Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1460
Lukács fra arte e vita
di Lelio La Porta
La vita di György Lukács (1885-1971), turbolenta e tempestosa, è stata una di quelle vite che hanno costretto il pensiero a sottomettersi quasi totalmente alle stesse svolte imposte dall’esistenza storica.
Nato da una ricca famiglia ebrea, laureatosi a Budapest nel 1906, Lukács approfondisce gli studi filosofici a Berlino e Heidelberg dove subisce l’influenza del neocriticismo e dello storicismo tedesco e stringe amicizia con Ernst Bloch. La sua prima raccolta di saggi in tedesco (L’anima e le forme) apparve nel 1911 e, in seguito, un libro sull’estetica (non portato a termine) e uno su Dostoevskij (non pubblicato di cui rimangono gli appunti). Fra il 1914 e il 1915 scrive Teoria del romanzo. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale conduce Lukács a quella che sarà la scelta fondamentale della sua vita: l’adesione al marxismo e l’iscrizione al Partito Comunista Ungherese.
Nel 1919, nella breve esperienza della Repubblica ungherese dei Consigli, fu commissario del popolo all’istruzione e commissario politico della quinta divisione. Conclusasi l’esperienza consiliare, dovette fuggire a Vienna. Vive fra Vienna e Berlino e produce, fra gli altri, una serie di saggi che, rielaborata, comparirà in volume nel 1923 con il titolo Storia e coscienza di classe. Nel 1928 le tesi politiche note come Tesi di Blum gli costarono l’accusa di deviazionismo di destra e l’espulsione dal Comitato Centrale del Partito Comunista Ungherese. All’avvento del nazismo al potere in Germania, si trasferisce a Mosca dove rimarrà fino alla fine della Seconda guerra mondiale studiando e ricercando presso l’Istituto Marx-Engels-Lenin. Finita la guerra, Lukács tornò in Ungheria e fu membro del Parlamento, della direzione dell’Accademia delle Scienze, professore di estetica e di filosofia della cultura all’Università di Budapest.
- Details
- Hits: 2033
Circa “Ancora su destra e sinistra” di Andrea Zhok
di Alessandro Visalli
“Un uomo giace da tempo in una specie di pozza di fango, la luce è scarsa e rossa, e filtra tra una densa foresta. Sta lentamente soffocando per effetto di un enorme boa che lo avvolge nelle sue spire, senza fretta e progressivamente. Improvvisamente l'attenzione che questo prestava, inutilmente a dir la verità, al boa viene distratta da un evento.... con la coda dell'occhio intravede una massa di muscoli, tendini ed artigli colorata di giallo e nero che si sta precipitando su di lui. È una tigre. Chi è il nemico? Penso si possa dire una cosa di sicuro: abbiamo un gran problema”.
Proveremo poi a identificare boa e tigre, e magari anche l’uomo e la foresta, ma prima proviamo a parlare dell’oggetto: Andrea Zhok da tempo riflette in modo radicale e coraggioso sulla società nella quale viviamo ed i vicoli ciechi del suo senso comune e della sua ideologia. Lo ha sempre fatto da un punto di vista specifico, che non nasconde come non lo nascondo io. Lo abbiamo (se pure immeritatamente dal mio lato) fatto insieme. Continueremo a farlo.
In effetti tutti stiamo compiendo una dolorosa riflessione, che ognuno articola secondo la propria sensibilità ed esperienze. Facendola insieme gli diamo senso.
In “Ancora su destra e sinistra”[1], che reca come sottotitolo “riflessioni di un post-comunista”, Andrea produce un’ammirevole sintesi e ricostruzione di quella che è stata l’esperienza ed il pensiero di molti in questi anni. Descrive la traiettoria di un percorso di assunzione di consapevolezza e responsabilità capace di allargare lo sguardo e generare nuove prospettive.
- Details
- Hits: 2404
Contro il grande reset
di Moreno Pasquinelli
«Per salute non si deve intendere soltanto la conservazione della vita, a qualunque condizione; ma una vita per quanto possibile felice». Thomas Hobbes
PREMESSA
L’idea di fondo di chi scrive è questa: il turbocapitalismo neoliberista, anzitutto occidentale, è entrato da tempo in una crisi mortale, tuttavia, come ogni organismo storico-sociale, esso vuole sopravvivere ad ogni costo. Potrà riuscirci solo se sarà in grado di auto- trasformasi. Così è accaduto in ogni grande crisi sistemica, anche quella degli anni ’70 del secolo scorso, che partorì appunto il mostro neoliberista. Malgrado il Covid non sia nemmeno lontanamente paragonabile alla peste che decimò la popolazione europea nel XIV secolo, il XXI potrebbe assomigliare proprio a quello che segnò il passaggio epocale dal Medioevo alla modernità. L’avanguardia politica dei globalisti ne sembra convinta ed ha chiaro in testa dove condurre l’umanità. Essa sa che un simile passaggio non sarà indolore, che dovrà spazzare via resistenze tenaci, che ci saranno profonde turbolenze sociali… cadranno teste, crolleranno regimi, spariranno nazioni, modi di vita saranno sconvolti. Affinché simili “distruzioni creative” possano produrre gli effetti desiderati, chi le pilota ha bisogno di eventi sconvolgenti, tali da scioccare le masse e da convincerle della ineluttabile necessità del mutamento radicale che questa avanguardia politica ha in mente.
- Details
- Hits: 1793
“Geopandemia”: il caos del mondo dopo il coronavirus
Andrea Muratore intervista Salvatore Santangelo
L’Osservatorio Globalizzazione presenta oggi un’ampia conversazione avuta con il professor Salvatore Santangelo sul suo ultimo saggio, “Geopandemia. Decifrare e rappresentare il caos” (edito da Castelvecchi). Santangelo, classe 1976,è giornalista professionista e docente universitario. Esperto di politica internazionale e di storia del Novecento, studia la dimensione mitica nell’attualità occupandosi di “geosofia”, e tra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano GeRussia (2016) e Babel (2018). Con lui abbiamo discusso delle motivazioni che lo hanno spinto a scrivere “Geopandemia”, delle dinamiche innescate dal coronavirus nella politica internazionale e nell’evoluzione della globalizzazione e delle lezioni che la storia e le culture del passato possono dare al presente per superare questa fase di crisi.
* * * *
Professor Santangelo, come ha elaborato il concetto di “Geopandemia” e l’idea che le conseguenze geopolitiche della pandemia inaugurino una nuova fase dell’era globalizzata?
“Geopandemia” è un termine “denso” e questo perché la crisi pandemica ha una sua “densità” che merita di essere esplicitata nelle sue diverse componenti, e nella mia trattazione ho scelto di dare priorità proprio a quella geopolitica: la pandemia si è inserita in un determinato contesto storico, facendo saltare equilibri già precari.
Quali sono le sue principali idee riguardanti la fase storica in cui ci troviamo, influenzata dal Covid-19?
- Details
- Hits: 2846
Ancora su Destra e Sinistra (riflessioni di un post-comunista)
di Andrea Zhok
Le righe che seguono riassumono un percorso recente nella consapevolezza politica, un percorso quasi ‘dialettico’, nel senso hegeliano del termine, un percorso vissuto dallo scrivente e, credo, in modo non troppo diverso da altri soggetti appartenenti alla tradizione post-comunista.
Provo qui a riassumerne i tratti di fondo.
1. Autocoscienza e crisi
Il punto di partenza di questo percorso è stata una lunga, frustrata e reiteratamente delusa militanza nella sinistra politica, in cui per anni, decenni, si è cercato indefessamente di vedere il bicchiere mezzo pieno, di interpretare posizioni sempre più astratte e indifendibili come se fossero errori passeggeri, distorsioni da cui si sarebbe potuto rientrare se solo si fosse insistito abbastanza.
Gli slittamenti gestaltici sono quei passaggi studiati dalla psicologia della percezione in cui d’un tratto, guardando una figura, vi si scopre una figura alternativa che conferisce nuovo senso all’immagine.
Nei confronti della storia della sinistra ad un certo punto per alcuni è avvenuto uno slittamento gestaltico. Dopo l’ennesimo tentativo di imporre i lineamenti della ‘vera’ sinistra a ciò che si configurava sempre di più come un’idra policefala, contraddittoria e irriconoscibile, qualcuno ha scoperto che quei tratti si prestavano ad una lettura completamente diversa. Una volta avvenuto questo slittamento gestaltico, tutto appariva in una luce differente e più chiara.
- Details
- Hits: 1460
La cancellazione del debito pubblico tra aspetti tecnici e questioni politiche
di Marcello Spanò
Con la recrudescenza della crisi pandemica in Europa si torna a parlare di politiche economiche eccezionali. Voci di corridoio riferiscono che starebbe circolando l’ipotesi che la BCE cancelli i debiti dei governi, almeno quelli aggiunti allo stock esistente fino al 2019 per fronteggiare la pandemia. Christine Lagarde smentisce e riafferma un principio cardine su cui l’intera zona euro è costruita, e che non è stato mai scalfito nemmeno nelle fasi più acute di difficoltà dei paesi membri del decennio scorso. Dichiara Lagarde: “Chiedere alla Bce di cancellare il debito pubblico sarebbe come chiedere di violare i trattati europei e penso che un punto su cui bisogna martellare di fronte a queste richieste è che i debiti vanno ripagati”. Il vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, si è recentemente sentito in dovere di ribadire il concetto espresso da Lagarde dopo che la proposta di cancellazione è stata rilanciata dal presidente del parlamento europeo David Sassoli.
La ferma smentita della BCE e la chiusura all’ipotesi di cancellazione del debito è forse politicamente e giuridicamente doverosa: difficilmente chi riveste il ruolo di governatore della BCE potrà ammettere pubblicamente di avere intenzione di violare i trattati e lo stesso statuto dell’istituzione nel cui nome sta parlando. Eppure, è almeno da quando ha inaugurato il primo quantitative easing (QE) (2015-18), ma direi anche dal 2012, che la BCE agisce in violazione del suo stesso statuto, il quale, ricordiamolo, fa esplicito divieto alla BCE di coprire con emissione di moneta i disavanzi dei governi nazionali su base regolare.
- Details
- Hits: 1644
Hosea Jaffe e il socialismo cinese bucharinista
di A. Vinco
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
I lettori di Sollevazione conoscono sicuramente H. Jaffe, tra i più brillanti e dotati economisti marxisti degli ultimi decenni, tradotto in italiano da Jaca Book. Jaffe, trotzkista e terzomondista, teorico raffinato della rivoluzione permanente e ininterrotta, morì nella più totale solitudine e nel dignitoso silenzio nel dicembre 2014, in Italia, a San Martino Valle Caudina nei pressi di Avellino. La sinistra marxista italiana, occidentalista e subimperialista, ha ignorato, passandolo sotto silenzio, il lascito di Jaffe. Jaffe ci potrebbe aiutare a dirimere una delle più controverse questioni di questi tempi, ossia la questione sulla natura sostanziale della Cina di Xi Jinping? Non lo sappiamo con certezza, possiamo avanzare ipotesi di lavoro, ma ci sembra comunque importante far conoscere ai lettori il suo pensiero in materia. Questo scritto vuole soprattutto essere un ricordo dell’economista sudafricano scomparso da sei anni.
Non siamo sinceramente in grado di definire per ora il carattere di classe e la natura del sistema cinese. Lo stesso Deng, poco prima della morte, disse di aver messo in moto una sperimentazione “neo-socialista” (almeno a suo avviso) che non si trovava nei libri di Marx e Engels e che nemmeno la Nep di Lenin, a cui si era originariamente ispirato, gli poteva esser più d’aiuto per la sua evoluzione. La chiave di volta per la comprensione della Cina odierna è forse, sia questa una ipotesi di lavoro, nella teoria di Bucharin sull’economia nel periodo di trasformazione. Se così fosse il “socialismo con caratteristiche cinesi” di Deng si invera nella storia come una nuova forma di marxismo, riletto quest’ultimo paradigma alla luce della militanza teorica e pratica di Bucharin. Il miglior studio sul pensiero economico-politico di Bucharin rimane quello di Stephen Cohen. Casomai ci torneremo su in futuro.
- Details
- Hits: 1896
Il freno è tirato
di Gianfranco Marelli
Donatella Di Cesare, Virus sovrano? L’asfissia capitalista, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 61, 9,00 euro; Slavoj Žižek, Virus. Catastrofe e solidarietà, Ponte alle Grazie, Milano 2020, pp. 143, 7,99 euro; Giorgio Agamben, A che punto siamo? L’epidemia come politica, Quodlibet, Macerata 2020, pp. 57, 5,99 euro
“Non siamo né liberi né veri
se vero è ciò che esiste
libero ciò che si esprime”.
Giorgio Cesarano
1 – Sulla stessa barca
«Per la prima volta un essere invisibile e ignoto, quasi immateriale, ha paralizzato l’intera civiltà umana della tecnica. Non era mai avvenuto – e su scala planetaria. Vecchi dogmi sono stati polverizzati, salde certezze profondamente scosse. Tutto è già mutato: assiomi economici, equilibri geopolitici, forme di vita, realtà sociali» [Di Cesare]. Una constatazione assolutamente condivisibile, con l’aggiunta di un elemento che è mutato ed è in continua mutazione: il linguaggio. Anzi, possiamo osservare quanto il linguaggio sia il virus che radicalmente ha infettato il nostro modo di pensare e di comportarci al punto da proiettarci in uno spazio/tempo diverso dal tempo e dallo spazio cui prima eravamo soliti condurre il nostro tran-tran quotidiano.
Parole quali coronavirus, cluster, indice “Rt”, lockdown, distanziamento sociale, immunità di gregge, sono entrati nel nostro lessico corrente, trasformandolo al punto da conferire ai termini frequentemente utilizzati un significato più cogente: aria, libertà, salute, istruzione, cultura, politica, scienza, religione, guerra…
- Details
- Hits: 2661
In principio è la relazione: la meccanica quantistica di Carlo Rovelli
di Emilia Margoni
Parte ampia della fisica del Novecento è legata alle sorti di un gatto: confinato in una scatola, in pericolosa prossimità con un congegno mortale, attende il compiersi del proprio destino. Il suo futuro è legato a un fenomeno dal carattere ambiguo[1], che può tanto verificarsi quanto non verificarsi: il decadimento di una sostanza radioattiva, che potrebbe innescare la macchina mortale. Fuori dalla scatola, un pubblico di osservatori incerti e in attesa: ignari dell’evoluzione dei fatti, si chiedono se il fenomeno si sia verificato oppure no. Il gatto è morto o è vivo? O, nell’avviso di molti fisici, non può dirsi né vivo né morto? Sul criterio con cui orientarsi per rispondere a queste domande, il dibattito a quasi un secolo di distanza – ovvero quando nel 1935 Erwin Schrödinger lanciò l’ipotesi animalicida per indicare l’impasse della meccanica quantistica allorché applicata a sistemi fisici macroscopici – è ancora in corso. Sinora nessuno è riuscito a offrire una ricostruzione convincente delle circostanze, tale cioè da mettere tutti d’accordo sulle sorti dello sventurato felino. A chi volesse chiarirsi le idee sul perché questo esperimento mentale rappresenti il fulcro di una delle teorie più sofisticate della fisica teorica contemporanea gioverà addentrarsi nella lettura di un felice libretto di Carlo Rovelli.
A distanza di soli tre anni dalla pubblicazione de L’ordine del tempo (Adelphi, 2017), il noto fisico italiano torna alle stampe con Helgoland (Adelphi, 2020), accattivante lettura su un tema – la meccanica quantistica – tutt’ora al centro di un vivace dibattito. Anzitutto, una premessa. Sarebbe ingenuo intendere il testo come una ricostruzione storica accurata o un manuale divulgativo per non addetti ai lavori.
- Details
- Hits: 2553
Rileggendo «La libertà comunista»
di Mario Tronti
In questo saggio (pubblicato nel volume curato da G. Liguori, Galvano Della Volpe. Un altro marxismo, Edizioni Fahrenheit 451, Roma 2000), Mario Tronti riattraversa un libro straordinario, fin dal folgorante titolo che già pone con forza l’irrisolto nodo centrale: La libertà comunista. L’autore è appunto Galvano Della Volpe, figura di grande importanza nel percorso di formazione teorico-politica dello stesso Tronti e di altri giovani che poi avrebbero preso parte all’esperienza dell’operaismo politico italiano. Un filosofo politico, ci dice Tronti, dotato della «capacità e volontà di forzare il pensiero, di radicalizzare ed estremizzare le posizioni altrui e quella propria», con «un pensiero irto di spigoli, non conciliante, mirato a sorprendere, poco interessato a convincere, non ortodosso senza essere eretico». «Grande polemista, aristocraticamente isolato rispetto al senso comune intellettuale della sinistra del tempo», è stata una fonte a cui si è abbeverata una generazione di «giovani marxisti in formazione e militanti comunisti inquieti». La genealogia della radicale rilettura di Marx contro il marxismo, ovvero dell’operaismo, è passata anche di qui. E qui il pensiero radicale deve tornare a passare. [G. R.]
* * * *
Come si evince dal titolo del mio saggio, vorrei circoscrivere un argomento: prendere da un angolo acuto il discorso su Della Volpe politico, ovvero teorico, o filosofo, della politica. Il primo pregio del libro di cui mi occuperò è il suo splendido titolo. La libertà comunista: un problema del secolo, un grande tragico tema del Novecento.
- Details
- Hits: 2774
È la contraddizione che muove il mondo
di Vladimiro Giacchè
Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020
1. Una fine e un inizio
«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.
Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo.
- Details
- Hits: 2005
L’imperialismo multinazionale, fase “sublime” del capitalismo
di Gianfranco Pala*
Grave, difficile e pericolosa materia è questa
in cui il mio istituto mi mena,
e tale che io mi sarei ben volentieri astenuto d’entrarvi dentro,
se l’avessi potuto decentemente fare
[Ferdinando Galiani, Della moneta (Del frutto della moneta)]
Il mese di ottobre non si addice a Wall Street. Il grande crollo del 1929, la grande paura del 1987, il piccolo crollo del 1989, sono avvenuti tutti in ottobre. Noi non conosciamo la serie storica delle statistiche di borsa relative al primo mese d’autunno. Né ci interessa, e lasciamo volentieri che, in questo mondo di cabala, qualcun altro possa esaminarla. A noi, per la Contraddizione, basta studiare le cause strutturali di codesti fenomeni monetari. I pochi lettori che hanno seguito le nostre precedenti analisi non si saranno sorpresi affatto dello scoppio dell’ultima bolla di sapone speculativa “made in Usa”. Era stata annunciata, nella sua stessa effimera volatilità. Tutto secondo il copione e la regìa della grande finanza transnazionale. La conferma di ciò, tuttavia, non equivale a ridurre la questione a un semplice e banale contrattempo. Al contrario. Sono anni che, seguendo le analisi di Marx, indichiamo nella “sovraproduzione irrisolta su scala mondiale” la causa efficiente della perdurante crisi, non solo finanziaria, dell’imperialismo multinazionale. Gli stessi fenomeni di parvenza monetaria (inflazione, disinflazione, tassi di interesse e debito pubblico), a carattere nazionale, sono riconducibili tutti alle medesime determinanti connesse all’arresto del processo di accumulazione sul mercato mondiale. Anche quando, da altri, essi sono acutamente descritti nella loro immediata fattualità di cronaca e storia, noi li intendiamo sempre ascritti alle cause strutturali della sovraproduzione generale.
- Details
- Hits: 1366
Classe, lotta di classe e determinismo storico
di Michael Heinrich
Il testo che segue, è tratto dal libro di Michael Heinrich, "Critica dell'economia politica. Un'introduzione a Il Capitale di Marx", capitolo 10.3. Il capitolo 10, di cui questa parte è un estratto, costituisce la terza ed ultima parte del libro, e si intitola "Il feticismo delle relazioni borghesi"
Numerose correnti del marxismo tradizionale hanno compreso l'analisi di Marx come se si trattasse innanzitutto di una analisi di classe e della lotta tra borghesia e proletariato. Al giorno d'oggi, per la maggior parte dei conservatori e dei liberali attuali, i concetti di «classe», ed in particolare quello di «lotta di classe» sono «ideologici»; cosa che non vuole significare niente più se non che sono «non scientifici». Generalmente, di norma, questi concetti vengono utilizzati soprattutto a sinistra. Innanzitutto, è importante ricordare che il «discorso di classe» non è affatto specifico del contributo dato da Marx. Già da prima che lo facesse lui, gli storici borghesi parlavano di lotta di classe, e David Ricardo - quello che è stato il più importante rappresentante dell'economia politica classica - era arrivato addirittura a specificare come le tre più importanti classi delle società capitalistiche (capitalisti, proprietari fondiari e lavoratori) avessero degli interessi fondamentalmente opposti.
I concetti di classe e di lotta di classe costituiscono il nodo centrale delle argomentazioni di Marx nel Manifesto comunista (1848). [...]Ma è in una lettera scritta all'amico Weydemeyer che Marx riassunse tutto ciò che egli aveva individuato come costitutivo la natura del suo contributo alla teoria delle classi. Egli sottolinea di non aver in alcun modo scoperto l'esistenza delle classi, o della loro lotta:
« Per quanto mi riguarda, non compete a me il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna, né tanto meno la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, degli storiografi borghesi avevano illustrato lo sviluppo storico di questa lotta delle classi, e degli economisti borghesi avevano descritto la loro anatomia economica.
- Details
- Hits: 1840
La Modern Monetary Theory
Intervista a Marco Veronese Passarella
Con l’articolo Economia della dismisura di Christian Marazzi, abbiamo avviato il percorso che abbiamo definito «Governo della crisi» (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/pensare-il-transito). La seguente intervista, proseguendo nel solco tracciato dal testo di presentazione della rubrica, analizza gli strumenti messi in campo dalle istituzioni finanziarie e tratteggia le caratteristiche del nuovo corso che si sta imponendo, spiegando, in particolare, i capisaldi della Modern Monetary Theory, dottrina economica salita alla ribalta negli ultimi mesi. Marco Veronese Passarella è docente di macroeconomia presso la Leeds University e autore di articoli su riviste scientifiche internazionali, tra le quali il «Cambridge Journal of Economics», il «Journal of Economic Behavior & Organization» e il «Journal of Policy Modelling».
* * * *
La crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo ha determinato la revisione del paradigma neoliberista che ha guidato le politiche fiscali e monetarie negli ultimi decenni. L’iniezione di liquidità senza precedenti promossa dalle banche centrali coniugata con i provvedimenti presi dai governi nei mesi di pandemia, segnalano un cambiamento nella strategia complessiva di governo della crisi. Inoltre, sono gli stessi organi che in questi anni hanno dettato e imposto l’austerity e il contenimento del debito pubblico, oggi richiedono uno scarto: pensiamo, ad esempio, alle dichiarazioni di Kristina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, che ha invocato «una nuova Bretton Woods». Pensi che si possa definitivamente affermare che siamo davanti alla fine dell’egemonia neoliberale?
- Details
- Hits: 1481
Sinophobia Inc. Capire la “macchina” anti-cinese
di Giacomo Marchetti
Di seguito un testo del Qiao Collective
Gli USA sono uno “Stato castrense”, dove il complesso militare-industriale è uno dei principali blocchi di potere che governano il Paese, qualsiasi presidente venga eletto.
I grandi gruppi nord-americani del settore delle armi sviluppano una potente opera di lobby tesa ad orientare le decisioni politiche complessive e a forgiare – attraverso i media – un’opinione pubblica che promuova la difesa dei propri obbiettivi economici, camuffandoli da necessità difensive generali.
Non sorprende che il lavoro di lobbying del complesso militare-industriale venga camuffato da giornalismo d’inchiesta indipendente, come è ben descritto nell’articolo che qui abbiamo tradotto.
È chiaro che per fare questo bisogna identificare un nemico che costituisca una minaccia vitale all’american way of life, e far sì che questa minaccia venga percepita come “comune” da numerosi Paesi – in primis i propri alleati – verso cui si possano indirizzare i flussi d’esportazioni delle armi della propria industria bellica.
Senza capire la filiera produttiva bellica complessiva è difficile comprendere la catena di trasmissione della paura, che è il cuore della disinformazione strategica, leggermente più sofisticata della fake news che nutrono le differenti teorie “cospirazioniste”, bersaglio abituale della stampa sedicente liberal.
La politica estera statunitense è il risultato della sincronizzazione dell’agenda delle maggiori corporations – tra cui l’industria delle armi -, gli orientamenti del Deep State e l’establishment politico al governo, all’interno di un orizzonte strategico comune. Il quale può avere variazioni tattiche a seconda dell’amministrazione, ma che deve riprodurre il dominio imperiale a stelle-e-strisce ed una adeguata governance delle contraddizioni sociali interne.
- Details
- Hits: 4428
Pandemia di legge*
di Il Pedante
Occupandomi mesi fa su queste pagine di «lockdown», osservavo che nessun problema vero o presunto, semplice o difficile, sanitario o non sanitario, individuale o collettivo, può risolversi privandosi delle risorse necessarie alla sua soluzione. Rimarcavo allora, tra le altre cose, che per proteggere una comunità a rischio occorre mettere chi non è a rischio nella condizione di rendere effettiva quella tutela. Il caso di oggi non smentisce la regola e anzi la conferma a corollario di una più ampia legge naturale: se i più fragili sono esposti a un certo pericolo, la popolazione restante è chiamata ad attivarsi affinché godano di cure, protezione, reddito, supporto fisico e morale. Non a disattivarsi come predica la logica del «lockdown», che nel minare la capacità produttiva e la serenità di chi dovrebbe farsi carico dei vulnerabili, estende la vulnerabilità a tutti, moltiplica la quantità e la qualità del pericolo e rende impossibile la reazione.
Dopo avere scritto queste cose tutto sommato scontate, constatavo che la consapevolezza della contraddizione era ben più estesa di quanto immaginassi. A parte i pochi «esperti» che riuscivano a portarla sugli schermi televisivi, sempre più persone misuravano la sproporzione tra i danni anche ufficialmente circoscritti del problema e quelli invece universali della sua «medicina». Con il ritorno delle chiusure autunnali, grandi folle occupavano le piazze italiane per rivendicare il diritto di vivere del proprio lavoro e contribuire così al benessere, e perciò anche alla salute, della propria comunità. Non si trattava di posizioni eretiche o - qualunque cosa significhi - «negazioniste», se è vero che il 9 ottobre uno degli inviati speciali dell’OMS per l'emergenza Covid-19, David Nabarro, dichiarava in un videocast della rivista Spectator che
- Details
- Hits: 1810
Crisi del neoliberismo e della globalizzazione come manifestazione della crisi del capitalismo
I cambiamenti epocali del post pandemia
di Domenico Moro
La crisi del Covid-19 è la crisi più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale. Secondo Henry Kissinger, forse il più noto politico statunitense vivente e già segretario di stato sotto le presidenze di Nixon e Ford, nulla sarà come prima dopo la pandemia[1]. L’ordine mondiale, ereditato dalla fine della guerra fredda, è in disfacimento. Per questa ragione, i governi previdenti, quello degli Usa in testa, dovrebbero pensare agli assetti futuri globali mentre si occupano di contrastare la pandemia.
In effetti, la pandemia accelera tre tendenze che si manifestavano già da tempo. La prima è la crisi del capitalismo mondiale. La seconda è il mutamento dei rapporti di forza economici tra Occidente e Oriente, in particolare tra gli Usa e i maggiori Paesi dell’Europa occidentale, da una parte, e la Cina, dall’altra. La terza è la crisi del neoliberismo e del suo prodotto maggiore, la globalizzazione, già messa in discussione dalla crisi di egemonia degli Usa e dal crescente protezionismo statale nel commercio mondiale.
Mentre in Occidente ci si deve confrontare con una nuova ondata pandemica, il Covid in Cina sembra solo un ricordo, secondo quanto afferma Milano Finanza, che, al proposito, titola così l’edizione del 12 novembre: “Festeggiano solo i cinesi. Covid: in Italia il Natale è a rischio coprifuoco, nel paese asiatico è boom dei consumi”. Secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi), tra le prime dieci economie mondiali, solo la Cina nel 2020 fa registrare, per quanto modesta, una crescita del Pil a prezzi costanti (+1,85%), mentre gli Usa fanno registrare un calo consistente (-4,27%) e l’area euro fa ancora peggio, con la Germania che scende al -5,98%, la Francia al -9,75% e l’Italia al -10,64%.
- Details
- Hits: 1922
Nove anni fa il golpe dell’Europa contro Berlusconi
di Thomas Fazi
Oggi ricorre il nono anniversario di una delle pagine più buie della moderna storia italiana ed europea: l’insediamento del governo tecnico di Mario Monti a seguito del “golpe bianco” della BCE contro il governo Berlusconi. Purtroppo, come per tante delle trame oscure che hanno costellato la storia del nostro martoriato paese, è un episodio che molti ancora oggi fanno fatica a mettere a fuoco. Vediamo dunque di ricostruire per sommi capi gli eventi di quelle fatidiche settimane di nove anni fa.
È l’estate del 2011. Il paese è nel pieno della furia speculativa contro i titoli di Stato italiani. Ad agosto, un clima politico già surriscaldato si arroventa ulteriormente quando viene fatto trapelare sui giornali il contenuto di una lettera – in teoria destinata a rimanere segreta – inviata al governo italiano da Mario Draghi, che di lì a pochi mesi avrebbe assunto ufficialmente la carica di presidente della BCE, e dal suo predecessore Jean-Claude Trichet.
In essa, i vertici della BCE intimano al governo italiano «una profonda revisione della pubblica amministrazione», compresa «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali», «privatizzazioni su larga scala», «la riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la riduzione dei salari», «la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale», «criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità» e persino «riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali». Tutto ciò, si dice, al fine di «ripristinare la fiducia degli investitori».
- Details
- Hits: 2100
Per non dimenticare Costanzo Preve
di Salvatore Bravo
Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo. Non indossate l’abito del «Politically correct». Serve a necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera
Politicamente corretto
Ogni organizzazione sociale ha le sue interdizioni: senza di esse non vi è comunità che regga. Il capitalismo assoluto cela le sue interdizioni pur rappresentandosi come la società più libera che la storia umana abbia conosciuto.
Il politicamente corretto è il dispositivo interdittivo del capitalismo assoluto.
Per necrotizzare il concetto e sostituirlo con la chiacchiera si opera secondo modalità plurali. La chiacchiera è il distrattore di massa del capitale: l’etere è occupato dal continuo flusso di informazioni, e di gossip, che funzionano per distrarre i popoli, che si vogliono plebi, dalla durezza del reale e trasportarlo in un mondo onirico di desideri e sogni derealizzanti. La chiacchiera è la nuova religione del capitalismo assoluto, religione nichilista in cui mediocri personaggi di nessun talento raccontano il loro privato. Il dispositivo opera per sostituire il concetto (Begriff) con la chiacchiera (Gerede). I santi, i letterati e gli scienziati che nella fase precedente del capitalismo erano i modelli dialettici e critici del capitalismo, sono sostituiti dalla mediocrità dei narcisi dello spettacolo, dai loro racconti “tutti simili” come le loro fisicità e che convergono sulla cultura del privato e dell’indifferenza verso il pubblico. Sono vere armi per veicolare il capitalismo assoluto nella forma infantile ed innocente del narcisismo incentrato sul corpo da esporre e della parola da annichilire. La differenza, e l’identità dialettica sono respinte, poiché qualsiasi intelligenza media può ben rendersi conto che le storie e le aspirazioni raccontate sono tutte “drammaticamente” eguali. L’attenzione è volta unicamente al proprio privato che riproduce mediante gli automatismi della chiacchiera i modelli socialmente imposti.
- Details
- Hits: 9359
A cosa serve l’epiteto «negazionista» e quale realtà contribuisce a nascondere
di Wu Ming
Video “virali” del tizio o della tizia che gliele canta ai «negazionisti»; titoloni sul pericolo «negazionisti»; invettive contro i «negazionisti»; satira sui «negazionisti», grasse risate! I «negazionisti» sono ovunque, ed è colpa loro se le cose vanno male. Ecco allora i nostri eroi, i prodi che li contrastano, gettando loro guanti di sfida: «Vengano in terapia intensiva, i negazionisti!»
Sono sfide a nessuno, invettive contro fantasmi, colpi sparati nella nebbia. Chi sarebbero i «negazionisti»? Sì, esistono frange secondo cui la pandemia sarebbe finta, ma sono ultraminoritarie. In genere, nemmeno chi è aperto a fantasie di complotto su Bill Gates, i vaccini e quant’altro nega che sia in corso una pandemia e che il virus uccida. E allora di chi si sta parlando?
Il termine «negazionista» ha ormai una storia pluridecennale. Coniato negli anni Ottanta per definire personaggi come David Irving, Robert Faurisson o Carlo Mattogno, secondo i quali nei lager nazisti non sarebbero esistite camere a gas né sarebbe avvenuto alcuno sterminio sistematico di ebrei e altri prigionieri, in seguito è stato esteso a sempre più ambiti, diventando un’arma nelle culture wars del XXI secolo.
In Italia, negli ultimi quindici anni, se n’è appropriata la destra per accusare di «negazionismo» chiunque smontasse le sue narrazioni – bufale storiche incentrate su fantasie di complotto antislave – sulle «foibe» e l’«Esodo istriano-dalmata». In quel modo, mentre una narrazione risalente al collaborazionismo filonazista diventava “storia di Stato” con l’istituzione del Giorno del Ricordo, la destra poteva fingere di occupare il “centro” del dibattito sulla memoria storica. In parole povere, poteva denunciare gli “opposti estremismi”: c’è chi nega la Shoah e c’è chi “nega le foibe”, stessa roba.
- Details
- Hits: 2453
L’ultrasinistra e il «partito storico» della rivoluzione
di Michele Garau
Le compagini e le tesi facenti capo al laboratorio magmatico della cosiddetta «critica radicale», affrontate a più riprese su «Qui e ora», sono riconducibili alla filiazione, filtrata e spuria, di quelle correnti del movimento operaio internazionale, sviluppatesi all’inizio del 900, che rispondono al nome di «ultrasinistra». Quando si parla dell’«ultrasinistra» si richiama, all’origine, una tassonomia vigente in seno alle posizioni del socialismo internazionale del primo 900: la destra era identificata con le tendenze scioviniste della socialdemocrazia tedesca, rappresentata da Ebert; il centro dall’orientamento riformista e gradualista di Kautsky; infine la sinistra corrispondeva al bolscevismo ed alla direzione di Lenin. Dentro questo quadro l’«ultrasinistra» si aggiunge ad indicare quelle frazioni, presenti soprattutto in Germania e in Olanda, che esprimevano un’opposizione di sinistra al leninismo nel suo insieme, come fenomeno teorico e pratico, in seno al movimento rivoluzionario e da principio nella «Terza Internazionale»[1].
Non è semplice ricostruire il profilo di tale corrente, in senso teorico ed ideologico, nella varietà delle sue espressioni e nel suo intreccio con l’esperienza storica dei tentativi rivoluzionari avvenuti, in Germania, durante la sequenza 1918-21, nonché con il suo successivo bilancio. Gli esponenti del «comunismo dei consigli» a partire da Hermann Gorter ed Anton Pannekoek, seppure intraprendano ben prima il proprio percorso, in particolare nel solco dei principi fondamentali della «scuola olandese»[2], elaborano in forma matura le loro tesi distintive proprio misurandosi con questi tentativi e con il loro lascito: si può dire che una formalizzazione compiuta del «Linkskommunsimus» come tendenza politica organizzata risalga alla famosa Lettera aperta la compagno Lenin di Gorter e alla fondazione del «KAPD» (Kommunistische Arbeiterpartei Deutschlands), nell’aprile del 1920.
- Details
- Hits: 2365
Il Papa del capitalismo
di Miguel Martinez
Il Forum Economico Mondiale sta al capitalismo all’incirca come il Vaticano sta alla chiesa cattolica.
E il signor Klaus Schwab sta al Forum, all’incirca come il Papa sta al Vaticano.
Siccome il capitalismo incide molto di più sulle nostre vite della Chiesa, è bene sapere cosa predica il signor Schwab.
Riprendiamo qui un articolo di Paul Cudenec, uscito su The Winter Oak.
Cudenec è dichiaratamene anarchico e il testo è fortemente politico e polemico, in una maniera che magari piacerà molto ad alcuni lettori e pochissimo ad altri; e divaga su molti temi, su cui si può essere o meno d’accordo.
Non importa: al di là delle opinioni polemiche di Cudenec, è il miglior riassunto attualmente esistente del pensiero di Schwab e quindi della filosofia che guida oggi le scelte di fondo delle principali imprese mondiali (per avere l’onore di finanziare il Forum, un’impresa deve avere un fatturato di almeno cinque miliardi di dollari l’anno).
Come al solito, traduzione Google, per mancanza di tempo: che eticamente ci fa sentire un po’ in colpa, ma ci sentiremmo ancora più in colpa a non far conoscere meglio il signor Schwab.
* * * *
Klaus Schwab e il suo grande reset fascista
di Paul Cudenec
Nato a Ravensburg nel 1938, Klaus Schwab è figlio della Germania di Adolf Hitler, un regime di stato di polizia costruito sulla paura e la violenza, sul lavaggio del cervello e sul controllo, sulla propaganda e le bugie, sull’industrialismo e l’eugenetica, sulla disumanizzazione e la “disinfezione”, sulla una visione agghiacciante e grandiosa di un “nuovo ordine” che sarebbe durato mille anni.
- Details
- Hits: 1277
Testimoni del nulla
di Cinzia Nachira
Testimoni del nulla (Edizioni Laterza Bari-Roma, ottobre 2020, pp. 145, 16 euro) di Domenico Quirico è un testo che si pone come bilancio del cambiamento cui abbiamo assistito in questi ultimi decenni del modo di approcciare i grandi temi sociali, politici e culturali che fino agli anni ottanta del ventesimo secolo erano quelli che hanno segnato i grandi momenti di svolta. Momenti che hanno avuto come protagonisti, malgrado limiti e contraddizioni, per molti versi nel ruolo di motori non immobili i grandi mezzi di informazione, i giornali soprattutto, che fino agli anni ottanta del secolo scorso non avevano solo un ruolo di “fornitori di notizie”, ma anche si sforzavano di offrire al lettore delle chiavi di lettura e interpretazione dei fatti che raccontavano. I giornali, come d’altronde i libri, avevano l’ambizione di suscitare in chi li leggeva dei sentimenti, fossero questi rabbia, indignazione o, al contrario, approvazione.
Da moltissimo tempo questo si è perso e non solo a causa dell’avvento soverchiante delle nuove tecnologie che nella nostra parte del mondo si pensa possano sostituire i cosiddetti “vecchi” strumenti per comprendere il mondo.
Ciò che colpisce nel leggere questo libro è di trovarsi davanti allo stesso tempo un bilancio di un’esperienza di vita personale e professionale, ma anche dei fallimenti collettivi che oggi più che mai sono sotto gli occhi di noi tutti. L’autore si pone una domanda di fondo: perché malgrado l’invivibilità di questo mondo per la maggioranza dei suoi abitanti ciò non suscita più ribellione contro i responsabili di questo stato di cose?
- Details
- Hits: 1722
Nelle tempeste d’acciaio della crisi. Il nazionalbolscevismo tra ieri e oggi
Recensione di Franco Milanesi
David Bernardini, Nazionalbolscevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa, Shake, Milano 2020
Sulla comprensione del significato storico e politologico del nazionalbolscevismo gravano due condizionamenti. Da una parte esso è oggetto di una sorta di damnatio memoriae da parte della sinistra di classe che fatica a prendere atto quanto l’internazionalismo proletario appartenga più alla tradizione ideologica marxiana e alla pubblicistica terzinternazionalista che alla storia effettuale dei movimenti di emancipazione. Percorrendo la storia del Novecento ci troviamo infatti di fronte a una frequente ed efficace attivazione dell’idea di nazione utilizzata come potenza mobilitante nel corso delle lotte di liberazione dal controllo e dal dominio di Stati stranieri, nei conflitti antiimperialisti, nella propaganda contro le borghesie che spadroneggiano nell’illimitato mercato-mondo. Anche nella fase di consolidamento degli stati socialisti, l’afflato internazionalista ha non di rado lasciato il posto al richiamo a forme di identità radicate nel fluido e ambiguo concetto di nazione (i lavori di Mosse, Wehler, Campi restano, sotto questo aspetto, punti di riferimento obbligati). La seconda ipoteca rimanda agli intrecci abborracciati tra neosovranismo, nazionalismo e comunismo che lo smottamento della cultura della sinistra ha lasciato come strascico melmoso dietro di sé. Con esiti spesso risibili e inquietanti non tanto sul piano del rigore teorico quanto su quello della strategia politica conseguente, non di rado orientata verso il suprematismo, il razzismo o il vero e proprio neofascismo.
Per avvicinarsi alla comprensione dell’intricata storia dei gruppi, delle riviste e delle personalità che hanno innestato su tronco della nazione ulteriori motivi teorici, gli articoli e i saggi monografici di David Bernardini, giovane professore a contratto presso l’Università di Milano, rappresentano uno strumento indispensabile.
- Details
- Hits: 1311
Il potere del controllo sociale tra distopie e contro-azioni artistiche
Il corpo politico tra sorveglianza, paranoia e attivismo
di Silvia Cegalin
«Quello che ci sembra la nostra libera volontà – cioè i nostri desideri, la coscienza di voler fare quel che facciamo – può benissimo essere un’illusione».
(Philip Dick, Se vi pare che questo mondo sia brutto)
– Grande fratello & Stato di polizia: la sorveglianza come potere e fonte di paura
Siamo anche noi, dunque, come dichiara Philip Dick, esposti al rischio di vivere ripetute illusioni che ci ammaliano con versioni della realtà che non esistono? E il senso di libertà risulta essere più forte della libertà stessa? Per capire come si è giunti a questa indefinizione di ciò che ci circonda è necessario analizzare come il potere abbia agito sul substrato sociale odierno, forgiando le dinamiche in cui siamo inseriti e tessendo le chimere in cui crediamo.
Oggi il potere si muove in maniera subdola, adescandoci tramite ciò che Byung-Chul Han, in Che cos’è il potere?, definisce «la dittatura dell’ovvio», in quanto esso si incarna proprio in azioni e gesti di semplice quotidianità, attraverso abitudini che sono scontate e che, a causa della loro banalità, riescono a incorporare le costrizioni che sono vissute come libertà.
E la sorveglianza è uno tra gli aspetti centrali in cui le strategie di potere si realizzano, adottando pratiche mascherate e poco esplicite. In Servire e punire, Michel Foucault scrive che la sorveglianza è la caratteristica chiave per interpretare la modernità perché, attraverso l’equilibrio giocato tra il dominio e la violenza che genera norme e regole, le persone possono conformarsi al vivere sociale, atrofizzando così la loro parte irrazionale e istintuale, a favore di quella razionale; e nel caso contrario in cui non riescano a “controllarsi”, ecco che scatta l’esercizio punitivo, con la conseguente messa al bando in strutture di detenzione o ricovero.
Page 212 of 612
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
Carlo Lucchesi: Avete capito dove ci stanno portando?
Carlo Rovelli: Una rapina chiamata libertà
Agata Iacono: Cosa spaventa veramente del rapporto di Francesca Albanese
Barbara Spinelli: La “diplomafia” di Trump: i dazi
Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
Sergio Fontegher Bologna: L’assedio alle scuole, ai nostri cervelli
Giorgio Lonardi: Il Mainstream e l’omeopatia dell’orrore
Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Alessandro Volpi: Cosa non torna nella narrazione sulla forza dell’economia statunitense
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Emmanuel Todd: «Non sono filorusso, ma se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto