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Milizie nazi, armi e stragi di civili: i veli sulla guerra
La cortina fumogena
di Fabio Mini
Kiev, esercito allo sbando: mani libere ai paramilitari. Rifornirli aumenta ancora i rischi per la popolazione
Sembravano teorie del complotto o fantasie dei “filo putiniani”, le valutazioni che fin da prima dell’attacco confutavano la narrazione fornita dall’Ucraina, ma orchestrata e preparata dall’esterno. Alle voci dubbiose di alcuni storici ed esperti occidentali, compresi quelli americani, subito tacciati di filoputinismo, si sono aggiunte in questi giorni voci inaspettate, oltre alla nostra: il bollettino n.27 di Jacques Baud , il colonnello dell’intelligence svizzera, ora analista internazionale di professione con un attivo di decine di libri e rapporti su questioni militari diventati dei “must read” in Europa e nel mondo e il Financial Times del 20 marzo con le molte altre voci di esperti europei raccolte da Sam Jones da Zurigo e John Paul Rathbone da Londra.
Genesi e operazioni
A parte la provocazione della Nato nei confronti della Russia iniziata nel 1997 con l’espansione a est, secondo Baud la questione russo-ucraina non è sorta a causa del separatismo o indipendentismo del Donbass. Il conflitto nasce invece da fenomeni interni all’Ucraina e l’Occidente, non la Russia, ha fatto in modo che esso si ampliasse e degenerasse. Dal 2014, con i fatti di Maidan e i massacri in Donbass e Odessa, si dimostra la debolezza delle forze armate ucraine, succube di regimi che non si fidano di esse, che deliberatamente le abbandonano e si rivolgono alla componente paramilitare per l’ordine interno. L’esercito ucraino, teoricamente forte di quasi trecentomila uomini, era in uno stato disastroso.
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Draghistan: cronache di un paese sull’orlo di una crisi di nervi
di Luca Busca
Antefatto
Mario Draghi è stato chiamato a governare l’Italia il 3 febbraio 2021 e ha prestato giuramento il 13 dello stesso mese. In soli 380 giorni è riuscito a fare tutto questo:
1. Ha fatto registrare il peggior risultato nel contenimento della pandemia a livello europeo recuperando posizioni su posizioni, raggiungendo il secondo posto in classifica generale, dietro la Polonia, con 2,6 morti ogni mille abitanti. A livello mondiale si piazza al 5° posto dietro Brasile, Argentina e Stati Uniti. Per nascondere questi dati inconfutabili e il poco onorevole risultato la propaganda ha scatenato il gota dei propri esperti per propinare al popolo una serie di giustificazioni: 1) la popolazione italiana è la più anziana; 2) non si possono confrontare paesi con caratteristiche diverse; 3) è tutta colpa dei Novax; 4) esistono infinite variabili che incidono sul risultato che non possono essere escluse dal complesso calcolo dei risultati. Tutto falso: 1) il Giappone ha una popolazione più anziana e ha registrato 0,15 decessi ogni mille abitanti; il Brasile con un’età media nettamente più bassa ha raggiunto il peggior risultato al mondo. 2) L’Italia risulta al secondo posto nel confronto europeo, cioè proprio con i paesi dalle caratteristiche simili, scende al 5° se vengono inseriti paesi dissimili. 3) L’Italia ha realizzato una delle migliori campagne vaccinali al mondo, rilevatasi completamente inutile. L’Ucraina, ora al centro dell’attenzione, ha vaccinato solo il 35% della propria popolazione raggiungendo un risultato leggermente migliore del nostro (2,41 decessi per 1000 abitanti). 4) Il giudizio sul risultato ottenuto scaturisce proprio dalla capacità di un governo di gestire le variabili pandemiche che caratterizzano il proprio paese. Una buona gestione fa registrare meno casi e meno decessi, una cattiva fa crescere i numeri. La Cina è stata capace di gestire in maniera ottimale le proprie variabili ottenendo così uno dei tassi di mortalità più bassi (0,34). Questo nonostante il paese, responsabile di aver generato la pandemia, sia stato il primo ad essere aggredito dal virus, abbia una capacità sanitaria inferiore alla nostra, un territorio immenso, una campagna vaccinale più bassa della nostra etc.
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Appunti illegali sulla guerra in Ucraina - o il momento del sabotaggio
di Michelangelo Severgnini
L’invasione
Lo scorso dicembre, passando dalla Puglia, ho fatto una visita a Waddah Al Fayed, il direttore della fotografia del film “L’Urlo” di cui sono regista. Siriano, in Italia da 5 anni, prezioso sodale sul confine tra Tunisia e Libia, dove il film è stato girato, Waddah ha studiato cinema a San Pietroburgo ed era rientrato giusto in tempo in Siria per viversi la guerra dalle sue prime battute.
Anti Green Pass, alle prese con una società italiana sempre più autoritaria e discriminante, mi pose in quei giorni dello scorso dicembre una domanda solenne: “Come credi che andranno le cose?”.
Gli risposi: “Mah, la propaganda in questi ultimi 2 anni è stata asfissiante, ha usato un linguaggio militaresco del tutto fuori luogo, ma al tempo stesso congeniale ai tempi che ci stiamo vivendo. Sì, credo che stiamo andando verso una guerra di grande portata, una di quelle che possono cambiare la faccia del mondo, che possono riscrivere gli equilibri tra Stati e macro-aree geografiche. E come sai, tutto inizierà dall’Ucraina”.
In questi giorni ho ricevuto una foto di Waddah dall’Amazzonia, con una baracca di legno alle sue spalle, folta vegetazione e un sorriso smagliante.
E’ partito a metà febbraio. Appena in tempo.
Nei due mesi successivi gli analisti ci spiegavano che l’invasione dell’Ucraina non ci sarebbe stata, proprio perché tutta la propaganda occidentale al contrario lo sosteneva.
Io mi sono tenuto la sensazione per me. Tutt’al più l’ho condivisa con qualche altro amico stretto.
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Da Covid-19 a Putin-22: chi ha bisogno di amici con nemici come questi?
di Fabio Vighi
Iperrealtà quotidiana
Come in un montaggio hollywoodiano, l’inquadratura in campo lungo sulla “guerra al Covid” ha lasciato spazio a un primo piano sulla “guerra ucraina”, senza che lo spettatore si accorgesse di alcuno stacco. Nel frattempo, Vladimir Putin ha sostituito Virus nelle vesti di nemico pubblico numero uno. Se il passaggio di testimone era prevedibile, la tempistica è risultata fin troppo perfetta. Sono allora intervenuti, come al solito, i coreografi creativi dei media aziendali, assicurandoci da subito una rappresentazione tipicamente unidimensionale della “guerra di Putin” – non lesinando neppure effetti speciali tratti da videogiochi come War Thunder, Arma 3 e Digital Combat Simulator; o il riciclo di vecchie clip di altri disastri. Al cospetto di tanta potenza di fuoco, persino i filmati apocalittici dei cinesi che cadevano come birilli a Wuhan City nel gennaio 2020 appaiono ora decisamente amatoriali.
Quando Jean Baudrillard scrisse che la ‘Guerra del Golfo non ha avuto luogo,’ intendeva dire che il dramma di quella guerra era stato sovrascritto da uno spettacolo mediatico talmente pervasivo da renderla iperreale: qualcosa di così inesorabilmente “vero” da eliminare l’intrinseca opacità del referente. Covid e invasione russa sono prepotenti esplosioni di iperrealtà, da cui diventa quasi impossibile prendere le distanze. La sovraesposizione all’ossessiva rappresentazione uni-dimensionale della guerra (il suo simulacro) elimina qualsiasi possibilità di relazionarsi all’originale, di cui non rimane traccia. Come è successo con il Covid, la realtà viene sostituita da un modello preconfezionato di false opposizioni binarie: sano/malato, vero/falso, democratico/fascista, Bene/Male.
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Prezzi dell'energia. Cosa c'è dietro e come porvi rimedio
di Leonardo Mazzei
Toh, c’è la speculazione. Ma chi l’avrebbe mai detto!
Dice che c’è la speculazione. Chi l’avrebbe mai detto! Dopo sforzi di settimane, gli scienziatoni del “governo dei migliori” hanno dunque scoperto l’acqua calda. Che dire, meglio tardi che mai! Roberto Cingolani, l’uomo tutto nucleare e digitalizzazione, ha reso la sua confessione spontanea al Senato della Repubblica. Naturalmente, una confessione a metà e senza trarne le dovute conseguenze. Ma, si sa, la scienza governativa ha i suoi tempi…
Ma che ha detto il Cingolani di così importante? E, soprattutto, cosa invece non ha voluto dire? Eh già, perché in questo fritto misto di ammissioni e reticenze, bugie e mezze verità, c’è il rischio di non cogliere la sostanza del problema.
Partiamo dalle sue affermazioni:
«Non c’è qualcuno in Italia che sta facendo qualcosa di sbagliato. Il problema è la grande speculazione in certi hub in cui si scambiano certificati e future: il Ttf a livello europeo e il Psv italiano».
In questa dichiarazione c’è una verità (la speculazione nella borsa del gas), un’omissione (chi sono questi famosi speculatori) ed una bugia, quella secondo cui in Italia nessuno starebbe facendo «qualcosa di sbagliato».
Chiariamo allora questi tre punti.
La speculazione sul mercato del gas
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La memetica delle armi biologiche – e perché sono importanti
di Chuck Pezeshki
La presenza di laboratori di ricerca biologici in Ukraina è stata recentemente ammessa pubblicamente da Victoria Nuland, ex assistant secretary of state degli Stati Uniti. Non è stato detto che questi laboratori erano dedicati alla fabbricazione di armi biologiche, ma questa storia ha rinfocolato la discussione sulle armi biologiche e, di riflesso, sull’origine del virus SARS-Cov2.
Nell’articolo che vi traduco, qui di seguito, ne parla il prof. Chuck Pezeshki dell’Università di Washington. Chuck (lo conosco bene, e ci diamo del tu) è un ingegnere con una vasta esperienza in molti campi, incluso la politica internazionale, con in più una grande capacità (del resto tipica degli ingegneri) di analizzare le cose senza farsi fuorviare dalla politica o dai ragionamenti “di pancia.”
Anche per persone competenti, comunque, l’analisi della situazione con i virus e i vaccini non è cosa facile. Siamo a parlare di cose “top secret” per le quali abbiamo soltanto brandelli di dati che emergono in qualche modo dal silenzio ufficiale. Vi ricordate come, all’inizio, dire che il virus era un’arma biologica era considerata un’ovvia scemenza di complottisti/terrapiattisti. Col tempo, tuttavia, sono venuti fuori molti dettagli quantomeno sospetti. Più che altro, ci siamo resi conto che la “guerra biologica” è qualcosa che i governi delle potenze mondiali considerano molto seriamente.
Ora, ovviamente, se il SARS-Cov2 era un’arma biologica, è stato un flop colossale. Con tutta la buona volontà, che razza di arma è una che uccide lo 0.1% dei bersagli, come è successo in Italia? (Contati come “con Covid”, quelli veramente uccisi “dal Covid” sono sicuramente di meno). Eppure, non è impossibile che questo virus fosse stato concepito come un arma – semplicemente potrebbe non aver funzionato come i suoi creatori pensavano che funzionasse.
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L’America sconfigge la Germania per la terza volta in un secolo
di Michael Hudson
Un’analisi delle oligarchie che esercitano un’influenza sulle strategie di politica estera Usa e come queste dinamiche di potere si sono sviluppate rispetto alla crisi attuale, determinando il consolidamento del dominio Usa sulla Germania
Il mio vecchio capo Herman Kahn, con il quale lavoravo all’Hudson Institute negli anni ’70, aveva un discorso già pronto per i suoi incontri pubblici, in cui diceva che quando frequentava il liceo a Los Angeles, i suoi insegnanti erano soliti dire ciò che la maggior parte dei progressisti dicevano negli anni ’40 e ’50: “Le guerre non hanno mai risolto nulla”. E se davvero non hanno mai portato ad alcun cambiamento, in pratica non si devono fare.
Herman non era d’accordo e aveva pronta una lista con ogni sorta di cose che le guerre avevano risolto, o almeno cambiato, nella storia del mondo. Aveva ragione, e ovviamente questo è l’obiettivo di entrambe le parti nell’attuale scontro della Nuova Guerra Fredda in Ucraina.
La domanda da porsi è cosa stia cercando di cambiare o “risolvere” la Nuova Guerra Fredda di oggi. Per rispondere a questa domanda, è sempre utile chiedersi chi sia davvero a iniziare la guerra. Ci sono sempre due parti: l’attaccante e l’attaccato. L’attaccante si propone determinate conseguenze e l’attaccato cerca di trarre vantaggio da eventuali conseguenze non volute. In questo caso, entrambe le parti si scambiano reciprocamente colpi che spaziano fra conseguenze volute e interessi speciali.
È dal 1991 che gli Stati Uniti fanno uso attivo della forza militare e aggrediscono. Rifiutando il disarmo reciproco dei paesi del Patto di Varsavia e della Nato, è venuto a mancare qualsiasi “dividendo di pace”.
Al contrario, la politica statunitense intrapresa dall’amministrazione Clinton e dalle successive di attuare una nuova espansione militare attraverso la Nato ha pagato un dividendo di 30 anni, riuscendo a deviare la politica estera dell’Europa occidentale e di altri alleati americani dalla loro sfera politica interna all’esclusivo blob di “sicurezza nazionale” orientato dagli Stati Uniti (uso questo termine per indicare gli speciali interessi che non si possono nominare). La Nato è diventata l’organismo europeo di politica estera, fino al punto da dominarne gli interessi economici interni.
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Ucraina axis mundi
di Pierluigi Fagan
Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.
La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia.
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Energia e materie prime. Il baricentro del mondo si sposta ad est
intervista a Demostenes Floros
«Ci stiamo mettendo all’angolo soli. Dobbiamo utilizzare l’energia per riallacciare un dialogo, non per un ricatto». Demostenes Floros, senior energy economist CER, Centro Europa Ricerche, il centro studi fondato negli anni ‘80 da personalità quali Giorgio Ruffolo e Luigi Spaventa, oggi di proprietà Sator S.p.A e Rekeep S.p.A e autore di Guerra e Pace dell’Energia, non ha dubbi.
È quanto mai urgente riallacciare un dialogo con la Federazione Russa. Ma a quale prezzo? «Abbiamo una certezza – spiega il ricercatore – con questi prezzi del gas il 60% della manifattura tedesca e il 70% di quella italiana rischia di chiudere. Noi europei dobbiamo sederci ad un tavolo e trattare. Diversamente abbiamo di fronte la stagflazione. Nessuna crescita e un’inflazione da anni ’70».
* * * *
Dottor Floros, in questi giorni drammatici sono tornati in voga termini che pensavamo aver relegato alla storia: dazi, autarchia, divieto all’export. A suo avviso siamo di fronte a un “disaccoppiamento” del mondo tra est e ovest?
«In realtà è già da diversi anni che gli Stati adottano misure protezionistiche. Credo che la globalizzazione stia lasciando posto ad una “regionalizzazione” del mondo, cioè ad una suddivisione in aree economiche integrate al loro interno in cui avanzano processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali. Da un punto di vista geopolitico accanto al blocco euroatlantico stiamo così assistendo alla nascita di un blocco euroasiatico a guida Russo-Cinese».
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Il Recovery Plan
Il capitale tra programma e propaganda
di Collettivo politico comunista
“L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). È un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. [1] È questa la retorica che lo stesso Mario Draghi pone a premessa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ovvero del Recovery Plan, approntato dal suo governo nell’aprile scorso e approvato dalla Commissione Europea nel giugno scorso. Attraverso tale Piano si dovrebbe definire la destinazione dei 191,5 miliardi di euro stanziati dall’Ue per il nostro paese nel cosiddetto Recovery Fund e cioè nell’ambito del programma Next Generation Eu, di cui 122,6 miliardi di prestiti e 68,9 di sovvenzioni, da spalmare tra il 2021 e 2026, secondo le previsioni di bilancio elaborate dagli organi europei. A fianco del Pnrr, viene attivato anche il Fondo React Eu, sempre parte del programma Next Generation Eu, ma attingente ai tradizionali fondi di politiche sociali e di coesione dell’Ue (Fondo europeo di sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di aiuti europei agli indigenti).
Effettivamente, come afferma Draghi, si tratta di un passaggio inedito nella storia dell’aggregato imperialista europeo: un ulteriore meccanismo di centralizzazione finanziaria dell’Unione rispetto ai singoli Stati, basato sull’emissione, per la prima volta, di titoli di debito europei, i cosiddetti Eurobond, come avviene da inizio estate 2021.
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Fare la pace o fare la guerra?
di Roberto Fineschi
Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo.
Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie.
Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare.
Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata.
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Le conseguenze del liberismo e le dinamiche della disuguaglianza
di coniarerivolta
Mentre infuriano i venti di guerra e si consumano le conseguenti tragedie umane, si iniziano a palesare con evidenza le conseguenze indirette sull’economia europea (e non solo), legate ai micidiali aumenti dei prezzi delle materie prime e alla correlata spirale al rialzo di tutti i prezzi che, in assenza di interventi decisi sui salari dei lavoratori, comportano e comporteranno gravi effetti sulle tasche della maggioranza delle persone acuendo povertà e disuguaglianze sociali. Come la crisi pandemica ha avuto, oltre ai suoi nefasti effetti sanitari, drammatiche conseguenze socio-economiche, con una crescita sostenuta della povertà, l’attuale crisi internazionale sta già scatenando i suoi effetti indiretti sulle classi sociali subalterne e sui lavoratori di gran parte del mondo.
Si tratta dell’ennesima mazzata a collettività che, in Italia come altrove, subiscono da anni le conseguenze di politiche economiche restrittive e crisi che stanno dilaniando il corpo sociale acuendo le disuguaglianze e la povertà.
Il rapporto OXFAM sulle disuguaglianze
Ogni anno la benemerita organizzazione OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief), confederazione di ONG dedite alla lotta alla povertà in tutto il mondo, pubblica un rapporto sulle disuguaglianze. Ed ogni anno il rapporto, impietoso, registra il drammatico e inesorabile deterioramento del quadro sia in relazione ai livelli di povertà assoluta e relativa sia rispetto all’allargamento del divario tra ricchi e poveri.
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La scienza pensa?
di Mario Porro
Nel cuore della tragedia pandemica – ha osservato il filosofo della scienza Etienne Klein (Vita e pensiero, n. 1, 2021) –, vi è stata l’opportunità rara di svolgere un’opera di divulgazione sulle procedure della metodologia scientifica. Al di sotto del baccano assordante di tanti dibattiti, qualche voce accorta ha cercato di chiarire cosa fossero un esperimento a doppio cieco o randomizzato, quale fosse la differenza fra una correlazione e una relazione di causa-effetto, ha spiegato come fare buon uso delle statistiche. Sforzi tanto più meritevoli nel nostro paese, dove il preoccupante analfabetismo di ritorno si allea talvolta con l’atavica diffidenza verso il sapere scientifico (anche negli ambienti “culturali”).
Nell’esplorare l’ignoto o il poco noto, la ricerca scientifica, soprattutto in ambito terapeutico, richiede un lungo e paziente lavoro di analisi, di sperimentazioni e controlli; confronti serrati e critiche severe devono (dovrebbero) intrecciarsi fra ricercatori di molteplici laboratori, nel lavoro collettivo che si svolge all’interno della comunità o della città scientifica, come la chiamava Gaston Bachelard. Quel che abbiamo sperimentato in questi due anni è che la ricerca del vaccino anti-Covid può restare a lungo immersa nel chiaroscuro delle incertezze, conoscere tentennamenti ed errori. E non sempre si tratta degli errori “giusti” che, come vorrebbe l’epistemologia popperiana, confutando le prime congetture riorientano la ricerca verso strade più proficue.
Purtroppo anche qualche esperto ha dimenticato che la temporalità della ricerca scientifica non obbedisce alla logica implacabile dell’immediato, cara ai media e ai social network, all’impazienza di massa che attende risposte rassicuranti.
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Lavoro e tempo di lavoro in Marx
di Franco Piperno
Dopo aver analizzato la nozione di tempo nel pensiero di Aristotele, Franco Piperno si rivolge ora a un'indagine sullo sviluppo del rapporto tra tempo e lavoro nelle opere di Marx
I) Cento anni dopo
A più di un secolo dalla morte, Marx viene trattato, tanto nell’opinione quanto nell’accademia, come «un cane morto». La situazione è quindi ottima per riprendere lo studio dei suoi testi, per rifare i conti con lui. Procedere su questa strada, comporta,in primo luogo, sgombrare il terreno dall’ovvio, rifiutare la relazione di causalità tra l’attuale discredito di cui gode il Nostro e il crollo del socialismo di stato nell’Europa dell’Est. L’inconsistenza logica della dottrina marxista, così come la cattiva astrazione sulla quale si fondava la legittimità dei regimi socialistici, erano nascoste solo agli occhi di chi non voleva vedere. Tutto era chiaro già da prima, da molto prima. A testimonianza che il senso comune non ha atteso il crollo del muro di Berlino per formulare un giudizio sulla teoria del socialismo scientifico e sulla natura del socialismo di stato riproponiamo, qui di seguito,un breve commento a riguardo, scritto nel 1983, in occasione del centenario della morte di Marx, quando il Paese dei Soviet esisteva ancora[1]:
La celebrazione di K. Marx, nel centenario della morte, costituisce quel piccolo dettaglio più illuminante che un intero discorso. Innanzi, tutto chi celebra chi? Giacche’ bisognerà bene augurarsi che esista qualche differenza tra il Marx celebrato dal compagno Andropov, attuale primo ministro sovietico ed ex-capo del K.G.B.; e quello di cui si ricorda il militante dell’Autonomia nelle prigioni italiane. Non che ci siano celebrazioni illegittime; è solo che, forse, Marx, il nostro Marx, non merita d’essere celebrato[2] né dagli agenti segreti,né dai professori universitari e nemmeno dai militanti di Autonomia.
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Burkett: l'ecologia nella teoria del valore di Marx
di Francesco Barbetta
Prosegue la pubblicazione dei miei appunti sullo studio dell'ecosocialismo. Dopo Foster presento il pensiero Paul Burkett, altro esponente della scuola della Metabolic Rift. Nel suo libro "Marx And Nature: A Red Green Perspective" propone una lettura della teoria del valore di Marx estremamente utile per connettere la teoria marxiana alla questione ecologica.
Per Burkett, lo “statuto” di una “Sociologia Ecologica” deve, in linea di principio, considerare il rapporto società-natura come un rapporto dialettico, senza sovrapposizione di una sfera sull'altra. Deve evitare una visione puramente “materialista”, a rischio di cadere nel determinismo tecnocentrico o in una concezione delle relazioni sociali come determinate naturalmente. D'altra parte, la riduzione della relazione a un costruzionismo sociale che sottolinea che la storia umana è unicamente sociale, induce anche a credere in una presunta “autonomia” e “controllo” dell'uomo sulla natura. La specificità dell'uomo, in relazione agli altri esseri, deriva dalla sua coscienza e dal suo desiderio, in modo che i valori che rivestono la natura siano il risultato della soggettività umana, socialmente costruita, priva di una realtà in sé. D'altra parte, i valori socialmente creati sono ispirati da una realtà naturale, di oggetti e forze, che sono governati da leggi inalterabili, cioè che non dipendono dall'esistenza umana per esistere. Secondo Burkett: “a combined social and material conception of people-nature relations is necessary to avoid the kind of technical and ethical dualism exhibited by mainstream environmentalism”1. L'idea predominante nel pensiero economico ecologico è quella di uno "sviluppo sostenibile", il cui ideale potrebbe essere raggiunto dalla combinazione di "tecniche verdi" e cambiamenti nei valori e nei comportamenti degli individui, senza, tuttavia, la necessità di modificare le relazioni sociali e le condizioni di produzione. Per Burkett ciò conduce all’idea secondo cui: “ecological destruction is an inessential “external effect” of the dominant social relations of capitalism.”2
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Leggendo dentro la crisi: visioni dell’egemonia tra Cina e Usa
di Alessandro Visalli
Un lungo articolo[1], pubblicato il 26 dicembre 2021, di Wen Wang (ricercatore all’università di Fudan) propone la visione cinese sul crollo dell’Urss e sulle ambizioni che l’hanno provocato. L’articolo è ripreso e commentato da David Goldman[2] che si chiede per quale motivo l’Occidente pensa che la Cina voglia l’egemonia mondiale sul modello americano. A sua volta questo articolo segue ad un più recente articolo[3] del medesimo autore che riflette sulla crisi Ucraina a partire dall’incapacità dei principali strateghi americani di fare i conti con la prospettiva del loro relativo declino strategico. Come illustra Goldman questi sembrano dare per scontato che non siano possibili giochi a vantaggio reciproco nell’egemonia sul mondo. Che questa debba e possa essere detenuta tutta da loro (con o senza compartecipazione dei principali paesi ‘alleati’ come Europa e Giappone) o, come unica scelta, tutta da un’altra alleanza. Che sia, cioè, questione di vita e morte, di evento decisivo.
Questo spiegherebbe la determinazione a provocare, costi quel che costi, il soffocamento immediato di qualunque potenziale controegemone, sia esso la Russia o la Cina (o prima la Russia e poi la Cina).
Ma prima di entrare nel tema guardiamo di cosa stiamo parlando, cioè della morte di tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori. In un articolo[4] di Christopher Chivvis, su The Guardian, l’autore, che è il Direttore dell’American Statecraft Program presso il Carnegie Endowment for International Peace[5], descrive la situazione e le simulazioni condotte dagli esperti per prevedere i possibili esiti delle diverse scelte.
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“L’allargamento a est della NATO è il peccato originale che ha alimentato una tensione crescente tra Russia e Occidente”
Intervista a Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq
“L’allargamento a est della Nato è il peccato originale che ha alimentato una tensione crescente tra Russia e Occidente, fino alla guerra in Ucraina? È una questione controversa e non così scontata come viene raccontata”. Marco Carnelos, ex consigliere dei presidenti Prodi e Berlusconi, ex ambasciatore in Iraq ed ex inviato speciale per la Siria, affida a Dagospia le sue considerazioni sulla guerra In Ucraina.
* * * *
L’Occidente promise alla Russia di non allargare la Nato a est?
Alcune promesse verbali furono fatte. Ci sono anche alcuni documenti, prodotti da riunioni di alto livello, in cui si evidenzia come l’assunzione che c’era in quel momento storico fosse che la Nato non sarebbe andata oltre il confine della Germania, riunificata a ottobre 1990.
Chi si intestò questa rassicurazione?
L’allora Segretario di stato americano, James Baker. La sua promessa fu: “Not one inch eastward”, ovvero “non un centimetro più a est”. Dopodiché la storia è evoluta. Il Patto di Varsavia, l’alleanza militare che si contrapponeva alla Nato, nel 1991 s’è sciolto. Da quel momento Putin ha fatto presente in più di un’occasione: “Ma senza il Patto di Varsavia contro chi allargate a est la Nato?”.
Putin vuole ricreare una Grande Russia sul modello imperiale o sovietico?
Putin ha vissuto in Germania est nel 1989 e non sappiamo quanto il crollo del suo mondo abbia inciso psicologicamente su di lui. Nessuno può sapere se effettivamente la fine dell’Urss lo abbia segnato. Lo sa il suo analista, ammesso ne frequenti uno.
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Intervista a Valerio Romitelli
di Elisabetta Michielin
Ultimo suo libro qui discusso e da poco uscito L’emancipazione a venire. Dopo la fine della storia (DeriveApprodi, Roma, 2021, pp. 219) è composto da un saggio iniziale “Per un pensiero politico controcorrente” e una raccolta di testi già pubblicati su siti e riviste on line raggruppati in tre capitoli “Del Metodo”, “Della storia”, “Della Politica” . Focus tematico sono gli anni della storia mondiale che vanno dal secondo Dopoguerra a oggi, periodizzati in tre epoche ben distinte: “i trent’anni gloriosi”, “i trent’anni ingloriosi” della globalizzazione neoliberale, gli anni più recenti etichettati come “sovranisti”, in quanto anche le politiche non dichiaratamente tali operano senza più riguardo alle sorti universalistiche dell’intera umanità e in base solo a supposti interessi di Stato. Attorno a questo focus vengono ripensati molti luoghi comuni di sinistra responsabili dell’attuale crisi di ogni forma della militanza volta all’emancipazione dal capitalismo.
* * * *
Francesco Bergoglio è andato da Fazio (d’altra parte ci è andata anche Madonna, quindi non poteva mancare il papa…) a parlare a favore delle migrazioni e contro la guerra. Una lezione alla sinistra che poi è responsabile degli accordi con la Libia. Non è uno spettacolo bello questo di plaudire il papa e non sentirsi minimamente in causa! Quel che rilevi è invece ciò che hanno in comune i compagni con il papa quando pensano che “per essere di sinistra, per essere compagni, basta essere e comportarsi da critici contro i mali e le ingiustizie del capitalismo” e che la politica quindi sgorgherebbe “dalla vera umanità.” La mia prima domanda è allora questa: da dove “sgorga” secondo te la politica. ?
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Interpretare la guerra
di Pasquale Noschese
È l’interpretazione a dare valore ai dati. Una nozione tragica, giacché impone, o meglio sovrappone, la fatica del concetto alla seccatura del fact checking. Una seccatura che, di questi tempi, un fanatismo epistemologico ingenuamente “realista” vorrebbe intendere come sufficiente.
Quanto sta accadendo in Ucraina ci impone entrambi i compiti. Raccogliere dati, facendo attenzione alle differenti propagande e alla strutturale incertezza dei momenti di crisi. Rispondere alla domanda pratica “che succede?”. Allo stesso tempo dedicarsi alla domanda teorica: “come si interpreta una guerra?”. Domanda tanto più astratta quanto più opportuna, per due ordini di ragioni. Nell’immediato, è imperativo garantire uno schema interpretativo che sia più esplicito possibile onde evitare che a modellare le opinioni individuali siano piuttosto schemi impliciti, insidiosi. “Ciò che è noto non è conosciuto” scriveva Hegel, e nel noto e nell’ovvio si nascondono le maggiori insidie. A lungo termine, quanto stiamo vivendo offre l’occasione di imprimere, per quanto si può, una maggiore consapevolezza strategica nella società civile, la cui spendibilità possa tornare utile in futuro. Approfittare del risveglio (momentaneo?) dal sonno post-storico per ricordare all’Europa che le guerre esistono, e che hanno una propria razionalità.
Nel nostro paese, i fondamenti dell’approccio geopolitico sono divulgati da anni da molte realtà vivaci e significative, prime tra tutte la rivista Limes. Si tratta quindi di dire qualcosa di già noto: la differenza sta nel dirlo adesso.
Il primo e più radicato pregiudizio che detta il tempo alla nostra percezione della guerra è quello economicistico. In breve, esso è la postura che tende ad attribuire le cause dei conflitti a moventi economici, ora legati alla competizione commerciale, ora all’accaparramento delle risorse, ora alla vendita di armi.
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Controdizionario del conflitto (IX)
di Stefano Ammirato, Gianmarco Cantafio, Alessandro Gaudio, Gennaro Montuoro
È al carattere che la militanza assume in questo delicatissimo periodo storico che guardano tutte le voci del Controdizionario approntato da «Malanova». Il cantiere aperto di ricerca su nuove ipotesi politiche e orizzonti praticabili è giunto alla nona uscita su «Machina» e include le voci Riders, Riproduzione, Robotica e Salute, incentrate sulle questioni intrecciate di lavoro, reddito e servizi. Sono state scritte in fasi differenti ma poi aggiornate, provando a coniugare lo sguardo sull’attualità con un orizzonte di analisi più ampio. Anche queste, come le precedenti, non devono in nessun caso essere lette come lemmi e vanno ad arricchire il nostro controdizionario, ossia un dizionario che mette in discussione la sua stessa forma.
* * *
Riders
Il 15 settembre 2020 è stato sottoscritto un contratto collettivo di lavoro, da alcuni definito pirata, tra l’Assodelivery e l’Organizzazione Sindacale Ugl, per regolare il lavoro dei riders.
Il primo tentativo di inquadrare legalmente il lavoro dei riders è stato compiuto nel capo V-bis aggiunto al D. Lgs 81/2015 «Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali» che inizia a formalizzare questo tipo di rapporto di lavoro tramite App. Secondo le prescrizioni legislative, i contratti devono essere in forma scritta e, in mancanza di contratti collettivi, i lavoratori «non possono essere retribuiti in base alle consegne effettuate; ai medesimi deve essere garantito un compenso orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini». Si sancisce anche la necessità di un’indennità integrativa non inferiore al 10% per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni meteorologiche sfavorevoli.
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Sulla guerra in terra ucraina
di Nucleo comunista internazionalista
Guerra fra stati, sfida armata russa all’imperialismo occidentale, incipiente guerra civile globale
La data di giovedì 24 febbraio, inizio di quella che Putin ha definito ”operazione militare speciale” in terra ucraina per procedere alla sua “smilitarizzazione e denazistificazione”, segna un momento di rottura di portata storica. L’iniziativa armata dello Stato russo dentro il suo spazio vitale ucraino ha dato uno strappo violento all’intero assetto e sistema di potere internazionale.
La scala delle sue gerarchie è messa in discussione. La protervia della potenza egemone americana e dei suoi satelliti non è più tollerabile dallo Stato russo, costretto a rompere gli indugi passando alle vie di fatto militari contro “l’impero della menzogna” come Putin ha definito le potenze egemoni occidentali. Verso le quali lancia il guanto armato della sfida e al tempo stesso continua a proporsi, da capo borghese quale è, come “partner”. Partner affidabile e socio borghese in affari, se solo si accettasse la presenza, se non “alla pari” almeno su un piano di “equa proporzione”, di Santa Madre Russia dei cui interessi egli è paladino, nel salotto buono dell’alta borghesia mondiale dove vengono spartite le quote di potere capitalistico a scala globale. Se “solo”…
E’ uno strappo profondo e non ricucibile. Eventuali intese di compromesso sul terreno dello scontro al momento circoscritto in terra ucraina, saranno solo momenti di tregua. In capo alla lotta mortale che si combatte sulla nostra pelle cioè sulla pelle dell’umanità intera, c’è la testa mozzata di Putin per dire di S. M. Russia cioè la disarticolazione del centro di potere capitalistico russo, oppure le teste mozzate degli attuali reggitori e regnanti del “mondo libero” e la disarticolazione della loro attuale rete di alleanze e di potere.
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Tra Stato e formazioni sociali
La nuova politica secondo Fabrizio Barca
di Antonio Zucaro
In “Disuguaglianze conflitto sviluppo” (Donzelli ed., Roma 2021) Fabrizio Barca tira le somme, dialogando con Fulvio Lorefice, del suo lungo impegno intellettuale, amministrativo e politico sul rapporto tra Stato e formazioni sociali, che lo ha portato a essere Ministro per le politiche di coesione nel Governo Monti (2012/2013). In tale veste ha prodotto una “strategia per le aree interne” attraverso una pratica di confronto con i rappresentanti delle amministrazioni locali e delle organizzazioni sociali presenti nei territori, sperimentata in precedenza, come Capo dipartimento, per i progetti territoriali destinati soprattutto al Sud.
La pratica del confronto “acceso, aperto, informato e consapevole” (secondo la definizione di Amartya Sen) si è poi trasferita nel “Forum disuguaglianze e diversità”, da lui coordinato, che ha messo in relazione un gruppo di ricercatori e un insieme di organizzazioni di cittadinanza attiva, per studiare le criticità crescenti nel corpo della società e produrre ipotesi di soluzione lungo la linea del superamento delle disuguaglianze. Questo lavoro collettivo, iniziato nel 2018 e continuato fino a oggi, ha prodotto documenti programmatici di grande spessore, rinvenibili sul sito.
Da queste esperienze è maturato l’impianto concettuale delineato nel libro, dimostrando le grandi potenzialità di uno stretto rapporto tra lavoro teorico e pratiche sociali, soprattutto in una situazione complessa, e per molti aspetti inedita, come l’attuale.
L’ evidenza delle gravi contraddizioni in atto nella crisi globale, verificate nel confronto con l’associazionismo, hanno prodotto una evoluzione nell’atteggiamento dell’autore, da sempre critico dell’esistente, in direzione di posizioni più nette nei confronti degli attuali assetti di potere, politico ed economico, e delle relative dinamiche di fondo.
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Vaccini e tamponi. Chi rischia cosa?
di Marco Cosentino*
Intervento al Convegno “Pandemia: invito al confronto” del 3 gennaio 2022, organizzato dal Coordinamento 15 ottobre
Il titolo del mio intervento - “Vaccini e tamponi. Chi rischia cosa?” - ha voluto mettere insieme due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore e che sono legati da una narrativa opposta e speculare, ossia: sul versante dei vaccini Covid 19 la narrazione è che non si rischia assolutamente nulla, sul versante dei tamponi si dice che il rischio è che si tratti di strumenti che non funzionano - anche se l’anno scorso sono stati invece largamente impiegati per mantenere alti alcuni numeri e soprattutto un allarme sociale e sanitario che tuttora ci sta accompagnando.
Qualcuno ricordava molto opportunamente - ho ascoltato con grande interesse i diversi interventi che mi hanno preceduto - i giuramenti che si pronunciano in varie occasioni. Mi piace dire che anch’io, quando mi sono laureato in medicina, ho pronunciato il giuramento del medico sul testo di Ippocrate; poi da ufficiale medico ho pronunciato un giuramento di cui vado particolarmente orgoglioso e fiero, che è quello di fedeltà allo Stato, alle istituzioni e soprattutto alla Costituzione, alle leggi che ho giurato di proteggere; dopodiché sono diventato ricercatore e professore universitario, ed è l’unica figura che è esonerata dal pronunciare qualunque giuramento verso lo Stato e le leggi. Perché essenzialmente, la cosa importante per chi fa ricerca è restare fedele alla verità dei dati, una verità continuamente e potenzialmente mutevole, sulla base delle migliori evidenze. Quindi, ovviamente, non esiste la Scienza a cui credere, ma esiste un metodo scientifico da praticare quotidianamente alla ricerca della migliore evidenza possibile; quella ‘migliore evidenza’ sulla base della quale deve fondarsi la pratica dell’arte della medicina e che è prevalentemente rappresentata da numeri.
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Guerra e Internazionalismo proletario
di Michele Castaldo
Quando ho scritto Il caos capitalistico riflesso in Ucraina, pubblicato il 3 marzo 2022, ho accennato a una serie di questioni teoriche che sapevo essere presenti nel vasto panorama della sinistra e in modo particolare in quel pulviscolo che si suole definire di estrema sinistra e che comprende un ventaglio di posizioni che si richiamano ai grandi teorici e dirigenti politici che in nome del comunismo si sono battuti contro il capitalismo sia dal punto di vista ideale che politico.
Di questioni teoriche, dicevo che hanno rappresentato e tuttora rappresentano una sorta di « cassetta degli attrezzi » dove ognuno va e prende quello che gli serve per utilizzarlo nel contesto determinato. In certi casi quel ventaglio di posizioni teoriche diviene un tessuto elastico circolare tenuto da un punto centrale fisso, una specie di pilastro ideale, e che è possibile tirare da ogni lato secondo la posizione politica o tattica che si vuole affermare per la soluzione del problema del presente.
È del tutto evidente che in questo modo ogni gruppo politico che si forma per pulsioni sociali si relaziona ad esse attraverso la mediazione degli elementi teorici. Si scatena così una vera e propria “competizione interpretativa” di come usare la cassetta degli attrezzi, ovvero di quale arnese prendere per contribuire a risolvere una questione sociale di qualsiasi tipo. In questo modo si costruiscono modelli ideali stabili per applicarli alla realtà concreta, che però è dinamica, e dunque si finisce il più delle volte per arenarsi in futili ed inutili discussioni.
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Crisi ucraina: chi sono i veri responsabili e come combatterli
di Rete contro la guerra e il militarismo - Napoli
La crisi ucraina ha sostituito la pandemia nel bombardamento quotidiano di notizie. Siamo passati dall’ossessiva campagna contro i pericoli del Covid, scomparso improvvisamente dagli schermi, alle immagini, accompagnate da commenti fuorvianti, di distruzione e di notizie terrificanti sui crimini commessi dall’esercito invasore. Agli esperti virologi ed epidemiologi si sono sostituiti specialisti politici e militari che ci spiegano i pericoli che corre la pace nel mondo, la cattiveria (demoniaca o demenziale a seconda dei gusti) del nuovo Zar russo e ci invitano a schierarci a fianco del popolo ucraino immotivatamente aggredito sostenendo gli sforzi del governo per contrastare questa nuova emergenza. Un martellamento a reti unificate da far impallidire i propagandisti di Mussolini e Hitler.
Si tratta di propaganda di guerra che ha come obiettivo quello di farci schierare a sostegno dei nostri valori occidentali contro il dispotismo russo orientale. Come fuori dai denti ci ricorda qualche cronista, qui siamo nel cuore dell’Europa. Non si tratta di afghani, iracheni o siriani e meno che mai di africani, qui si tratta di un Paese e di un popolo fratello che ci somiglia. Nulla a che fare con quegli straccioni né bianchi né biondi arrivati alle frontiere europee, anche provenienti dall’Ucraina, dopo essere scappati da guerre che i governi “democratici” occidentali hanno scatenato contro i loro Paesi e che l’Europa, tanto accogliente ora verso i profughi ucraini, sta ancora adesso lasciando morire di fame e di freddo dietro i fili spinati ed i muri che l’hanno resa una fortezza.
Si tratta di propaganda di guerra del nostro paese, diventato parte attiva del conflitto in atto insieme ai suoi alleati occidentali per giustificare la vera aggressione da essi praticata contro la Russia che dura da decenni e di cui la crisi ucraina costituisce semplicemente il più recente tassello.
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