Tulsi Gabbard
di Miguel Martinez
Una semplificazione estrema delle prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti: in realtà, i dettagli contano poco, perché qui si sta pensando soprattutto al difetto strutturale che c’è in ciò che chiamiamo “democrazia rappresentativa”.
Raccontiamola in questo modo.
Da una parte, ci sono due partiti, i Democratici e i Repubblicani, con una storia molto complicata, ma che oggi sono “identitari“: “destra/sinistra”, ma anche “città/suburbia”, “bianchi/non-bianchi”, “bifolchi/intellettuali”.
Del tutto indipendente da questo, negli Stati Uniti ci sono due questioni fondamentali.
La prima è un sistema sanitario che fa risparmiare molte tasse e burocrazia, ma lascia crepare chi non se lo può permettere (semplificazione, lo so!).
La seconda è un sistema militare che dà lavoro a tanti e ha un indotto immenso, ma in cambio ha come unici prodotti, macchine per uccidere e cadaveri, in genere in posti del tutto sconosciuti al 96% degli statunitensi.
Se mai il “popolo” americano potesse dire la sua, con ogni probabilità vorrebbe un sistema sanitario simile a quello europeo e la farebbe finita con le guerre.
Forse sono “cose di sinistra”, ma dovrebbero far comodo anche all’operaio bianco del West Virginia che crede a Gesù e alla Patria e diffida degli intellettuali.
Allora, nel 2020 ci sarà un candidato repubblicano che ha creato un sistema fiscale che punisce i poveri e non vuole un sistema sanitario europeo; però sta cercando – tra mille ostacoli – un compromesso con il sistema militare, per cui non riduce la produzione di macchine per uccidere, ma almeno taglia il numero di cadaveri.
Contro di lui ci sarà un candidato democratico che forse vorrà un fisco un po’ meno punitivo verso i poveri, potrebbe introdurre qualche piccolo miglioramento nel sistema sanitario, ma vorrà tante guerre, dal Polo Nord all’Antartico.
A questo punto compare una terza candidata, Tulsi Gabbard – sempre dentro il Partito Democratico, ma fuori dal sistema del partito stesso.
E’ interessante riflettere su come lei si presenta, perché il Presidente è soprattutto un ente simbolico.
E’ donna, ma non ha quei tic da femminista che allontanano subito gli elettori di destra.
E’ militare da tutta la vita, con tanto di medaglie guadagnate in combattimento, eppure vuole farla finita davvero con le guerre. E siccome appena si dice donna si pensa a immagine, ha una striscia naturale di capelli grigi che le sono venuti quando era in servizio in Iraq.
Non è bianca (nel senso storico americano, che bastava una goccia di sangue ed eri inquinato), ma non è nemmeno una vittimista rivendicativa, e comunque le sue origini samoane esulano dallo scontro “bianchi contro neri”.
E’ sportiva come sognano i destri, e vegana come sognano i liberal.
Nel paese più mistico del pianeta, è intensamente religiosa, di una religione strana – l’induismo – che nessuno conosce e che quindi non dà fastidio.
Rifiuta i soldi dalle corporation, e quindi non sarà in debito né verso la lobby farmaceutica, né verso quella delle macchine per uccidere.
Viene dalla periferia estrema dell’America, non è un’intellettuale, non ha nessuno dei segni identitari della sinistra, ma nemmeno della destra, oppure li ha tutti insieme.
Simbolicamente è quindi perfetta per fare da ponte tra tutti gli americani “normali”, a prescindere dai loro identitarismi, su temi condivisi dalla grande maggioranza della popolazione.
Insomma, una persona che ha idee apparentemente estremiste, in realtà potrebbe essere seguita da milioni, anche perché è stimata tra i “veterani” che sono figli, mariti, mogli e padri di americani normali. Ricordando che il mestiere militare è ormai tra gli ultimi che riconoscono diritti e dignità a chi ci lavora.
Eppure Tulsi non ha nessuna possibilità di venire eletta; e quindi gli statunitensi resteranno con un sistema sanitario disumano e un regime di guerra più o meno permanente.
Non è solo che le mancano i soldi: è il meccanismo identitario stesso che lo impedisce.
Vediamo come la stanno distruggendo.
Innanzitutto, Hillary Clinton l’ha chiamata più o meno esplicitamente “un’agente russa“.
La russofobia negli USA è profondamente radicata: “i servi della gleba dello zar” sono il contrario del hustler americano libero di girare in macchina dove vuole; “il superstato sovietico che ti controlla in ogni momento” è un incubo che ha permesso di giustificare armi nucleari in grado di distruggere il pianeta molte volte, nonché basi militari nella lontana Germania invece di scuole funzionanti nei ghetti neri in casa.
L’accusa di essere una spia russa, ridicola e ovviamente falsa, è comunque sufficiente per alienare sia i patrioti di destra, sia i liberal di sinistra, che vedono poca differenza tra Nicola II, Stalin e Putin.
New York Magazine dedica invece un lungo articolo all’induismo di Tulsi Gabbard, per presentarla come una strana mistica, sgradita sia ai bravi cristiani sia ai laici: certamente lei e tutta la sua famiglia avevano e hanno un intenso e variegato spirito religioso, che però è un elemento cruciale della cultura americana.
Comunque è ovvio che Trump riuscirà meglio di lei a parlare alle viscere degli identitari repubblicani, bianchi e provinciali; il rischio per le lobby militari e farmaceutiche è a sinistra, e quindi le lobby lavorano soprattutto per stroncarla lì.
Tulsi Gabbard critica l’apparato Democratico, come è suo diritto.
Alcuni commentatori di destra, che per tutt’altri motivi, conducono la propria guerra personale contro il Partito Democratico, dicono, “brava”.
Ovviamente non la voteranno mai, ma i media più potenti colgono di corsa l’occasione per dire che Tulsi Gabbard ha dalla parte sua, “unusual Americans”: il New York Times si scomoda a elencare meticolosamente ogni singolo matto di destra che su qualche forum ha parlato bene di lei.
Subito dopo Hillary Clinton, arriva l’imbecille in cerca di pubblicità, David Duke, un signore di 68 anni, già Gran Stregone del Ku Klux Klan, che sul suo profilo twitter mette una foto di quando ne aveva circa trenta:
David Duke, qualche anno fa, è finito anche in carcere per aver truffato i propri seguaci (diceva che la Causa della Razza Bianca aveva bisogno di soldi, e se li spendeva al casinò).
Ora, questo individuo proclama che Tulsi Gabbard è attualmente l’unico candidato ad aver dichiarato che “non manderà ragazzi bianchi a morire per Israele“. Che è un po’ come dire che se una strada viene pedonalizzata, non ci saranno più le Punto rosse che mettono a rischio i Testimoni di Geova che passano di lì. E’ una mezza verità, ma riflette solo le sue fissazioni personali.
Duke tutti i giorni se la prende con gli “amici ebrei” di Trump, senza che gliene importi nulla ai media; ma con questo colpo, lui è uscito dal limbo dei dimenticati, perché ha offerto l’occasione per mettere contro Tulsi anche gli elettori ebrei e pure quelli neri, cui magari un servizio sanitario gratuito avrebbe fatto ancora più comodo che ad altri. E tutti i media mainstream hanno subito rilanciato la presunta “approvazione razzista” per Tulsi.
Ma forse, a pensarci, è meglio così: il sistema è congegnato in modo tale che se venisse eletta presidente degli Stati Uniti, incontrerebbe una quantità tale da ostacoli da farle venire tutti i capelli grigi.