I fatti e le chiacchiere
di Algamica*
Discutiamo del 25 aprile, del valore della Resistenza, del fascismo e dell’antifascismo di ieri e di oggi, delle mobilitazioni e contro mobilitazioni di questa fase. Lo facciamo senza veli, in modo schietto, chiamando in causa anche nostre illusioni e fraintendimenti storici, teorici, politici e pratici. Lo facciamo relazionandoci sempre e solo ai fatti, e non alle chiacchiere più o meno interessate a spaziare esclusivamente nella propaganda, perché mancano argomenti al liberismo in profonda crisi di prospettiva e dunque, come dicono a Napoli, «chiacchiere e tabacchiere di legno il banco di Napoli non le impegna».
Finalmente, dopo 79 anni, si apre uno squarcio diverso su una ipocrisia storica durata fin troppo: cosa fu esattamente la resistenza in Italia? Basterebbe solo leggere con attenzione le date della storia per dare ai fatti e alle parti in causa reali connotazioni.
Quando un Aldo Cazzullo titola il suo editoriale «Bastava un gesto» sul giornale più importante dell’establishment d’Italia, mostra tutta la povertà argomentativa che ha il potere capitalistico in un paese occidentale come l’Italia. Mostra, cioè la mancanza assoluta di forza di attrazione politica, teorica e culturale, insomma mostra la crisi valoriale del liberismo. La qualcosa fa il paio con la ufficializzazione della candidatura di tal Vannacci, da parte della Lega di Salvini, come capolista in tutte le circoscrizioni per le elezioni europee.
Diamo la parola a chi, da vero liberista, chiama le cose per il loro nome, a quel Alessandro Sallusti che scrive «Purtroppo non da oggi il ricordo della giornata della Liberazione è diventato una baraccata». Ma perché un liberista arriva a definire la celebrazioni per il giorno della Liberazione una baraccata? Lo sintetizza in modo chiaro e netto nella chiusa: «Viva il 25 aprile, ma quello del 1945».
Ecco il punto in questione sul quale bisogna spremersi le meningi e ragionare, perché la Resistenza fu qualche cosa di complesso, ma innanzitutto fu un fenomeno composito, dove confluirono una serie di forze sociali, in un preciso momento dello scontro bellico.
Allora tanto per essere chiari diciamo che la resistenza contro il nazifascismo in Italia comincia a svilupparsi solo a seguito della guerra all’Italia da parte delle truppe angloamericane e della caduta di Mussolini che cerca di mantenere l’alleanza con la Germania costituendo la Repubblica Sociale a Salò sul lago di Garda. Un’Italia bombardata e distrutta da anni di guerra da parte delle truppe degli angloamericani, che diventano così “alleati”. Solo quando l’Italia cambia alleanza, perciò, si comincia a sviluppare la resistenza contro il nazifascismo e si costituirono i Comitati di Liberazione Nazionale che si subordinarono al comando “alleato”.
Qui va necessariamente aperta una parentesi storica, teorica, politica e pratica sul ruolo avuto dal movimento comunista imperniato intorno all’Urss. Perché mentre il liberismo usciva tronfio con i suoi valori sulla democrazia, il movimento comunista era costretto – dai fattori storici determinati, che non stiamo a spiegare per brevità in questa sede – ad accodarsi pagando uno straordinario contributo di sangue proletario, assoggettandosi alla tesi che «la democrazia fosse propedeutica allo sviluppo del socialismo».
Questo significò nei fatti finire nel tritacarne occidentale che ci utilizzò e poi ci criminalizzò con una odiosa campagna contro l’Urss staliniana, una campagna alla quale non si sottrassero neppure “fior di comunisti” occidentali e intellettuali di “rango”. Non a caso di lì a pochi anni gli occidentali con alla testa gli Usa costituirono la Nato, 1949, forti di uno straordinario mercato e di un potenziale altrettanto straordinario di potere economico e politico poterono anche concordare con la costituzione del Patto di Varsavia, nel 1955 come sfera di influenza dell’Urss insieme ad altri paesi dell’Est europeo.
Da una parte c’era non solo la forza economica, militare e politica, ma c’era il fattore tempo di un moto-modo di produzione che con leggi impersonali favoriva l’Occidente, con alle spalle secoli di rapina coloniale, a sviluppare a macchia d’olio i mercati e penetrare così il resto del mondo, mentre prima la Cina fu obbligata a un accordo, dopo il 1972, e a distanza di anni, nel 1989, doveva, crollare l’Urss e con esso tutti i paesi del Patto di Varsavia per la forza che andava assumendo l’espansione del mercato.
Dunque in Italia il 1945 segna, senza dubbio alcuno, una svolta storica in favore del liberismo occidentale, a guida Usa, che si autocandida perciò a modello da imporre, in un modo o nell’altro, al resto del mondo.
La fine della Seconda guerra mondiale segna un altro passaggio storico il favore dell’Occidente, con la creazione dello Stato di Israele cui l’Urss salutò con un certo entusiasmo, sottovalutando la manovra che si celava sotto la creazione dello Stato sionista, come vero guardiano degli interessi occidentali nell’area contro i paesi arabi del Medioriente e innanzitutto contro il martirio del popolo palestinese.
Ma la storia è lenta, ha leggi proprie, poi accelera all’improvviso e presenta il conto.
Si osservi il paradosso: Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei ministri di una Repubblica nata dalla resistenza, lei che origina dal MSI che si schiera oggi, allo stesso modo di come si schierarono i resistenti sul finire della Seconda guerra mondiale. L’intervento anglo-americano fu diretto contro l’alleanza italo-tedesca e le sue ambizioni imperiali, e il Fascismo si oppose alla resa e costituì la Repubblica di Salò che fu sconfitta dagli alleati angloamericani e dalla resistenza italiana. La destra italiana ha saputo diventare forza di governo non per meriti propri, ma per la inconsistenza teorica, politica e pratica di una sinistra che impugnando la democrazia come valore propedeutico per sviluppare il socialismo è finita a fare la ruota di scorta del liberismo. E oggi i rimasugli – del tutto insignificanti e privi di nerbo teorico politico – si affidano a personaggi da quattro soldi per rivendicare i valori dell’antifascismo nei confronti di una Meloni. Una Meloni che insieme ai suoi cortigiani, diviene serva dell’Occidente e degli Usa, difende lo Stato sionista di Israele e il suo genocidio nei confronti del popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania, e subisce una scissione alla sua destra, da parte di un nazionalismo interpretato da Alemanno, ma, “mantiene il punto” politico sui riferimenti storici circa l’antifascismo.
Sicchè il Cazzullo e i cazzulliani parlano come ubriachi usciti dall’osteria ripetendo «bastava un gesto», oppure «perché è tanto difficile dichiararsi antifascista?» si chiedono tanti poveri miserabili. La Meloni sa che questa non è una fase di espansione degli spazi democratici, ma si va verso un aggravarsi della crisi economica, politica e sociale. Mentre i poveri borghesucci da quattro soldi, ancora rincorrono sogni, non riescono a capire le ragioni della crisi dell’Occidente, cioè che è finito il suo tempo storico!
Il 25 aprile 2024
Carte in tavola signori: cosa è successo il 25 aprile di quest’anno? Qualcosa di straordinario, non più la polemica sulla natura della resistenza, tra democristiani e comunisti con la solita coda polemica dell’estremismo di sinistra che la rivendicava per sé, no, ma un fatto nuovo e straordinario: la presenza in piazza di un pugno – ma che pugno – di giovani che manifestavano in favore dei palestinesi contro il genocidio a Gaza. A Roma ha preso la parola uno di questi giovani poco più che ventenne, alto e biondo, ebreo, dichiarandosi per tale, e sposando fino in fondo la causa del popolo palestinese contro lo Stato sionista di Israele.
Niente a che vedere con le scimmiottature di un certo estremismo “comunista” che rivendica – ponendosi alla coda di Biden, per altro in declino, la costituzione di «Due popoli due Stati», no, il giovane ebreo sincero, leale, guardando in faccia gli altri ebrei che rivendicano la resistenza contro il fascismo con la Brigata ebraica ma sposano la causa dello Stato sionista di Israele, e si fanno difendere dalla polizia, dice «io sto con il popolo palestinese, contro il genocidio che sta compiendo lo Stato sionista di Israele».
A giusta ragione quel fogliaccio dello spione Giuliano Ferrara a tutta pagina metteva insieme, nel numero del 25 aprile, i colori dell’Ucraina e la Stella a sei punte di Davide, a simboleggiare gli interessi comuni degli occidentali in due aree diverse. Non è un caso – pur se a parti invertite – che il presidente dell’Ucraina sia un ebreo sionista.
È questa la novità storica! Un cambiamento di fase che la crisi del modo di produzione capitalistico produce e obbliga a separare i campi. Gli ebrei in questa fase sono chiamati a fare i conti e fino in fondo con la loro storia, non più come popolo vittima delle leggi razziali e le discriminazioni, no, sono posti – dalla storia – sul banco degli imputati, non devono fare i conti con il fascismo tedesco o italiano di ieri, ma col proprio fascismo e nazismo di oggi. Netanyahu può anche dare l’ordine di bombardare Rafah, aprire un varco nel confine con l’Egitto e obbligare i palestinesi a fuggire per trovare scampo. Ma si tratterà di una vittoria di Pirro, perché la fine dello Stato di Israele è ormai segnata perché l’Occidente non è più in grado di sostenerlo fino in fondo.
C’è qualcosa di nuovo
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole d’Oriente ma non è la presenza raggiante degli italiani in Libia come la salutava Pascoli, ma un punto nevralgico che coagula l’antisistema rappresentato dalla resistenza del popolo palestinese che si va diffondendo in Occidente e che in occasione di questo 25 aprile 2024 si è rumorosamente appalesata in piazza contro il liberalismo e la nostalgia del tempo che fu. Un pugno di giovani energie che esprime la punta dell’iceberg di un malcontento diffuso in Occidente e che si polarizza sulla questione spinosa del momento: il genocidio del popolo palestinese e la necessità di lotta contro lo Stato sionista di Israele.
Vogliamo, ancora una volta essere chiari e stigmatizzare l’errore storico, teorico e politico nel quale incorrono, volutamente o meno poco ci riguarda, alcuni analisti alla Federico Rampini che paragonano le attuali mobilitazioni negli Usa e in tutto l’Occidente a quelle degli anni ’60 del secolo passato e che presero il nome di ’68. Questi signori sono abituati a leggere la storia come coazione a ripetersi sempre allo stesso modo, a un meccanicismo stupido e ossessivo che spiega tutto per non spiegare niente.
Che ci sia un terreno comune tra la lotta negli Usa e in Occidente contro l’aggressione degli Usa al Vietnam e la lotta degli studenti dei campus contro il genocidio a Gaza è del tutto evidente, ma quello che l’americano dalle bretelle sgancianti a stelle e strisce, nonché ex comunista, figlio di una certa resistenza americana, non può capire è che la storia non ammette comparazioni, mai. Dunque i personaggi alla Rampini mostrano molta ignoranza perché scrivono addirittura tirando in ballo il povero PPP, cioè il Pier Paolo Pasolini che criticava dalle colonne del Corriere della sera (lo stesso giornale su cui scrive il Rampini) i giovani che manifestavano in quegli anni, ’60 appunto, figli della piccola borghesia nei confronti dei poliziotti figli di operai.
Abbiamo avuto rispetto per PPP e difeso quando fu represso dal partito comunista per la sua omosessualità, ma lo abbiamo criticato quando nel difendere «i figli degli operai in divisa» si sbagliava profondamente perché non capiva che le persone vengono chiamate ad assumere dei ruoli nel modo di produzione capitalistico che è fatto di interessi contrapposti ad altri interessi. E lo Stato – che dovrebbe teoricamente fungere da equilibratore – è l’unico autorizzato all’uso della forza, dunque i poliziotti quando si arruolano smettono di essere figli di operai o contadini poveri per divenire agenti in difesa dello Stato di diritto eguale fra i disuguali. Ripetiamo perciò che Pier Paolo Pasolini si sbagliava profondamente e il Rampini nell’impugnare il suo pensiero lo fa in modo strumentale per portare acqua al mulino del liberismo.
Lo stesso Rampini, però, non si accorge della profonda contraddizione nella quale incappa, perché da un lato critica gli universitari, anche di atenei di lusso, dice lui, che manifestano contro lo Stato di Israele, come dire «ma state così bene, di che vi lamentate?», e nello stesso articolo scrive «In America è ormai disponibile una impressionante mole di studi sull’infelicità di questa generazione Z. È la più pessimista di tutte. Paga prezzi pesanti anche in termini di patologie: depressioni, tossicodipendenze, suicidi».
Ma come? vien da chiedersi: «il paese più libero, più democratico, più ricco al mondo» è anche il più malato e il più depresso? Ma allora c’è qualcosa che non quadra egregi signori e fatevene una ragione se siete costretti a evidenziare dei fenomeni che sono come la tosse che non è possibile a lungo contenerla e siete costretti a denuncialo.
Ora quel pugno di giovani che nei cortei del 25 aprile ha caratterizzato la causa palestinese è il prosieguo in Italia di una mobilitazione che dura da mesi e si è imposta con forza all’attenzione preoccupata dei commentatori dei mass media.
Domandiamo con garbo: non sarà per caso che nelle nuove generazioni va prendendo piede un malcontento che si tramuta in coscienza di fronte alla barbarie occidentale che difende, per le ragioni sopra dette, lo Stato sionista e assassino di Israele e che la democrazia liberale altro non è che la legge dei più forti contro i più deboli come ha scritto recentemente Dacia Maraini sul Corriere della sera?
C’è una scrittrice svedese, Kajsa Ekis Ekman, che riferendosi al liberismo scrive « ma perché un desiderio deve diventare sempre un diritto », che in una società di diseguali favorisce i più forti contro i più deboli fino al punto che una donna può sentire il desiderio di un figlio ma non sottoporsi al sacrificio della maternità e ricorrere perciò a quella surrogata affittando l’utero di un’altra donna, magari indiana e povera? E perché la donna indotta alla prostituzione – aggiunge – si dovrebbe sentire realizzata? Che mondo è mai questo se una persona singola o una coppia può scegliere di avere un figlio “proprio” secondo i tratti desiderati, affittando un utero di una povera disgraziata? E perché un paese come la Thailandia deve essere destinato a soddisfare le voglie sessuali di occidentali a opera di bambine?
Ecco cari liberisti, che vi preoccupate di un malumore che serpeggia nelle nuove generazioni in Occidente, si va concludendo in modo definitivo una fase storica che ha visto l’Occidente come faro e la sua implosione potrà solo favorire lo sviluppo di nuovi e diversi rapporti sociali. Si tratta di una determinazione storica contro cui è inutile abbaiare alla luna.
Gli eserciti di Francia, Gran Bretagna, Italia erano composti dall’arruolamento e coscrizione obbligatoria della gente povera dei paesi colonizzati dell’Africa e dell’Asia. La Francia impiegó come carne da cannone popolazioni dal maghreb e dall’Africa occidentale (420 mila), così l’Italia dalla Libia e Corno d’Africa. E se la Gran Bretagna utilizzó gente povera dal centro Africa e Africa orientale, il Regno Unito mobilitó fino a 15 milioni di soldati da tutti i suoi possedimenti. Le fanterie Britanniche oltre a vedere Kenyoti, Ugandesi, Sud Africani neri, Indiani (di tutte i gruppi etno religiosi induisti, musulmani, sick, sepoy, ecc) aveva anche brigate aborigene dell’Australia e Nuova Zelanda. Ma nelle colonie già si vedeva l’emergere di moti anticoloniali, etichettati dai fronti democratici come “filo hitleriani”.
Nel 1942 a Detroit la classe operaia afroamericana diede vita a degli scioperi e riots contro il razzismo. Anche il partito comunista d’America disse che erano riots filo hitleriani.
L’eurocentrismo pretende che i popoli oppressi da secoli di colonialismo e schiavitù debbano sostenere il proprio padrone piuttosto che riscattarsi dalla oppressione coloniale.
La Brigata Ebraica rivendica la sua appartenenza al 25 Aprile perchè è parte della storia del colonialismo occidentale cui, attraverso Israele, ha fornito il servizio e premiata con la fondazione del loro stato genocida; i popoli oppressi e arabi da rinnovata oppressione. Nella storia della seconda guerra mondiale che andava a definire i contorni di un mercato mondiale in espansione che l’occidente in generale già dominava, l’eurocentrismo azzera tutto questo. La democrazia in Europa fu la riaffermazione coloniale in Africa fatta col sangue degli Africani.
Nella famosa battaglia di Monte Cassino, dove morirono 55 mila soldati di fanteria degli Usa, Francia e Gran Bretagna, tra le fila delle ultime due vi erano dispiegate in massa battaglioni di Nord Africani arabi e berberi.
Attraverso le dichiarazioni della Brigata Ebraica che loro combatterono il nazi fascismo e gli arabi no, si nasconde il fatto che gli arabi e gli africani non avessero alcuna possibilità di scegliere, perchè sottoposti alla dominazione coloniale: o carne da cannone per i propri padroni, o contro il colonialismo e se provarono a sottrarsi allora ecco l’infamia di filo nazifascismo, oggi reiterata con quella di anti semitismo.
Prima della seconda guerra mondiale nel 1936/1939 la palestina fu scossa da una grande sollevazione contro il colonialismo Britannico, scioperi e insurrezioni nelle campagne contro l’aumento delle tasse e imposte coloniali, i tagli alle infrastrutture per l’agricoltura e il colonialismo di insediamento ebraico in aumento e finanziato dalle democrazie occidentali.
Ricordo che quest’ultimo si rafforzó proprio quando dal 1908 furono scoperti i primo giacimenti di petrolio in Persia e poi nella penisola arabica.
Per sedare la “grande rivolta araba”, la Gran Bretagna fece ricorso alle truppe coloniali di riserva in India e naturalmente della collaborazione delle forze paramilitari dell’irgun e haganah sioniste. Oltre ai morti tra i palestinesi quasi tutto il movimento politico palestinese fu imprigionato, chi scampó alla impiccaggione dovette fuggire all’estero.
La Gran Bretagna impose gli accordi del “Libro Bianco” del 1939, che da un lato annichilì la capacità politica del movimento di liberazione palestinese, dall’altro pose una pausa all’immigrazione ebraica dei coloni dall’Europa. Tant’è che nel 1941-1942 Irgun e Haganah compirono una serie di attentati dinamitardi in Palestina e poi nel febbraio 1944 per imporre il fine di quella sospensione e attuare il cambio di cavallo sionista sotto gli USA.
Indicare che gli arabi e i palestinesi fossero filo hitleriani è il tratto del colonialismo eurocentrico, per il quale la verità è così importante da dover essere celata e protetta da un muro di bugie.