Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

Le crepe nella NATO: un’analisi

di Biljana Vankovska*

La mia analisi sulle prime crepe nella NATO è stata pubblicata con un leggero ritardo, sufficiente per diventare obsoleta. Avevo segnalato i due referendum proposti in Slovenia – uno sulla spesa militare e l’altro sull’adesione all’Alleanza – quando la situazione è improvvisamente cambiata.

Con sorpresa di chi non conosce bene la politica di questo piccolo paese, il parlamento sloveno ha annullato la decisione sul primo referendum, proposto dal partner di coalizione Levica, per motivi procedurali: la domanda referendaria non era stata formulata correttamente!

Questo ha dato al Primo Ministro Robert Golob il pretesto perfetto per ritirare la sua stessa proposta frettolosa ed emotiva di un secondo referendum (che chiedeva ai cittadini se fossero favorevoli a rimanere o uscire dalla NATO).

Sembra che le speranze di un vero dibattito in qualsiasi paese sulla richiesta insensata, o meglio suicida, della NATO di destinare il 5% del PIL a scopi militari si siano dissolte. Come dice il vecchio adagio latino: Parturient montes, nascetur ridiculus mus (Le montagne partoriscono e nasce un ridicolo topolino).

I colleghi sloveni che ho consultato sostengono che la saga del referendum non è finita, poiché i proponenti potrebbero ancora “correggere” la domanda e chiederne uno nuovo. Tuttavia, alcuni osservatori realistici fanno notare che si tratterebbe di un referendum consultivo, cioè non vincolante, il che significa che, anche se generasse un dibattito pubblico, rimarrebbe solo una tempesta in un bicchiere d’acqua – senza alcun effetto legale o politico concreto.

Ricordiamo che, sotto pressione e allarmismi, nel 2003 gli sloveni votarono a favore dell’adesione alla NATO con il 66% dei consensi. Quel referendum era vincolante, e quindi nessun referendum consultivo potrebbe essere abbastanza forte da annullarlo legalmente.

In altre parole, il popolo è già stato interpellato una volta, e la Slovenia ha fatto il check-in all’Hotel California. Le nuove generazioni potranno fare il check-out dall’Hotel NATO? Esiste una massa critica e una consapevolezza sufficiente per lasciare questo club militare, insaziabile come il Leviatano, che chiede sempre più soldi e truppe? Perché oggi l’Europa si prepara alla guerra, non alla pace.

Vedremo cosa accadrà in questo piccolo paese, i cui abitanti non sono notoriamente entusiasti di indossare stivali militari – o di pagarli.

Nonostante questa svolta in Slovenia, le fratture interne alla NATO sono ben lungi dall’essersi risolte. Formalmente, esiste una clausola di uscita regolata dall’articolo 13 dello Statuto NATO: basta inviare una notifica ufficiale al Dipartimento di Stato americano per annunciare l’intenzione di ritirarsi. Il “divorzio” avviene in 12 mesi.

Sembra ingannevolmente facile, ma la vera domanda è se un governo democraticamente eletto, anche con un mandato per farlo, oserebbe o sarebbe autorizzato ad agire secondo le richiese dei suoi elettori.

Gli Stati membri della NATO, soprattutto i più piccoli, sono davvero sovrani? Basta guardare come questo piccolo episodio sloveno abbia scosso Bruxelles, Washington e i media occidentali. Uscire dalla NATO, o semplicemente dissentire dalle richieste di Donald Trump, viene trattato come un atto di blasfemia e dramma.

In pochi lo dicono apertamente, ma la ministra degli Esteri Tanja Fajon è stata sottoposta a immense pressioni nelle ultime settimane ed è stata costretta a giurare fedeltà alla NATO. Purtroppo, in Slovenia, le forze anti-nato o pacifiste sono poche in parlamento o esistono soprattutto nella società civile.

Eppure, le crepe nella NATO esistono. Alcune sono visibili, altre meno. La Spagna ha ottenuto silenziosamente una clausola di esenzione, ma è solo questione di tempo prima che altri Stati membri vogliano “diventare Spagna”.

L’attenzione ora è sulla Slovacchia e sul suo coraggioso Primo Ministro Fico (a differenza del golob sloveno, che ha solo spaventato il pubblico senza alcuna seria intenzione di sostenere l’uscita dalla NATO). Quasi la metà della popolazione slovacca preferisce la neutralità (49,8%) alla permanenza nella NATO (40%).

Nella vicina Repubblica Ceca, il leader dell’opposizione ed ex premier Andrej Babiš ha dichiarato che il suo partito ANO rifiuterebbe il nuovo obiettivo di spesa militare della NATO se vincesse le elezioni di ottobre: “Se Trump mi dice di saltare dalla finestra, non lo farò.”

L’Italia si rifiuta fermamente di pagare nuovi acquisti di armi per l’Ucraina o di inviare truppe al fronte. Il presidente croato ammette che il suo paese non può soddisfare l’appetito insaziabile della NATO. Molti paesi esitano a impegnarsi ulteriormente in azioni militari contro la Russia (che, ovviamente, viene dipinta come la principale minaccia senza prove). In Italia, i sondaggi mostrano che solo il 16% dei giovani è disposto ad andare in guerra per difendere il proprio paese.

La situazione è simile in Gran Bretagna, dove oltre il 70% dei giovani non sa nemmeno come cambiare una lampadina in salotto. Forse le generazioni di oggi non hanno consapevolezza degli orrori delle due guerre mondiali europee. Eppure, molti hanno goduto di decenni di pace e prosperità grazie ai legami economici con la Russia e all’energia a basso costo. In loro c’è il potenziale inespresso per dire NO al militarismo e alle uniformi militari che i loro governi stanno preparando per loro.

Ecco un altro dato importante per evitare disperazione e passività: ogni nuovo centesimo speso per il complesso militare-industriale approfondisce la crisi sociale. Alcune menti confuse credono che la spesa militare sia la salvezza dalla crisi auto-cannibalistica del capitalismo, ma i soldi non cadono dal cielo.

Ucraina, Germania e altri non hanno fondi infiniti per armi ed esercitazioni militari. La guerra è un affare costoso e non ha mai portato progresso. L’Europa si sta dissanguando a morte ripetendo errori che in passato ha pagato a caro prezzo. E i cittadini statunitensi non staranno meglio con la strategia sconsiderata di Trump di creare vassalli e nemici senza soddisfare le aspettative del suo elettorato.

Nonostante l’espansione globale, la NATO rimane una tigre di carta dal punto di vista militare. Non può prepararsi a così tanti conflitti simultanei, né troverà entusiasmo tra i suoi cittadini. La politica di estorsione e ricatto di Trump ha i suoi limiti, così come la sua follia tariffaria.

Il nostro compito è rivelare le crepe nel guscio incrinato di questo militarismo emergente e resistere alla paura che nasconda un mostro come Alien – come nella serie di film. Se un nuovo nazismo dovesse sorgere – i cui contorni sono già visibili – noi, abitanti della NATOlandia, saremo le prime vittime, seguite dai nemici che abbiamo fabbricato.


* da Globetrotter – Biljana Vankovska è una professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali all’Università dei Santi Cirillo e Metodio di Skopje, membro della Transnational Foundation for Peace and Future Research (TFF) di Lund, in Svezia, e l’intellettuale pubblica più influente della Macedonia. Fa parte del collettivo No Cold War.
Pin It

Add comment

Submit