contestavano le politiche economiche neoliberali del governo, e la loro proposta aveva raccolto un numero di firme sufficienti a farlo indire in ogni caso.
L’idea alla base dell’istituzione di una “banca cattiva” era far convergere tutto il credito tossico delle banche principali in una sola, così che le prime potessero essere salvate dai finanziamenti pubblici (quindi a spese dei contribuenti), scongiurando qualsiasi indagine su chi fosse responsabile di questo disastro.
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Democrazia, oligarchia e capitalismo*
Andrea Bulgarelli intervista Costanzo Preve
Nell'intervista apparsa sul primo numero della nostra rivista Tu affermi: “La dicotomia non è dunque oggi (parlo di oggi, non del 1930) Democrazia/Dittatura, ma Democrazia/Oligarchia”. Si tratta di una presa di posizione radicale, che può suggerire almeno due conclusioni importanti. La prima è che la categoria di Dittatura come nemico principale viene tenuta in “animazione sospesa”, fungendo da paravento per interessi evidentemente inconfessabili. Al proposito, è bene ricordare la profonda ambiguità di tale categoria, che oggi viene utilizzata come sinonimo dei cosiddetti totalitarismi novecenteschi e dei loro presunti eredi (i social-populismi di Chavez e Ahmadinejad, la giunta militare birmana, ecc), ma che in passato è stata utilizzata da correnti democratiche, non necessariamente di ispirazione marxista. I giacobini francesi (Marat) e i repubblicani italiani (Mazzini) teorizzarono apertamente la dittatura, intesa come “Stato di eccezione” transitorio, indispensabile durante le prime fasi di una rivoluzione democratica, quando essa è ancora minacciata da nemici interni ed esterni. La seconda è che la grande narrazione dell'ultimo secolo come teatro della progressiva e addirittura definitiva (la famosa “fine della storia” di Fukuyama) affermazione del modello democratico, o meglio liberal-democratico, deve essere rigettata o perlomeno fortemente ridimensionata. Se il nemico principale non è nel Myanmar e in Iran ma “a casa nostra”, se i regimi che ci governano sono in realtà feroci oligarchie capitaliste, allora il novecento non è stato il secolo del trionfo della Democrazia attraverso tre fasi strettamente concatenate: il felice matrimonio con il liberalismo (una dottrina in realtà anti-democratica fin dalla sua origine, seppur apprezzabile per altri aspetti) la sconfitta prima del nazifascismo e infine del comunismo sovietico. Le cose stanno veramente così? La categoria metastorica di Dittatura e la grande narrazione liberal-democratica in tre fasi sono aspetti complementari del medesimo sistema di legittimazione oligarchica?
Per semplicità svilupperei la mia risposta in due parti.
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Shipping globale: Zeus batte Wotan
Sergio Bologna
Il capitale greco che fotte il capitale tedesco. Sembra una barzelletta, invece non lo è e la signor Merkel, così severa, certe volte, con gli stati "birichini" che spendono e spandono mentre la loro economia va a picco e produce milioni di disoccupati, dovrebbe oggi dimostrare la stessa, se non maggiore, severità verso i "birichini" di casa sua.
Stiamo parlando di shipping, di navi. Che c'entra la Germania con la Grecia? Cominciamo da quest'ultima. E' noto che lo shipping è l'unico settore dove la Grecia ha una leadership mondiale. Sono leggendari gli armatori greci, soprattutto per la loro abilità nel non pagare le tasse. Mentre milioni di greci stringono la cinghia, loro a dicembre hanno festeggiato le loro fortune in un ricevimento di mille persone in un grande hotel di Londra. La loro specialità tradizionale sono le petroliere ma ormai da un po' di tempo si sono allargati anche ad altri settori, le «bulk carrier», le container carrier, le Ro Ro. Se la sono vista molto brutta qualche anno fa, con la crisi del 2007/2008 ma, a differenza di altre volte, il Salvatore non ha assunto le modeste vesti del contribuente greco ma quelle ben più ricche della moneta cinese. Scriveva il Telegraph del 13 agosto 2012: «Le società greche stanno facendo squadra con le banche cinesi. Il premier Wen Jiabao ha consentito due anni fa che venissero erogati prestiti per 5 miliardi di dollari all'industria dell'armamento greca».
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Mega: PrivacyDotCom
InfoFreeFlow
Che tu sia maledetta FBI! La chiusura di Megavideo è un atto di guerra contro un’intera generazione!»
NeetKidz – ZeroCalcare
Con buona pace di Samuel Huntington e dei suoi rapaci epigoni annidati tra i falchi di Washington nell’era Bush, l’unico vero scontro di civiltà consumatosi negli ultimi anni e fondato su valori culturali, è stato quello che ha opposto le grandi major di Hollywood e la generazione digitale dei NeetKidz, raccontata magistralmente dalle strisce di fumetti di ZeroCalcare.
Il raid condotto un anno fa dalle autorità federali statunitensi contro i server di MegaUpload si colloca sullo sfondo di una guerra per il controllo del mercato dell’informazione in corso da anni tra anarco-capitalismo digitale e vecchi conglomerati dell’entertainement. Allora, il sequestro di migliaia di gigabyte di dati – ancora oggi nelle mani del Dipartimento di Giustizia, nonostante si trattasse in larga parte di materiali non coperti da copyright e quindi perfettamente legittimi – mise in luce come di fatto gli utenti non siano soggetti cui è attribuito alcun profilo giuridico. La tutela dei loro diritti (anche quelli di proprietà dei beni immateriali) non è ancora materia affermata o condivisa da alcuna dottrina o regolamento internazionale.
Ed è probabilmente a partire da questa intuizione che Kim ‘Dotcom’ Schmitz ha intenzione di fondare il suo nuovo impero. Il core business della sua nuova creatura, ribattezzata semplicemente MEGA, è la privacy degli utenti. Oltre allo spazio messo a disposizione (50 gigabyte gratuiti per gli account free, fino a 2 terabyte per quelli premium) crittografia ed un senso di sicurezza sono l’oggetto dello scambio.
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Le bugie dell'Ilva e la realtà dei fatti
di Girolamo De Michele
Prima di leggere questo intervento, ascoltate le parole di questo medico, Giuseppe Merico, nella puntata del 1 dicembre 2012 di Ambiente Italia (RAI3) [qui: l'intervista comincia al minuto 01:40]: parla di diossina nel latte materno, di bambini a cui viene diagnosticato un tumore – della diagnosi di un tumore alla prostata a un neonato di 3 giorni. È un'intervista rilasciata nei giorni della presentazione del decreto salva-Ilva (dl 3 dicembre 2012 n. 207 convertito in legge 24 dicembre 2012 n. 231), la legge ad aziendam che consente all'Ilva di continuare le proprie attività, e sulla quale pende il giudizio della Corte Costituzionale dopo il ricorso del Tribunale di Taranto. Con le parole di Adriano Sansa, ex sindaco di Genova e attuale presidente del Tribunale dei minori del capoluogo ligure (sempre nella stessa puntata di Ambiente Italia, al minuto 14:40):
«Noi stiamo accettando collettivamente l'alta probabilità (in diritto si chiama "dolo eventuale") che alcune persone - non ne conosciamo i volti ma sappiamo che esistono, a Taranto, adesso, adulti e bambini - si ammaleranno e moriranno per via di queste emissioni e dell'esenzione che viene autorizzata».
Questo è lo scenario su cui scorrono le notizie degli ultimi giorni, e in base al quale il governo oggi, martedì 21 gennaio, emanerà «un provvedimento che consenta di sbloccare la situazione».
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L’ Uomo, la Rete e la minaccia cyber-utopista
di Daniele Florian
New Englander, 1858
Beppe Grillo su contattonews, 2012
Se c’è qualcosa in cui l’essere umano eccelle è il saper ripetere continuamente i propri errori. Negli ultimi tempi, tra il malcontento generale e una diffusa mancanza di aspettativa nei confronti dei movimenti, forse alimentata dalla comodità della poltrona, è emersa una fiducia smoderata nei confronti della Rete, Internet, considerata da tanti lo strumento con il quale e sul quale le masse possono finalmente organizzarsi per giungere ad un cambiamento sociale.
Nel 1993, il produttore televisivo Rupert Murdoch affermò che la TV satellitare rappresentava una forza incontrastabile per l’esportazione della democrazia nel Mondo, perchè oltrepassando i confini territoriali poteva fornire ad ogni popolo le informazioni necessarie per acquisire una consapevolezza globale tale da permettere l’abbattimento di ogni dittatura. Una previsione che già all’epoca risultava risibile, visto quanto già allora la televisione fosse veicolo di messaggi sessisti, razzisti e di propaganda, ed è proprio partendo da questo esempio che possiamo trarre le prime argomentazioni per smontare la visione web-utopistica.
La visione ottimistica della Rete è fondata sul presupposto che Internet sia uno strumento tecnologico esclusivamente in mano alle forze democratiche della società, dimenticando il ruolo che svolge, come d’altronde ogni tecnologia, nell’intensificazione del controllo sociale e per il mantenimento dello status-quo.
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MPS è solo la punta dell’iceberg
Una nuova crisi bancaria è alle porte dell’Europa
Checchino Antonini intervista Emiliano Brancaccio
«Trovo maldestro, al limite del comico, il tentativo di certi media di valutare il caso del Montepaschi come un effetto di ingerenze politiche nella gestione bancaria. Sergio Rizzo, sul Corsera, ha addirittura candidamente affermato che il problema chiave sarebbe la dipendenza della banca senese dal potere politico. A suo avviso, quindi, per risolvere i problemi di MPS è sufficiente che la politica faccia un passo indietro e lasci la banca alle logiche del mercato. Ma qualsiasi osservatore che non abbia il prosciutto dell’ideologia liberista sugli occhi sa bene che questa è una interpretazione fuorviante e manichea dei fatti. La verità è un’altra: la crisi di MPS è soltanto il segno precoce e più evidente di una crisi bancaria di carattere sistemico, che ha le sue radici nell’onda speculativa che ci ha portato al tracollo dell’ottobre 2008 e dei cui danni si stanno facendo carico sempre di più i bilanci pubblici e i contribuenti».
L’economista Emiliano Brancaccio non conosce le banche semplicemente alla luce dei suoi studi sul “capitale finanziario” di Rudolf Hilferding, ma parla per conoscenza diretta dei fatti. Nel 2006 era stato chiamato in Banca Toscana per contribuire al risanamento del piccolo istituto di credito territoriale, di proprietà del Monte dei Paschi di Siena. Due anni dopo, nonostante i progressi di gestione, Banca Toscana venne improvvisamente chiusa e incorporata nel Monte.
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“In Amenas”
di Elisabetta Teghil
Quello che è successo in Algeria nel campo di gas naturale della British Petroleum di “In Amenas” è strettamente legato alle vicende del Mali.
A una prima lettura queste ultime non presentano nessuna novità.
Là dove ci sono ricchezze si scatenano gli appetiti delle multinazionali che intervengono in prima persona e/o, soprattutto, tramite i rispettivi governi.
Da qui il provocare artificialmente guerre interetniche e/o religiose, appoggiare o criminalizzare, a seconda della convenienza, movimenti indipendentisti, strumentalizzare i diritti umani e la violenza sulle donne. E, secondo tradizione, manipolare le notizie con la partecipazione attiva dei media e piegare le stesse al tornaconto dei paesi occidentali.
Fin qui niente di nuovo. Ma una novità c’è.
I cittadini occidentali che lavoravano in “In Amenas” e che erano i veri destinatari dell’azione di occupazione di quel centro, sono stati sacrificati con un’offensiva dell’esercito algerino che ha messo in preventivo e data per scontata la loro uccisione.
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Chi paga la crisi e chi ci guadagna
Luigi Pandolfi
La campagna elettorale sta entrando nel vivo, ma, com’era facile prevedere, visti gli attori in campo, i temi veri, quelli che afferiscono al futuro del paese ed alla sua capacità di vincere le sfide che ha davanti, rimangono inspiegabilmente sullo sfondo.
E tra i temi veri, vale la pena ricordarlo, c’è quello che riguarda i nostri impegni con l’Unione europea e le sue strutture tecnico-finanziarie. Insieme a quello, correlato, della compatibilità del nostro diritto al futuro con le scelte finora compiute sul terreno della costruzione dell’Europa monetaria.
Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha ratificato, in un clima che potremmo definire inerziale, due importanti trattati, quello sul Fiscal compact e quello sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Il primo impegna il nostro paese a ridurre il debito pubblico nei prossimi venti anni, fino a portarlo entro la soglia stabilita dal Trattato di Maastricht (60% del PIL). Considerato che il debito italiano ammonta ormai a circa 2000 miliardi di Euro, che in rapporto al prodotto interno fa il 127%, per raggiungere l’obiettivo del trattato bisognerà rastrellare circa 900 miliardi di Euro in venti anni, 50 ogni anno, 150 milioni ogni giorno.
Il secondo è riferito invece all’istituzione del cosiddetto “Fondo salva stati”, un plafone di 650 miliardi di Euro che l’Europa metterebbe a disposizione, previa accettazione di vincoli draconiani dal lato della riduzione della spesa, dei paesi a rischio bancarotta. Chi alimenterà questo portafoglio?
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La lotta ai tempi dell’Ikea
Potere, organizzazione e solidarietà
Clash city workers
Un’analisi a partire dalla lotta all’Ikea che, lungi dall’essere terminata, ha però il merito di averci già fornito un bagaglio enorme e indispensabile di esperienze e spunti di riflessione. Nei paragrafi che seguono, non ci soffermeremo sulle fasi della lotta che è ancora aperta e in aggiornamento (qui potete trovare una ricostruzione tappa per tappa): proveremo a dare un contributo che metta in risalto quelle che consideriamo alcune tendenze dello sviluppo del capitalismo in Italia e gli elementi della lotta interessanti e potenzialmente riproducili nel tempo e nello spazio.
Se vai con la bandiera a fare uno sciopero tradizionale o sali sul tetto puoi stare lì anche tutta la vita, non cambierà niente. Basta con lo sciopero della fame o cose del genere, perché la fame la deve fare il padrone! A noi basta già la sofferenza che viviamo tutti i giorni sul posto di lavoro. Mohamed, operaio alla TNT di Piacenza |
Oggi, per molti, guardare ai movimenti sociali e politici in Italia significa andare incontro allo sconforto. Tranne qualche eccezione, sebbene importante, sembra proprio che non siamo all’altezza dello scontro in atto.
Malgrado ciò, le lotte sui posti di lavoro non sono finite. Anzi, in apparenza paradossalmente, si moltiplicano. Con casi molto rilevanti, almeno in astratto, perché molto dipende da cosa siamo capaci di leggere noi all’interno di quei processi.
Prendiamo la mobilitazione degli operai delle cooperative in appalto presso il deposito IKEA di Piacenza: la si può considerare come una ‘semplice’ vertenza sindacale.
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Un deserto chiamato guerra
Gian Paolo Calchi Novati
La Francia combatte la sua guerra: l'attacco, preventivo sugli alleati se non sul nemico, servirà a segnare le gerarchie. Hollande avrà tempo per far posto alle truppe dei vari paesi africani e degli alleati europei o della Nato. Gli africani servono per fingere di adempiere alla risoluzione Onu che i «legalisti» - per quello che può valere e a prezzo di qualche forzatura - richiamano per tacitare le (poche) opposizioni. I «realisti», dal canto loro, pensano solo ai risultati e non alle forme.
Le motivazioni della guerra, nel duplice significato di cause e obiettivi, sono già state sviscerate: il jihadismo, le materie prime, lo spazio, il prestigio, l'impiego di armi vecchie da consumare e di armi nuove da provare. Nessuna guerra nasce da una sola causa e insegue un unico obiettivo. Senza nemmeno discutere il merito della questione i volenterosi di turno stanno correndo a costituire la solita coalizione. Chissà se come in altri casi, troppo noti per doverli citare, ci sarà anche questa volta un'eterogenesi dei fini. E alla poco gloriosa vittoria delle armate occidentali farà da riscontro la vittoria di qualche «terzo incomodo» o a effetti non voluti come nel caso della Libia.
Per il momento i contendenti, usando due termini volutamente propagandistici, sono il «mondo libero» e il «califfato islamico». Di califfato sovranazionale, esagerando, parla Giulio Sapelli in un bell'articolo sul Corriere della Sera del 18 gennaio, su cui si tornerà per contestarne, più che l'analisi, le conclusioni.
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Le elezioni e i movimenti della politica
Bruno Giorgini
La democrazia. Dice Spinoza: una società che esercita collegialmente il potere in modo tale che tutti siano tenuti a obbedire a sè stessi, senza che nessuno sia costretto a obbedire a un proprio simile.
I partiti. Fin quando gli esseri umani saranno animali politici esisteranno i partiti, ovvero libere associazioni di cittadini/e che sulla base di programmi e progetti si contendono il potere e/o il governo della città, della polis. Ovviamente le forme concrete e i poteri dei partiti cambiano a seconda delle fasi storiche. In Italia negli ultimi decenni i partiti sono degenerati diventando vieppiù macchine per il potere di persone e gruppi di pressione fondate quasi sempre sull’interesse personale, il malaffare, la corruzione, la rapina e lo sperpero del pubblico denaro, l’occupazione indebita di istituzioni della società. Si pensi al disastro della spartizione partitica dei posti nella sanità pubblica, la collusione con organizzazioni criminali, nonchè con costi per il loro funzionamento al di là di qualunque giustificazione. Questo dilagante malaffare ha contaminato anche le istituzioni rappresentative, talchè i nostri onorevoli, si fa per dire, guadagnano molto di più dei loro colleghi europei che non sono certo poveri, lo stesso vale per il Presidente della Repubblica e da lì in giù per tutti, fino a uscieri e impiegati. Senza alcun dubbio due sono i motori di questa corruzione dei partiti italici, chi più chi meno tutti coinvolti: il finanziamento pubblico, giustificato col fatto che altrimenti la politica se la potrebbero permettere solo i ricchi, a conferma del fatto che le vie dell’inferno sono spesso lastricate dalle migliori intenzioni, e la collusione tra politica e affari, fino agli appalti dedicati alle organizzazioni criminali, fino alla trattativa tra stato e mafia, dopo gli attentati contro Falcone e Borsellino.
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Marx e la giustizia, risposta a Screpanti
di Stefano Petrucciani
Sono grato a Ernesto Screpanti per aver esaminato con tanta accuratezza e con una notevole acribia critica alcune questioni sulle quali ho provato a ragionare in un libro recente che ho intitolato A lezione da Marx. Questo titolo non sta a significare, come si potrebbe pensare, che io voglia rivendicare in modo un po’ acritico un valore imperituro della lezione marxiana. Vuol dire invece qualcosa di completamente diverso, e cioè che, se si ragiona seriamente e criticamente su Marx, si possono imparare moltissime cose, e si ricevono tanti stimoli che possono essere efficacemente fatti reagire anche con le discussioni più aggiornate della teoria sociale e politica del presente. Questo punto emerge perfettamente dalle considerazioni che Screpanti dedica al mio lavoro: Marx può dialogare con Rawls, Harsanyi, Sen e tanti altri, e talvolta può essere anche usato per muovere ad essi delle critiche molto precise. Da questi confronti emerge anche, e la cosa mi pare ben comprensibile, che le riflessioni di Marx sulle questioni della giustizia e della libertà sono molto meno sofisticate e assai meno articolate di quelle che si possono trovare nel grande supermarket del pensiero filosofico-politico contemporaneo. Questo per due ragioni. La prima è che, per fortuna, anche la ricerca teorica e filosofica (come quella scientifica) progredisce, e dunque è inevitabile che, a quasi duecento anni dalla nascita di Marx, l’apparato di concetti e di ragionamenti di cui disponiamo si sia notevolmente incrementato. La seconda ragione è che (su questo punto Screpanti e io concordiamo) Marx non era interessato a uno sviluppo sofisticato e “tecnico” di questi concetti, perché riteneva di avere cose più importanti da fare (studiare le leggi di movimento della produzione capitalistica) e perché era iperconvinto della sterilità di ogni approccio di tipo astratto e moralistico alla critica sociale.
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Godimento o desiderio?
di Rino Genovese
I
Marx e i teorici socialisti ottocenteschi stavano decisamente dalla parte del godimento: e ciò sia per una circostanza storica relativamente banale – l’eredità, nel loro pensiero, del materialismo edonistico settecentesco – sia per una ragione sostanziale: il godimento è ciò che il borghese non può raggiungere, perché, preso da un vertiginoso processo di accumulazione, isolato nella sua smania di possesso, non riesce a fermarsi per cogliere insieme con gli altri l’attimo fuggente. Certo, era questa l’immagine di un borghese delle origini, di cui poi Max Weber scriverà l’apologia, votato interamente alla gloria quasi religiosa dello spirito capitalistico. Ma è contro di essa che il socialismo si è formato, volendo dire liberazione degli individui dalla “schiavitù salariata”, mutamento dei rapporti di produzione, godimento del consumo nella ripartizione egalitaria delle risorse.
Da allora molt’acqua è passata sotto i ponti. Il capitalismo contemporaneo, come si sa, è stato capace di accendere il desiderio dei diseredati, facendosi cultura più o meno generalizzata. Oggi (ancora oggi, nonostante la crisi) i numerosi migranti che, con grandi sacrifici, raggiungono i nostri lidi sono attratti dalla promessa di un consumo che li sollevi da una vita di stenti. Quando uno di noi, abitanti del mondo per definizione benestante, si gode una spremuta d’arancia, in un certo senso sta parassitando il desiderio di quella manodopera a basso costo, immigrata, che quelle arance le ha còlte.
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Trappole e aporie della Bersanomics
di Alfonso Gianni
Forse intimorito da un leggero calo negli ultimi sondaggi del Pd e di Sel, dunque della coalizione dei “progressisti”, Bersani gioca la carta di rassicurare i benestanti e afferma che il suo governo non farà alcuna patrimoniale. Dentro alla coalizione gli fanno notare che nella carta di intenti un accenno alla medesima, seppure troppo vago, ci sarebbe. Ma è appunto quella vaghezza che permette diverse interpretazioni, a seconda degli interlocutori e del momento, verrebbe da dire. Il che comunque dimostra che un’incisiva riforma fiscale nella strategia bersaniana tutto è tranne che un punto programmatico su cui fondare una politica. Piuttosto è merce di scambio, facilmente cedibile quando bisogna evitare di epater la bourgeoisie, come si diceva ai tempi di Baudelaire e di Rimbaud.
Bersani sostiene che una patrimoniale c’è già, ed è l’Imu che bisognerebbe correggere in senso meno punitivo per i redditi più bassi. Vero, ma questo non esaurirebbe comunque l’argomento. Infatti non si tratta solo di intervenire sulle tante patrimoniali oggettive, cioè tassazioni delle cose, dal bollo dell’auto alla tassazione della casa di proprietà, che già esistono nel nostro ordinamento, ma bisognerebbe – e questa sarebbe la grande novità per il nostro sistema fiscale – di inserire una patrimoniale soggettiva, cioè una tassazione sulle proprietà immobiliari e finanziarie dei singoli soggetti.
I dati che periodicamente la Banca d’Italia ci fornisce sulla ricchezza delle famiglie italiane, dimostrano un dato di fatto inoppugnabile. Il tasso di patrimonializzazione della ricchezza italiana è ben superiore non solo agli altri paesi europei (con la sola eccezione del Regno Unito, cui è quasi uguale), ma anche al Giappone, agli Stati Uniti e al Canada.
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Questione elettorale e ricostruzione della sinistra
di Paolo Favilli
Nella definizione di «impolitico» non c'è, ovviamente, nessuna volontà (né possibilità) di riferimento a Thomas Mann, il grande «impolitico» (o forse, meglio, «apolitico») degli inizi del Novecento. Molto più semplicemente la definizione è legata al dubbio, e dubbio reale, che ha colto l'autore di questa nota, relativamente alla sua capacità di comprendere davvero i nessi che legano il momento analitico al momento della sua traducibilità politica, a quell'aspetto comunemente indicato con il termine «tattica». Credo, infatti, di concordare, nella sostanza, con l'analisi di «fase ciclica» (da non confondere con l'analisi di «contingenza»), sviluppata in un periodo piuttosto lungo da autorevolissimi amici e compagni come Asor Rosa, Bevilacqua, Tronti. Nella contingenza attuale queste personalità si sono assai impegnate perché tutti i «progressisti» convergano i loro voti verso la coalizione imperniata sul Pd con «in pancia Vendola» (Scalfari dixit). Lo stesso giornale che ospita questi miei scritti ha fatto un'evidente scelta in tale direzione.
Quando personalità nei cui confronti si nutrono motivi assai giustificati di stima intellettuale, di condivisione analitica, fanno scelte politiche contingenti sulle quali sembra difficile concordare, credo sia giusto farsi prendere da dubbi, porsi domande. Non è possibile che lo sguardo di chi, come lo scrivente, è rimasto sempre esterno (a parte un brevissimo periodo della prima gioventù) alla pratica della politica, sia poco adatto per cogliere i criteri di priorità relativi alle necessità del momento attuale?
Ho sempre pensato che la sfera della politica abbia un largo grado di autonomia rispetto alla elaborazione teorica e culturale in genere, che non sia possibile, cioè, nessun processo di traducibilità diretta dell'una sfera nell'altra.
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La scuola è aperta a tutti
Pietro Cataldi
Le domande di un pastore
Nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Leopardi affida alla voce di un pastore nomade le grandi domande sul senso della vita e dell’universo. Solo, sotto il cielo stellato, il pastore tenta di spiegare la condizione umana, il ripetersi dell’esistenza di generazione in generazione, il succedersi dei giorni e delle notti, il susseguirsi delle stagioni; cerca di capire il perché del dolore e di quell’inquietudine angosciosa definita dalle parole “tedio” e “fastidio”, un’inquietudine che è infine tutt’uno proprio con il bisogno di senso. La spiegazione è tentata dapprima guardando la vita dal punto di vista della luna, dall’alto, e poi guardandola invece dal punto di vista delle pecore, dal basso. Il punto di vista del pastore è per così dire impregiudicato, e spregiudicato: non ci sono un’ideologia, una religione, un sistema filosofico, una qualunque petizione di principio che impongano una direzione alla ricerca: l’importante è dare un significato alla condizione degli uomini e al rapporto che gli umani hanno con l’universo. Ebbene: Leopardi pone così, con un linguaggio semplice e diretto ma anche con la massima serietà e radicalità, le più grandi questioni filosofiche affrontate nei secoli da tutte le civiltà e tutte le culture.
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Il programma del governo che verrà
Un’analisi critica dell'Agenda Monti
Lo scorso 23 dicembre Mario Monti ha presentato con gran clamore la sua Agenda, ovvero il manifesto con cui intende raccogliere consenso alle prossime elezioni e il programma su cui si stanno misurando le classi dominanti italiane. L’Agenda è stata accolta con entusiasmo dai media, che hanno festeggiato la “salita in politica” di Monti (come se finora non fosse stato al governo!), e ha riscosso un consenso quasi unanime fra intellettuali, addetti ai lavori e politici.
Pochi hanno provato a chiarire cosa l’Agenda diceva per davvero, finché questa non è proprio scomparsa dal dibattito, espulsa dal sistema mediatico che ha già cominciato a ingurgitare la sbobba elettorale, le sparate di Berlusconi, le prediche di Bersani, le polemiche su Grillo, gli inviti alla responsabilità di Napolitano...
Ci sembra invece il caso, per non soffocare nelle cazzate che ci propinano ogni giorno e nei finti scontri fra personaggi politici, per riportare l’attenzione sugli elementi davvero decisivi della situazione in cui ci troviamo, di analizzare attentamente le cose scritte in quest’Agenda, i contenuti che esprime e le logiche di classe di cui è espressione.
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La finanza prepara una nuova "illusione" mondiale
di Giulio Sapelli
I dati che vengono dalle borse, soprattutto quelle europee, sono per certi versi sconvolgenti, soprattutto per gli economisti di oggi, che non hanno mai letto un libro di storia. Come possono capire quello che sta accadendo? In realtà, è tutto molto semplice. Siamo pur certi di una cosa: i primi dati annunciano una tendenza che si confermerà via via: i rendimenti dei mercati finanziari per tutto il 2013 saranno incomparabilmente superiori a quello che si potrebbe pensare e dovrebbe accadere se si considerano gli indicatori della crescita economica mondiale reale, che sarà debole, disuguale, a frattali.
Non vi è nulla di nuovo, storicamente. Solo che son passati un po’ di anni da quando un fenomeno simile è successo e quindi gli economisti neoclassici su scala mondiale sono in difficoltà. La separazione della finanza dall’economia reale non produce solo distruzione degli innocenti, quando questi vengono irretiti nella e dalla finanza ad alto rischio ponendo i propri risparmi nelle stive esplosive dei mezzi di distruzione di massa dei derivati, delle collateralizzazioni, dei mutui securitizzati da macchine infernali, delle assicurazioni appoggiate su collaterali esplosivi, ecc… La finanza ad alto rischio può anche registrare il valore del denaro per il denaro, “saltando” il nesso con la merce secondo le regole di un capitalismo finanziario che è anche scollegato completamente dalla produzione.
Se questo collegamento drena liquidità e la immette nel circolo “denaro per il denaro” l’economia reale ne soffre, ma questo non implica che ne debba soffrire anche la circolazione, appunto denaro per il denaro.
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