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lavoroesalute

E allora le Foibe?

Alba Vastano intervista Eric Gobetti

foibeku5Intervista a Eric Gobetti a cura di Alba Vastano. “La volontà dei neofascisti è quella di ignorare tutto quello che è avvenuto prima per soffermarsi solo sulle violenze commesse dai partigiani in parte nell’autunno del 1943 e soprattutto alla fine della guerra. In questo modo si finisce per identificare tutte le vittime come fasciste (cosa che non è del tutto vera) e soprattutto i fascisti solo come vittime, quando invece sono gli iniziatori della violenza in queste terre. Quello che è successo a Torino ma anche in altre occasioni e ad altri colleghi è proprio il tentativo di impedirci di parlare di storia, ovvero di far capire cosa è successo veramente prima, durante e dopo la guerra. Il loro scopo è quello di impedire che si sappia la verità, di mantenere la gente nell’ignoranza e poter diffondere comodamente i loro slogan nazionalisti che hanno ben poca attinenza con la realtà dei fatti”.
Eric Gobetti

Viviamo un tempo eccezionale, in uno Stato d’eccezione. Un tempo buio e colmo di interrogativi sul futuro dell’umanità tutta, segnata oggi da uno stato di fragilità che accomuna, che ci dovrebbe accomunare. Cosa ci lascerà in eredità questa fase storica che ci obbliga a blindare le nostre vite, la nostra socialità? Non ci è dato di conoscerlo. Nel frattempo potremmo occuparci, più che del nostro futuro, del nostro passato rivisitando la storia dei grandi conflitti del Novecento che potrebbe offrirci oggi la via maestra. Dove abbiamo sbagliato per ambizione e sete di potere? Perché si continua ancora a negare e non vogliamo ancora ammettere gli errori compiuti nel passato che hanno portato al collasso dell’umanità? Ci sono stati durante le grandi catastrofi del secolo scorso vinti e vincitori, come in ogni conflitto. Di chi le responsabilità dei fatti che hanno scatenato le guerre fra i popoli?

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poliscritture

Storia italiana dall’Unità a oggi

di Giorgio Riolo

Splendori e miserie della realtà italiana. A partire dal libro di Massimo L. Salvadori sulla storia italiana dall’Unità a oggi

81k2SJgkRbLÈ questa un’opera di sintesi per un argomento molto importante. Il bagaglio culturale minimo di un cittadino-una cittadina consapevole e attiva nella vita quotidiana richiede un minimo di coscienza storica e un minimo di conoscenza del corso storico. Questo in generale per la storia globale-mondiale. Ma ancor più per la storia del proprio paese. E ulteriormente se si vuole essere attivi nella società civile, nei movimenti, nel mondo culturale e nel complicato mondo politico italiano.

Quando un tempo in Italia, soprattutto a sinistra, esisteva la selezione dei gruppi dirigenti, compresi i quadri intermedi, si procedeva alla formazione di detti gruppi e di detti quadri. In questa formazione, un corso specifico sulla storia d’Italia dall’Unità a quel presente era tra le prime cose che si organizzavano. Con maggiore attenzione e approfondimento della storia del secondo dopoguerra, dalla Resistenza e dalla Liberazione alla realtà contemporanea.

Questo libro è pertanto un’occasione importante per rifarsi i fondamentali sulla nostra storia patria. Per capire e avere memoria, ma soprattutto per capire la dinamica contemporanea della realtà italiana.

Il valore di posizione di Salvadori è che in un solo volume ha reso una sintesi equilibrata ed esauriente di un arco storico piuttosto ampio. Con un giusto equilibrio di dati, riferimenti testuali, citazioni e interpretazioni e giudizi da parte dello storico. L’opera classica a cui sempre abbiamo fatto riferimento nel passato era la Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro, in 11 volumi presso Feltrinelli (vedi Bibliografia minima) e che copriva un arco temporale che andava dalla fine del Settecento alla fine degli anni cinquanta del Novecento.

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voxpopuli

Un po' di storia recente per gli ignari

di Gianfranco La Grassa

sup16piccola1. Da qualche punto debbo cominciare questa mia breve (e fin troppo succinta) memoria della storia che abbiamo attraversato da molti decenni a questa parte. Intanto partirò da una premessa di tipo personale. Ho aderito al comunismo nel 1953. Mi trovai subito immerso nei dubbi e perplessità, direi perfino in opposizione, quando uscì l’articolo di Togliatti su Nuovi Argomenti nel 1956 con la trovata della “via italiana al socialismo”. In quell’anno fui contrario al XX Congresso del PCUS (tenutosi a febbraio) e poi ammirai l’intervento di Concetto Marchesi all’VIII Congresso del PCI (verso la fine del ’56), in cui svillaneggiò Chruščëv, il meschino ricostruttore delle vicende dello stalinismo in chiave puramente personalistica e come si trattasse del frutto di una psiche disturbata e tendenzialmente criminale; con metodo insomma del tutto simile a quello, criticato dai comunisti (almeno da quelli che conoscevano un po’ il marxismo), quando si parla di Hitler folle e “mostro”, ricostruendo la storia in base a simili fatue categorie interpretative. Ricordo che Togliatti andò a stringere la mano a Marchesi dopo l’intervento e ciò rinsaldò il mio atteggiamento critico di fronte a quello che ho sempre considerato l’opportunismo dell’allora segretario piciista. Nell’ottobre del ’56 fui senza esitazioni per l’intervento in Ungheria, non approvando però l’atteggiamento incerto dei sovietici (una prima mossa aggressiva frettolosa e poco giustificata, poi l’arresto dell’operazione, infine la repressione troppo brutale).

Accettai inoltre quel fatto per ragioni che oggi si direbbero geopolitiche. Ritenevo un disastro che si sbriciolasse il campo avverso a quello atlantico (guidato e comandato dagli Usa). Cominciai tuttavia a chiedermi quale coincidenza ci fosse tra il “socialismo” imparato sui testi marxisti e quello in atto.

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jacobin

Cinquant’anni di storia di classe

Sergio Bologna
Francesco Massimo
Niccolò Serri

Dall'Autunno caldo del 1969 alle lotte contemporanee nei settori della logistica, passando per la parabola del lavoro autonomo nella società postfordista. Un filo rosso di ricerca militante che Sergio Bologna ripercorre in questa intervista

1969 jacobin italia 1320x481Sergio Bologna (Trieste, 1937), militante, storico di formazione, fondatore di riviste importanti come Classe Operaia e Primo Maggio, dipendente alla Olivetti, esperto di sistemi portuali e logistici in Germania, Francia e Italia, e poi ancora fra gli animatori di Acta, la più importante associazione italiana di freelance, è una figura atipica nel mondo intellettuale italiano ed europeo. Lungo la sua traiettoria politica e biografica si dipana un filo rosso: lo studio del lavoro, delle sue trasformazioni e del suo posto nella società. Il suo incessante lavoro di ricerca può essere ricondotto a tre grandi direttrici: lo studio del movimento operaio, da quello tedesco a quello italiano, vissuto in prima persona da militante e da storico e su cui è tornato a riflettere in tempi più recenti; l’intuizione, negli anni Settanta, dell’importanza crescente della logistica nello sviluppo del capitalismo contemporaneo, vista anch’essa da una prospettiva militante (si veda in particolare il Dossier Trasporti di Primo Maggio, 1978) e più tardi con lo sguardo dell’esperto e del tecnico; infine la scoperta, a partire dagli anni Novanta, del lavoro autonomo nella società postfordista, parallelamente a un attivismo che negli ultimi anni lo ha portato a studiare e a intervenire direttamente sulle problematiche del lavoro freelance. In questa intervista ripercorriamo la sua traiettoria, esplorando i possibili prolungamenti.

* * * *

Si è appena concluso il cinquantennale dell’«Autunno caldo», la grande ondata di scioperi che nel 1969, in coincidenza con le mobilitazioni per il rinnovo contrattuale degli operai metalmeccanici, ha aperto un ciclo di lotte sociali che ha radicalmente mutato la faccia dell’Italia che usciva dal miracolo economico.

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laboratorio

Piazza Fontana e la psicologia delle masse

di Enzo Pellegrin

Riceviamo e pubblichiamo

variant med 1200x630 obj17576406Nell’anniversario del tragico 12 dicembre 1969, mi è capitata sott’occhi un’intervista allo Storico Miguel Gotor, titolata “Non chiamiamola strage di Stato” (1). Come spesso avviene, il titolo ingigantisce le parole dell’intervistato anche oltre il lecito, ma è significativo un passo dell’intervista dell’autore sul punto:

“La Strage di Stato è stato il titolo di un libro che ebbe molto successo all’epoca. Cosa pensa di questo concetto?

Fu un’espressione efficace sul piano politico, propagandistico e militante allora, ma oggi, dal punto di vista storico, la trovo insufficiente e persino ambigua. In primo luogo perché deresponsabilizza i neofascisti che ormai lo usano anche loro in questo senso. Se è stato lo Stato, nessuno è stato. Per capire, invece, bisogna anzitutto fare lo sforzo di distinguere. E poi perché, se è ormai accertato sul piano giudiziario e storico che nei depistaggi furono coinvolti esponenti degli apparati, dei servizi segreti e dell’ “Alta polizia” sopravvissuti al fascismo, vi furono anche magistrati come Pietro Calogero e Giancarlo Stiz o agenti come Pasquale Juliano che imboccarono da subito la strada della pista nera, con coraggio e andando controcorrente. Non erano anche loro esponenti dello Stato? Nella notte della Repubblica, nonostante il fango deliberatamente sollevato, il faro della giustizia e della ricerca della verità rimase acceso e non è giusto dimenticare l’impegno personale e professionale di quegli uomini con formule genericamente autoassolutorie.” (2)

Gotor si scaglia anche contro il concetto di “manovalanza neofascista” della strage. Partendo dal materiale processuale, che più di ogni cosa ha provato il coinvolgimento della “pista nera”, lo storico afferma che, ritenere i neofascisti dei puri esecutori, rischia di attenuare il loro ruolo militante nell’attacco alla democrazia.

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mondocane

Da Saverio Saltarelli alle Sardine: quale odio?

L'altro 12 dicembre

di Fulvio Grimaldi

lapideAmici, lettori, ciò che mi auguro leggiate qui sotto e ricordiate non c’entra niente col Natale, col suo bambinello e i suoi re magi (pastori e sovrani insieme ai piedi di un neonato che insigniscono di divinità: interclassismo e monarchia assoluta ante litteram); non c’entra con il disgustoso panzone con cui la Coca Cola ci ha corrotto le feste e neanche col capodanno. Ma c’entra col solstizio e con il ritorno della luce celebrato dai nostri avi meno dediti a strumentali superstizioni. E il ritorno della luce può essere anche inteso come ritorno della verità. Una verità riabilitata dal ricordo. E io questo ricordo me lo voglio portare nell’anno venturo e in tutti quelli successivi, finchè occhio e cuore saranno in grado di ricevere luce. Poi gli occhi si chiuderanno, ma la luce non si spegnerà.

https://www.youtube.com/watch?v=eWgJUdln3wg Compagno Saltarelli, un mio amico e compagno, cantato da Pino Masi

L’altro 12 dicembre. Quello dimenticato. Quello quando in piazza non c’erano Sardine ben vestite, benparlanti, sorridenti, applaudite con standing ovation dall’universo del comando perché “moderate” e ostili a ogni conflitto (che non sia con l’opposizione). Quando in piazza, a fare una denuncia non gradita agli autori della Strage di Stato dell’anno prima e tantomeno gradita a chi stava alle spalle dell’anarchico innocente Giuseppe Pinelli, quando volò da una finestra della Questura di Luigi Calabresi, c’erano decine di migliaia di manifestanti contro quella strage e quella “caduta”. Tra loro Saverio Saltarelli, 22 anni, studente abruzzese, facchino a Milano, rivoluzionario. Un poliziotto gli spacca il cuore con un candelotto lacrimogeno, “arma non letale”.

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marxismoggi

Il processo Stalin. L’ultimo libro di Ruggero Giacomini

di Salvatore Tinè

stalin8764Il libro di Ruggero Giacomini Il processo Stalin (Castelvecchi, 2019) costituisce un importante contributo ad una riflessione critica sul ruolo e le stesse responsabilità personali di Stalin in alcuni dei momenti insieme più drammatici e controversi della storia dell’URSS degli anni ’30 e ’40. La prospettiva da cui tale riflessione viene sviluppata si differenzia infatti radicalmente da un’ottica puramente e aprioristicamente demonizzante o criminalizzatrice della figura di Stalin, favorendo piuttosto una valutazione critica di essa non solo più oggettiva e fondata sulla documentazione storica oggi disponibile ma anche più attenta alla straordinaria complessità e contraddittorietà degli oggettivi processi storici in cui la direzione politica del dirigente comunista si dispiegò lungo quei due terribili decenni.

La serrata critica condotta da Giacomini di quel vero e proprio “processo a Stalin” post mortem, che Kruscev tentò di costruire nel suo celebre “rapporto segreto” al XX Congresso del PCUS nel febbraio del 1956, delle sue contraddizioni e delle sue stesse falsificazioni, mira in questo senso a collocare la personalità e l’opera di Stalin non solo nel contesto del più generale processo di edificazione del socialismo in Urss e delle lotte di classe che lo scandiscono drammaticamente ma anche nel quadro internazionale, insieme europeo e mondiale, segnato già nel corso dei primissimi anni ’30. dalla prospettiva, avvertita dal gruppo dirigente sovietico come ormai incombente, della guerra.

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la citta futura

Cinquant’anni di impunità per strage di Stato

di Carla Filosa

Prima di Piazza Fontana gli eccidi dei lavoratori erano stati normalizzati nella dinamica delle lotte di classe tollerate dal sistema, dopo lo Stato si assunse in prima persona il ruolo di garante dei profitti, scoraggiando attraverso le stragi ogni possibile rivendicazione

01clttttttttttttttttttttttttttttttttttIn seguito all’attentato del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura a Milano, dal giorno successivo al 13 maggio 1970, fu elaborata da militanti della sinistra extraparlamentare una controinchiesta che uscì in un libro intitolato La strage di stato, Samonà e Savelli (La Nuova sinistra), Perugia 1970, dedicato a Giuseppe Pinelli, ferroviere e a Ottorino Pesce, magistrato. Alla quarta edizione nel ’70 ne erano state vendute già 60.000 copie. Per chi non c’era e/o non sa, Pinelli, in quanto anarchico, fu “suicidato” dal quarto piano d’una questura milanese intorno alla mezzanotte del 15 dicembre 1969, e Pesce morì d’infarto poco dopo, il 6 gennaio 1970, in seguito al linciaggio della stampa “indipendente” unita all’invito alla prudenza e al tatticismo dei suoi colleghi “progressisti”. Aveva infatti dichiarato pubblicamente che la giustizia italiana è una giustizia di classe, di fronte allo spettacolo della caccia all’anarchico e al maoista, operata dalla sinistra istituzionalizzata di allora.

Intanto, sin dal 3 gennaio 1969 l’Italia era già stata dilaniata da “145 attentati – come si riferisce nel libro citato – dodici al mese, uno ogni tre giorni, e la stima forse è per difetto”. La “strategia della tensione” venne così elaborata per mettere a punto un colpo di Stato reazionario da realizzarsi, se necessario, con l’intervento dell’esercito. Dato che non si era in America Latina, non fu necessario. Nonostante la maggior parte di queste bombe fosse stata riconosciuta di marca fascista, fu inventato un capro espiatorio anarchico, Pietro Valpreda, e vennero accusati “i rossi”, chiamati poi “massimalisti impotenti” dagli spalti di un Pci subito pronto a smarcarsi da eventuali sospetti di connivenza.

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operaviva

Le lotte operaie degli anni Settanta

di Sergio Bologna

Sabato 23 novembre, ore 11.00, al Macro Sergio Bologna terrà una lectio magistralis dal titolo Da Mirafiori alle Happy Hours. Il declino del conflitto e la sua necessità. A seguire una assemblea di discussione (con Peppe Allegri, Giso Amendola, Ilaria Bussoni, Papi Bronzini, Amedeo Ciaccheri, Ilenia Caleo, Roberto Ciccarelli, Elena Doria, Giovanna Ferrara, Dario Gentili, Roberto Giuliani, Gianfranco Guidi, Maria Rosaria Marella, Andrea Masala, Nicolas Martino, Cosimo D. Matteucci, Enrico Parisio, Rachele Serino, Stefano Simoncini, Serena Soccio, Giulio Stumpo, Lorenzo Teodonio, Viviana Vacca, Elvira Vannini). Per l’occasione pubblichiamo un estratto dal libro Il lungo autunno caldo, pubblicato dalla Fondazione Feltrinelli, gratuitamente scaricabile in versione e-book dal sito della Fondazione stessa

Claire Fontaine Untitled Thank you 2004 800x750Dopo l’autunno caldo: le condizioni di lavoro in fabbrica

È opportuno seguire il filone della soggettività operaia, per capire meglio quel che succede in fabbrica dopo l’autunno caldo, la costituzione dei Consigli e l’elezione dei delegati. Con tutti i suoi limiti, era in atto una rivoluzione nella mentalità della massa operaia, che seguiva un suo percorso indipendente dalle strategie sindacali. Coglierne le caratteristiche richiede un’indagine a livello di base. Nel 1972 la Fiom lancia un’inchiesta tra i delegati, pubblicata nel ’74 con prefazione di Bruno Trentin. Che bilancio traggono i delegati dei primi due anni successivi all’autunno caldo?

Nella Prefazione, Trentin non usa mezzi termini: “Non siamo quindi solo di fronte alla crisi del padronato e dell’imprenditorialità italiani, ma a tutta una crisi politica, alla volontà o all’incapacità politiche di non tentare almeno un confronto [il corsivo è mio, N.d.A.] e un rapporto nuovo, che non sia quello subordinato, coi lavoratori e col movimento operaio”.

Sarà il leitmotiv del sindacato negli anni successivi: la controparte non vuole prendere atto del cambiamento dei rapporti di forza. Per gli operai intervistati l’unico cambiamento sta nel minore potere dei capi. Il punto dolente è invece rappresentato dalle condizioni ambientali.

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limes

‘La nostra vita all’ombra delle stelle e strisce’

A. Aresu e L. Caracciolo intervistano Pietro Craveri

Il Pazzo mondo a stelle e strisceLIMESLa Prima Repubblica nasce e muore con la guerra fredda. In quella fase, l’Italia è un semiprotettorato americano. Condivide questo giudizio?

CRAVERI Francesco Cossiga è stato il primo a formulare il giudizio di un’Italia «semiservente». Un giudizio radicale giunto alla fine della guerra fredda come contraccolpo alla situazione interna, politicamente sempre più debole. È difficile non condividerlo. Nel corso della Prima Repubblica, dal 1946 al 1992 l’Italia è parte integrante della sfera d’influenza americana, cercando tuttavia di ritagliarsi i suoi spazi, di difendere i suoi interessi. Talvolta con successo.

 

LIMES L’Italia esce dalla seconda guerra mondiale sconfitta e umiliata. La sua costituzione geopolitica è il trattato di pace del 1947, che sancisce la catastrofe, malgrado la retorica pubblica che ci vorrebbe riscattati agli occhi dei vincitori dalla Resistenza.

CRAVERI Infatti il problema di Alcide De Gasperi e del suo ministro degli Esteri Carlo Sforza è mitigare le conseguenze del trattato di pace, che segna la condizione geopolitica di partenza della Prima Repubblica. Al Congresso di Parigi del 1946, De Gasperi riesce a chiudere solo la questione altoatesina, perché aiutato dal ministro degli Esteri sovietico Molotov. I sovietici avevano problemi in Austria, dove si trovavano di fronte un governo filo-occidentale. Su tutti gli altri fronti, nel dopoguerra immediato l’Italia è isolata: dagli inglesi filo-jugoslavi sull’Istria, ai francesi che non ci aiutano affatto, anzi cercano di sottrarci dei territori.

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voxpopuli

A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino

Una riflessione marxista

di Compagno Pier

berlin mauerEsattamente trent’anni fa, il 9 Novembre 1989, accadde un evento di fondamentale importanza: la caduta del Muro di Berlino. Tale data simbolica, nonostante essa si riferisca prevalentemente agli eventi che portarono all’estinzione della Repubblica Democratica Tedesca e all’unificazione della nazione teutonica, contiene e rappresenta un significato molto più ampio, i cui esiti si ripercuotono nella società ancora oggi. Questo giorno viene celebrato ed accolto con gaudio dai media nostrani, i quali identificano questa data come «la fine della dittatura totalitaria comunista» e come «la prova oggettiva del fallimento socialista e della vittoria del capitalismo, unico sistema economico sostenibile». «La libertà ha vinto» esclamano in coro le principali testate occidentali, ben consapevoli che con questa data non si celebra solamente una mera riacquisizione da parte dei popoli orientali di questa famosa “libertà”, parola millantata e falsificata dai liberali , bensì viene soprattutto celebrata la libertà dell’occidente capitalista, che non aveva più sistemi economici con i quali competere (ora invece lo spauracchio degli americani è la Cina), di portare avanti quel processo di deregulation, costante finanziarizzazione dell’economia che ha causato l’evoluzione di una nuova forma di capitalismo, molto più aggressiva e feroce rispetto a quelle precedenti.

Il 9 Novembre del 1989 costituisce quindi uno spartiacque nella storia contemporanea: mediante la legittimazione fornita dai presunti insuccessi del cosiddetto socialismo reale applicato in Unione Sovietica e nelle democrazie popolari dell’Europa orientale, l’élite capitalista mondiale ha sfruttato la debolezza del movimento socialista e proletario per poter accelerare la transizione ad uno spinto ordoliberismo.

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contropiano2

Berlino, 30 anni dopo

di Claudio Conti

In calce l'editoriale di Guido Salerno Aletta

nb m mlmclv nklxcnklnjkSe i maestri sono in crisi, proprio mentre celebrano la storica vittoria sull’avversario numero uno (il socialismo, seppure nella sua versione più grigia, quella “reale”), è bene guardare con occhio clinico alle ragioni della sua crisi.

Che sono poi, nell’insieme, il suo normale modo di funzionare.

Ancora una volta vi proponiamo un fulminante editoriale di Guido Salerno Aletta su Milano Finanza, che impietosamente affonda il bisturi nel modello mercantilista tedesco. Un dispositivo di rapina all’interno (verso i propri lavoratori) e all’esterno (verso i paesi-partner dell’Unione Europea, e ovviamente verso i loro lavoratori) che va in crisi per aver avuto troppo successo.

Che non vuol dire aver avuto ragione, ma semplicemente di essersi potuto “finalmente” sviluppare senza avversari; né come classe contrapposta (i lavoratori, appunto), né come “sistema economico e di valori” (il socialismo).

Chi mastica di dialettica capisce senza sforzi che il momento migliore dell’economia tedesca ed europea – perché di questo sostanzialmente si parla – coincida con il periodo pre-caduta del Muro. Quando, insomma, welfare e salari furono elargiti con generosità, magari anche a scapito dei profitti, che “furono ridotti, sì, negli anni Cinquanta e Sessanta, ma solo per paura del Comunismo”.

Il capitalismo, insomma, rende meglio quando è sottoposto a una non volontaria “cura dimagrante”, a una condivisione degli utili che è poi diventata bestemmia dopo l’89. Ma anche in quelle condizioni non funzionava benissimo…

Dopo l’Anschluss della Ddr e la facile imposizione a tutta l’Unione Europea delle regole più vantaggiose per sé, non troppo paradossalmente, quel meccanismo si è inceppato.

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lantidiplomatico

A 30 anni dalla caduta del muro

di Antonio Di Siena

w01 0RTRPVM2Mancano due giorni alle solenni celebrazioni per il trentennale della caduta del Muro di Berlino, e siamo già tutti pronti a sentirci raccontare come gli eventi che presero il via il 9 novembre 1989 cambiarono per sempre la storia del continente europeo.

Ma la narrazione dell'informazione dominante ci racconterà del crollo non di un semplice muro, ma di un intero Paese comunista con un sistema economicamente al collasso, la Repubblica democratica tedesca (DDR - meglio conosciuta come Germania Est), che fu magnanimamente soccorso da un altro Paese, generoso e democratico.

Di come un popolo oppresso e affamato da un sistema totalitario, che scappava a gambe levate in direzione ovest, sia stato liberato dal giogo del socialismo reale e accolto nella moderna, florida e democratica Repubblica federale tedesca. Quella Germania Ovest che, con grande generosità, tese la mano ai suoi fratelli più sfortunati e, grazie ad una imponente politica di investimenti pubblici, riuscì a ricostruire e integrare un paese distrutto da mezzo secolo di economia socialista, portando a compimento il processo di riunificazione delle due Germanie.

Ma dopo trent'anni è passata abbastanza acqua sotto i ponti della storia per poter guardare a quell'evento epocale con uno sguardo lucido e disincantato, potendosi rendere facilmente conto che le cose non sono andate proprio così. E soprattutto che fra la vicende dei tedeschi dell'est e la moderna storia dell'Unione europea si possono tracciare importanti parallelismi.

Nel 1989 la Germania Est era sicuramente un Paese in crisi, politica ed economica, come altri del blocco socialista. I suoi cittadini chiedevano profonde riforme del sistema politico, più libertà e soprattutto la democratizzazione dello Stato. Non di certo una svolta capitalista.

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marxismoggi

La riscrittura dei fatti e la realtà della storia

A proposito della mozione votata a Bruxelles

di Alexander Höbel

La Battaglia di Berlino min1. La mozione “sull’importanza della memoria” (un titolo davvero beffardo!) approvata dal Parlamento europeo coi voti di gran parte dell’emiciclo (compresi quasi tutti i rappresentanti del Pd, tra cui quel Giuliano Pisapia che come "criminali" comunisti contribuimmo a eleggere alla Camera nelle liste del Prc) costituisce un documento di estrema gravità, il cui significato non può essere sottovalutato.

Di fatto, nell’anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, nella quale la barbarie nazifascista fu battuta anche e soprattutto grazie al contributo decisivo dell’Unione Sovietica, coi suoi circa 25 milioni di caduti e pagine epiche come la resistenza dei leningradesi a 900 giorni di assedio o la vittoria di Stalingrado, si anticipa la data di inizio del conflitto, che viene fissata al patto Molotov-Ribbentrop anziché all'aggressione tedesca contro la Polonia, il 1° settembre 1939 (solo dopo 16 giorni, l’Urss penetrò a sua volta in territorio polacco, evidentemente a scopo difensivo, ossia in reazione all’attacco hitleriano, che imponeva – può essere duro dirlo, ma è la concreta realtà storica – di non lasciare che le truppe tedesche dilagassero in tutta la Polonia giungendo ai confini dell’Urss, il che peraltro aveva costituito uno dei motivi del patto Molotov-Ribbentrop). Questa modifica della data di inizio del conflitto costituisce ovviamente un atto del tutto arbitrario, una vera e propria riscrittura della realtà di stampo orwelliano.

Ma se proprio dovessimo anticipare l’inizio della guerra a prima dell’avvio delle operazioni militari, allora perché non fissarne l'inizio alla Conferenza di Monaco del 1938 dove Gran Bretagna e Francia lasciarono mano libera a Hitler? O magari farla coincidere con l'Anschluss tedesco dell'Austria? O con l’annessione hitleriana dei Sudeti?

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sinistra

Dall'URSS alla Russia

di Fabrizio Poggi

Se almeno un solo elemento della immensa lezione leniniana ho potuto assimilare (e tentare sempre di applicare) è quello della necessaria e costante analisi dei rapporti tra le classi nell'esame di ogni fenomeno reale. Così che, invogliato dal commento al pezzo di Alexander Höbel - “Inefficienze e difetti dell’economia sovietica” - fatto da Eros Barone, che giustamente mette in rilievo la doverosa analisi dei rapporti di classe nell’analisi della storia sovietica e della sua involuzione a partire dalla degenerazione khruščëviana, propongo questo pezzo, uscito su nuova unità nel 2017 (n. 4), qua e là rivisitato per l'occasione, ma non aggiornato, sperando di dare un piccolo contributo alla discussione

2ebb60473cd67e8167083273a3863e75Dietro le quinte di una cosiddetta “formazione dei militanti” sul tema della storia dell'URSS, si contrabbandano spesso trotskismo, khruščëvismo e gorbačëvismo. Presentando la storia sovietica come un percorso “Dal capitalismo al socialismo e viceversa”, da posizioni idealistiche si attribuisce l'evoluzione e la successiva involuzione dell'esperienza socialista in URSS a soli fattori soggettivi, secondo la vulgata di una presunta “bontà innata” di chiunque si sia opposto a quelle che vengono definite le “criminali” scelte politiche ed economiche della leadership sovietica durante il trentennio in cui Stalin fu alla testa del VKP(b).

Di contro, si è tentato di illustrare sommariamente come quelle scelte riflettessero reali rapporti tra le classi sociali, così come si evince da alcune fonti sovietiche. Delimitazione cronologica e schematizzazione tematica sono soggettive e solo indicative del tema.

* * * *

Nel 1932, sul numero 1-2 della rivista “Pod znamenem marksizma” (“Sotto la bandiera del marxismo”), compare l'articolo di M. Korneev Il secondo Piano quinquennale e l'eliminazione delle classi, che illustra la politica di trasformazione delle campagne in URSS, basata sulla collettivizzazione delle piccole aziende individuali e la definitiva eliminazione dell'ultima classe sfruttatrice rimasta, quella del kulak, i contadini ricchi.

Tra il 1973 e il 1979, intrattenendosi con lo storico Felix Čuev, l'ex membro del Politbjuro, ex presidente del Consiglio dei commissari del popolo ed ex Ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Molotov afferma: “contrappongono Stalin a Bukharin e a Dubček. Sono i destri che lo fanno – i residui di kulak non liquidati. Tra Bukharin e Dubček c'è molto in comune”. E poi: “Khruščëv non è stato casuale. Il paese è contadino e la deviazione di destra è ancora forte.