Warfare... E’ tempo di darsi una mossa!
di Carlo Lucchesi
In politica è buona regola agire sulle contraddizioni dell’avversario. Per farlo, però, occorre un’analisi chiara della situazione, e quella presente la rende particolarmente difficile perché le variabili da decifrare sono veramente tante. Quello cui si dovrebbero dedicare quanti stanno nel campo opposto all’imperialismo USA, alla Nato e a questa Europa russofoba e del riarmo è tentare un’interpretazione più vicina possibile alla complicatissima realtà delle cose.
1. Fino all’arrivo di Trump la situazione era abbastanza chiara. La guerra in Ucraina era stata programmata da tempo dagli USA e provocata col rifiuto di ascoltare le sacrosante ragioni della Russia. L’obiettivo era duplice: destabilizzare la Russia fino al collasso e riportare l’Europa sotto il tallone degli USA annullandone l’ambizione a essere la terza grande potenza del pianeta. L’amministrazione democratica ha fallito il primo (ma probabilmente i suoi strateghi non l’hanno abbandonato), mentre ha raggiunto pienamente il secondo, almeno fino a quando è stata in carica. Nel percorso compiuto, dal punto di vista degli USA le varie tappe sono state linearmente coerenti con i propositi. Accanto all’ininterrotta escalation nella consegna all’Ucraina di armamenti sempre più offensivi, le sanzioni, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e la partita degli approvvigionamenti energetici sono stati i passaggi più emblematici. Se guardiamo le cose dal versante dell’Europa, invece, non si può fare a meno di chiedersi perché ha deciso di farsi tanto male sottomettendosi incondizionatamente alla volontà degli USA. Si possono abbozzare solo supposizioni ripercorrendo gli avvenimenti. Poche ore dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Macron e Scholz hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche nelle quali dicevano che era possibile e auspicabile ricercare una composizione del conflitto. Dopo altre pochissime ore hanno assunto una posizione opposta, quella che hanno mantenuto e confermato da allora in avanti lasciando di fatto la linea politica dell’Europa nelle mani dell’UK, che dell’UE non faceva più parte.
Che cosa ha rovesciato la loro prima convinzione? Sicuramente un intervento diretto degli USA. Ma cosa può aver detto Biden perché i due si sbugiardassero in un battibaleno e aderissero anima e corpo a una linea contraria agli interessi dei loro paesi? Provo a fare due ipotesi. Può averli convinti che il collasso della Russia (obiettivo strategico dei neocon e dei democratici USA introdotto già alla fine del secolo scorso) era a portata di mano per molti motivi (l’Ucraina era stata armata e preparata da tempo e con la Nato a sostegno avrebbe vinto, la Russia non poteva reggere una guerra di lunga durata, le sanzioni avrebbero generato il caos nell’economia russa, l’opposizione interna a quel punto avrebbe messo alle corde Putin, e altri argomenti di questo genere), e dalla disgregazione derivante da quel collasso tutti i paesi dell’Occidente avrebbero tratto grande profitto. Una seconda argomentazione, non alternativa, anzi perfettamente compatibile con la prima seppure assai diversa nel tono, può essere stata più diretta. Biden può aver ricordato il peso che il capitale finanziario col marchio USA ha acquisito in Europa e può aver aggiunto che, nel caso in cui l’Europa non si fosse adeguata, quella marea di soldi si sarebbe mossa senza rispetto per nessuno. Del resto, l’appoggio dei principali fondi finanziari ai democratici e ai neocon, di cui i democratici sembrano aver preso il testimone, è noto da tempo. Un terzo argomento del tipo “se non state con noi smettiamo di proteggervi” è meno credibile perché i tre interlocutori sapevano benissimo che la Russia con l’Europa vorrebbe fare affari, non la guerra. Propendo per la convergenza delle prime due ipotesi, si potrebbe dire la carota e il bastone, perché la prima, il collasso della Russia, poteva essere credibile all’inizio, ma non col passare del tempo. Se l’Europa non ha cambiato posizione ed è rimasta succube degli anglo-americani anche quando è stato chiaro che le previsioni di Biden stavano andando a rotoli, significa che gli USA avevano messo sul tavolo altre carte oltre a quella di una spartizione dell’”impero” russo non appena deflagrato a vantaggio dell’Occidente vittorioso. Tutto fa pensare, perciò, che qualora i democratici avessero vinto le elezioni il rapporto con l’Europa non sarebbe cambiato. L’Europa avrebbe continuato a obbedire, a fare del male alla propria economia e dunque ai propri popoli, ad aumentare, come già le era stato richiesto, le spese militari, e gli USA avrebbero ancora lucrato su questa situazione che, per quanto non risolutiva, comunque gli avrebbe permesso di affrontare con più margini il loro principale problema, quello del debito, e di prendersi più tempo per preparare il redde rationem con la Cina. Meno chiaro, invece, è come i democratici si sarebbero posti nei confronti del grande tema che sovrasta gli USA, la grande crisi del neoliberismo globalista.
2. La vittoria di Trump cambia lo scenario e ne rende più complicata la lettura. Si dice, non senza apparente ragione, che l’uomo è imprevedibile, che cambia continuamente opinione, che ha una vocazione autoritaria. Molti atlantisti sfegatati, come quasi tutti i media nostrani, si stanno ancora barcamenando sperando in un suo ravvedimento perché l’Europa che fa la guerra alla Russia va bene, ma dopo averli riveriti ed esaltati per una vita, come si può fare a meno degli USA o, peggio, come rassegnarsi a dipingerli da avversari? Questa eterna personalizzazione delle vicende non aiuta a capire quanto sta accadendo. Gli Usa sono un paese imperiale, anzi sono l’essenza dell’imperialismo, combinando con la massima aggressività supremazia militare e supremazia del dollaro. Detengono la più grande concentrazione di ricchezze private i cui possessori hanno sempre avuto, in modo più o meno diretto, un’influenza determinante nelle scelte della politica. Dietro il presidente ci sono lobby potentissime e strutture organizzate di elaborazione strategica. Il suo potere si esplica all’interno di una rete consensualmente costruita dalla quale non può separarsi. E’ in quest’ottica che vanno interpretate le decisioni di Trump. Le variazioni sul tema che fanno parlare tanti di una sua inaffidabilità, può darsi che in parte siano proprie del suo carattere, più probabilmente sono la manifestazione della complessità e della gravità della situazione, ma le linee di fondo restano, ed è su quelle che vanno posati gli occhi, il resto è folclore. E’ evidente che alla crisi del neoliberismo globalista i poteri di cui Trump è il vertice politico stanno tentando di dare una risposta a partire dalla riaffermazione del ruolo dominante degli USA, ma attraverso strade che presentano un percorso incerto, come se, sapendo dove si vuole arrivare e non potendoci giungere per la via maestra, ci si muovesse per tentativi correggendo la rotta, quando necessario, di volta in volta. La vicenda dei dazi, con il suo succedersi di accelerazioni e frenate, è emblematica, ma lo è anche quella del debito con l’aperto contenzioso fra la presidenza e la Federal Reserve, e in parte pure il rapporto con l’Ucraina rivela delle incertezze. Sembrano esservi seri contrasti, se non un vero scontro, fra i grandi poteri finanziari e industriali che convergono sulla conferma del primato degli Usa nella guida del mondo, ma divergono, forse profondamente, sui modi per raggiungerla. Ad esempio, i Big Three, i fondi finanziari che hanno ingigantito la loro presenza condizionante in tutti i settori vitali dell’economia e della comunicazione dell’intero Occidente e che hanno sostenuto la politica dei democratici, hanno molto da dire e da fare sulla questione del debito e non sembrano proprio in sintonia con la nuova amministrazione e con le forze che ne ispirano le mosse. I ridimensionamenti, a volte le ritrattazioni, che Trump sta facendo su tutti i temi sui quali aveva speso parole e promesse infuocate sembrano indicare che lo scontro possa trovare una composizione, ma restano per adesso nascosti i passi che dovrebbero consentire agli USA di tornare sul trono del mondo dal quale indubitabilmente sono scesi. La corretta ricostruzione del posizionamento dei poteri reali, che agiscono sempre nell’ombra, è per forza di cose complicata. Se è vero che le grandi lobby finanziano sia i democratici che i repubblicani, ciò non significa necessariamente che siano indifferenti alle loro scelte. Poi o, meglio, ancora prima, ci sono i fondi finanziari che non sembrano essere un blocco compatto, e c’è il Deep State sul quale Trump sta mettendo brutalmente le mani, ma non è un’impresa dall’esito scontato. Ora che l’analisi del voto è alle spalle, gli studiosi dovrebbero concentrarsi su questi grandi attori per tentare di capire che cosa ci si deve attendere a partire dal fatto che Trump non soffre di disturbo bipolare, come ci si vuole far credere, ma sta perseguendo una strategia che ha un solo asse, quello degli interessi degli USA.
3. Altrettanto non si può dire per l’Europa. Con la guerra si è consegnata agli anglo-americani ubbidendo semplicemente agli ordini di Biden, ovvero dei dem USA. Governanti e media hanno ignorato gli interessi dei popoli europei, che erano ovviamente quelli di una rapida conclusione del conflitto per vie diplomatiche, e hanno unito le proprie sorti a quelle del fu presidente. Adesso non sanno dove attaccare il carro. Al momento soltanto due opzioni sembrano chiare. Una è paradossale. Pur facendo intendere di non fidarsi di Trump, continuano a obbedire ai suoi ordini: trattativa sui dazi, comunque destinata a chiudersi con un passivo, aumento della spesa militare, in buona parte sempre made in USA, acquisto dell’energia dagli USA, e siamo solo all’inizio. L’altra è delinquenziale: prepararsi alla guerra con la Russia e trasformare il welfare in warfare. Mi soffermo su questa seconda. Qual è la ratio? Il disegno di usare l’Ucraina per portare al collasso la Russia e dividerne le spoglie è fallito perché la Nato, con a capo gli USA di Biden, ha perso la guerra e Trump non ha alcuna intenzione di insistere su quella strada. Dunque la prospettiva a breve, si parla di cinque anni, sarebbe quella di una guerra dell’Europa contro la Russia con il resto del mondo a guardare lo spettacolo. Ma questa è una guerra che non si può fare per il semplice motivo che è impensabile che possa farsi con armi convenzionali dato che la Russia non converrebbe mai su una simile limitazione. La guerra nucleare, tuttavia, mettendo per un attimo da parte le inimmaginabili conseguenze per l’umanità, la vince, così dicono tutti quelli che sanno di queste cose, chi col primo attacco distrugge le possibilità di reazione dell’avversario. Allo stato dell’arte, e verosimilmente anche tra cinque anni, l’Europa non dispone di vettori non intercettabili e quindi non è in grado di portare un attacco risolutivo, senza contare il fatto che naviga in tutti i mari del mondo una quantità imprecisata di sottomarini dotati di missili con testate nucleari multiple pronti ad agire nel giro di pochi secondi. Un attacco nucleare vincente sarebbe in grado di sferrarlo la Russia, ma a che scopo? La Russia considera l’Europa un grande mercato, e non un campo da sterminare. Per quanto i governanti europei siano senza spina dorsale, non sono così stupidi da non capire che una guerra con la Russia non è nell’ordine delle cose possibili. Ma continuano a farlo credere come inevitabile e perciò è inevitabile chiedersi cosa vogliano in realtà. Inventandosi un orco tremendo pronto a inghiottirci da un momento all’altro, intendono creare un clima di pericolo imminente e di emergenza permanente all’interno del quale possono permettersi non solo di nascondere il proprio fallimento, ma di dare libero corso agli interessi che hanno deciso di rappresentare, primi fra tutti quelli dei produttori di armi e quelli della grande finanza che punta decisamente a prendere possesso del gigantesco business rappresentato dallo stato sociale in tutte le sue configurazioni (previdenza, sanità, istruzione, casa, trasporti). In aggiunta, in quel clima creato artificialmente, con la scusa della sicurezza possono imporre limiti alla libertà sia delle persone che dei soggetti collettivi perché con la guerra alle porte l’ordine diventa il primo comandamento. Questi sono i veri obiettivi dei nostri governanti. Quindi non dobbiamo attenderci l’ultima guerra, ma caso mai, se proprio ce ne fosse bisogno per mantenere la giusta tensione, un’altra guerra locale con un’altra nazione che si lancia in una provocazione e fa, stavolta solo a servizio dei mandanti europei, quello che l’Ucraina ha fatto a servizio degli anglo-americani. E ai popoli del continente non resterebbe che sperare che la Russia non perda la pazienza una volta per tutte. E’ evidente che questo scenario richiede che i media proseguano con identico e ridicolo zelo la loro quasi unanime e sistematica campagna di disinformazione perché, data la calante credibilità dei politici, tocca a loro mantenere alto il clima emergenziale. Il loro sporco lavoro non è tanto quello di generare paura, cosa che potrebbe far scattare una reazione, quanto quello di assuefare il popolo all’idea che le cose non possono andare altro che in questo modo e che dobbiamo accettare di buon grado che il warfare prenda il posto del welfare perché dall’altra parte c’è il lupo cattivo con la bocca spalancata.
4. Se lo scenario è questo, i compiti di chi vi si oppone sono evidenti. Ma richiedono di superare le ambiguità. Occorre denunciare senza mezzi termini il ruolo che i media stanno svolgendo, dire con chiarezza quali sono state le vere cause della guerra in Ucraina, svelare qual è il disegno dei poteri forti e dei governanti europei, che ne sono l’espressione politica, nel momento in cui decidono il riarmo. Nello stesso tempo occorre alzare il tiro sul welfare, non semplice difesa di ciò che è rimasto, ma riconquista e allargamento in modo da rendere palpabili l’assurdità e l’incompatibilità del riarmo rispetto alla centralità della condizione di vita delle persone a iniziare da quella dei lavoratori e dei più deboli. E’ l’ora che i veri oppositori, se tali vogliono essere, si diano una mossa.
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