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Timori, speranze e tante illazioni in vista del vertice Putin-Trump in Alaska

di Gianandrea Gaiani

1451017.jpgIl Summit di Ferragosto tra Vladimir Putin e Donald Trump sta gettando nel panico le cancellerie europee, incluso il governo di Kiev, che puntavano tutto su una crisi prolungata nei rapporti tra le due superpotenze per mantenere in sella governi e capi di governo.

Lo si evince chiaramente dalle ultime dichiarazioni. L’agenzia di stampa Bloomberg ha riferito ieri sera che i leader di alcuni Paesi europei stanno cercando di parlare con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in vista dell’incontro di venerdì in Alaska con il leader russo, Vladimir Putin.

il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato nel suo consueto discorso serale alla nazione che “sappiamo che la Russia ha intenzione di ingannare l’America, ma noi non lo permetteremo”. La NATO ha così tanta fiducia nell’esito positivo (per l’Ucraina) del summit in Alaska che il Segretario generale Mark Rutte ha ribadito ieri sera che le forniture di armi all’Ucraina continueranno a prescindere dal vertice Russia-USA.

“Assolutamente sì, continueranno”, ha affermato Rutte, sottolineando che “i primi due pacchetti sono stati stanziati dagli olandesi e poi dagli scandinavi” e che ulteriori annunci sono attesi “nei prossimi giorni e settimane”.

 

Chi ha paura dell’incontro Putin-Trump?

A preoccupare ucraini ed europei sono almeno due elementi: a quanto sembra il summit Putin-Trump non li coinvolgerà direttamente e secondo il consigliere del Cremlino Yury Ushakov il vertice sarà focalizzato sulle opzioni per raggiungere una soluzione duratura alla crisi Ucraina e potrebbe essere seguito da un altro incontro faccia a faccia in territorio russo.

Il rischio quindi è un’intesa tra Mosca e Washington che porrà gli altri davanti al fatto compiuto.

A contribuire a non rassicurare europei e ucraini ha provveduto anche il vice presidente americano J.D. Vance.  “Vogliamo giungere a una soluzione pacifica a questa questione“, ha dichiarato a Sunday Morning Future su Fox News. “Vogliamo fermare le uccisioni. Ma gli americani, credo, sono stanchi di continuare a inviare i loro soldi, i loro soldi delle tasse, a questo specifico conflitto. Se però gli europei vogliono farsi avanti e acquistare effettivamente le armi dai produttori americani, per noi va bene. Ma non lo finanzieremo più noi”.

Anche molti ambienti politici statunitensi, da quelli liberal legati al Partito Democratico ai trasversali neocon, fautori del confronto a muso duro con Mosca e Pechino, non hanno accolto positivamente l’incontro tra Trump e Putin.

Lo conferma il dibattito esploso negli Stari Uniti per la scelta dell’Alaska come sede dell’incontro: stato saldamente repubblicano dell’Unione, il più grande e il meno popolato che un tempo era territorio russo, ceduto nel 1867 agli USA dallo zar Alessandro II per 7,2 milioni di dollari dell’epoca, quando Mosca aveva bisogno di “fare cassa” dopo la guerra di Crimea.

In Alaska vi sono ancora piccole comunità di lingua russa e diverse chiese ortodosse e non va dimenticato che i nativi americani sono considerati i discendenti di popolazioni asiatiche che attraversarono lo stretto di Bering diffonde dosi poi in tutto il Nord America.

Una terra che meglio di ogni altra può quindi simbolicamente rappresentare un “ponte” tra Russia e Stati Uniti, luogo ideale per riunire i vertici politici russo e statunitense, come ha ricordato con diversi post su X Kirill A. Dmitriev, amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund.

“Per secoli, l’Alaska è stato un ponte tra le nazioni e oggi noi rimaniamo una porta per la diplomazia, il commercio e la sicurezza in una delle regioni più cruciali del mondo”, ha dichiarato il governatore dell’Alaska Mike Dunleavy.

Come dicevamo, sulle due sponde dell’Atlantico non mancano le voci critiche per un summit che pochi ritenevano probabile a breve termine dopo l’escalation di accuse formulate da Trump a Putin a cui Mosca non ha in molti casi neppure risposto.

Il Wall Street Journal riferisce però che i due presidenti hanno avuto nei mesi scorsi colloqui telefonici cordiali della durata di diverse ore. Secondo fonti citate dal quotidiano, Trump e Putin hanno avuto numerosi contatti telefonici e scambi di messaggi tramite intermediari, durante i quali Trump ha spesso insistito sulla volontà di rilanciare le relazioni economiche Usa-Russia, mentre Putin ha ribadito le sue rivendicazioni su Crimea e Donbass.

I colloqui telefonici si sarebbero protratti a lungo a causa dei lunghi monologhi di Putin e della necessità di traduzioni simultanee e accurate.

Per il New York Times “Putin ha ottenuto il suo vertice ideale, dopo aver rischiato di perdere i favori di Donald Trump”. Il summit in Alaska del 15 agosto è, per il Presidente russo, “una opportunità, non solo per porre fine alla guerra alle sue condizioni ma anche di dividere l’alleanza di sicurezza Occidentale.

Parlando la lingua che Trump capisce, vale a dire quella del settore immobiliare (da cui proviene anche l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff, -NdR) Putin si è garantito quello che perseguiva sin da gennaio: un faccia a faccia con il leader americano senza che Zelensky sia presente, per spiegare le sue ragioni e definire un accordo“, sottolinea il commento del NYT.

Il ritorno di Putin negli Stati Uniti, per la prima volta in dieci anni, non poteva non innervosire, in USA come in Europa, tutti i numerosi fautori dell’incriminazione di Putin in quanto “criminale” deferito alla Corte Penale Internazionale (CPI) e del suo conseguente isolamento internazionale.

Molti commentatori considerano che l’invito sul territorio statunitense costituisca già una vittoria per Putin che in Alaska detterà le sue condizioni per il cessate il fuoco in Ucraina. Molti sottolineano il suo status di ricercato dalla Corte Penale Internazionale, tribunale che peraltro gli Stati Uniti non hanno mai riconosciuto (per non finire sul banco degli accusati).

“L’unico posto migliore dell’Alaska per Putin sarebbe tenere l’incontro a Mosca”, ha detto l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, John Bolton. Valutazione forse più dettata dall’ira che da un attento esame del contesto internazionale tenuto conto che Trump nel suo primo mandato presidenziale cacciò Bolton dopo appena 5 mesi.

Ricevere Trump a Mosca non avrebbe dato a Putin il risalto di un viaggio negli Stati Uniti per incontrare Trump, per giunta in un territorio un tempo appartenuto alla Russia. E soprattutto non avrebbe fatto arrabbiare così tanto i leader europei, il governo ucraino e i russofobi anglo-americani.

Inoltre se Putin va in territorio statunitense, difficilmente Trump potrà rifiutare di rivederlo in Russia, suggellando di fatto la ripresa delle relazioni bilaterali su vasta scala che lascerebbe in un angolo l’Europa e i suoi miopi e improvvisati leader.

“Dalla fine della guerra fredda, i vertici sono stati usati dai presidenti americani come segno di approvazione. Trump, ancora una volta, dimostra il valore che attribuisce all’amicizia con Putin. E’ una profonda umiliazione per gli Stati Uniti“, ha osservato Ruth Deyermond, docente britannica del King’s College.

Putin è stato 7 volte negli Stati Uniti, l’ultima volta nel 2015 per i lavori dell’assemblea generale dell’Onu, a margine dei quali incontrò Barack Obama. L’ultima volta che ha incontrato un presidente americano è stato nel 2021 con il faccia a faccia con Joe Biden a Ginevra. Putin e Trump si sono incontrati in sei occasioni durante il primo mandato del presidente: la più nota nel 2018 a Helsinki, quando Trump aveva smentito l’intelligence USA negando le interferenze russe nelle presidenziali americane smentite peraltro dallo stesso Putin.

Un tema su cui recentemente Trump ha avuto piena soddisfazione dopo che le indagini e il ministero di Giustizia hanno attribuito l’intero “Russiagate” a una macchinazione del Democratici per screditarlo.

 

I proclami dell’evanescente Europa

In fibrillazione anche i leder europei, specie quelli più sbilanciati a favore del riarmo, del sostegno militare all’Ucraina “fino alla vittoria” e del contrasto con Mosca.

Bene l’impegno di Donald Trump per fermare la guerra, ma “il percorso verso la pace in Ucraina non può essere deciso senza l’Ucraina“, recita il messaggio inviato a Trump dai leader di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e Finlandia e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

I capi di Stato e di governo europei aggiungono anche che, “i confini internazionali non devono essere modificati con la forza”, ma aggiungono che “l’attuale linea di contatto dovrebbe essere il punto di partenza dei negoziati“, prendendo atto che la situazione sul campo è al momento l’unica base dalla quale è possibile iniziare una trattativa. I leader europei sembrano avere accolto l’appello del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che commentando le indiscrezioni che parlano di una proposta di Mosca agli Usa su una tregua in cambio di ampie concessioni territoriali sull’Ucraina orientale ha detto che “non regaleremo la nostra terra all’occupante”.

Affermazioni poco coerenti tra loro, in linea con quello a cui i leader europei ci hanno abituato da anni.

Come si può non modificare i confini ucraini se si riconosce l’attuale linea del fronte come punto di partenza dei negoziati?

I russi controllano circa il 20 per cento del territorio ucraino, inclusa la Crimea.  Inoltre, come si può affermare il principio che i confini non si possono modificare con la forza dopo quello che è stato fatto da NATO, USA e UE in Serbia e Kosovo? O dopo quello che Trump minaccia di fare in Groenlandia?

Zelensky ribadisce concetti già noti ma ha già perso un quinto del territorio nazionale e ne perderà ancora continuando a combattere. Il territorio ucraino non è mai stato regalato da Kiev ma è stato conquistato da Mosca.

Concetti che è meglio precisare nel nome del pragmatismo se si vuole evitare di farsi confondere le idee dalle chiacchiere in libertà che abbondano in questi giorni.

“Accogliamo con favore l’impegno del Presidente Trump per fermare le uccisioni in Ucraina, porre fine alla guerra di aggressione della Federazione Russa e raggiungere una pace e una sicurezza giusta e durata per l’Ucraina“, hanno scritto in una nota congiunta il presidente francese Emmanuel Macron e i premier Giorgia Meloni, Friedrich Merz, Donald Tusk, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il presidente finlandese Alexander Stubb in una dichiarazione congiunta.

I leader europei si dicono “convinti che solo un approccio che combina diplomazia attiva, sostegno all’Ucraina e pressione sulla Federazione Russa affinché ponga fine alla sua guerra illegale possa avere successo” e ribadiscono di voler “sostenere questo impegno diplomaticamente, nonché confermando il nostro sostanziale sostegno militare e finanziario all’Ucraina, anche attraverso l’operato della Coalizione dei Volenterosi, e confermando e imponendo misure restrittive nei confronti della Federazione Russa”.

Frasi in libertà che non tengono conto che i russi avanzano tutti i giorni sui tutti i fronti e che gli europei, incapaci di mandare i propri soldati in trincea al fianco degli ucraini, non hanno più nulla da offrire a Kiev in termini militari, se non pagare il conto salato di un po’ di armi statunitensi di seconda mano che il Pentagono ci venderà a peso d’oro.

I leader europei condividono anche “la convinzione che una soluzione diplomatica dovrebbe proteggere gli interessi vitali di sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa“: interessi vitali che devono includere “la necessità di garanzie di sicurezza solide e credibili che consentono all’Ucraina di difendere efficacemente la propria sovranità e integrità territoriale. L’Ucraina ha la libertà di scelta sul proprio destino.

Negoziati significativi possono aver luogo solo nel contesto di un cessate il fuoco o di una riduzione delle ostilità. Il percorso verso la pace in Ucraina non può essere deciso senza l’Ucraina. Restiamo fedeli al principio secondo cui i confini internazionali non devono essere modificati con la forza”.

Affermazioni che appaiono fuori contesto in uno scenario che vede l’Ucraina militarmente in ginocchio e non certo in grado di dettare le condizioni. La pace serve a Kiev per evitare il tracollo militare e forse dell’intero stato. Putin non ha fretta perché ogni giorno il suo apparato militare diventa più forte mentre quello ucraino più debole.

Il lungo documento firmato dai leder europei sembra voler dettare i margini entro i quali dovrà e potrà muoversi il confronto tra Putin e Trump, ma si tratta di una pretesa assurda (forse in parte giustificata dal fatto che le spese europee per gli aiuti militari all’Ucraina hanno superato quelle degli USA) anche tenendo conto che tra i punti in comune tra i presidenti di Russia e Stati Uniti uno dei più importanti è senza dubbio il disprezzo per gli europei.

La percezione di venire esclusi ancora una volta dai giochi dilaga in ambito Unione Europea. “Il presidente Trump ha ragione quando afferma che la Russia deve porre fine alla sua guerra contro l’Ucraina. Gli Stati Uniti hanno il potere di costringere la Russia a negoziati seri. Qualsiasi accordo tra Stati Uniti e Russia deve includere l’Ucraina e l’Unione Europea, poiché si tratta di una questione che riguarda la sicurezza dell’Ucraina e di tutta l’Europa”, ha affermato l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, Kaja Kallas.

 

Paure, ipotesi e illazioni

Anche negli Stati Uniti molti temono un asse Trump-Putin che scavalchi Ucraina, UE, e NATO. “Concedere territori sarebbe un premio a chi ha aggredito e devastato un Paese, provocando migliaia di morti” ha detto, intervistato da La Repubblica, il generale a quattro stelle in pensione Joseph Votel, già alla testa del Central Command tra il 2016 e il 2019.

“Arrivare all’incontro in Alaska è necessario. Bisogna allineare sul tavolo le questioni da risolvere. Ma Putin non può uscirne vincente. Per questo è essenziale coinvolgere nella discussione anche gli ucraini. Non può esserci accordo senza di loro. Non coinvolgere Zelensky nelle decisioni finali sarebbe un errore di cui ci pentiremmo a lungo”.

Secondo l’agenzia d’informazione statunitense Bloomberg, che cita fonti a conoscenza del dossier, Stati Uniti e Russia stanno lavorando a un accordo per porre fine alla guerra in Ucraina che prevede il congelamento delle conquiste russe dei territori conquistati dopo l’invasione militare del febbraio del 2022.

Putin chiederebbe all’Ucraina di cedere l’intera area orientale del Donbass alla Russia, così come la Crimea, che le sue Forze armate hanno annesso nel 2014. Zelensky dovrebbe quindi ordinare il ritiro delle sue truppe dalla parte della regione di Donetsk ancora in mano ucraina mentre Lugansk è da tempo totalmente in mano ai russi.

La Russia, in cambio, interromperebbe la sua offensiva nelle regioni ucraine di Kherson e Zaporizhia come parte dell’accordo, hanno affermato le fonti. Tale risultato, afferma Bloomberg, rappresenterebbe una vittoria importante per Putin, che da tempo cerca negoziati diretti con gli Stati Uniti per porre fine alla guerra.

Zelensky, da parte sua, rischierebbe di trovarsi di fronte a un accordo “prendere o lasciare” per accettare la perdita del territorio ucraino. Le fonti affermano che i termini e i piani dell’accordo sono ancora in fase di elaborazione e potrebbero ancora cambiare. Non è infatti chiaro se Mosca sia disposta a rinunciare ai territori oggi occupati anche nelle regioni di Kharkiv, Sumy e Dnipropetrovsk.

L’accordo mirerebbe essenzialmente a congelare la guerra e ad aprire la strada a un cessate il fuoco e a colloqui tecnici su un accordo di pace definitivo, hanno affermato le fonti.

In precedenza, gli Stati Uniti avevano fatto pressioni affinché la Russia accettasse per prima un cessate il fuoco incondizionato per creare spazio per i negoziati sulla fine della guerra, giunta ormai al suo quarto anno. In realtà le fonti hanno riferito a Bloomberg che questo contesto non era apparso  credibile.

 

Fraintendimenti e confusione?

Perplessità e interrogativi non di poco conto, specie se considera quanto riferito dal giornale tedesco Bild che attribuisce a un fraintendimento dell’inviato americano Steve Witkoff, nei colloqui preliminari che ha avuto a Mosca nei giorni scorsi per preparare il vertice in Alaska.

Fonti ucraine sentite da Bild affermano che Vladimir Putin vuole ancora il pieno controllo delle regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhia e Kherson. Ha proposto solo un una sospensione reciproca degli attacchi agli impianti energetici e agli obiettivi in profondità, non un cessate il fuoco completo.

Gli Stati Uniti, al contrario, si sono offerti di congelare il conflitto lungo l’attuale linea del fronte in cambio di un’ampia revoca delle sanzioni e di nuovi accordi economici con la Russia. Witkoff avrebbe quindi frainteso le dichiarazioni di Putin confondendo la richiesta russa del “ritiro pacifico” degli ucraini da Kherson e Zaporizhzhia come una proposta per un “ritiro pacifico” dei russi da queste stesse regioni.

Se queste ipotesi fossero confermate il negoziato scivolerebbe nel ridicolo ma del resto il rischio di un fraintendimento sarebbe davvero molto alto.

E’ molto difficile credere che i russi siano pronti a ritirare le proprie truppe da uno solo dei territori conquistati e soprattutto dalle regioni di Kherson e Zaporizhia, ritiro che porterebbe all’abbandono della centrale nucleare di Energodar e della triplice linea di difesa “Surovikin” contro la quale nel 2023 si infranse la grande controffensiva ucraina, e che permetterebbe agli ucraini di schierarsi a ridosso della Crimea e del Mare d’Azov e di minacciare Mariupol e Berdyansk.

Per ragioni strategiche è da definire impossibile una disponibilità russa al ritiro da questi territori. Del resto Mosca sta vincendo la guerra: spetta quindi agli ucraini ritirarsi per evitare la disfatta, non certo ai russi.

Witkoff non sa di cosa parla“, ha detto un funzionario del governo ucraino a Bild e il giornale aggiunge che questa valutazione è condivisa da rappresentanti del governo tedesco.

Le dichiarazioni di Witkoff dopo l’incontro con Putin al Cremlino, sarebbero state percepite come confuse circa le questioni territoriali. In questo contesto le interpretazioni e le indiscrezioni sui possibili contenuti dell’accordo che verrà discusso in Alaska si sprecano.

Il portale polacco Onet afferma di aver ottenuto il contenuto della proposta presentata dall’inviato speciale Whitkoff:

  • Ucraina e Russia non firmeranno una pace, ma solo un cessate il fuoco;
  • riconoscimento di fatto delle conquiste territoriali russe
  • cancellazione della maggior parte delle sanzioni imposte alla Russia
  • a lungo termine, ritorno all’importazione di gas e petrolio russi in Europa
  • Nessuna garanzia di non espansione della NATO a est;
  • Nessuna promessa di sospendere il supporto militare occidentale all’Ucraina.

Difficile però credere che un simile piano venga accattato da Mosca.

Il Wall Street Journal, citando funzionari europei e ucraini, riferisce invece di un piano proposto da Putin a Witkoff per un cessate il fuoco temporaneo in Ucraina che includa la fine dei combattimenti e importanti concessioni territoriali da parte di Kiev ma senza un impegno russo a cessare le ostilità. Un contesto che secondo osservatori europei consentirebbe a Putin di evitare nuove sanzioni e dazi statunitensi continuando nel frattempo la guerra.

“Ci sono alcuni segnali e forse ho la sensazione che, non la fine della guerra, ma un congelamento del conflitto potrebbe avvenire” ha detto il premier polacco Donald Tusk dopo un colloquio con Zelensky.

A Minsk il presidente bielorusso Alexander Lukashenko (alleato di Mosca) ha detto l’8 agosto che “gli Stati Uniti non accettano di riconoscere i territori conquistati dalla Russia in Ucraina ma la situazione potrebbe cambiare in futuro”. Intervistato dal settimanale Time ha aggiunto: “al momento non vogliono accettare questo riconoscimento de jure, ma in futuro la situazione potrebbe essere tale da spostare il confine sul fiume Dnepr. La Russia non può essere sconfitta, l’Ucraina forse sì”.

Perplessità

Putin ha sempre chiesto il ritiro ucraino dalle porzioni di territorio delle regioni di Donetsk, Zaporizhia e Kherson che Mosca si è già annessa insieme a Lugansk con i referendum del settembre 2022.

Difficile credere che il Cremlino si accontenti oggi solo di Donetsk anche perché la continuazione del conflitto consentirebbe alle sue truppe di conquistare con le armi tali territori. Paradossale ritenere che i russi possano ritirarsi da porzioni di territori conquistati.

Per fermare le ostilità Mosca ha sempre chiesto il riconoscimento di queste pretese territoriali, l’abrogazione delle sanzioni, la rinuncia ucraina a entrare nella NATO e ad ospitare armi offensive e truppe alleate. Perché oggi che sta vincendo la guerra Putin dovrebbe accontentarsi di molto meno di questo?

Tra l’altro la Russia ha sempre sostenuto di essere pronta a negoziare solo la fine del conflitto con “la rimozione delle sue cause”, non quel “congelamento della guerra” di cui riferiscono in questi giorni le indiscrezioni di politica e media. Parrebbe quindi strano che Mosca fosse pronta oggi ad accettare un precario cessate il fuoco che consentirebbe solo agli ucraini di tirare il fiato e riorganizzarsi.

Probabilmente solo a Ferragosto comprenderemo quali margini di negoziato siano concretamente raggiungibili e quanto l’Ucraina e il suo destino siano davvero una priorità per Washington rispetto alla ripresa delle relazioni globali con la Russia.

Di certo l’iniziativa di Putin di un confronto faccia a faccia con Trump ha gettato nello scompiglio molti negli Stati Uniti ed in Europa determinando reazioni scomposte, incoerenti e caotiche.

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Comments

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roberto
Wednesday, 13 August 2025 10:51
Addio Odessa???
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Alfred
Wednesday, 13 August 2025 10:04
Ho un brutto presentimento.
Se fossi Putin non andrei, mi collegherei in videoconferenza. Il brutto presentimento che ho e' di vecchia data. L'insistenza per incontrarlo di persona non mi fa escludere che sia per abbatterlo. Un indignato azoviano si trova sempre, se sono riusciti a far saltare i gasdotti con materiali da officina meccanica, non si vede perche' non potrebbero ammazzare Putin (che non amo, ma non voglio vedere morto) travestiti da camerieri o da buffoni di corte.
Per i gasdotti li hanno aiutati? Fortemente aiutati?
Ma va, e ...stavolta sarebbe diverso?
Per non saper leggere e scrivere mi darei malato o pretenderei incontro in bieloussia.
Non si fa cosi tra grandi nazioni? Davvero? Neanche i deliri daziari e i ricatti razzisti all'India si facevano tra grandi nazioni, non a microfoni accesi. Neanche far saltare gasdotti a uno che ti sta finanziando una guerra era educato... eppure .. eppure penso che ancora non abbiamo toccato il fondo e quindi, fossi Putin non andrei. Esistono diplomatici all'altezza per contrattare la qualsiasi.
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