Le cause materiali dei conflitti militari: la svolta protezionista americana
di Eros Barone
I massimi rappresentanti della politica internazionale non si peritano di affermare a chiare lettere che la guerra in Ucraina, così come il conflitto israelo-palestinese e, più in generale, i venti di guerra che soffiano impetuosi nel periodo che stiamo vivendo, costituiscono un ‘turning point’ di portata storica non solo sul terreno dei confini territoriali, ma anche nel senso che gli esiti delle guerre in corso potrebbero contribuire a delineare il volto del futuro economico mondiale. Si tratta, per l’appunto, delle cause materiali dei conflitti militari, ossia degli interessi economici che muovono i conflitti militari contemporanei, in Ucraina e nel resto del mondo.
Orbene, per comprendere questo determinante ordine di cause occorre partire da una grande svolta, che da diversi anni caratterizza la politica economica degli Stati Uniti d’America: la crisi finanziaria del 2008. 1 In quella congiuntura critica gli americani si sono resi conto, infatti, che stavano importando molte più merci di quante ne riuscissero a esportare, e che così stavano accumulando un ingente debito verso l’estero, non solo pubblico ma anche privato: un debito potenzialmente insostenibile. Basti pensare che il passivo netto americano verso l’estero è arrivato a 18.000 miliardi di dollari, un primato negativo senza precedenti. Di contro, l’attivo netto cinese verso l’estero è arrivato a 4.000 miliardi, l’attivo netto russo a 500 miliardi, e così via.
Sennonché il problema è che il creditore può utilizzare il suo attivo per cominciare ad acquisire il capitale del debitore. In altre parole, l’Oriente può iniziare a comprare aziende occidentali, ponendo in atto quel fenomeno che Marx definisce come “centralizzazione del capitale” in un nucleo ristretto di grandi imprese. Tale tendenza è tipica del capitalismo; la novità è però che, questa volta, si tratta di grandi imprese orientali.
Dinanzi a questa nuova tendenza, di una potenziale centralizzazione capitalistica nelle mani dei grandi creditori orientali, dal 2008 in poi l’amministrazione americana ha compiuto una svolta: non più verso il libero scambio globale ma verso un protezionismo sempre più unilaterale e aggressivo. Del resto, le avvisaglie di questa linea risalgono alla presidenza di Obama, mentre il pieno sviluppo si è avuto con la presidenza di Trump e pure, in piena continuità con questa, sotto la presidenza di Biden, confermando in tal modo che il protezionismo è una questione decisiva per gli interessi economici statunitensi. La storia ci insegna che questi mutamenti unilaterali, ovvero il passaggio dal globalismo al protezionismo – sono stati spesso sorgenti di conflitti economici sfociati poi in vera e propria guerra militare, che è quanto dire in un classico conflitto imperialista. 2
Sennonché occorre rammentare che nel linguaggio corrente (anche, e ‘pour cause’, giornalistico) i termini di Europa e Unione Europea vengono usati come sinonimi, mentre la cronaca politica ci dice che non sono affatto sovrapponibili. Basti osservare che a importanti incontri fra capi di governo e di Stato, come quelli svoltisi a Parigi, a Londra e in altre capitali europee, hanno preso parte i leader del Regno Unito, che non fa più parte dell’Unione Europea e oggi rappresenta la testa velenosa di quel serpente che si chiama NATO, e il Canada che non è in Europa. Si è così deciso di costituire, allo scopo di proseguire e allargare la guerra contro la Russia, una “coalizione dei volenterosi”: sintagma, questo, risalente all’epoca del conflitto tra gli Stati Uniti e l’Iraq nel 2003. È in questo quadro, ad un tempo caotico e isterico, che si inserisce il progetto di riarmo promosso dalla Von Der Leyen, incentrato sull’obiettivo di investire 800 miliardi di euro nella difesa militare europea. Tuttavia, la logica spietata dell’eterogenesi dei fini è tale, che un simile progetto bellicista, facendo lievitare il debito pubblico, determinerà tassi di interessi più alti per i paesi, come l’Italia, già altamente indebitati. L’aumento delle tasse, che sarà il logico corollario del bellicismo riarmista europeo, si accompagnerà pertanto, come è inevitabile, a una riduzione dello Stato sociale o “Welfare State”, concomitante alla costruzione di un “Warfare State”, fondato sulla crescita esponenziale della spesa militare.
Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno compiuto con Trump una scelta strategica, peraltro condivisa da tutto il gruppo dirigente statunitense, in base alla quale la Cina viene individuata come il nemico principale e l’area dell’Indo-Pacifico viene considerata il fronte principale, in cui si deciderà l’egemonia nella contesa mondiale del XXI secolo. L’Europa, quindi, non sarà più al centro della politica estera degli Stati Uniti, i quali da tempo stanno spostando importanti risorse verso oriente. Sennonché, a quel punto i dirigenti dell’Unione Europea dovranno prendere atto che, una volta venuto meno il sostegno statunitense, l’Ucraina sarà costretta ad accettare la via diplomatica e che, cessata la guerra, si spezzerà anche il filo sempre più sottile che tiene uniti i paesi, a causa dell’ineguale sviluppo economico e politico diversi e talora avversi, che fanno parte della stessa Unione Europea. Così, gli Stati Uniti, pur non essendo riusciti a indebolire la Russia, avranno raggiunto, senza colpo ferire, il loro obiettivo principale: assestare una forte spallata all’economia europea, dividendola dalla Russia e accrescendo la sua dipendenza dagli Stati Uniti. 3
Comments
C’è un chiaro disegno volto a “socializzare le perdite”, spalmando il debito sovrano meno remunerativo sui cittadini. Dall'altro lato, si favoriscono gli investitori d’élite, che possono massimizzare i profitti “privatizzando” i loro guadagni e investendo in paradisi fiscali come le Isole Cayman.
Sebbene possa sembrare una follia anche lL'attacco con i dazi all’Oriente rappresenta un chiaro messaggio volto a imporre alleanze strategiche sottotraccia, mirate a mantenere un livello di acquisto dei T Bonds americani da parte dei paesi dell’Est, storicamente operai qualificati del predominio economico americano.
La fucina orientale, un tempo vista come un semplice luogo di produzione, ha ora assunto un ruolo di potere, capace di decidere se mercanteggiare o meno un debito che può essere barattato sul piatto dell’economia mondiale. Questo cambio di paradigma sottolinea l'importanza di riconsiderare le relazioni economiche globali e il loro impatto sulle politiche interne dei singoli Stati, soprattutto alla luce di conflitti che pressano oltremodo sulle situazioni già tese nei rapporti tra le macroaree economiche e ne spostano gli assi in modo veloce a suon attacchi che siano armi o dazi questo è poco importante, l’importante è imporre egemonia e piazzare debito sovrano.
Manco a farlo apposta il canale ucraino Zerada parlava del debito a stelle e strisce commentando un grafico di Al Jazeera:
https://t.me/ZeRada1/25618
Ed esce fuori con un: "se ne esce fuori solo con un "global'nyj kataklizm".... Anche non necessariamente una guerra, potrebbe essere anche un cataclisma finanziario globale.
Anzi tutto ho voluto vedere se fosse un'esagerazione di Al Jazeera... o chi per essa (ormai circola di tutto...) e stessimo commentando un grafico non rispondente al vero.
Prima pagina del motore di ricerca... subito il sito del Tesoro a stelle e strisce:
https://fiscaldata.treasury.gov/americas-finance-guide/national-debt/
Che ha anche il contatore in tempo reale, che supera già il grafico: $36.216.756.516.461
trentaseimiladuecentosedici miliardi e rotti.
Dunque... κατακλυσμός, inondazione, da "giù + inondare"... una specie di diluvio universale che azzeri tutto. Prepariamo i canotti... o le barricate.
Torniamo alla pagina del Tesoro. c'è un grafico, subito dopo un po' di testo, un grafico interattivo:
U.S. National Debt Over the Last 100 Years
Inflation Adjusted - 2024 Dollars
E' interessante perché consente di scorrere col puntatore e si vede, da 1924 al 2024, l'evoluzione di questo mostro
Ed è come scrivi tu. Vado sul 2007 e vedo ancora 13.640 miliardi.
Ora a fine anno di questo passo è facile che facciano 13 / 26 / 39 tre volte tanto quello che era nel 2007. Decolla come lo Sputnik, anzi, lo Sputnik 2, anche se al posto della cagnetta Laika ci sarebbero di personaggi da mandare in missione...
Ma torniamo alla pagina del Tesoro... altri dati sconcertanti:
As of May 2025 it costs $776 billion to maintain the debt, which is 16% of the total federal spending in fiscal year 2025.
a maggio 2025 costa 776 miliardi di dollari mantenere il debito, ovvero il 16 percento della spesa federale nell'anno fiscale 2025.
Uno stato che invece di investire in scuola, sanità, spesa sociale, teatro, cultura in generale... sport, spende il 16% del proprio bilancio... per mantenere il debito. Aiuto...
Ma vi è di peggio. Guarda questo grafico, dopodiché uno può vedersi anche profondo rosso e dormire tranquillo la notte.
Intragovernmental Holdings and Debt Held by the Public, CY 2015 and CY 2025
Siccome avevo intuito cosa intendesse l'anglofono con "Public" ma avevo dei dubbi, me li ha tolti lo stesso articolo con questa spiegazione che si è aperta subito cliccando sopra la parola:
Debt Held by the Public
This consists of all national debt held by any person or entity that is not a U.S. federal government agency. This includes individuals, corporations, state or local governments, Federal Reserve Banks, foreign investors, foreign governments, and other entities outside the United States Government. The terms of these securities can range in maturity, the way they are sold to investors, and the structure of their interest payments. Debt held by the public does not include intragovernmental debt. For a list of foreign investors holding national debt, visit the site:
https://ticdata.treasury.gov/resource-center/data-chart-center/tic/Documents/slt_table5.html
Quindi a parte il debito "intragovernmental", che è pubblico che compra debito pubblico, e una minoranza, tutto il resto gli anglofoni lo chiamano "public"... sarà una cosa del tipo, "socializziamo le perdite, privatizziamo i profitti?" Boh... basta capirsi. Ma non è questo il film dell'orrore... è il grafico sotto.
2015
5.100 miliardi - debito "pubblico USA che compra da sé stesso"
13.050 miliardi - debito comprato da privati o soggetti esteri
2025
7.260 miliardi - debito "pubblico USA che compra da sé stesso"
28.950 miliardi - debito comprato da privati o soggetti esteri
E qui altro che Sputnik 2! Qui siamo già su Plutone... vado a vedere la tabellina
https://ticdata.treasury.gov/resource-center/data-chart-center/tic/Documents/slt_table5.html
E vedo chi compra il debito pubblico USA tra gli stranieri.
Primo posto Giappone
Secondo GB
Terzo Cina
Quarto... Isole del Caimano!!!
No... a questo punto la voglia anche solo di capire l'economia dei capitalisti mi passa del tutto. Siamo alla follia. Sempre la Federal che dice al contribuente a cui è destinato quel pezzo di etere arrivato anche sul mio computer...
"Notable recent events triggering large spikes in the debt include the Afghanistan and Iraq Wars, the 2008 Great Recession, and the COVID-19 pandemic. From FY 2019 to FY 2021, spending increased by about 50%, largely due to the COVID-19 pandemic. Tax cuts, stimulus programs, increased government spending, and decreased tax revenue caused by widespread unemployment generally account for sharp rises in the national debt."
Quindi... colpa della guerra in Iraq, poi di quella dell'Afghanistan, poi del 2008, poi del Covid... tre su quattro è dichiaratamente farina del loro sacco, ma la presentano come "la grande morìa delle vacche" (come voi ben sapete) di Totò e Peppino.
O, per restare in tema anglofono, come le scuse addotte dal buon Jake quando si trova faccia a faccia con la fidanzata lasciata ai piedi dell'altare mentre gli punta addosso il mitra... ("Non ti ho tradito. Dico sul serio. Ero... rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi..." e da lì il decollo iperbolico... come il debito USA, scena mitica)
E qui dico... va bene, se 340 milioni di cittadini a stelle e strisce credono alle "cavallette", alzo le braccia... e mi preparo al kataklysmos... vedremo mai qualcuno arrampicarsi sul cancello, spaccare il lucchetto, e far entrare una fiumana di rivoluzionari nel Palazzo d'Inverno?
Un abbraccio
Paolo