Trump finge di minacciare la Russia ma spreme l’Europa
di Gianandrea Gaiani
Il 14 luglio Donald Trump ha precisato i contorni della nuova iniziativa statunitense nei confronti della Russia e della guerra in Ucraina. Con al fianco il segretario generale della NATO, Mark Rutte, Trump ha ribadito di essere “deluso dal presidente Putin, perché pensavo che avremmo raggiunto un accordo due mesi fa, ma non sembra esserci riuscito. Quindi sulla base di ciò imporremo dazi molto severi se non raggiungeremo un accordo entro 50 giorni. Dazi pari a circa il 100%” fa applicare alle nazioni che commerciano con Mosca. “Spero di non doverlo fare” ha detto Trump alla Casa Bianca, annunciando nuovi invii di armamenti a Kiev ma ribadendo, come aveva già anticipato, che saranno gli alleati europei a pagare il conto molto salato.
Trump e Rutte hanno presentato un accordo, peraltro ancora vago, in base al quale la NATO (cioè i partner europei dell’alleanza) acquisterà armi dagli Stati Uniti, comprese le batterie antimissile Patriot, per poi darle all’Ucraina. “Gli Stati Uniti venderanno miliardi di dollari di equipaggiamento militare alla NATO che li porterà’ rapidamente sul campo di battaglia”, ha dichiarato Trump.
Rutte ha aggiunto che grazie a questo accordo l’Ucraina riceverà “un numero enorme di armi”. “Quello che faremo è lavorare attraverso i sistemi Nato per assicurarci di sapere di cosa hanno bisogno gli ucraini, in modo da poter preparare i pacchetti” ha detto il segretario generale dichiarando che “è del tutto logico che gli europei paghino per le armi inviate all’Ucraina” e di essere in contatto con “numerosi Paesi” che vogliono aderire all’accordo, fra cui Finlandia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna, Olanda e Canada. “Ed è solo la prima ondata, ce ne saranno altri”, ha aggiunto.
Rutte, nei confronti di Trump più nei panni di un maggiordomo che di un segretario generale, sembra aver ormai sdoganato il fatto che la guerra in Ucraina contro la Russia riguarda solo l’Europa mentre gli Stati Uniti, bontà loro, ci vendono le armi necessarie a tentare di sostenere Kiev.
Fonti dell’amministrazione citate dai media statunitensi ritengono che il pacchetto di nuovi aiuti militari a Kiev abbia un valore di 10 miliardi di dollari, tutti a carico degli europei. Secondo il Washington Post Trump starebbe valutando l’invio a Kiev anche di armi offensive, dai missili da crociera Tomahawk (1.200/1.600 chilometri di raggio d’azione) e JASSM (380 chilometri) a nuove forniture dei missili balistici tattici ATACMS (300 km) ma al momento l’unica ipotesi forse credibile riguarda questi ultimi, già impiegati da Kiev ma di cui l’US Army ha scorte molto limitate.
In serata (in Italia) Trump ha sgombrato il campo da ogni dubbio negando di voler consegnare all’Ucraina missili a lungo raggio, che renderebbero possibile colpire obiettivi più in profondità in territorio russo. “No, non intendiamo farlo“, ha detto Trump ai giornalisti.
Il presidente ha affermato anche che Volodymyr Zelensky “non dovrebbe prendere di mira Mosca“, smentendo un articolo del Financial Times le cui fonti avevano riportato che Trump avrebbe incoraggiato l’Ucraina a intensificare gli attacchi in profondità sul territorio russo. Secondo il giornale, durante una telefonata il 4 luglio tra i due leader, Trump avrebbe chiesto: “Volodymyr, puoi colpire Mosca? Puoi colpire anche San Pietroburgo?”. E Zelensky avrebbe risposto:”Assolutamente. Possiamo farlo se ci date le armi”.
Per comprendere gli ultimi sviluppi risulta illuminante e al tempo stesso imbarazzante (per la UE e i governi europei) l’affermazione di Trump: “Penso che questa sia un’opportunità per ottenere la pace. L’Europa ha molto entusiasmo per questa guerra. Pensano davvero che sia una cosa molto, molto importante da fare, altrimenti non la farebbero. Loro pagano per tutto, non pagherebbero se non ritenessero la guerra importante. Quella di Biden è stata la peggiore amministrazione della storia, e quella in Ucraina è la guerra di Biden. Io penso solo che debba finire”.La sempre agguerrita (contro la Russia) ‘Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas ha dichiarato che “da un lato, è molto positivo che il Presidente Trump stia prendendo una posizione forte sulla Russia. D’altro canto, 50 giorni sono un tempo molto lungo se vediamo che stanno uccidendo civili innocenti, anche ogni giorno. Quindi è chiaro che dobbiamo tutti fare più pressione sulla Russia affinché voglia la pace, ed è positivo che gli americani stiano prendendo provvedimenti. Spero che anche loro forniscano aiuti militari come stanno facendo gli europei”.
Kallas ha poi aggiunto una riflessione non banale. “Se paghiamo per queste armi, è il nostro sostegno. Quindi è un sostegno europeo, e stiamo facendo tutto il possibile per aiutare l’Ucraina. Quindi l’appello è che tutti facciano lo stesso. Se prometti di fornire le armi, ma dici che qualcun altro le pagherà, non le stai realmente fornendo tu”.
Anche volendo dare credito alla propaganda ucraina, che riferisce ogni giorno di alcune vittime civili dei massicci bombardamenti dei missili e droni russi ma tace sulle perdite e i danni inflitti all’apparato militare e industriale, è evidente che la preoccupazione della UE è legata al rischio che i russi possano scatenare pesanti offensive nelle prossime settimane con l’obiettivo di concludere il conflitto sul campo di battaglia.
L’ampio margine concesso in quello che qualcuno ha definito un “ultimatum a Putin” costituisce il segnale più concreto che Trump sta utilizzando la guerra in Ucraina, chiamandosene fuori in termini politici e militari, ma puntando all’incasso finanziario dall’Europa e da Kiev, senza determinare una reale escalation nei rapporti con Mosca.
A un giornalista che chiedeva perché abbia concesso a Vladimir Putin un termine così lungo per arrivare ad un accordo sull’Ucraina, Trump ha risposto in modo sfuggente che “questa non è la mia guerra, è la guerra di Biden, con me non sarebbe mai scoppiata”.
L’impressione che Trump abbia preso tempo trova conferma anche nella minaccia di dazi ai Paesi che commerciano con la Russia. “Dazi secondari” come quelli applicati mesi or sono del 25% alle merci importate negli Stati Uniti da qualsiasi Paese che acquistasse greggio dal Venezuela. La Russia non è il Venezuela e commercia con gran parte del mondo; inoltre i dazi minacciati al 100% sono pesanti ma lontani da quelli paventati dal senatore Lindsay Graham, “falco” anti-russo che li aveva anticipati del 500% per chi compera gas e petrolio russo, quindi anche a India e Cina.
Finora Trump ha fatto molto rumore coi dazi per poi negoziare con tutti ma colpire i BRICS e gli altri Paesi che mantengono relazioni commerciali con la Russia potrebbe essere pericoloso per Washington che tre anni fa voleva isolare la Russia e domani potrebbe rischiare di trovarsi isolata da buona parte del resto di un mondo ormai irrimediabilmente multipolare.
“La coercizione o le pressioni non possono risolvere i problemi”, ha dichiarato durante una conferenza stampa Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aggiungendo che Pechino è favorevole a una “soluzione politica della crisi in Ucraina”.
Anche l’annuncio di nuove forniture di armi a Kiev ha un valore più politico ed economico che militare e appare rivolto maggiormente contro la supina Europa che contro la Russia. Dovrebbe essere chiaro a tutti che poche decine di missili Patriot in più miglioreranno solo per pochi giorni le scarse capacità della difesa aerea ucraina, forse prolungheranno il conflitto e con altre armi (che richiederanno il supporto di personale della NATO in Ucraina) provocheranno maggiori perdite ai russi ma non cambieranno il corso degli eventi bellici.
L’ipotesi che le forze armate europee che possiedono i sistemi Patriot li forniscano subito a Kiev in attesa di riceverne di nuovi (e costosi) dagli Stati Uniti suscita perplessità circa i tempi lunghissimi di costruzione e consegna mentre le possibilità che gli USA forniscano subito agli alleati missili nella quantità necessaria prelevati dalle loro ormai limitate scorte sono ben scarse.
Germania e Norvegia sono pronte ad acquistare dagli Stati Uniti rispettivamente due e un sistema Patriot da consegnare all’Ucraina. Berlino e Washington stanno preparando la consegna di due sistemi Patriot all’Ucraina per un valore di due miliardi di euro, ha detto il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, che aveva negato poco prima la disponibilità di Berlino di cedere a Kiev le proprie scorte di Patriot.
Il segretario alla Difesa USA, Pete Hegseth, ha precisato che la consegna sarà finanziata da Berlino. “Dobbiamo ancora chiarire gli ultimi dettagli tecnici, logistici e finanziari”, ha precisato.
Durante la conferenza stampa alla Casa Bianca Trump ha affermato che sarà fornito a Kiev “un pacchetto completo di batterie. Alcuni arriveranno molto presto, anzi tra pochi giorni. Alcuni Paesi che hanno i Patriot li scambieranno e noi sostituiremo i loro Patriot con altri. Un Paese ha 17 sistemi Patriot pronti per la spedizione. Non ne avranno bisogno per sé, quindi stiamo lavorando a un accordo per l’invio di quei 17 sistemi, o di una gran parte di essi,” in Ucraina.
Nelle versioni PAC-2 e PAC-3 il sistema Patriot è in dotazione in Europa a Germania, Grecia, Olanda, Polonia, Romania, Svezia, Spagna mentre la Svizzera li ha ordinati.
L’Ucraina dovrebbe aver ricevuto finora 10 batterie (ognuna con 8 lanciatori): 3 dagli USA, 4 dalla Germania (più altri 4 lanciatori), una dall’Olanda, una dalla Romania e una da Israele via Stati Uniti: difficile quantificare le perdite subite ad opera dei bombardamenti russi che devono essere state però significative così come il consumo dei missili considerando l’urgenza delle richieste ucraine di nuove batterie e missili.
Un aspetto non secondario per gli interessi europei è determinato dal fatto che la richiesta ucraina di Patriot “made in USA” e la decisione europea di comprarne per Kiev e per le proprie esigenze difensive sottrarrà presumibilmente molte risorse allo sviluppo e all’acquisto di sistemi di difesa aerea e antimissile “made in Europe” come gli italo-francesi SAMP/T, rafforzando l’operazione perseguita da Trump con l’imposizione agli alleati NATO di una spesa militare del 5% del PIL tesa a rafforzare l’export statunitense e penalizzare l’industria europea della Difesa, concorrente di quella americana sui tutti i mercati.
Danimarca e Paesi Bassi hanno dichiarato di essere pronti a partecipare al piano di Donald Trump per l’acquisto di armi dall’Europa per l’Ucraina. La Danimarca è “assolutamente pronta” ad aderire al programma e contribuirà finanziariamente, ha dichiarato il Ministro degli Esteri danese Lars Lokke Rasmussen prima di un incontro con i suoi omologhi dell’UE. “Dobbiamo definire i dettagli“, ha affermato.
Il ministro olandese, Caspar Veldkamp, ha indicato che anche i Paesi Bassi stanno valutando la partecipazione. “Valuteremo cosa possiamo fare alla luce degli annunci di Trump e procederemo di conseguenza“.
Resta però evidente che la soluzione annunciata da Trump e Rutte avrà tempi lunghi, non sembra in grado di invertire il corso della guerra e ha il sapore dell’improvvisazione. Inoltre, non è sostenuta da tutti i 32 membri della NATO ma da una “coalizione di volenterosi” (un’altra?) che accetteranno di sborsare altri soldi per pagare gli Stati Uniti e armare Kiev. A ben guardare si tratta degli stessi Paesi che hanno accettato di realizzare sul proprio territorio armi ucraine nell’ambito del programma “Build with Ukraine” (annunciato ma non ancora avviato) la cui produzione in patria è impedita o rallentata dai continui bombardamenti russi.
La Repubblica Ceca per ora non si unirà all’acquisto di armi statunitensi per l’Ucraina. Lo ha dichiarato il primo ministro ceco Petr Fiala al portale di informazione Publico. “La Repubblica Ceca si sta concentrando su altri progetti e modi per aiutare l’Ucraina, per esempio attraverso l’iniziativa sulle munizioni. Pertanto, al momento non stiamo considerando di unirci a questo progetto”, ha spiegato il capo del governo di Praga.
“È meglio che le armi statunitensi per l’Ucraina siano pagate dalla Russia, non dai contribuenti europei” ha detto il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski al termine del Consiglio Esteri a Bruxelles. “Sappiamo che il presidente Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti produrranno armi per l’Ucraina. Ho chiesto ai miei colleghi ministri degli Esteri chi dovrebbe pagare per queste armi. Sono i contribuenti europei o è meglio, a mio avviso, che l’aggressore paghi con i fondi congelati”, ha spiegato Sikorski.
Nella lista dei partner a NATO che hanno aderito al “club dei pagatori” non sembra al momento esserci l’Italia. Il vice premier e segretario della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato che “non è utile indebitare gli italiani per comprare armi altrove, non ritengo che sia una cosa utile da fare. Se si parla invece di spese per la sicurezza interna, sono assolutamente favorevole. Stiamo vivendo giorni complicati e in questi momenti occorre essere lucidi, tranquilli e avere ben chiaro in testa cosa fare. La guerra in Ucraina prima finisce e meglio è”.
Secondo Nikolay Novik, analista dell’Institute of World Military Economy and Strategy della Higher School of Economics, le dichiarazioni di Trump sulla Russia e il conflitto in Ucraina devono essere interpretate come parte di una strategia negoziale più ampia e non come prese di posizione definitive. “Trump non chiuderà la porta al dialogo con Mosca. A differenza dell’amministrazione Biden, non interromperà completamente la comunicazione con la Russia”.
Novik sottolinea che, anche se le affermazioni di Trump possono sembrare drastiche, non avranno un impatto decisivo sull’evoluzione del conflitto, poiché il vero obiettivo resta quello di orientare i rapporti di forza internazionali. “Trump ha già ottenuto quasi tutto ciò che voleva. Attraverso un fondo speciale, ha acquisito il controllo su parte delle risorse economiche ucraine, i Paesi europei si stanno facendo carico delle spese militari e Trump mantiene contatti sia con Kiev che con Mosca.”
La debolezza dell’ultimatum di Trump alla Russia emerge chiaramente dalle reazioni che ha suscitato a Mosca.
Putin non ha replicato neppure attraverso il suo portavoce. Dimitri Peskov si è limitato a dire che “le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti sono molto serie, qualcosa in esse è rivolto personalmente al presidente Vladimir Putin. Abbiamo certamente bisogno di tempo per analizzare ciò che è stato detto a Washington e il presidente Putin le commenterà se e quando lo riterrà necessario”.
Peskov ha aggiunto che “Kiev interpreta le decisioni prese a Washington e in altre capitali della Nato come un messaggio a continuare la guerra piuttosto che a cercare la pace”.
Più esplicito il vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov (“La Russia giudica inaccettabile qualsiasi ultimatum”) mentre il vice presidente della Duma Konstantin Kossacyov ha commentato che “se questo è tutto ciò che Trump intendeva dichiarare oggi sull’Ucraina, è tanto fumo e poco arrosto.
In 50 giorni quante cose possono cambiare sul campo di battaglia e negli umori dei leader della NATO e degli Usa! Gli europei dovranno sborsare e sborsare, il formaggio gratuito per loro era in una trappola per topi. C’è solo un beneficiario: il complesso militare-industriale degli Stati Uniti. A Kiev non resta che continuare a combattere fino all’ultimo ucraino, dal momento che è il destino che si sono scelti”.
Nel pomeriggio di oggi il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha affermato alla TASS che “Vogliamo capire cosa c’è dietro questa dichiarazione sui 50 giorni.
Prima erano 24 ore, poi 100 giorni, vogliamo davvero capire da cosa è guidato il presidente degli Stati Uniti”. Secondo Lavrov, Trump “è chiaramente sottoposto a pressioni da NATO e Unione Europea.
Non ho dubbi che sapremo gestire bene eventuali nuove sanzioni occidentali e non vedo possibile che i nostri partner abbandonino gli impegni presi in formati bilaterali e multilaterali“, ha aggiunto Lavrov reduce dagli incontri con Xi Jinping e i ministri degli Esteri di India e altre nazioni asiatiche al summit della Shangai Cooperation Organization.
Per il vice segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale russo, Dmitry Medvedev, “Trump ha lanciato un ultimatum teatrale al Cremlino, il mondo è rabbrividito aspettando le conseguenze, la bellicosa Europa è rimata delusa, alla Russia non è importato niente“.
Perplessità circa le dichiarazioni di Trump sorgono anche dai suoi supporter del movimento MAGA (Make America Great Again).”Questa non è la guerra al terrorismo, questa è una guerra vecchio stille nell’insanguinata Europa, e ci stanno trascinando dentro” ha detto Steve Bannon nel suo podcast ‘War Room’. “Stiamo armando persone su cui non abbiamo nessun controllo”, sostenendo che la “principale priorità” di Volodomyr Zelensky è trascinare sempre più Trump e gli Usa nel conflitto.
Marjorie Taylor Green, deputata repubblicana, ha detto al New York Times che “già la decisione di Trump di partecipare con i raid sui siti atomici iraniani al conflitto tra Israele e Iran aveva creato una spaccatura tra il presidente e il mondo MAGA”. Anche se tra i fans di Trump vi è un sostanziale apprezzamento all’idea che a pagare i costi delle armi e della guerra siano gli europei Taylor Green sostiene che “questa non è la nostra guerra e un’escalation non è nell’interesse dell’America“.
Nel complesso quindi l’iniziativa di Trump non ha intimidito la Russia, non ha convinto del tutto l’Europa né i falchi neocon del suo partito e ha deluso la parte più movimentista del suo elettorato.