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Nel ground zero della Politica
Benedetto Vecchi
«Non ti riconosco», un viaggio nella crisi del «made in Italy» a firma di Marco Revelli per Einaudi. Un libro sulla fine della grande fabbrica e dei distretti industriali, orfani di qualsiasi progetto di liberazione sociale
Un lungo viaggio per l’Italia, facendo tappa nelle città, le regioni, i luoghi che ne hanno scandito la storia nel lungo Novecento. È quanto fa Marco Revelli nel volume Non ti riconosco (Einaudi, pp. 250, euro 20). Il punto di partenza non poteva che essere Torino, la città operaia per eccellenza che Revelli conosce benissimo. Lì è cresciuto come intellettuale, lì è cresciuto politicamente. A questa company town ha dedicato altri libri e innumerevoli di articoli e saggi. Torino era il luogo di un modello di società da cambiare per costruire una «città futura». Non è andata così, come è noto.
Torino è diventata il ground zero del Novecento italiano. Di quella classe operaia che ha incendiato le menti di molti militanti ci sono solo flebili tracce, il resto sono aree dismesse, terreni inquinati, rottami, ruggine e una immensa sequenza di templi del consumo che ne hanno ridisegnato la geografia, anche sociale. Il centro storico è stato però ripulito, rimesso a nuovo; i sindaci che si sono succeduti negli ultimi dieci, venti anni hanno solo accompagnato l’approfondirsi della sua morte come città simbolo dell’Italia industriale. Alcuni con pragmatismo, altri con complice subalternità ai piani della Fiat di abbandonare la città per proiettarsi sul palcoscenico impalpabile della finanza. Come in tanti altri luoghi, gli operai cacciati dalla fabbrica non hanno avuto altra alternativa che sopravvivere alla lenta, ma progressiva desertificazione sociale; l’élite invece si è «deterritorializzata», recidendo i suoi legami con il territorio, altra parola magica che tutto dice per non affermare nulla.
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Si può arginare l'uso capitalistico del digitale?
Necessaria una rivoluzione nel nostro modo di pensare
Intervista a Sergio Bellucci
Quali sono le ripercussioni della rivoluzione digitale del XXI secolo incombenti sull’ assetto sociale e politico europeo?
Il digitale rappresenta più che una rivoluzione, rappresenta un passaggio di paradigma. Per alcuni versi è molto più profondo di qualsiasi cambiamento sociale, culturale ed economico concepibile da un’idea politica. Dall’altro sembra che possa riproporre una dialettica tra le classi. Ma di nuova generazione. Oggi se il digitale resta confinato, egemonizzato dal capitalismo globale e a dimensione planetaria, rischia di produrre una società suddivisa tra pochissimi ricchi e tantissimi poveri, tra una piccola parte di sfruttatori e una massa sterminata di sfruttati. La metafora creata da Occupy Wall Street è la più efficace: l’1% contro il 99% del mondo.
Quali cambiamenti ha apportato sulla nostra società e sullo scenario politico?
È cambiata la forma della socializzazione. Quando cambia la natura e la modalità con le quali gli umani si scambiano le relazioni, cambia tutto. E la politica non può restare al palo, pena la propria decadenza, la propria marginalità, la messa in fuori gioco. Ma non è solo un problema dei partiti. Anche le istituzioni, le forme codificate tra l’Ottocento e il Novecento delle nostre democrazie sono investite da nuove domande, da nuove richieste di partecipazione e di decisione.
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La teoria marxiana del valore. Le confutazioni
di Ascanio Bernardeschi
Se si legge Marx con le lenti di Ricardo, la sua teoria appare contraddittoria. Occorre invece avere chiara la sua netta rottura con l'economia classica
La difficoltà o l'impossibilità di misurare gli oggetti non implica che essi non esistano o che non siano regolati da determinate leggi. Nella meccanica quantistica, per esempio, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, nello stesso istante, sia la posizione che la velocità di una particella. Però la teoria di Marx è stata criticata per via della difficoltà di misurare il lavoro sociale necessario a produrre una merce oppure di stabilire a quanto tempo di lavoro semplice corrisponde un'ora di un lavoro complesso, maggiormente specializzato. È agevole rispondere che per Marx è il mercato a stabilire il tempo lavoro necessario a produrre una merce. Se la misura immanente del valore è il tempo di lavoro, quella “fenomenica esterna” è il denaro, quale rappresentante di ricchezza astratta e quindi di un certo tempo di lavoro. È il mercato che verifica se e in che misura il lavoro prestato è lavoro socialmente necessario. Così pure, Marx non si è mai sognato di cercare di risolvere il “puzzle” [1] della riduzione del lavoro complesso a lavoro semplice, limitandosi casomai a indicare come ciò sia possibile in via teorica. Anche nei suoi esempi numerici, ha quasi sempre utilizzato il denaro come misura del valore. La sua teoria non serve a determinare in vitro il valore delle merci, ma a scoprire le leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e metterne a nudo le contraddizioni. Essa deve essere valutata sulla base della sua capacità o meno di raggiungere questo obiettivo e naturalmente sulla base della sua coerenza interna.
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Le ragioni del no all'arretramento costituzionale*
di Domenico Gallo
Quali sono le ragioni della nostra critica alla Costituzione quale è stata riscritta dal governo, voluta da Renzi e propagandata dalla Boschi?
Innanzi tutto il metodo. La Costituzione non e’ un regolamento di condominio, non è una legge ordinaria, è qualcosa che si pone al confine tra la storia e il diritto; nella Costituzione entra il senso delle vicende storiche del Paese. La Costituzione del ’48 è l’espressione di una vicenda storica particolarmente dura per il nostro Paese. La Costituzione rappresenta cio’ che unisce gli italiani e li trasforma in una comunita’ in cui tutti si possano riconoscere e in cui tutti possano riconoscere di avere un destino comune. Quindi la Costituzione non è frutto di un indirizzo politico di maggioranza, non puo’ essere scritta da una fazione. In effetti la Costituzione fu approvata da un’Assemblea costituente eletta col metodo proporzionale, che rappresentava tutte le opzioni politico-culturali presenti nella societa’ italiana; il lavoro di questo corpo costituzionale fu portato a termine con un’approvazione quasi all’unanimita’; ci furono 453 voti su 515, quindi la stragrande maggioranza del popolo italiano approvo’ la Costituzione che adesso viene messa in questione.
L’attuale riforma è la piu’ vasta, la piu’ organica che sia stata mai proposta dal ’48 ad oggi, se si fa eccezione della riforma di Berlusconi che non è mai diventata legge perche’ fu bocciata nel referendum del 2006; quindi giustamente il nostro documento dice che questo disegno di legge sostituisce la Costituzione italiana con un’altra.
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Napoli fa 90!
A proposito di elezioni, lotta al Governo Renzi e futuro che ci attende
Premessa
In queste pagine vogliamo condividere la nostra lettura della fase economica e politica, esprimere il nostro punto di vista sulla prossima tornata amministrativa a Napoli, e sui compiti che ci attendono se vogliamo provare a contrastare la crisi e le politiche che da ormai otto anni ci stanno massacrando. Speriamo soprattutto che questo documento possa diventare la base di futuri confronti.
Prima di iniziare ci teniamo però a socializzare questa riflessione, una preoccupazione e una speranza che non ci fa dormire la notte.
I tempi che stiamo vivendo sono davvero eccezionali. Dal 2008 gran parte del mondo è in preda a una crisi economica epocale, la più grave di sempre. Le classi dominanti non hanno la minima idea di come uscire da questa crisi, perché per uscirne bisognerebbe toccare i loro profitti e le loro ricchezze, e non vogliono che questo accada. Non vogliono concederci nulla, anche perché sanno che la fame vien mangiando... Quindi restringono gli spazi di espressione, manganellano ogni protesta, ci fanno fare ulteriori sacrifici, tagliano servizi sociali, aumentano tasse, tolgono diritti.
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Da Napoli una via per la rottura della Ue
Italexit. Relazione introduttiva
di Giorgio Cremaschi
Sono convinto che in un futuro, speriamo più vicino possibile, ci si chiederà con compassione ed incredulità come sia stato possibile che le decisioni fondamentali del nostro paese, e di molti altri, siano state sottoposte al vaglio ed al giudizio meticoloso di controllori esterni. Come sia stato possibile che un parlamento eletto, seppure con un sistema truffaldino, abbia accettato di rinunciare alla sua sovranità per delegarla ad autorità esterne non elette da nessuno. E soprattutto ci si chiederà come sia stato possibile che le decisioni sul lavoro, sulle pensioni, sulla sanità, sulla scuola, sul sistema produttivo, sulle stesse regole democratiche, siano state prese in funzione del giudizio su di esse da parte di sconosciuti burocrati installati e Bruxelles dalla finanza, dalle banche, dal potere economico multinazionale. Ci si chiederà come sia stato possibile che le generazioni precedenti abbiano rinunciato a decidere sugli aspetti fondamentali della propria vita sociale, economica e politica, accettando il potere quasi assoluto di una entità astratta chiamata Europa. Entità astratta dietro la quale si sono nascosti gli interessi concreti delle élites economiche, delle classi più ricche e delle caste politiche e burocratiche di tutti paesi del continente. Tutte queste élites non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese, ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo vivendo.
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Saggio medio del profitto e prezzo di produzione
di Giorgio Paolucci
Abbiamo deciso di ripubblicare l’articolo Saggio medio del profitto e prezzo di produzione perché in esso, al di là delle più recenti modificazioni capitalistiche e degli avvenimenti, spesso dolenti, della storia mondiale, l’analisi ivi espressa sulla «formazione del saggio medio di profitto in relazione al processo di formazione dei prezzi» resta più che valida, anzi, diremmo, operante: in primis tale articolo, edito sul numero 5 della IV serie della rivista «Prometeo» (settembre 1981), riproponendo la posizione di Marx con estrema esattezza e puntualità, funge da lettura propedeutica per chiunque volesse tentare una comprensione storica dei fenomeni della «concentrazione dei mezzi di produzione», «del fenomeno della caduta tendenziale del saggio di profitto», e di quella che, circa trenta anni fa, era già la «crescente espansione del dominio parassitario del capitale finanziario».
In contrasto con le tesi degli economisti liberali e dei corifei del capitale, i quali volevano utilizzare il terzo libro del Capitale per sminuire la teoria del valore-lavoro, i «rilievi critici» di Marx a Ricardo vengono riproposti in Saggio medio del profitto e prezzo di produzione per ribadire con chiarezza come la «formazione di un saggio del profitto implica che i prezzi delle merci differiscano dai loro valori». Un assunto di primaria importanza se si vuole concepire, con Marx, la realtà economica odierna, in cui la «forza imperialistica», esercitata da ognuno dei vari centri di potere della borghesia mondiale, viene utilizzata al fine di incidere sulla «ripartizione» del «plusvalore complessivo», cioè mondiale.
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L’economia sovietica: parabola di un capitalismo atipico
di Edoardo De Marchi
Presentazione
Come abbiamo scritto nel nostro primo editoriale, questo blog ospiterà e produrrà sia interventi sulla congiuntura politica, sia più ampie riflessioni sulla fase storica attuale, sia testi teorici di diversa lunghezza ma di apprezzabile densità. A quest’ultima categoria appartiene lo scritto che, estrapolandolo da un suo lavoro in progress, Edoardo De Marchi ha voluto predisporre proprio per Socialismo 2017. Si tratta di una interessante sintesi dell’intera esperienza economica sovietica, ispirata alle letture di Charles Bettelheim e Gianfranco la Grassa ma avente una propria autonoma direzione. Al di là degli accordi e dei dissensi, Socialismo 2017 sceglie o chiede testi che rimettano all’ordine del giorno la discussione sul socialismo e lo facciano con serietà teorica e culturale: si vedrà facilmente che il bel contributo di De Marchi corrisponde in pieno a questi requisiti.
EDOARDO DE MARCHI – Ha insegnato Storia nella secondaria superiore e discipline economiche presso l’Università di Venezia. Si è dedicato a studi relativi all’intreccio fra evoluzione dei paradigmi economici e trasformazioni del capitalismo, pubblicando vari testi su questi temi. Tra gli ultimi ricordiamo Verso un nuovo capitalismo , Unicopli 2007 (con G. La Grassa) e L’economia politica del capitalismo industriale, Unicopli 2011.
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L’incapacità di comprendere il presente: come criticare il M5S
di Militant
Molto, troppo, ha fatto discutere la nostra posizione pubblica riguardo alle prossime elezioni romane, svelando il solito nervo scoperto della sinistra residuale rispetto alle elezioni: da passaggio prettamente tattico vengono sempre affrontate con l’ansia da prestazione data dall’evento, a cui dare la massima rilevanza strategica sia nel caso dei votanti a prescindere sia nel campo dell’astensionismo purista. Niente di nuovo. L’ovvia marea di commenti ha però fatto emergere una questione a suo modo interessante, questa sì imprevista. Nel criticare giustamente le caratteristiche politiche del Movimento 5 Stelle, abbiamo scoperto che il Movimento di Grillo viene concepito nientemeno che partito “fascista” o addirittura “neofascista”.
La questione è di estremo interesse, perché la critica serrata ad un soggetto politico ha un suo valore se viene centrata, se cioè si hanno le capacità interpretative per comprendere i suoi limiti, il suo ruolo sociale, il paesaggio politico nel quale è inserito, le ragioni sociali della sua nascita e della sua forza. Una critica sconclusionata non interessa tanto l’aspetto teorico della vicenda, in questo caso marginale, ma inficia gli strumenti da predisporre per l’agire politico della sinistra nella società.
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Sfatiamo i luoghi comuni più popolari sulla guerra moderna
The Saker
Come sarebbe una guerra fra Russia e Stati Uniti?
Questa è la domanda che mi sento fare più di frequente. Questa è anche la domanda a cui sento dare le risposte più bizzarre e sbagliate. Mi sono già occupato della questione in passato e chi fosse interessato all’argomento può fare riferimento ai seguenti articoli:
- Ricordando le importanti lezioni della guerra fredda
- Cercando di dare un senso al martello da un miliardo di dollari di Obama
- Perché l’equilibrio nucleare russo-americano è più solido che mai
- Un breve ripasso sulle armi nucleari russe e americane
- L’equilibrio russo-americano in fatto di armi convenzionali
Non avrebbe senso ripetere nuovamente tutto in questa sede, perciò cercherò di affrontare il problema da un punto di vista differente, ma raccomando comunque caldamente a chi fosse interessato di trovare il tempo di leggere questi articoli che, anche se scritti per la maggior parte nel 2014 e nel 2015, sono tuttavia fondamentalmente ancora validi, sopratutto nella metodologia usata per affrontare il problema. Ciò che mi propongo di fare oggi è sfatare alcuni stereotipi popolari sulla guerra moderna in generale. La mia speranza è che, smentendoli, vi possa fornire qualche strumento per andare oltre tutte quelle stupidaggini che i media corporativi amano presentare come “analisi”.
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Il referendum, lo SCUORUM, e la guerra civile
di Alberto Bagnai
Premessa
Vorrei cominciare con una cosa che col titolo (già di per sé criptico per molti) apparentemente non c'entra nulla. Un grande classico, questo:
"Our export industries are suffering because they are the first to be asked to accept the 10 per cent reduction. If every one was accepting a similar reduction at the same time, the cost of living would fall, so that the lower money wage would represent nearly the same real wage as before. But, in fact, there is no machinery for effecting a simultaneous reduction. Deliberately to raise the value of sterling money in England means, therefore, engaging in a struggle with each separate group in turn, with no prospect that the final result will be fair, and no guarantee that the stronger groups will not gain at the expense of the weaker."
Che a beneficio dei diversamente familiari con la lingua dell'Impero potrei tradurre così:
"Le nostre imprese esportatrici stanno soffrendo perché sono le prime alle quali si chiede di accettare una riduzione del 10% [dei salari, NdC]. Se ognuno accettasse una simile riduzione allo stesso tempo, il costo della vita diminuirebbe [perché i prezzi diminuirebbero di altrettanto, NdC], e quindi un salario inferiore in termini monetari equivarrebbe più o meno allo stesso salario reale [potere d'acquisto, NdC] di prima. Ma, in effetti, non c'è alcun meccanismo che possa mettere in pratica una simile riduzione simultanea. In Inghilterra, innalzare deliberatamente il valore della sterlina significa, quindi, impegnarsi a lottare separatamente con ciascun gruppo di interessi, senza alcuna prospettiva che il risultato finale sia equo, né alcuna garanzia che il gruppo più forte non prevarrà a spese del più debole".
Inutile dire (a voi) che la stessa cosa si otterrebbe, in Italia, innalzando deliberatamente il valore della lira.
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Volo Egyptair, regolamento di conti ad alta quota
di Federico Dezzani
I cieli dell’Egitto, di questi tempi, sono più pericolosi del triangolo delle Bermude, soprattutto per gli aerei che transitano da uno scalo di un Paese alleato del presidente Abd Al-Sisi: il disastro del volo Egyptair MS804 presenta forti analogie con l’attentato al volo russo Metrojet 9268, perpetrato ufficialmente “dall’ISIS”. Il mezzo di trasporto, la tratta percorsa ed il momento della quasi certa esplosione sono vocaboli di un preciso lessico terroristico, con cui gli ambienti atlantici esprimono il loro disappunto per l’intraprendenza francese in Egitto ed Libia, in contrasto con gli interessi angloamericani. L’attentato denota un salto di qualità nel contesto internazionale, spostando la lotta per gli assetti mediorientali dentro al ristretto “patto di sindacato” della NATO.
* * *
I parallelismi tra il volo Egyptair MS804 ed il Metrojet 9268
Appartiene agli anni ’50-’60, l’epoca dei primi voli commerciali transoceanici col puntuale scalo alle isole Azzorre, il mito del triangolo delle Bermude: era il tratto di oceano “maledetto” tra l’arcipelago delle Bermude, l’isola di Puerto Rico e la penisola della Florida, dove si narrava che aeroplani e navi scomparissero sovente nel nulla.
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Il fantasma di Deleuze in place de la République
di Julius (This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.)
«La differenza fra le persone comuni ed i professori universitari consiste nel fatto che questi ultimi sono arrivati all'ignoranza dopo lunghi e difficili studi.» (Oscar Wilde - Aforismi).
C'è qualcosa di profondamente corrotto nel regno del pensiero radicale alla francese. Non utilizzo il termine "corrotto" in senso morale, ma nel senso delle merci "andate a male" dal momento della loro produzione. Ovviamente, il fenomeno non attiene all'oggi e lo spettacolo politico-culturale che offre la place de la République ne è solo la manifestazione più recente. Nel supermercato delle ideologie che in quella piazza ha montato i suoi stand, il postmodernismo occupa il posto principale. In particolare il "deleuzismo", il quale, in maniera del tutto evidente, costituisce uno dei denominatori comuni al cittadinismo mille volte riciclato e aggiornato che regna ai piedi della statua della dea tutelare dello Stato esagonale, e che punteggia i discorsi dei politici alla moda, a cominciare da Lordon. Vista la mitologia favorevole che ha permesso di nobilitare il deleuzismo, di attribuirgli il titolo di pensiero sovversivo, e visto il ruolo che gioca attualmente, vale la pena di tornare brevemente sul percorso di Deleuze e dei suoi accoliti, senza pretendere esaustività ma mostrando quali sono state le sue prese di posizione durante i periodi chiave della storia con cui si sono confrontati. Deleuze fa parte di quei personaggi che, all'indomani del maggio 68, avevano la pretesa di essere dei filosofi impegnati in attività originali e di aprire dei percorsi di riflessione e di azione che andavano oltre i confini tracciati e bloccati dal militantismo tradizionale. Benché le sue prese di posizione non esauriscano la questione dell'analisi critica della sua "cassetta degli attrezzi" concettuale, le prime dipendono dalla seconda e in molti casi ne rivelano il senso. Cosa che i riciclatori di oggi preferiscono occultare.
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Niente bocciature... che già abbiamo tanti guai
di Leonardo Mazzei
Quando la politica viene prima dell'economia... Le "pagelle" dei commissari europei e il futuro della "flessibilità" di Renzi
Alla fine sono arrivate le Raccomandazioni-Paese. Non ridete, si chiamano proprio così nel burocratese ufficiale della Commissione che ha il compito di emetterle annualmente. La stampa, che ama volgarizzare, le definisce invece "pagelle". Già questa terminologia la dice lunga sia sulla natura che sullo stato della (dis)Unione Europea.
Come previsto (almeno da chi scrive) i commissari sono stati quest'anno di manica larga. La barca fa acqua da tutte le parti e non è il caso di fare gli schizzinosi. I "poveri" (non per lo stipendio) tecnocrati sono sinceramente affezionati ai loro dogmi, ma qualche volta la politica comanda perfino a Bruxelles.
Mentre Cipro, Slovenia ed Irlanda hanno incassato l'abrogazione della "procedura di infrazione" (il burocratese eurista colpisce ancora); Spagna e Portogallo hanno per ora schivato le sanzioni previste dalle regole sul deficit dei conti pubblici. Se ne riparlerà a luglio. Strano mese, direte. Ma il fatto è che luglio viene dopo giugno, ed il 26 di quel mese gli spagnoli andranno alle urne. E l'amico Rajoy - amico della Merkel s'intende - val bene una deroga. Pare che anche Schaeuble questa volta abbia chiuso volentieri un occhio.
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Metrojet, Egipt Air, Regeni
Gli assassini dell'Egitto: Utili idioti, amici del giaguaro
di Fulvio Grimaldi
Nella tattica del terrorismo aereo di Stato, scatenato contro i paesi islamici a partire dai missili travestiti da aerei dell’11 settembre, rilanciato contro la Russia dal MH17 malese abbattuto sul Donbass nel luglio 2014, l’Egitto è al momento il target privilegiato. E possiamo con tranquilla sicurezza dire, parafrasando Pasolini, che noi sappiamo, pur non avendo altre prove che l’identità, la pratica storica e gli interessi del colpevole. Chi, l’ottobre scorso, ha fatto esplodere sul Sinai il Metrojet russo in volo da Sharm el Sheik con 224 persone a bordo ha colpito la Russia, antagonista globale e particolarmente vincente in Siria, insieme all’Egitto, dove un’insurrezione di 30 milioni di cittadini aveva eliminato dalla scena il Fratello Musulmano Mohamed Morsi e aveva sancito nel successivo voto la vittoria del generale Abdel Fatah Al Sisi. E qui colui che aveva collocato la bomba sull’aereo è stato catturato: un jihadista dell’Isis, vale a dire un miliziano del ramo terrorista della Fratellanza.
Questi aeroporti supersicuri con le voragini
Visto che Francia e Belgio appaino terreni di scorribande di terroristi con appiccicata l’etichetta Isis e vista la dimostrata apatia (inefficienza? complicità?) dimostrata dalle autorità di sorveglianza franco-belghe in occasione delle mega-operazioni di questi terroristi, viene naturale pensare che anche all’aeroporto Charles De Gaulle non si sia stati esasperatamente impegnati a impedire che qualche manina depositasse nell’Egypt Air in partenza per il Cairo l’ordigno che è stato visto bruciare nel cielo sopra il Mar Egeo.
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Marx 1881, il marxismo creativo e i “quattro enigmi” della storia contemporanea
di Roberto Sidoli, Massimo Leoni, Daniele Burgio
Un carteggio sull'Effetto di sdoppiamento. In calce a questo scritto le domande rivolte agli autori
Caro Fabio, nel rispondere al tuo scritto – fin troppo generoso nei nostri confronti – vogliamo per il momento concentrarci solo su due distinte tematiche, e cioè:
- Il rapporto tra marxismo e teoria dell’effetto di sdoppiamento, con il derivato primato della sfera politica (Lenin, “Che fare?”, 1902 e sulla successiva polemica contro Trotsky e Bucharin, nel 1920/21);
- Quale sia l’utilità politica, a cosa serve concretamente la tesi dell’effetto di sdoppiamento, con la sua analisi dell’epoca “sdoppiata” del surplus dal 900 a.C. fino a i nostri giorni.
- Sulla prima questione, sottolineiamo subito che il primo e finora ignorato precursore della teoria dell’effetto di sdoppiamento è stato Karl Marx, in un suo geniale lavoro del 1881 che semi-marxisti russi quali Plechanov, Axelrod e Vera Zasulich occultarono e nascosero vergognosamente per quasi quattro decenni e che venne invece pubblicato in Unione Sovietica nel 1924.
Infatti all’interno della bozza e stesura provvisoria della sua lettera del marzo 1881 indirizzata a Vera Zasulich, il geniale rivoluzionario tedesco analizzò anche la dinamica generale di sviluppo delle millenarie comuni rurali (la “comune agricola”, nella terminologia usata da Marx), notando tra le altre cose che «come… fase ultima della formazione primitiva della società, la comune agricola… è nello stesso tempo fase di trapasso alla formazione secondaria e, quindi, di trapasso dalla società basata sulla proprietà comune alla società basata sulla proprietà privata.
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Lo sguardo di Ippolita tra le anime elettriche della rete
Ippolita
Pubblichiamo un estratto da “Anime elettriche. Riti e miti sociali” di Ippolita, edito da Jaca Book (marzo 2016), un testo che riflette sulle contraddizioni prodotte dalla digitalizzazione delle nostre esistenze in rete
Corpi, macchine e corporation
I social sono un campo da gioco sterminato, una straordinaria palestra di pornografia emotiva per la scienza della comunicazione e il marketing, soprattutto perché amplificano le caratteristiche virali dei messaggi, la loro carica contagiosa. La velocità è tutto: se non agganci l’utente in una manciata di secondi, non sei efficace. In prima istanza, esistono due grandi agglomerati di corpi. Da una parte, la grande massa degli utenti, con i loro corpi organici; dall’altra, il corpus tecnologico sul quale gli organismi proiettano il loro alter ego digitale: il retroterra inorganico, di silicio e codici. Le macchine in rete organizzano l’espressione dei corpi organici, ovvero letteralmente si nutrono di essi, della loro biodiversità. Il corpus di conoscenze necessarie all’interazione fra organico e inorganico costituisce un terzo polo, che però può essere riassorbito negli altri due[1]. Ci interessa qui distinguere fra le diverse forme di oscenità interiore degli utenti e l’oscenità delle macchine, il loro essere cose gettate nel mondo, ossatura esposta, sistema nervoso estroflesso, struttura tecnico-culturale.
Esaminiamo da vicino l’opposizione corpi analogici – corpi digitali. Proviamo a seguire gli attori coinvolti. Osserviamo cosa accade quando mandiamo una mail, inviamo un messaggio, postiamo un contenuto.
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Reportage dal Kurdistan iracheno
Interviste raccolte dai corrispondenti di Radio Onda d'Urto e Infoaut
Prosegue il lavoro di inchiesta e reportage dei nostri corrispondenti in Medio Oriente: i compagn* si trovano ora in Iraq nella zona del Kurdistan Basur, ovvero nei territori che rientrano sotto il Governo Regionale del Kurdistan nel nord dell'Iraq (il Krg).
Di seguito proponiamo una raccolta (in continuo aggiornamento) di tutti i contributi, gli aggiornamenti, le interviste e gli approfondimenti realizzati dai nostri corrispondenti
* * *
Il Pkk sugli attacchi di Lice e Ankara: “Il popolo curdo ha diritto di difendersi”
In un'intervista rilasciata ai corrispondenti di Infoaut e Radio Onda d'Urto in Iraq (che nei prossimi giorni pubblicheremo in versione integrale), il comandante delle forze armate del Pkk nell'area di Mosul, Cemal Andok, ha commentato così l'attacco esplosivo che ha causato decine di vittime nell'esercito turco ad Ankara (capitale della Turchia): “Il Pkk è estraneo a questo attacco, ma esso è il risultato della crudeltà del governo di Ankara nei confronti dei civili e delle città curde del Bakur [regione curda della Turchia sud-orientale, Ndr]”.
A poche ore di distanza dall'attacco di Ankara c'è stata un'altra azione di sabotaggio nei pressi di Lice. Sull'autostrada tra Bingöl e Diyarbakir, principale città del Bakur, un veicolo delle forze turche è stato fatto saltare in aria facendo sei morti tra i soldati.
“I curdi non possono stare a guardare mentre Erdogan uccide impunemente centinaia di civili e ne brucia i cadaveri, incendiando case e palazzi e soffocando o bambardando le persone nelle cantine”, ha continuato Andok. “I curdi, con questi due attacchi all'esercito, hanno provato a rispondere all'attacco della Turchia. Esiste un diritto curdo di rispondere agli atti di guerra e a proteggersi, combattendo tanto lo stato islamico quanto gli altri nemici”.
Nella giornata di ieri una rivendicazione dell'attacco di Ankara è arrivata dal gruppo Tak, “Falchi del Kurdistan per la Libertà”. Il comandante del Pkk ha fatto presente che “esistono molte organizzazioni che si battono per la causa curda e per la libertà curda, ad esempio Tak. Non c'è relazione militare tra Pkk e Tak, ciò che ci unisce è l'essere curdi”. I Tak, che avevano già rivendicato un'esplosione su un aereo della Turkish Airways all'areoporto Sabiha Gokcen di Istanbul alcune settimane fa, hanno dichiarato nel loro comunicato che l'azione di Ankara “è una risposta al massacro perpetrato dall'esercito a Cizre. Il silenzio su ciò che sta accadendo a Cizre è complicità”.
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Happy Diaz, una riflessione non convenzionale su Genova 2001
Adriano Ercolani intervista Massimo Palma
Trentasei anni fa, il 18 maggio 1980, moriva Ian Curtis, cantante dei Joy Division. Il secondo album della band, Closer, è una delle chiavi di un libro pubblicato di recente che muove da un lutto musicale per soffermarsi su un lutto politico. Di seguito un’intervista all’autore di questo libro
Pochi libri mi hanno colpito negli ultimi anni come Happy Diaz (Arcana) di Massimo Palma, un racconto lucido e non convenzionale della pagina più tragicamente oscena nella storia italiana recente, ovvero le violenze perpetrate dalla polizia su manifestanti inermi durante il G8 di Genova 2001.
Un libro che si fonda su una catena apparentemente arbitraria di connessioni e riferimenti, ma che al termine svela una visione complessa e ragionata, senza dubbio originale, dei nodi politico-culturali collegati a quell’epocale manifestazione di violenza di Stato.
Uno dei pregi della narrazione è quello di non raccontare solo le ultime, infernali 48 ore di mattanza poliziesca, ma di recuperare nel dettaglio l’intero programma di rivendicazioni, incontri, proposte e proteste del movimento sbrigativamente etichettato “no global”, analizzato per ciascun giorno della settimana.
Questa chiave narrativa consente al libro di non incancrenirsi nel livore dei toni di denuncia (comunque forte e circostanziata), ma di aprire a due peculiari percorsi sotterranei: la settimana è raccontata da un lato attraverso le canzoni dei gruppi dei gruppi rock di Manchester dedicati ai diversi giorni della settimana (a completare il quadro, tredici illustrazioni di Tuono Pettinato che ritraggono i protagonisti di quella straordinaria stagione musicale); dall’altro attraverso i personaggi del romanzo L’Uomo che fu Giovedi di G.K. Chesterton, amato dal grande studioso hegeliano Kojève.
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Caso Pizzarotti: amici del M5s, siete sicuri che…?
di Aldo Giannuli
Come era prevedibile, l’avviso di garanzia a Nogarin ha innescato un terremoto soprattutto nel mondo dei social, che è la bussola con cui il M5s si confronta. Si trattava di quello che io chiamo “effetto Savonarola”.
Se un noto gangster svaligia una banca, la cosa fa notizia ma, non si scandalizza nessuno (in fondo, i gangster fanno proprio quello), ma se ad appropriarsi indebitamente di un decino, anche solo per fare l’elemosina, è Gerolamo Savonarola che dal pulpito tuona ogni domenica contro il malcostume e le rapine, la cosa fa molto più rumore e tutti sono sbalorditi.
Temo che il vertice del M5s (chissà se mi perdoneranno di aver usato la parola “vertice” ma non sapevo come altro dire) si sia fatto prendere la mano dal panico, sopravvalutando grandemente l’effetto Savonarola, che può essere anche molto vistoso, ma in genere ha breve durata. Poi c’è stata la solidarietà di Grillo a Nogarin che ha fatto gridare ancora di più allo scandalo gli uomini della rete (“Ma allora siamo proprio come tutti gli altri!”); e su questo hanno soffiato quelle verginelle del Pd. Magari qui sarei stato più cauto, assumendo la posizione ufficiale “Attendiamo di vedere cosa c’è nelle carte”, il che non avrebbe escluso una solidarietà privata comprensibilissima.
Nemmeno 24 ore dopo è arrivata la notizia di Pizzarotti (ero in trasmissione ad Agorà proprio quando è arrivato e mi è toccato commentarla a caldo, con un battibecco con una parlamentare del Pd). E qui le cose sono cambiate, perché Fico ne ha chiesto subito il passo indietro.
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15M: Nuit Debout partout
di Davide Gallo Lassere
Come ci si rialza, come ci si riprende dalla atonìa seguita alla vicenda greca, come innescare un sovvertimento che risponda a un diffuso e inespresso desiderio di rivalsa e alla spinta che viene dall’affettività comune, reazione di forza superiore e contraria alla frammentazione imposta attraverso gli stati d’eccezione e le logiche individualiste neoliberali? Per questo è importante capire che cos’è successo in Francia, quale è stato il processo che ha portato il paese, nel giro di pochi mesi, a rovesciare completamente la cappa dello stato d’emergenza introducendo l’effervescenza del movimento #nuitdebout che resiste da due mesi a questa parte a partire dalla piazza simbolo della repressione emergenziale di Valls e Hollande, Place de la République. Pubblichiamo dunque l’ottimo intervento che Davide Gallo Lassere ha fatto al Piano Terra di Milano, giovedì scorso, portando una testimonianza diretta da Parigi. La discussione si è articolata guardando all’appuntamento del 15 maggio, che, ricordiamo, a Milano è fissato in Piazza XXIV maggio, #nuitdebout Milano, dalle 19.30. A Roma dalle ore 17 al Phanteon, a Torino dalle ore 23 .00 in Piazza Vittorio Veneto, a Genova dalle ore 18.00 in P.za Rostagno, a Padova dalle ore 17.00 in via VIII Febbraio, a Napoli Piazza San Domenico dalle ore 19.00, a Messina, invece, il 14 maggio, in Via Peculio Frumentario dalle ore 22.00 (per non sovrapporrsi alla manifestazione No Muos di domenica 15 maggio).
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Guerre vere e guerre immaginarie. Sull'uso del concetto di geopolitica
di Marco Bertorello
“Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti” ha dichiarato recentemente il Papa prospettando il rischio di un nuovo conflitto planetario. Ma, nonostante il forte ritorno ai nazionalismi, l’allarme del pontefice pare infondato perché non sussistono le condizioni politico-economiche per tale evenienza e la globalizzazione – per quanto multilaterale e asimettrica – rimane il fulcro centrale
Il Papa ha sostenuto ripetutamente che la terza guerra mondiale sarebbe iniziata. Su “Repubblica” ha affermato che «Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli»[1] e successivamente sul “Corriere della sera” ha ribadito in maniera ancor più perentoria «Io ho parlato di terza guerra mondiale a pezzi. In realtà non è a pezzi: è proprio una guerra»[2]. Le affermazioni del Papa vengono interpretate come una provocazione, una metafora per denunciare un contesto fatto di crescenti conflitti militari, ma al contempo contribuiscono a confondere le idee su ciò che sta accadendo. Dico subito che questo modo di leggere le vicende del mondo contemporaneo non mi convince e proverò a spiegare perché.
Va registrato che le affermazioni del Papa hanno rafforzato, per certi versi si potrebbe dire sdoganato, un esteso sentire a sinistra che legge i conflitti militari in corso dentro un più generale contesto di guerra finendo, in alcuni casi, per dare la stura a un nuovo «campismo», cioè a una nuova divisione del mondo in blocchi politico-economici già militarmente in conflitto tra loro. Ovviamente questa visione viene sviluppata con modulazioni differenti, ma in tutti i casi è indice di una certa propensione a leggere gli attuali conflitti regionali dentro un processo più ampio e ben più drammatico.
Una versione sofisticata e problematizzata è proposta anche dalla rivista «Limes» che vi ha dedicato un numero intero dall'emblematico titolo «La terza guerra mondiale?»[3] e con il medesimo titolo ha organizzato un Festival, a Palazzo Ducale di Genova, che ha visto la partecipazione di 8.000 persone. Numeri che parlano dell'attenzione al tema.
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Keynes, Draghi, Gollum, e i tassi negativi
di Alberto Bagnai
(...scritto a 30000 piedi, da dove si vede più lontano...)
Come forse starete vedendo, sui media di regime è tutta una scoperta dell’acqua calda. Il Sole 24 Ore, il Corriere, la Stampa, scoprono quello che qui da sempre ci siamo detti: che il surplus tedesco più che dimostrazione di virtù è causa di problemi; che il debito privato, non quello pubblico, è origine della crisi; che curare il debito pubblico con l’austerity trasforma una situazione fisiologica in una patologica. Insomma: tutto quello da cui siamo partiti, parola per parola, viene oggi dato come assodato, come “mainstream”, da persone che spesse volte ci hanno denigrato, singolarmente o collettivamente, per averlo detto quando c’era ancora qualcosa da salvare.
Naturalmente nessuno è disposto a fare per primo l’ultimo passo, vale a dire che siccome solo la crescita potrebbe risolvere i nostri problemi, e siccome l’euro è nemico della crescita, perché la svalutazione interna (taglio dei salari) imposta dalla rigidità del cambio condanna alla deflazione, condizione necessaria per uscire dall’impasse è superare il sogno di una moneta imperiale ed evolvere verso un sistema monetario più flessibile.
Faranno questo ultimo passo quando sarà loro chiesto di farlo.
Noi, intanto, possiamo guardare avanti.
Per rendervi più agevole questo compito, e aiutarvi a perdonare chi con le sue menzogne ha distrutto un paese, vorrei oggi con voi allargare le prospettive, facendovi leggere qui quello che fra un anno leggerete sul Financial Times.
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Neoliberismo medioevale e nuova aristocrazia
di Elisabetta Teghil
Il neoliberismo medioevale
Abbiamo già parlato qui del neoliberismo fascista, cioè dei caratteri nazisti e fascisti che informano questa società. Ma questa stessa società ha anche caratteristiche medioevali.
L’agire sociale tollerato è quello che si esprime per corporazioni, associazioni categoriali spoliticizzate, a tutela di interessi specifici di gruppo. Ne sono un esempio le associazioni dei consumatori, ma anche quelle che raggruppano le minoranze sessuali, o i comitati, le organizzazioni che dovrebbero “salvaguardare” le donne come genere oppresso.
Tutto viene ricondotto ad una generica matrice culturale che dimentica la struttura della società e la divisione in classi.
Ognuno così finisce per chiedere tutele e visibilità, riconoscibilità e legalizzazione organizzandosi in un gruppo di interesse. I “centurioni” che accompagnano i turisti al Colosseo, i venditori ambulanti, le sex workers, tutti chiedono albi professionali in cui essere inseriti e riconoscibilità in un gruppo. Vengono così criminalizzate e perseguite tutte le economie marginali e tutti e tutte coloro che non possono essere inquadrate in una categoria o che non vogliono legare la propria vita ad un ambito specifico.
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Paolo Virno. L’idea di mondo
Alessandro Foladori
Esiste una certa lettura dell’opera di Gilles Deleuze che consente un aggancio tra la sfera ontologica e quella etica a partire dal non-concetto di immanenza e dal “canone eretico” della storia della filosofia, cui egli si rifà: Spinoza, Bergson, Nietzsche, gli stoici, per citare i più noti. Forse il più grande merito di una simile lettura sta nel fatto che essa rifiuta alla morte il privilegio di donare compiutezza e senso all’esistenza, per soffermarsi invece sull’incompiutezza senza mancanza che fa tutta la potenza di una vita.
L’idea di mondo. Intelletto pubblico e uso della vita di Paolo Virno (Quodlibet, Macerata 2015, pp. 187) non condivide con Deleuze alcuna premessa operativa esplicita, eppure sembra ruotare attorno allo stesso intento problematico. Il libro di Virno è composto da tre saggi, due dei quali già pubblicati nel 1994, che afferiscono a “generi” differenti. Il primo è un saggio filosofico stricto sensu; il secondo un trattato politico; e il terzo un programma di lavoro per una filosofia «da fare». Nonostante questo i tre saggi sono inestricabilmente avvinghiati l’uno all’altro, non solo perché ognuno prende l’abbrivio esattamente dal punto in cui quello precedente si interrompe, ma proprio in virtù del fatto che, pur nella loro differenza di genere e d’intenzione, sembrano essere tutti protesi a illuminare con luci diverse la stessa tematica di fondo.
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