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Perché la guerra al Venezuela?
di Fabrizio Casari
E’ possibile credere alle storielle propagandistiche della Colombia? E’ possibile offrire credito alle denunce di Uribe? Il nuovo presidente colombiano, Juan Manuel Santos, per ora ritiene di non doversi pronunciare sul contenzioso con Caracas. Sembra che abbia in mente una strategia diversa da quella del suo predecessore, ma il silenzio di queste ore da parte sua va certamente interpretato come una questione di garbo istituzionale nei confronti del Presidente uscente.
Il quale, con le valigie già in mano, ignorando a sua volta proprio quel garbo istituzionale che gli imporrebbe il silenzio, ha tentato d’ipotecare fino all’ultimo i prossimi passi del neo-eletto, proponendo come soluzione al contenzioso con Caracas lo smantellamento dei supposti campi delle FARC in Venezuela, la resa dei guerriglieri ivi allocati e la promessa che verranno giudicati con “equità e giustizia”, ricordando che durante i suoi mandati alla guida del paese “molti hanno deposto le armi”.
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Perché McChristal lo ha fatto
Immanuel Wallerstein
Il generale Stanley McChrystal, il comandante USA in Afghanistan, ha rilasciato un’intervista alla rivista Rolling Stone in cui lui e il suo staff insultano i leader civili del suo paese. E’ stato allontanato dal suo incarico, per insubordinazione, dal presidente Obama. Anche i difensori di McChrystal hanno detto che le sue osservazioni sono state inopportune e sbagliate. Dato che McChrystal è un uomo eccezionalmente intelligente e molto ambizioso, perché l’ha fatto?
McChrystal ha rilasciato l’intervista in modo da essere costretto a dimettersi. E perché voleva essere allontanato dal suo incarico? Perché sapeva che le politiche che stava perseguendo e difendendo nella guerra in Afghanistan non stavano funzionando, non potevano funzionare. E non voleva essere lui quello additato alla pubblica condanna.
Si consideri la lunga storia che ha portato a questa intervista. La strategia militare che gli Stati Uniti hanno forgiato in Afghanistan e in Iraq è stata inizialmente quella imposta dall’allora Segretario alla difesa USA, Donald Rumsfeld. Era una politica di illimitato machismo: bombarda il nemico da lassù in alto, e non preoccuparti di chi viene ucciso; usa la tortura su quelli che catturi; non consultarti con nessuno, neanche se si tratta dei cosiddetti alleati; occupa il paese, a tempo indeterminato.
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Il colpo di stato monetario nel cuore dell'Europa
Avanti tutta e tutti zitti
Domani Mario Draghi, governatore della Banca D'Italia osannato dalla destra e dalla sinistra social liberista come possibile capo della BCE, riunirà il Financial Stability Forum per cercare di trovare una quadra rispetto all'annunciato processo di riforma delle regole di mercato che dovrà discutere il prossimo G 20 che si terrà a Toronto. Le ultime riunioni del G 20 si sono concluse con un inno lanciato proprio dall'Italia alla correttezza, alla trasparenza, alla integrità. Chiaramente, il fatto che un governo come il nostro si faccia promotore di questi valori per definire un nuovo capitalismo etico è tutto dire. La settimana scorsa ha fatto molto discutere la lettera di Francia e Germania alla commissione europea che tra le righe veniva accusata di immobilismo rispetto alla speculazione ( l'asse franco tedesco ha chiesto lo stop della vendita di titoli allo scoperto). La lettera ha suscitato una reazione stizzita da parte della commissione che ha fatto sapere ai due governi che su questo punto non c'è accordo fra gli stati in Europa, quindi - per la gioia degli speculatori - tutto è rimandato. I governi europei hanno impiegato una nottata per concordare politiche di rigore e salvare le banche con i nostri soldi, ma non trovano un accordo per bloccare la speculazione, questa è la verità. Pensare poi che gli stessi uomini e centri d'interesse che non vogliono impedire la speculazione andranno a discutere al G 20 di come riformare il capitalismo è tutto dire. Ma non vogliamo polemizzare oltre su questo aspetto.
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La Grecia e il signoraggio al cubo
di Giulietto Chiesa
L'hanno chiamata “operazione salvataggio” della Grecia. In realta' il cosiddetto “aiuto” del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea e' un'ulteriore bastonata collettiva inferta ai cittadini greci. Ulteriore, perche' la Grecia non si troverebbe in questa situazione se non avesse gia' perduto la sua sovranita'.
L'hanno gia' perduta, sotto i colpi del mercato finanziario mondiale, tutti gli altri Stati Europei. E la perdita della sovranita' e' racchiusa nella consegna, alla speculazione finanziaria internazionale, del suo debito. Basti dire che, se l'operazione “funzionera'”, il debito della Grecia passera' nei prossimi tre anni, dall'attuale 115% del prodotto interno lordo al 150. Cioe' si puo' gia' prevedere, matematicamente, che nel 2013 la situazione in Grecia sara' peggiore di quella di oggi, con un paese in recessione, disoccupazione crescente, consumi a terra.
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Turchia nel mirino di Israele: colpire uno per educarne cento
Alfatau
La storia dello Stato ebraico dimostra che l'impiego della forza militare è stato sempre deciso in piena corrispondenza con gli assunti strategici della Realpolitik israeliana e prestando grande attenzione agli effetti psicologici sugli avversari.
La gravità di quanto accaduto nelle acque internazionali al largo di Gaza, quindi, non consiste tanto nell'evidente violazione delle regole del diritto internazionale umanitario (cosa questa per nulla nuova alla prassi israeliana), quanto nel rappresentare una diretta conferma di un disegno strategico di potenza che osservatori attenti, negli ultimi anni, hanno già analizzato e descritto in dettaglio (1).
Tanto più vera è questa affermazione in relazione alla situazione di Gaza: già dopo l'attacco del dicembre 2008 abbiamo tentato di spiegare su queste colonne (2), che quell'offensiva era stata costruita, sul piano politico, diplomatico e militare, secondo un'impostazione strategica autonoma che aveva cioè ben poco a che fare con la semplice reazione punitiva agli attacchi, del tutto inconsistenti sul piano politico-militare, dei razzi di Hamas - come Israele sosteneva.
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Il decennio perduto dell’ Unione europea
Antonio Lettieri
Si mette in discussione la stessa esistenza della moneta unica, che pure era nata al culmine di un momento di magnificenza per l’Europa. Bisognerebbe invece riconoscere che la crescita anemica e l’attuale crisi sono il frutto di politiche radicalmente sbagliate
La crisi greca ha rilanciato il dibattito sulla natura dell'Unione economica monetaria, la sua origine e i rischi di disintegrazione. Per alcuni commentatori si tratta di una crisi annunciata e inevitabile. L'unione monetaria – è la tesi - non può funzionare senza istituzioni politiche. Oppure, traducendo la questione in termini economici: un'area valutaria è destinata al fallimento senza il verificarsi d quelle che il premio Nobel Robert Mundell descrisse, nel secolo scorso, come condizioni "ottimali", tra le quali la piena mobilità del lavoro e la flessibilità di prezzi e salari. Coloro che condividono il primo o il secondo di questi punti di vista (o entrambi) traggono dalla crisi greca – e dall’insieme degli squilibri che agitano l’Unione - una prognosi sfavorevole per il destino della moneta unica. In breve, l'Unione monetaria sarebbe destinata alla disintegrazione.
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L’Europa del mercato
di Franco Russo
1.L’aggressione dei centri finanziari contro i debiti sovrani degli Stati dell’Unione Europea dimostra la loro forza devastante, a sanzione che le politiche pubbliche anche delle economie a scala continentale come quella europea devono sottostare alle leggi del mercato e del profitto (in questo caso alla speculazione sui titoli pubblici). La Grecia è l’anello debole della catena, tirata per coinvolgere l’intero sistema dell’euro, BCE in testa. Il patto di stabilità, quello che sancisce i livelli massimi del debito e del deficit pubblici al 60% e al 3% del PIL, è già saltato per i massicci aiuti che gli Stati hanno concesso nel 2008-10 per salvare le banche dal tracollo. Saltati i parametri di Maastricht, ora la BCE vede modificarsi i suoi obiettivi che finora erano solo quelli del controllo dell’inflazione e della stabilità dei prezzi. Come ha rilevato Paolo Leon la BCE ha ampliato, sotto l’urgenza della crisi, le sue funzioni perché l’euro non è emesso più solo in relazione ai fabbisogni commerciali, bensì anche per quelli finanziari potendo comprare ‘debito pubblico’ – sostituendo in pratica obbligazioni nazionali con quelle emesse dalla BCE. È in atto un altro salvataggio delle banche, dato che il debito pubblico greco è in gran parte nei portafogli delle banche soprattutto francesi e tedesche.
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Futuro Grecia
di Raffaele Sciortino
La Grecia è oggi l'oggetto immaginario di una proiezione. Capro espiatorio dei malanni dell'euro, bersaglio di esorcismi di massa nei confronti della crisi globale - non era in via di superamento? -, punto di precipitazione della costruzione europea. Insomma il "colpevole" finalmente rinvenuto della situazione delittuosa. Ma come ogni falsa proiezione che configura anche ciò che è più familiare come nemico (Adorno), essa si basa sulla inconfessabile sensazione che il male - la presa ferrea della ricchezza astratta finanziaria sulle nostre vite - è già qui e non necessita del contagio per diffondersi.
Crisis is not over
Finito il primo round della crisi globale, la finanziarizzazione ha oggi cambiato veste producendo la bolla speculativa dei debiti sovrani. La logica, neanche tanto recondita, l'aveva ben sintetizzata Stiglitz qualche mese fa: "I governi hanno contratto molti debiti per salvare il sistema finanziario, le banche centrali tengono i tassi bassi per aiutarlo a riprendersi oltre che per favorire la ripresa. E la grande finanza che cosa fa? Usa i bassi tassi di interesse per speculare contro i governi indebitati. Riescono a far denaro sul disastro che loro stessi hanno creato».
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Guadalajara
di Carlo Bertani
Mai ci saremmo attesi una notizia di questo genere: tre operatori umanitari italiani, arrestati dalle forze armate afgane con la collaborazione della forza ISAF, della quale fanno parte anche militari italiani!
La notizia, in sé, si smonta come un gelato sull’asfalto d’Agosto: come molti avranno notato, all’ingresso degli ospedali di Emergency c’è sempre la scritta: “No weapons”.
Significa, semplicemente, che chiunque chieda aiuto per essere curato negli ospedali di Emergency deve depositare le armi prima d’entrare. Non è difficile immaginare che, una stanza vicina all’ingresso della struttura ospedaliera, sia adibita proprio a “deposito” per chi porta con sé delle armi: dunque, l’accusa d’aver trovato armi, è un segreto di Pulcinella.
Chi conosce l’Afghanistan sa benissimo che – anche prima delle varie guerre che hanno insanguinato il Paese negli ultimi decenni – era abitudine degli afgani girare armati.
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La guerra si avvicina ogni giorno di più al Venezuela
di Eva Golinger
L’attacco permanente degli Stati Uniti
L’impero non smetterà di cercare meccanismi e tecniche per ottenere il suo obiettivo finale, e non potremo scartare la possibilità in un futuro prossimo di un conflitto bellico in questa regione… Se quest’anno il Venezuela fosse inserito nella famosa lista degli “Stati terroristi”, ci troveremmo alla vigilia di un conflitto militare.
L’America Latina continua, da più di duecento anni, ad essere sottoposta ad un’aggressione costante diretta da Washington. Tutte le tattiche e le strategie della guerra sporca sono state applicate ai diversi paesi della regione: colpi di Stato, assassini, uccisioni di presidenti, sparizioni, torture, dittature brutali, atrocità, persecuzione politica, sabotaggi economici, guerra mediatica, sovversione, infiltrazione di paramilitari, terrorismo diplomatico, intervento elettorale, blocchi e persino invasioni militari. Non ha mai importato chi governi alla Casa Bianca – democratici o repubblicani -. Le politiche imperiali sono state sempre conservate.
Nel secolo XXI, il Venezuela è stato uno dei principali bersagli di queste permanenti aggressioni. Dal golpe di aprile 2002 fino ad oggi, abbiamo assistito ad una pericolosa scalata di attacchi e attentati contro la Rivoluzione Bolivariana. Sebbene molti siano stati sedotti dal sorriso e dalle parole poetiche di Barack Obama, basta guardare cosa è accaduto negli ultimi tempi per verificare come l’aggressione al Venezuela si sia intensificata
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Il modello americano
di Michele Paris
Due giorni dopo la pubblicazione del consueto rapporto annuale sulla condizione dei diritti umani nel mondo, da parte del Dipartimento di Stato americano, alla metà di marzo il governo cinese ha risposto con un proprio studio sullo stesso argomento, relativo però agli Stati Uniti. Il “Human Rights Record of the United States in 2009” dell’Ufficio Informazioni presso il Consiglio di Stato cinese, fornisce uno sguardo decisamente alternativo, e scrupolosamente documentato, sulla situazione domestica della prima potenza planetaria e sugli effetti della sua politica estera. Quello che ne emerge è un quadro a tratti agghiacciante di un paese ed una società in profonda crisi, la cui propaganda ufficiale vorrebbe rappresentare invece come un modello di democrazia per l’intero pianeta.
Il dipartimento cinese responsabile della stesura del rapporto fa giustamente notare come Washington utilizzi, “anno dopo anno, il proprio studio per lanciare accuse ad altri paesi, trattando la questione dei diritti umani come uno strumento politico per interferire negli affari interni di governi sovrani, screditandone l’immagine e promuovendo così i propri interessi strategici”. Un atteggiamento strumentale, insomma, che rivela il “doppio standard” adottato dagli USA sul delicatissimo tema dei diritti umani.
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A che serve spezzare le reni alla Grecia
Marcello De Cecco
Uno dei problemi dell’Unione Europea è che in qualsiasi momento ci sono elezioni imminenti da qualche parte nei ventisette paesi membri o nei sedici paesi dell’Unione Monetaria. Una parte della classe politica europea è dunque sempre impegnata a organizzarle e disputarle. Gli atteggiamenti che assume nei confronti dei più scottanti problemi europei del momento sono quindi funzionali alla politica elettorale, moltiplicata per ventisette o sedici rispetto a quel che avviene in uno stato nazionale. Lo stesso accade in un grande stato federale come gli Stati Uniti, e le conseguenze le conosciamo da tempo e le vediamo anche oggi. Ora si avvicinano per l’appunto le elezioni nel land della Renania, dove si affrontano non solo governo e opposizione, ma dove i liberali del disinvolto Westerwelle cercano di mantenere le posizioni guadagnate nelle elezioni generali.
Ecco dunque il capo liberale affermare che se non fosse per le malefatte della Grecia i tedeschi potrebbero vedersi ridurre il carico fiscale, come lui promise nelle elezioni generali. Ed ecco il ministro Schauble, dal canto suo, proporre un fondo monetario europeo che è in realtà un letto di contenzione per paesi dell’Unione Monetaria che non rispettano le regole di austerità fiscale. La signora Merkel afferma in Parlamento che i trattati europei (forse intende Maastricht) devono essere cambiati, introducendo la esplicita possibilità di espellere un membro fiscalmente reprobo.
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Ahmadinejad e Obama: due attori per un finale già scritto?
di Simone Santini
Mentre le immagini di esercitazioni missilistiche in Iran, anche quando si tratta di test dell'industria aero-spaziale nazionale, riempiono gli schermi dei notiziari occidentali, ingenerando l'impressione di una incombente e oscura minaccia, ben poca eco ha invece avuto il dispiegamento voluto da Obama delle batterie di missili patriots nei paesi arabi del Golfo persico.
Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi. Ognuno di questi paesi, secondo il generale Petraeus, riceverà due batterie di sistemi di missili anti-missile difensivi denominati patriots, mentre negoziati sono in corso con l'Oman. Il termine "difensivo" non deve trarre in inganno. Il sistema è concepito per rispondere ad eventuali rappresaglie iraniane in seguito ad un attacco che coinvolga la penisola arabica come corridoio aereo. In questo modo Washington intende ottenere una serie di risultati: accrescere la pressione su Teheran; rassicurare i paesi arabi vicini senza l'intervento sul posto di truppe che potrebbero contrariare le opinioni pubbliche di quei paesi; calmare e dissuadere Israele da un attacco preventivo.
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Perché gli Usa provocano la Cina?
di Enrico Piovesana
Cosa c'è dietro all'escalation della tensione alimentata da Washington nei confronti di Pechino?
Perché gli Stati Uniti continuano a provocare la Cina? Se lo chiedono in molti, anche negli Usa.
L'escalation. Prima l'aggressivo pressing sulle emissioni inquinanti, accompagnato dalla minaccia di Obama di spiare la Cina con i satelliti militari a scopo ambientale.
Poi il durissimo attacco della Clinton alle politiche informatiche cinesi in seguito al caso Google (azienda legata alla più potente agenzia d'intelligence Usa, la National Securty Agency) che con insolito clamore ha denunciato un attacco informatico non diverso dai tanti già subiti in passato.
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Internet: Nuova boccata d'ossigeno per l'egemonia degli Stati Uniti
[La posizione cinese sulla rete internet da Chinadaily.com.cn. Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare]
Internet è nato negli Stati Uniti. Nel 1969, l'Advanced Research Projects Agency (Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzati - ARPA) del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha sperimentato il primo PSN (rete di commutazione a pacchetto) al mondo per collegare quattro università degli Stati Uniti. Il mondo ha visto una notevole espansione delle dimensioni e del numero di utenti di Internet tra la fine degli anni 1970 e i primi anni del 1980. Nel settembre del 1989, l'Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) è stata fondata, con una sovvenzione da parte del Dipartimento del Commercio statunitense, per amministrare i root server Internet. Negli ultimi 40 anni, gli Stati Uniti, con il vantaggio di essere il luogo di nascita della tecnologia, hanno dominato Internet in tutto il mondo.
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