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lafionda

Gli operai si organizzano in partito

A cento anni dalla nascita del PCd’I

di Cristina Quintavalla

pdci nascita“Gli operai della Fiat sono ritornati al lavoro. Tradimento? Rinnegamento delle idealità rivoluzionarie? Gli operai della Fiat sono uomini in carne ed ossa. Hanno resistito per un mese. Sapevano di lottare e di resistere non solo per sé, non solo per la restante massa operaia torinese, ma per tutta la classe operaia italiana. Hanno resistito per un mese. Erano estenuati fisicamente perchè da molte settimane e da molti mesi i loro salari erano stati ridotti e non erano più sufficienti al sostentamento famigliare, eppure hanno resistito per un mese[…] sapevano che ormai alla classe operaia erano stati tagliati i tendini, sapevano di essere condannati alla sconfitta, eppure hanno resistito per un mese. Non c’è vergogna nella sconfitta degli operai della Fiat.”[1]

Questo articolo de L’Ordine nuovo fa riferimento alla cocente sconfitta subita dai lavoratori della Fiat dopo l’estrema lotta ingaggiata all’annuncio da parte della dirigenza dell’azienda e di altre fabbriche di Torino di voler licenziare migliaia di operai.

In particolare il 16 marzo 1921 la Fiat, in crisi, come altre aziende costrette a riconvertire la produzione da bellica in civile, comunicò la volontà di licenziare 1500 operai e di ridurre l’orario di lavoro agli altri.

Alle proteste operaie Agnelli contrappose la serrata e fece presidiare le officine dall’esercito.

Il 6 maggio, dopo una lunga resistenza, gli operai, quelli non licenziati, furono richiamati al lavoro uno ad uno, su chiamata individuale. [2] Col capo chino, a testa bassa, sconfitti, umiliati rientrarono nei loro stabilimenti dove pochi mesi prima avevano innalzato le bandiere rosse sulle ciminiere.

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conflitti e strategie 2

Una vera donna

di G. P.

rosa luxemburg grav ll mese scorso è stato l’anniversario della nascita della comunista polacca Rosa Luxemburg. Il contributo teorico di costei alla comprensione degli eventi della sua epoca storica è stato piuttosto fuorviante ma la sua passione rivoluzionaria non può essere messa in discussione, considerato che pagò con la vita il tentativo di una sollevazione socialista in Germania.

La sua polemica con Lenin sull’importanza del partito e dell’avanguardia organizzata nei processi rivoluzionari, che la Luxemburg negava perché confidava nella spontaneità della classe operaia, portò il russo ad affermare che: “le aquile possono saltuariamente volare più in basso delle galline, ma le galline non potranno mai salire alle altitudini delle aquile. Rosa Luxemburg sbagliò sulla questione dell’indipendenza della Polonia; sbagliò nel 1903 nella sua valutazione del menscevismo; sbagliò nella sua teoria dell’accumulazione del capitale; sbagliò nel luglio 1914, quando, con Plekhanov, Vendervelde, Kautsky ed altri, sostenne la causa dell’unità tra bolscevichi e menscevichi; sbagliò; in ciò che scrisse dal carcere nel 1918 (corresse poi la maggior parte di questi errori tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, dopo esser stata rilasciata). Ma a dispetto dei suoi errori lei era – e per noi resta – un’aquila”.

La Luxemburg aveva, inoltre, fornito una interpretazione del capitalismo assolutamente errata, purtroppo recuperata anni dopo dalle correnti terzomondiste e “sottosviluppiste” che fecero perdere altro tempo sull’intendimento  delle questioni sostanziali della dinamica capitalistica.

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thomasproject

L’urbanesimo rivoluzionario e la critica della vita quotidiana della Comune di Parigi

di Francesco Biagi

[La redazione di Thomas Project pubblica in forma estesa l’intervento orale di Francesco Biagi intervenuto nel convegno online “La Comune di Parigi 150 anni dopo” (qui il video completo del convegno organizzato dal Partito della Rifondazione Comunista). Una versione più breve di questo testo sarà pubblicata la prossima settimana, in un volume che raccoglie gli atti per le edizioni della rivista settimanale “Left”]

Schermata 2021 03 19 alle 02.25.39Ogni politica di emancipazione deve puntare a distruggere l’apparenza “dell’ordine naturale”, deve rivelare che quello che ci viene presentato come necessario e inevitabile altro non è che una contingenza, deve insomma dimostrare che quanto abbiamo finora reputato impossibile è, al contrario, a portata di mano. (Mark Fisher, Realismo Capitalista, p. 53)

In questo intervento cercherò di esporre brevemente l’innovativa interpretazione che Henri Lefebvre ha dato della Comune di Parigi. Non c’è qui lo spazio per raccontare l’importanza dell’autore ancora troppo ignorato nel dibattito marxista italiano, ma ci basti pensare che nella sua vita si occupò di riattualizzare il contributo di Marx ed Engels alla luce dei problemi posti dalla modernità capitalistica lungo il XX secolo. Mi concentrerò in modo particolare sull’evento della Comune in quanto (1) “rivoluzione urbana” capace di sovvertire l’oppressione di classe imposta a livello spaziale e urbanistico e in quanto (2) possibilità realizzata di trasformazione concreta della vita quotidiana grazie all’agire politico del movimento operaio. È necessaria tuttavia un’altra piccola postilla: le riflessioni di Lefebvre che qui espongo, come vedremo, sono fortemente debitrici delle discussioni che l’autore ha intrattenuto con Guy Debord e l’Internazionale Situazionista.

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jacobin

L’alternativa possibile della Comune di Parigi

di Marcello Musto

Il 18 marzo del 1871 scoppiò in Francia una nuova rivoluzione che mise in pratica la democrazia diretta e l'autogoverno dei produttori. Quell'esperienza indica ancora come si può costruire una società radicalmente diversa da quella capitalista

comune parigi jacobin italia 990x361I borghesi avevano sempre ottenuto tutto. Sin dalla rivoluzione del 1789, erano stati i soli ad arricchirsi nei periodi di prosperità, mentre la classe lavoratrice aveva dovuto regolarmente sopportare il costo delle crisi. La proclamazione della Terza Repubblica aprì nuovi scenari e offrì l’occasione per ribaltare questo corso. Napoleone III era stato sconfitto e catturato dai tedeschi, a Sedan, il 4 settembre 1870. Nel gennaio dell’anno seguente, la resa di Parigi, che era stata assediata per oltre quattro mesi, aveva costretto i francesi ad accettare le condizioni imposte da Otto von Bismarck. Ne seguì un armistizio che permise lo svolgimento di elezioni e la successiva nomina di Adolphe Thiers a capo del potere esecutivo, con il sostegno di una vasta maggioranza legittimista e orleanista. Nella capitale, però, in controtendenza con il resto del paese, lo schieramento progressista-repubblicano era risultato vincente con una schiacciante maggioranza e il malcontento popolare era più esteso che altrove. La prospettiva di un esecutivo che avrebbe lasciato immutate tutte le ingiustizie sociali, che voleva disarmare la città ed era intenzionato a far ricadere il prezzo della guerra sulle fasce meno abbienti, scatenò la ribellione. Il 18 marzo scoppiò una nuova rivoluzione; Thiers e la sua armata dovettero riparare a Versailles.

 

Di lotta e di governo

Gli insorti decisero di indire subito libere elezioni, per assicurare all’insurrezione la legittimità democratica. Il 26 marzo, una schiacciante maggioranza (190.000 voti contro 40.000) approvò le ragioni della rivolta e 70 degli 85 eletti si dichiararono a favore della rivoluzione.

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jacobin

Tanti auguri Rosa Luxemburg

di Marcello Musto

rosa luxemburg jacobin italia 990x361Rosa Luxemburg nasceva 150 anni fa. Si sentiva a casa sua «in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi e uccelli e lacrime umane», innovò il marxismo e capì che la classe operaia doveva lottare contro la guerra e la militarizzazione della società

Quando nell’agosto del 1893, al Congresso di Zurigo della Seconda internazionale, dalla presidenza dell’assemblea fu menzionato il suo nome, Rosa Luxemburg si fece spazio senza indugiare tra la platea di delegati e militanti che riempivano la sala stracolma. Era una delle poche donne presenti al consesso, ancora giovanissima, di corporatura minuta e con una deformazione all’anca che la costringeva a zoppicare sin dall’età di cinque anni. Nei presenti, il suo apparire sembrò destare l’impressione di trovarsi dinanzi a una persona fragile.

 

La questione nazionale

Stupì tutti, invece, quando, dopo essere salita su una sedia, per farsi ascoltare meglio, riuscì ad attirare l’attenzione dell’intero uditorio, sorpreso dall’abilità della sua dialettica e affascinato dall’originalità delle sue tesi. Per la Luxemburg, infatti, la rivendicazione centrale del movimento operaio polacco non doveva essere la costruzione di una Polonia indipendente, come veniva ripetuto all’unanimità. La Polonia era ancora tripartita tra gli imperi tedesco, austro-ungarico e russo; la sua riunificazione risultava di difficile attuazione, mentre ai lavoratori andavano prospettati obiettivi realistici che avrebbero dovuto generare lotte pratiche nel nome di bisogni concreti.

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sinistra

Interpretare Bordiga

recensione di Alessandro Mantovani

Sul libro di Pietro Basso: Bordiga. Una presentazione, ed. Punto Rosso, 2021

unnamed3616“In Italia sono più tenaci di quanto non si creda certi motivi del primo internazionalismo”. (A. Viglongo, Bordiga impolitico “La rivoluzione Liberale”, n. 33, 30 ottobre 1923

Son passati più di cinquant’anni dalla sua morte, ma parlare di Bordiga è ancora difficile. Certo, le assurde falsificazioni stalinistiche che ne facevano un controrivoluzionario quando non una pedina del fascismo, sono ormai finite nella discarica della storia; coperte da una coltre di vergogna sono anche le ricostruzioni in salsa togliattiana che lo rimuovevano, in favore di Gramsci, dal ruolo di primo piano avuto nella fondazione e direzione del Partito comunista d’Italia dal 1921 al 1923. Continua però a godere di “cattiva stampa”, e la maggior parte di chi ne parla – per lo più senza conoscerlo o conoscendolo molto poco – ripete, sotto il manto dell’autorità di Lenin e Trotzky, il mantra del Bordiga dottrinario e settario. L’intento sottaciuto di tali accuse è quasi sempre quello di giustificare le più ardite piroette politiche odierne, lo scomporsi e ricomporsi di alleanze puramente strumentali ed elettoralistiche, contrabbandate come attuali applicazioni del fronte unico e via cantando.

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la citta futura

Il centenario del Pcd’I e i caratteri originali del comunismo italiano

di Alexander Höbel

La storia del Pci è caratterizzata dal tentativo di percorrere una via originale al socialismo in Italia e in Occidente. Il tentativo è stato soffocato da oscure trame italiane e internazionali e dalle politiche liberiste e trasformazioni che hanno inciso pesantemente sull’aggregazione e la forza della classe lavoratrice

d02817b298fae86c7f8203594a4f86ae XL1. Il centenario della fondazione del Partito comunista d’Italia, che si sta ricordando in queste settimane, è stata l’occasione per riprendere la discussione sull’esperienza di quello che è stato il maggiore partito comunista dell’Occidente.

La lettura maggiormente veicolata nel dibattito pubblico dai media mainstream è stata quella che attribuisce al “peccato originale” della scissione comunista del ’21 tutti i mali della sinistra italiana, individuando nel Congresso di Livorno l’inizio di una vera e propria “dannazione”, quella appunto delle scissioni e delle divisioni. È una interpretazione che oscura un elemento decisivo, ossia che la frattura interna al movimento operaio si era prodotta non a Livorno, ma sul piano internazionale e su una questione decisiva come la guerra o la pace, allorché, nel 1914-15, i partiti socialisti e socialdemocratici, tradendo la marxiana parola d’ordine “proletari di tutti i paesi, unitevi!”, avevano votato in massa i crediti di guerra, facendo fallire la II Internazionale e mandando i lavoratori di tutti i paesi a uccidersi sui campi di battaglia. La nascita della “sinistra di Zimmerwald”, di cui Lenin fu uno dei maggiori protagonisti, e poi dei partiti comunisti fu la reazione a tutto questo; del resto, la Rivoluzione d’Ottobre vinse con la parola d’ordine della pace, oltre a quella del “potere ai soviet”, ossia alla prospettiva di un ordine nuovo fondato sul potere dei lavoratori, di quel socialismo che finalmente sembrava farsi concreta realtà storica.

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sinistra

Le ragioni della forza della frazione di Bordiga

di Eros Barone

114054458 2cad8a63 7c75 4a6f 8504 73d2065d89c7Come si desume dalla lettura del Manifesto ai lavoratori d’Italia, pubblicato dal Comitato Centrale del Partito comunista d’Italia il 30 gennaio del 1921, quindi pochi giorni dopo la scissione dal Partito socialista italiano e la conseguente costituzione del PCd’I, la forza della frazione bordighiana e la ragione del primato che conquistò nel Partito comunista appena costituito derivano da una ideologia rigorosa, coerente ed intransigente, tale da conseguire il successo nel momento in cui occorreva tagliare i nodi. Tutto il pensiero di Bordiga si condensa in un concetto-cardine del marxismo: lo Stato è l’organo della dittatura di una classe, occorre dunque abbattere lo Stato borghese con la forza e sostituirgli la dittatura del proletariato. La dottrina della rivoluzione è dunque racchiusa in questo sillogismo: non esiste un altro modo di fare la rivoluzione né di avvicinarsi ad essa.

Il movimento sindacale, che tende a soluzioni parziali dei problemi che nascono tra la borghesia e il proletariato, ha solo un valore limitato di organizzazione e di propaganda, e solo a questo titolo il partito se ne interessa e vi interviene. La partecipazione al parlamento è dannosa, perché sottrae energie alla rivoluzione proletaria e le impiega invece a valorizzare un organo che deve essere distrutto come organo principale del potere borghese. Strumento della rivoluzione è, dunque, solo il partito politico del proletariato e al suo rafforzamento deve essere dedicata tutta l’attività dei comunisti fino alla presa del potere. La individuazione della pura essenza della rivoluzione proletaria nella lotta frontale tra borghesia e proletariato è ciò che rende attuale la lezione di Bordiga nella situazione odierna, in antitesi alle deformazioni, alle mistificazioni e alle falsificazioni della teoria marxista-leninista perpetrate dal riformismo, teorizzate dal revisionismo e favorite dall’opportunismo, con tutti i gravi cedimenti rispetto al potere borghese che da esse sono inevitabilmente derivati nel pensiero e nell’azione del movimento operaio.

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cumpanis

Sinistre mutazioni genetiche

Le scelte liberiste del PCI

di Francesco Cappello

cappello foto berlingue e scalfari All’inizio degli anni ’80, in quell’Italia dominata dalla strategia della tensione, con gli elenchi della P2 da poco venuti alla luce, dopo 35 anni di opposizione, moralizzazione, contenimento dei consumi, austerità e lotta all’inflazione diventano parole d'ordine del PCI di Enrico Berlinguer.

La reazione di E. Berlinguer e del PCI a quella male intesa inflazione da costi (1) causata dalle prime crisi petrolifere degli anni ‘70, che accadeva nel seno di una economia generalmente espansiva, la quale aveva permesso al nostro paese di risollevarsi dalle macerie della guerra, crescendo con un ritmo vertiginoso del 5,5% in media per 35 anni è già leggibile in un intervento del 1976, in cui il segretario comunista era intervenuto sulle pagine dell’Unità denunciando il “pericolo inflazione“ rispetto al quale, peraltro, il potere d’acquisto dei lavoratori era già protetto dal meccanismo della indicizzazione di salari e stipendi, la cosiddetta scala mobile.

Che la causa dell’inflazione fosse prevalentemente esogena, legata cioè alle crisi petrolifere mediorientali, era inizialmente riconosciuto da parte di economisti, politici e media seppure nel seguito tale consapevolezza verrà progressivamente rimossa. Ad essere rimossa la differenza tra inflazione da costi, da domanda e inflazione da mancata, pronta risposta dell’offerta… e ancora inflazione da eccesso di moneta in circolazione rispetto alla forza dell’economia. In Italia, il 14 febbraio 1984 il decreto di San Valentino approvato dal governo Craxi tagliò 3 punti percentuali della scala mobile, accogliendo la proposta avanzata da Ezio Tarantelli nell'aprile del 1981 sul quotidiano La Repubblica.

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lordinenuovo

La scissione di Livorno e i tempi della storia

di Sebastiano Usai*

biennio rossoProprio oggi ricorre il centenario della fondazione dell’organizzazione che più di ogni altra, almeno fino al secondo dopoguerra, ha determinato le sorti del movimento rivoluzionario in Italia. Il 21 gennaio 1921 si determinava con la scissione di Livorno la prima organizzazione operaia comunista in Italia. La storia della fondazione del P.c.d’I, e più in generale quella del Partito comunista italiano, è una storia talmente densa e stratificata, così rilevante per le sorti del paese in cui si è andati più vicino e allo stesso tempo più lontano dal successo della rivoluzione che, nonostante il fiume storiografico che ha letteralmente investito questa vicenda, finisce irrimediabilmente per essere irrisolta. La ragione principale risiede nei nodi politici che dalla parabola del Pci scaturiscono e che relegano ancora l’eredità storica di quest’organizzazione nel campo dell’incertezza, certamente della contraddittorietà.

Sarebbe dunque impossibile provare a “tirare le somme” come in troppi hanno tentato di fare, in pochi sono riusciti, anche se parzialmente, e nessuno definitivamente a compiere. E questo perché, anche a distanza di trent’anni dal certificato di morte dell’organizzazione che si dichiarava erede del partito della Resistenza, ancora rimane irrisolta la ragione complessiva che può spiegare come si passò dalla gloriosa storia del partito clandestino e della Liberazione, poi del partito della classe operaia nello Stato a quella del partito Stato nella classe operaia. Una parabola che appunto, rimane irrisolta, proprio perché pone al presente, nella sua straordinaria eccezionalità storica di esempio più alto e allo stesso tempo più basso, una lunga serie di questioni.

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linterferenza

Genetica della Rivoluzione sovietica e crollo dell’URSS

di Salvatore A. Bravo

09pol02f11 019 k1YG U4338068209717mdC 768x432Corriere TabletPubblichiamo questo interessante articolo del nostro collaboratore Salvatore A. Bravo che personalmente condivido solo parzialmente. In particolare dissento radicalmente sulla parte finale dove l’autore – riprendendo e citando un passo di un libro di Costanzo Preve – individua nella classe media il possibile nuovo soggetto se non rivoluzionario, comunque resistente al capitalismo.

Non c’è dubbio che alcuni settori di piccola-media borghesia impoveriti o “proletarizzati” dalla crisi e dal processo di globalizzazione capitalista, potrebbero in linea teorica essere spinti ad allearsi con i ceti popolari e subalterni e con la grande massa del lavoro dipendente, stabile o precario, ma solo se quest’ultimo è in grado di essere un punto di riferimento per quei ceti, di costituirsi come un blocco sociale, cioè come classe, provvista di coscienza e autonomia politica. Viceversa, in assenza di tale blocco sociale, quella piccola-media borghesia è inevitabilmente destinata ad essere preda delle forze reazionarie di destra (cosa che sta avvenendo e in buona parte già avvenuta) la cui funzione è proprio quella di disinnescare quel che di potenzialmente sovversivo potrebbe esserci in quel ceto sociale, indirizzandolo verso falsi obiettivi (autoctoni contro immigrati) o addirittura rivolgendolo contro gli stessi lavoratori e ceti subalterni; penso ad esempio all’ostilità nei confronti dei lavoratori pubblici o alla retorica interclassista del mondo dei “produttori” (che vorrebbe unire i lavoratori e i datori di lavoro) contro quello dei “parassiti” (cioè di tutto il comparto del pubblico impiego) e del “capitalismo buono”, cioè quello produttivo” contro il “capitalismo cattivo”, cioè quello finanziario.

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lordinenuovo

Fattori internazionali e nazionali nella fondazione del PCd’I

di Guido Ricci

Ordine Nuovo 1536x1536Il “fattore internazionale”, cioè l’insieme di eventi e relazioni internazionali che si sviluppano nel tempo, ha largamente influenzato il processo di raggruppamento delle tendenze comuniste all’interno del movimento operaio italiano, l’evoluzione della linea comunista e la formazione del Partito Comunista d’Italia. Un approccio che considerasse il processo che porta alla fondazione del PCdI o solo come prodotto dello sviluppo di condizioni interne, o solo come conseguenza di sollecitazioni e suggestioni esterne sarebbe parziale e sbagliato, poiché non terrebbe conto di come, tra le une e le altre, vi sia stato sempre un rapporto, praticamente indistricabile, di reciproca influenza e interazione che, solo, può farci capire la sintesi che storicamente ne è scaturita. Si tratta di un vastissimo argomento che non può certo esaurirsi in questo articolo. Ci limiteremo, quindi, ad esaminare solo gli aspetti più direttamente correlati alla formazione del PCdI nel periodo dalla I Guerra Mondiale alla scissione di Livorno (1914-1921), rimandando il seguito dell’analisi a un approfondimento successivo, con l’intento di stimolare la riflessione sulle importanti lezioni che ci giungono da quell’esperienza per trarne un insegnamento che possa essere valido e attuale anche oggi.

 

La guerra imperialista e la II Internazionale

Il 1914 segna la definitiva bancarotta politica della II Internazionale. La frattura, creatasi nel periodo precedente, tra revisionisti e riformisti, da un lato, “marxisti ortodossi” e marxisti rivoluzionari (questi ultimi talvolta confusi nell’area degli “ortodossi”), dall’altro, diventa definitiva e insanabile proprio in relazione al tema della guerra e dell’atteggiamento che i partiti operai nazionali devono assumere in relazione ad essa.

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jacobin

Bordiga, il leader dimenticato

David Broder intervista Pietro Basso*

bordiga jacobin italia 990x361Nell’agosto scorso la casa editrice Brill ha pubblicato, nella sua collana «Historical Materialism», la prima Antologia di scritti di Amadeo Bordiga in lingua inglese: The Science and Passion of Communism. Selected Writings of Amadeo Bordiga (1912-1965). L’ha curata Pietro Basso, un marxista militante da lungo tempo, oggi redattore della rivista Il cuneo rosso. Nelle prossime settimane la sua Introduzione all’Antologia sarà pubblicata in Italia dalle Edizioni Punto Rosso.

* * * *

Bordiga è un comunista quasi sconosciuto nel mondo anglofono ma, in gran parte, lo è anche in Italia, nonostante sia stato per almeno tre anni il leader indiscusso del Partito comunista nato a Livorno il 21 gennaio 1921, esattamente un secolo fa. La storiografia del Pci lo ha addirittura tacciato di collaborazione con il fascismo, per poi condannarlo al silenzio nel secondo dopoguerra. Come mai un tale destino?

Negli anni Trenta la denigrazione di Bordiga è stata tutt’uno con la «lotta al trotskismo». La sua espulsione dal partito, nel marzo 1930, avviene per aver «sostenuto, difeso e fatte proprie le posizioni dell’opposizione trotskista». Negli anni Quaranta, in particolare dopo la fine della guerra, il gruppo dirigente del Pci era preoccupato che Bordiga riprendesse l’attività politica, conoscendo il forte ascendente che aveva esercitato sugli iscritti al partito. La rigidissima consegna fu: creare un fossato fisico, psicologico, ideologico, «morale» tra i quadri e i militanti del Pci, e Bordiga e la sua aspra critica della linea di collaborazione nazionale con i partiti borghesi e la classe capitalistica sposata dal Pci – una prospettiva che, a dispetto del nome di «via italiana al socialismo», conteneva proprio la rinuncia all’obiettivo storico del socialismo.

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cumpanis

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi

di Roberto Fineschi

fineschi foto abbozzo di riflessioneCon molte riserve e ritrosie vergo queste note per il centenario della fondazione del Partito Comunista Italiano, non essendo io uno storico e tanto meno un esperto di questo tema specifico. Quanto segue sono riflessioni sviluppate soprattutto nella prospettiva di un conoscitore della teoria di Marx come teoria della processualità storica. Si tratta di commenti provvisori, schematici e quanto mai aperti a essere discussi. Sono riflessioni che hanno inevitabilmente sullo sfondo il presente e le sue problematiche. Il tema abbozzato è quello dello snodo degli anni settanta, la figura di Berlinguer e i cambiamenti storici allora intervenuti e probabilmente ancora irrisolti.

 

1. Gli anni settanta e Berlinguer come figura di un momento di svolta

Gli anni settanta sono segnati dalla strategia del “compromesso storico” che, nella mente dei suoi promotori, si reggeva su due fondamentali premesse teoriche, strategiche e di fatto:

1) la crisi del comunismo sovietico come modello di socialismo praticabile in occidente (in realtà iniziava a delinearsi l’idea della sua impraticabilità in generale): esso non funzionava in quanto autoritario (i freschi fatti cecoslovacchi del ‘68 lo avevano dimostrato) e in quanto non-europeo (impossibile realizzarlo nell’Europa occidentale con la sua complessa stratificazione sociale e le sue diffuse libertà formali);

2) il colpo di stato in Cile: una via parlamentare al socialismo non era possibile perché, anche in caso di vittoria elettorale, le forze dell’imperialismo mondiale avrebbero messo fine in forma violenta a tale esperienza.

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marxismoggi

La storia del Pci, fra processi di apprendimento e strategia egemonica

di Alexander Höbel

schermata 2018 09 19 alle 17 37 251. Una storia organica, una strategia di lunga durata

La storia del Partito comunista italiano, di cui nel gennaio 2021 si celebrerà il centenario della fondazione, è stata da sempre oggetto, oltre che di una storiografia spesso straordinaria (si pensi a Paolo Spriano ed Ernesto Ragionieri), anche di molte letture deformanti, viziate dal pregiudizio ideologico quando non dalla vera e propria incomprensione. Tale tipo di revisionismo storico applicato a una vicenda grande e complessa come quella del Pci ha conosciuto ovviamente una nuova fioritura dopo il 1989-91, trovando nuovi adepti a destra ma anche a sinistra.

La fine non esaltante del Pci, avviata dalla svolta occhettiana della Bolognina, a indotto molti a rileggere in negativo tutta quella storia, oppure a individuare questo o quel “peccato originale”, da cui sarebbe iniziata – come un processo inevitabile – la dissoluzione del partito: la “svolta di Salerno” del 1944, il “compromesso storico” ecc. La conseguenza è che la vicenda del Pci viene “fatta a pezzi”, assumendone solo alcune parti e liquidando il resto.

Non si tratta, a mio parere, di un metodo adeguato alla conoscenza storica e nemmeno al giudizio politico. Non perché, ovviamente, nell’esperienza del Pci non vi siano stati errori, debolezze, passaggi discutibili, o non si possa criticare questa o quella scelta; ma perché utilizzando tale metodo si rischia di smarrire un elemento fondamentale, che è quello della organicità dell’esperienza del comunismo italiano e di quell’italo-marxismo che ha in Gramsci e in Togliatti i suoi pilastri, ma segna di sé tutta la cultura politica e la strategia di lunga durata del Pci.