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La “Guerra di Putin” rende felici gli operai russi (e invidiosi quelli europei)

di OttolinaTV

nvosnvLe sanzioni fanno il solletico alla Russia: bilancio pubblico dello Stato di nuovo in attivo titolava ieri Nino Nusneri su La Verità: “Secondo i dati preliminari pubblicati dal ministro delle Finanze, Anton Siluanov, la Russia ha registrato un attivo di bilancio di 0,2 trilioni di rubli (1,88 miliardi di euro) nei primi nove mesi del 2024” si legge nell’articolo; e non è l’unica buona notizia per Putin, tanto che nel 2024, per la prima volta dal 2015, la Russia è stata indicata dalla Banca Mondiale nel gruppo dei Paesi ad alto reddito, con un reddito pro capite superiore ai 14mila dollari l’anno. In fondo le entrate tributarie con cui finanziare la guerra sono assicurate da petrolio e gas che Alexander Dyukov, gran capo di Gazprom, continua a vendere in giro per il mondo in quantità (in barba alle sanzioni occidentali), naturalmente a India, Cina e Turchia, ma anche Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia; non a caso Mosca ha rivisto al rialzo di 17 miliardi di dollari le sue previsioni sugli incassi provenienti dalle esportazioni di petrolio nel 2024: secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, il Cremlino si attende ora di incassare poco meno di 240 miliardi di dollari (13 miliardi in più del 2023), entrate che – oltre a finanziare la guerra – vanno a finire nell’economia reale del paese e, a quanto emerge da numerosi dati, ad aumentare il benessere delle classi popolari russe e, di conseguenza, il consenso per il governo. Insomma: un processo esattamente opposto a quanto stiamo assistendo in Occidente, come mostra anche l’analista Ekaterina Kurbangaleeva in un bell’articolo pubblicato da Carnegie Politika (ripreso poi da Fulvio Scaglione per Insideover): “I redditi reali in Russia” scrive la Kurbangaleeva “sono aumentati del 5,8% nel 2023 e allo stesso ritmo nel primo trimestre del 2024, secondo il Servizio statistico statale russo (Rosstat).

Oltre a ciò, i dati del Servizio fiscale federale mostrano che le entrate fiscali dello Stato russo sul reddito nel 2023 sono state superiori del 40% rispetto al 2021 (la parte del leone di questo aumento è avvenuta nel 2023)”; “Data la crescita dei pagamenti delle imposte sul reddito” continua poi “(e dato che Rosstat stima che il 59% dei redditi nel 2023 deriverà dai salari), si può affermare con sicurezza che i redditi reali sono aumentati più rapidamente dell’inflazione dopo l’invasione”.

Ovviamente, nessuno sta dicendo la Russia si sia all’improvviso trasformata in un paese socialista; anzi, è un Paese che continua a essere attraversato da gravissime diseguaglianze, ma – detto brutalmente – c’è chi con la guerra campa meglio di prima e, come sottolinea giustamente Fulvio Scaglione, è anche importante chiedersi “quale gente?”, perché non stiamo parlando dell’arricchimento degli oligarchi della finanza e della guerra (come sta avvenendo, in questo momento, in Occidente). Anzi! “Le quindici regioni in più rapida crescita in termini di contributo fiscale sul reddito (escluse le regioni che la Russia sostiene di aver annesso all’Ucraina)” scrive la Kurbangaaleva “non includono quasi nessuna delle regioni che per tradizione erano grandi contributori. I primi posti sono invece occupati da regioni che prima della guerra erano tradizionalmente beneficiarie nette del bilancio federale. Includono la Repubblica di Chuvashia (un aumento del 56% in due anni), la regione di Bryansk (54%), la regione di Kostroma (52%), la regione di Kurgan (50%), la regione di Smolensk (49%) e la regione di Zabaikalsky (47%). Ci sono state solo tre regioni in cui la crescita dei contributi fiscali sul reddito è stata inferiore al 20%”. Questo significa che, grazie alle ultime riforme economiche e anche all’economia di guerra, c’è stato un improvviso incremento dei redditi anche nelle regioni considerate povere; e i primi beneficiari di questa situazione, continua la Kurbangaaleva, sono i cosiddetti colletti blu, in quanto le professioni più richieste oggi sono quelle di fresatore, macchinista, saldatore, tessitore e operaio tessile: operai specializzati che, in questi due anni, hanno visto triplicare i propri salari come, per fare altri esempi, i corrieri e gli autisti. Insomma: dalla nuova economia russa ci rimette la borghesia medio-alta delle grandi città, che ha visto restringersi ancora parte delle proprie libertà civili, e ci guadagnano gli operai specializzati; a livello di conquista del consenso un meccanismo che – anche solo a livello numerico – a Putin certo non dispiace e che rinforza il suo governo, recentemente definito da un ottoliner francese della portata di Emmanuel Todd come una democrazia autoritaria.

Paradossalmente, a dare un’accelerata al benessere della società russa (che da quando si era insediato Putin era, comunque, in costante aumento) sono state proprio le sanzioni occidentali: introdotte a partire dall’annessione della Crimea nel 2014, l’hanno costretta a trovare dei sostituti per le sue importazioni e a riorganizzarsi internamente; e ancor più con quelle del 2022 che, come scriveva l’economista James Galbraith, si sono “rivelate manifestamente un dono”. “Senza le sanzioni” spiegava in un articolo dell’aprile 2023 “è difficile immaginare come si sarebbero potute presentare le opportunità oggi a disposizione delle aziende e degli imprenditori russi. Da un punto di vista politico, amministrativo, legale e anche ideologico, se si considera la profonda presa che l’idea di economia di mercato aveva sui decisori politici, l’influenza degli oligarchi e la natura tutto sommato limitata dell’operazione militare speciale, ancora all’inizio del 2022 il governo russo avrebbe avuto la massima difficoltà a introdurre misure paragonabili, quali dazi doganali, quote ed espulsioni di imprese”. Insomma: come abbiamo sottolineato ormai tantissime volte in passato, le sanzioni hanno permesso al potere politico russo di accelerare quel processo di concentrazione e di ammodernamento dell’apparato produttivo che, fino ad allora, era stato ostacolato dalle oligarchie e dalle élite economiche createsi negli anni delle liberalizzazioni selvagge. In questa puntata vogliamo, però, spingerci ancor più a fondo nelle ragioni profonde della stabilità economica e sociale russa e della sua lotta per la sovranità e sicurezza nazionale, stabilità interna e lotta politica che sono alla base anche del suo fascino agli occhi di parte delle classi popolari europee che, a torto o a ragione, non si farebbero davvero problemi a barattare una Von der Leyen o un Macron con un Putin; naturalmente, di fronte a questa constatazione, la reazione dei privilegiati benpensanti sarà quella di pensare che il popolino è in fondo rozzo e ignorante, capisce poco o nulla e certo non i propri interessi politici, ma – in fondo – questo atteggiamento è proprio una delle ragioni fondamentali per cui Todd definisce i regimi occidentali delle oligarchie liberali. In ogni caso, nel suo illuminante La Sconfitta dell’Occidente (di cui vi avevamo parlato più in generale in questo video) c’è un capitolo dedicato alla società e all’economia russa che merita di essere raccontato nel dettaglio.

Allo scoppio della guerra in Ucraina, il minimo che avrebbero dovuto fare i cosiddetti intellettuali occidentali – e, in particolare, proprio coloro che consideravano la Russia un nemico – era interrogarsi su chi avevano davanti; studiare la Russia, anche solo al fine di colpirla meglio. E invece, come vi ricorderete, a riprova del decadimento anche intellettuale delle élite americane europee, l’isteria, la propaganda – quando non direttamente la fantasia e l’immaginazione – hanno immediatamente preso il posto della razionalità: Putin impazzito, Putin nuovo Hitler, Putin pieno di malattie mortali e prossimo all’oltretomba. Ma se la reazione della stampa collaborazionista (che ormai conosciamo troppo bene) ci deve sorprendere il giusto, sconcertante si è rivelata, invece, l’impreparazione delle stesse classi dirigenti e politiche dell’Occidente americano che, a guerra iniziata, hanno scommesso ufficialmente e a furore di telecamere sul collasso dell’economia russa e su un imminente regime change, venendo clamorosamente sconfessati dai fatti: “Perché mai gli occidentali” si chiede Todd “hanno sottovalutato a tal punto il proprio avversario, dato che non vi era nulla di segreto riguardo alle sue risorse e i suoi dati erano accessibili? Avendo a disposizione una intelligence community di centomila persone già solo negli Stati Uniti, come si è potuto credere che l’esclusione dal sistema SWIFT e l’imposizione di sanzioni avrebbero ridotto in miseria un paese di 17 milioni di chilometri quadrati, che possiede tutte le risorse naturali possibili e che dal 2014 si è manifestamente preparato ad affrontare simili misure ritorsive?”. Ammessa (ma non affatto concessa) la buonafede, per illustrare quanto sia stato enorme l’errore di percezione che si è protratto per tutti gli anni in cui Putin è stato al potere, possiamo partire dal titolo di un articolo apparso su Le Monde il 2 marzo 2022 e firmato da Sylvie Kauffmann, una degli editorialisti del giornale: Il bilancio su Putin alla guida della Russia è una lunga discesa agli inferi di un Paese da lui trasformato in un aggressore; così il principale quotidiano di riferimento francese descriveva un periodo che, successivamente al crollo degli anni Novanta, ha rappresentato piuttosto (nonostante tutte le contraddizioni) un’uscita dagli inferi per buona parte della classe media e, soprattutto, per il restante 90% della popolazione, fetta che oggi rappresenta – infatti – lo zoccolo duro del consenso di Putin.

Per capire questa uscita dagli inferi delle liberalizzazioni selvagge degli anni di Eltsin (e, cioè, di quando gli americani provarono a fare della Russia quello che hanno fatto dei Paesi dell’Europa occidentale), Todd ci ricorda alcuni dati fondamentali: “Tra il 2000 e il 2017, ovvero nella fase centrale della stabilizzazione intrapresa da Putin, in Russia il tasso di decessi legati all’alcol ogni 100.000 abitanti è passato dal 25,6 all’8,4%, il tasso di suicidi dal 39,1 al 13,8% e il tasso di omicidi dal 28,2 al 6,2%. In cifre lorde, ciò significa che i decessi per alcolismo sono scesi da 37.214 a 12.276 all’anno, i suicidi da 56.934 a 20.278 e gli omicidi da 41.090 a 9048.”; “Nel 2020, il tasso di omicidi si è ulteriormente ridotto: 4,7% ogni 100.000 abitanti, sei volte meno di quando Putin era salito al potere. E il tasso di suicidi, nel 2021, è stato del 10,7%, ovvero 3,6 volte inferiore. Per quanto riguarda invece la mortalità infantile annuale, anche questa è calata, passando dal 19% ogni 1000 bambini nati vivi nel 2000 al 4,4% nel 2020, vale a dire al di sotto della statistica statunitense che è pari al 5,4% (UNICEF). Quest’ultimo indicatore, se si considera che concerne i membri più deboli di una società, è particolarmente significativo per valutarne lo stato generale”. Esaminando i dati economici della Russia si può infatti osservare un recupero, un aumento del tenore di vita tra il 2000 e il 2010, seguito poi da un rallentamento tra il 2010 e il 2020 per via delle difficoltà causate, in special modo, dalle sanzioni scaturite dall’annessione della Crimea; tuttavia, la tendenza evidenziata dalla statistica morale (come la chiama Todd) – e, cioè, mortalità infantile, le morti violente, i suicidi e la diffusione di droghe – è più regolare, più profonda e riflette uno stato di pace sociale, ossia la riscoperta da parte dei russi che, finito l’incubo degli anni Novanta, fosse ancora possibile condurre un’esistenza stabile: questa stabilità che si può riscontrare nei fatti più oggettivi, che secondo Todd sono i dati demografici, è divenuta centrale per il Paese ed è uno dei temi fissi nei discorsi di Putin.

Durante tutto il periodo in esame, oltre all’aumento del tenore di vita, in Russia si sono registrati tassi di disoccupazione molto bassi e si è riscontrato il ritorno dello Stato in aree strategiche dal punto di vista economico, per non parlare dell’autosufficienza alimentare e della propria affermazione come uno dei maggiori esportatori di prodotti agricoli al mondo, con un giro d’affari superiore ai 30 miliardi di dollari, “una cifra superiore alle entrate derivanti dalle esportazioni di gas naturale, che hanno raggiunto quota 26 miliardi”: se nel 2012 la produzione di grano ammontava a 37 milioni di tonnellate, nel 2022 aveva raggiunto quota 80 milioni; per fare un confronto, nel 1980, quando Reagan salì al potere, la produzione statunitense di grano era pari a 65 milioni di tonnellate. Nel 2022, era scesa a 47”. La Russia si è affermata anche come il primo esportatore mondiale di centrali nucleari (superando la Francia), per non parlare del fatto che la Russia è l’unica potenza al mondo che, per quanto riguarda internet, “pur essendo rimasta largamente aperta alle soluzioni occidentali” aveva “equivalenti locali che facevano la concorrenza al monopolio delle GAFAM” e, cioè, Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft; paradossalmente, a dare un’accelerata in questo senso sono state proprio le sanzioni introdotte a partire dell’annessione della Crimea nel 2014 che, come ormai accade sempre più spesso, “l’hanno costretta a trovare dei sostituti per le sue importazioni e a riorganizzarsi internamente”: esse hanno infatti consentito di introdurre un sistema di protezione che, alla luce dell’adesione ormai molto forte dei russi all’economia di mercato, il regime non avrebbe mai osato imporre alla popolazione. “Senza le sanzioni” ha scritto James Galbraith “è difficile immaginare come si sarebbero potute presentare le opportunità oggi a disposizione delle aziende e degli imprenditori russi. Da un punto di vista politico, amministrativo, legale e ideologico, se si considera la profonda presa che l’idea di economia di mercato aveva sui decisori politici, l’influenza degli oligarchi e la natura falsamente limitata dell’operazione militare speciale, ancora all’inizio del 2022 il governo russo avrebbe avuto la massima difficoltà a introdurre misure paragonabili, quali dazi doganali, quote ed espulsioni di imprese. In questo senso, nonostante lo shock e i costi per l’economia russa, le sanzioni sono state manifestamente un dono”. Il punto, sottolinea Todd, è che la Russia, più la sua alleata Bielorussia, assieme rappresentano appena il 3,3 per cento del PIL nominale globale e, quindi, in molti si erano illusi che di avere davanti dei nani economici, come quando la nostra amatissima Nathalie Tocci affermò che era ridicolo sostenere che la Russia fosse un competitor geopolitico degli Stati Uniti, dato che il suo PIL era infinitamente inferiore: la verità, come ci dice Todd, è che al contrario di tanti concorrenti occidentali ultra-finanziarizzati (a partire dagli Stati Uniti) “Il PIL della Russia rappresenta la produzione di beni tangibili piuttosto che di attività non meglio precisate”. Il PIL USA invece, sostiene Todd, è una mezza truffa: nel 2022 ammontava a circa 76 mila dollari pro capite; “Il 20%, poco più di 15 mila dollari” calcola il demografo francese “corrisponde a settori dell’economia che definirei fisici: industria, edilizia, trasporti, miniere, agricoltura”, ma i restanti 60 e passa mila, continua Todd, sono tutti servizi e, secondo alcune stime, sarebbero realmente produttivi per non oltre il 40%.” Una misura un po’ più tangibile e meno astratta della capacità di produrre ricchezza materiale concreta, spiega Todd, può essere la stima di quanti ingegneri l’intero sistema è in grado di sfornare l’anno: “Nel 2020” ricorda Todd “il 23,4% degli studenti che raggiungevano un’istruzione superiore in Russia erano ingegneri; negli USA il 7,2 che, tradotto, significa 1,35 milioni di ingegneri negli USA contro oltre 2 milioni in Russia, nonostante abbia meno della metà della popolazione”. E negli Stati Uniti a dedicarsi alle famose STEM sono quasi tutti stranieri; i nativi invece, si dedicano fondamentalmente al diritto e alla finanza; insomma: invece che per contribuire alla creazione di ricchezza, studiano per acquisire una superiore capacità di predazione della ricchezza prodotta dal sistema. È vero che tutte le statistiche indicano che le persone più istruite hanno redditi maggiori: “I redditi più alti delle persone con un livello di istruzione maggiore, in realtà, riflettono più che altro il fatto che gli avvocati, i banchieri e molte altre figure che trovano posto nel terziario sono, se in branco, eccellenti predatori”.

Ma lasciando perdere (almeno per oggi) gli Stati Uniti, un altro aspetto fondamentale che smonta la propaganda che hanno costruito per convincere le opinioni pubbliche europee ad appoggiare politiche contro i loro interessi, è quello demografico: come ripete in ogni occasione lo stesso Putin, infatti, la Russia ha un enorme problema demografico. Sono circa 150 milioni; pochi rispetto all’enormità del Paese e, per di più, in calo: “Con una popolazione in calo e una superficie di 17 milioni di chilometri quadrati, più che ambire a conquistare nuovi territori, in realtà, si domanda come potrà continuare a occupare quelli che già possiede”. La Russia oggi è un paese troppo vasto per una popolazione in calo e, ovviamente, non sarebbe mai in grado di conquistare altro territorio europeo, né ha mai ambito a farlo. La Russia, sottolinea lucido Todd, è una potenza del tutto normale, la cui evoluzione non ha assolutamente niente di misterioso: non è in atto alcuna crisi russa che sta destabilizzando l’equilibrio globale; a mettere a rischio l’equilibrio del pianeta è invece una crisi tutta occidentale, conclude Todd, “la crisi terminale degli Stati Uniti”. E – beninteso – la Russia nel frattempo non è diventata una democrazia liberale, né tanto meno un’oligarchia liberale come la nostra; Todd la definisce, invece, una democrazia autoritaria: “Una democrazia perché, sebbene le elezioni siano in una certa misura truccate, i sondaggi (e ciò non viene contestato da nessuno) ci mostrano che il sostegno al regime è incrollabile sia in tempo di pace che di guerra. Autoritaria poiché, chiaramente, il regime non soddisfa il criterio, essenziale per una democrazia liberale, del rispetto dei diritti delle minoranze. La dimensione unanimista del regime è evidente, con tutto ciò che ne consegue in termini di restrizioni delle libertà di stampa e di svariati gruppi della società civile”. Dall’altra parte, riflette Todd, Putin, pur avendo efficacemente messo alle strette l’alta élite di Mosca e San Pietroburgo, presta estrema attenzione alle richieste dei lavoratori e cerca costantemente di rafforzare il sostegno al proprio regime negli ambienti popolari: “Posso comprendere che questo tratto sia oggi disapprovato in tutto l’Occidente, il quale per principio disprezza un popolo da cui non può emanare null’altro che il populismo”; c’è però un elemento cruciale, che avrebbe dovuto allertare gli analisti occidentali, circa la novità dell’oggetto storico che avevano sotto i loro occhi, ossia l’indefettibile attaccamento di Putin alla libertà di movimento. Con lui, i russi hanno sempre avuto e hanno ancora il diritto di lasciare il Paese e lo hanno mantenuto anche in tempo di guerra: è il segno di un regime che, a modo suo, è sicuro di sé o che scommette di esserlo.

C’è poi un ultimo passaggio che merita di essere considerato: quello del cosiddetto soft power russo. Sempre più Stati nel mondo, a partire dal 2022, si stanno schierando con Mosca nella sua lotta per la sovranità politica e sicurezza nazionale: non è un mistero che la Russia non avrebbe mai resistito così bene alle sanzioni occidentali se buona parte del resto del mondo non avesse accettato di aiutarla; e vista anche la debolezza della NATO sul campo di battaglia, tanti altri popoli hanno intravisto la possibilità concreta di avviare un proprio percorso di emancipazione e creazione di un nuovo ordine multipolare. Ma – cosa forse più sorprendente – lo stesso fascino la Russia lo sta esercitando su parte delle classi popolari italiane ed europee, proprio in quanto vedono un regime capace di affermare la propria sovranità politica contro i tentativi imperialistici di sottometterla, e perché attraversata da uno spirito nazionalistico e comunitaristico che sta contribuendo ad aumentare il benessere materiale della popolazione. Naturalmente, staremo a vedere nei prossimi mesi e nei prossimi anni se questo trend di crescita economica verrà confermato e se sopravviverà a un’economia di guerra che potrebbe diventare sempre più esigente; quel che è sicuro è che la lotta agli oligarchi interni e all’impero americano è la stessa lotta che dovremmo condurre noi europei. E chi non fa parte di quella percentuale minima di privilegiati che è ancora capace di vivere del lavoro degli altri (o non fa direttamente parte della classe politica e intellettuale collaborazionista), tutto questo lo sta cominciando a capire. E tra le democrazie autoritarie che lottano per la propria indipendenza e le oligarchie liberali che mirano a uno sfruttamento e sottomissione del resto del pianeta, oggi diventa sempre più chiaro quale sistema è più in grado di fare benessere per i propri cittadini. Una terza via, ovviamente, è possibile ed è nostro dovere cercarla: noi, per l’Italia, non ci auguriamo né un Putin né una Kamala Harris; il primo passo è spezzare, una volta per tutte, la macchina infernale dell’impero militarista neoliberista e riconquistare la nostra libertà e indipendenza imparando – una buona volta – a capire chi sono chi sono gli amici e chi i nemici. Fino a che lo strapotere dei media collaborazionisti a libro paga delle oligarchie sarà così evidente, rimarrà però un sogno di pochi: per questo ci devi aiutare a costruire un media veramente libero e indipendente che offra una reale alternativa e vi racconti il mondo dagli occhi degli interessi del 99%. Comincia a seguirci sul nostro sito, dove siamo maggiormente protetti dalla censura e dalle demonetizzazioni delle piattaforme mainstream, e aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.

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Comments

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Aniello
Monday, 21 October 2024 11:45
Mi pare chiaro che la narrativa dell' articolo è fuorviante ( a essere benevoli) e come faceva notare il commento precedente ponendo domande sensate ,
quello che risalta è una considerazione
di putin enormemente sovrastimata ( a essere benevoli) da quando la guerra crea qualcosa di positivo per il popolo ?
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Fransej
Sunday, 20 October 2024 20:11
Una guerra, di per sé, è un danno economico: le armi nulla producono e non sono beni di consumo, i soldati non sono lavoratori. Per questo mi lasciano perplesso i dati sul presunto decollo economico russo.

Certo, se esistono risorse inutilizzate, la spesa militare può stimolare il loro impiego anche in ambito civile: chi guadagna con le commesse belliche spende, suscita la produzione altrui; è soprattutto in questo modo che il governo Hitler superò la crisi economica in Germania, nel 1933/39. In Russia c'erano molte risorse inutilizzate prima del 2022?
Pare di no, Ottolina attribuisce il decollo russo alla sostituzione di varie importazioni o impianti d'imprese straniere, con produzioni nazionali. Le quali aumenterebbero la ricchezza complessiva se fossero produzioni migliori o più a basso costo di quelle che hanno sostituito.

Almeno Ottolina è chiara, senza equivoci: ritiene che il sistema russo faccia gli interessi dei "propri cittadini" più di quello occidentale, grazie all'uomo forte che tiene a bada gli oligarchi. Per adesso, nonostante la benevola tutela del capo, i cittadini russi vivono in media peggio di quelli europei. Questo può certo esser attribuito semplicemente ad una ricchezza complessiva superiore. Dati attendibili ci dicono magari che la distribuzione del reddito in Russia è più equa che da noi? Lo spettacolo, che so, dei servizi pubblici russi lo suggerisce?
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