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Brevi note sulla sostenibilità sociale del sistema previdenziale pubblico in Italia
di Andrea Fumagalli*
In Italia, il sistema pensionistico pubblico è strutturato, seppur solo formalmente, secondo il criterio della ripartizione.
Ciò significa che i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa. Per far fronte al pagamento delle pensioni future, dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve.
È evidente che in un sistema così organizzato, il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve essere in equilibrio con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate).
In Italia, da un lato, il progressivo aumento della vita media della popolazione (fatto di per sé positivo, a meno che non si voglia ripristinare un “Monte Taigeto” di spartana memoria o una “rupe Tarpea” di latina memoria) ha fatto sì che si debbano pagare le pensioni per un tempo più lungo, dall’altro, il rallentamento della crescita economica ha frenato le entrate contributive.
Per far fronte a questa situazione, sono state attuate una serie di riforme tutte orientate a riportare in equilibrio contabile la spesa pensionistica:
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I mass media, Gramsci e la costruzione dell’uomo eterodiretto
di Paolo Ercolani
Nella realtà sociale, nonostante tutti i cambiamenti, il dominio dell’uomo sull’uomo è rimasto il continuum storico che collega la Ragione pre-tecnologica a quella tecnologica. (H. Marcuse1)
Con l’evoluzione della «società dello spettacolo» sta maturando il passaggio da una forma di dominio sui corpi a una sulle menti. L’individuo, sotto attacco nella sua sfera intellettiva, rischia di perderela capacità di agire consapevolmente e di essere soggetto della storia
Se uno degli ambiti di studio e azione più importanti della filosofia marxista è consistito nell’analisi delle forme di dominio del più forte sul più debole, la grande intuizione di Antonio Gramsci, e quindi uno dei suoi lasciti più fecondi, risiede nell’aver compreso come, con il Novecento, il terreno su cui si svolgevano – e si sarebbero svolte – le nuove forme di dominio non era più dato dal solo contesto strutturale, ma avrebbe interessato la sovrastruttura ideologica 2. In forme e con modalità certamente non osservabili (e quindi prevedibili) in tutta la loro potenzialità ai tempi del pensatore sardo, ma che sono sotto gli occhi di tutti nei giorni nostri in piena epoca di trionfo della società dello spettacolo, con i suoimeccanismi tecnologici annessi 3.Con l’elaborazione del nesso fra teoria e pratica,tra pensiero e azione, in buona sostanza tra filosofia e politica, Gramsci non soltanto superava quel marxismo meccanicistico che concentrava la propria attenzione sul solo momento strutturale (di contro al problema opposto rappresentato dall’Idealismo), ma poneva le basi per un recupero della centralità dell’uomo (e della sua dignità) come soggetto pensante e agente (inscindibili i due momenti) e, in quanto tale, soggetto consapevole e «creatore della sua storia» 4. All’interno di questo discorso si comprende l’intento gramsciano perché al nesso fra teoria e azione (o tra filosofia e politica) corrispondesse quello tra «intellettuali» e «semplici»: innanzitutto affinché i primi sapessero elaborare dei principi coerenti con i problemi che le masse si trovano a porre con la propria attività pratica, al fine di costituire un «movimentofilosofico» che non svolgesse «una cultura specializzata per ristretti gruppi di intellettuali», ma che fosse in grado di trovare nel contatto costante coi semplici «la sorgente dei problemi da studiare e risolvere». Soltanto in questo modo una filosofia si «depura» dagli «elementi intellettualistici» e si fa «vita» 5.
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La fine del mondo. Capitalismo e mutazione
Daniele Balicco
Nella manifattura la rivoluzione del modo di produzione prende come punto di partenza la forza-lavoro; nella grande industria il mezzo di lavoro. Occorre dunque indagare in primo luogo in che modo il mezzo di lavoro viene trasformato in macchina, oppure in che modo la macchina si distingue dallo strumento del lavoro artigiano. (Karl Marx, Il capitale)
Noi ci siamo occupati tanto a fondo del problema di sapere che cosa pensiamo da esserci dimenticati di chiederci che cosa la psiche inconscia pensi di noi. (Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli)
Il rito, ogni rito, è un condensato di storia e preistoria: è un nocciolo dalla struttura fine e complessa, è un enigma da risolvere; se risolto, ci aiuterà a risolvere altri enigmi che ci toccano più da vicino. (Primo Levi, Opere)
1. Realismo ingenuo
La cultura contemporanea occidentale immagina il proprio futuro con molta difficoltà. Non a caso la forma più comune di rappresentazione simbolica del futuro è la catastrofe. Naturalmente esistono ragioni oggettive che possono giustificare questo impulso simbolico autodistruttivo.
Prima fra tutte, la percezione fisica, percettiva, estetica della distruzione dell’ecosistema e della biosfera; ma, subito dopo, potremmo enumerare una serie di condizioni di pericolo a cui ci stiamo abituando a essere esposti, per lo meno a livello ipotetico: caos sociale, crisi economiche, povertà, violenza politica, guerre, terrorismo, se la nostra sensibilità è soprattutto storico politica; contaminazioni radioattive, manipolazioni genetiche, epidemie, avvelenamenti di massa, disastri tecnologici, se ci spaventano di più quelli che Ivan Illich avrebbe chiamato gli esiti contro-produttivi della produttività (cfr. Illich 1973). Anche solo l’elenco sommario di queste condizioni di pericolo mostra come, in questi ultimi decenni, la cultura occidentale abbia sperimentato, con intensità crescente, la crisi dell’idea di progresso, non tanto a livello teorico, quanto a livello percettivo-sensibile.
La società contemporanea trova però anche molto difficoltà a immaginare il passato. Da meno di vent’anni comunichiamo tutti con la posta elettronica.
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Supportare la resistenza, preparare l’offensiva
Dove sono i nostri
di Collettivo Clash City Workers
Incontro-dibattito sul libro Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell’Italia della crisi, Clash City Workers (La casa Usher, 2014) presso La casa in Movimento, Cologno Monzese (MI), 13 novembre 2015
Il progetto Clash City Workers nasce a Napoli nel 2009 e si diffonde a Roma, Firenze e Padova, in piccolo anche a Milano, Torino e Verona, dove si sono sviluppati dei nodi del collettivo Clash. Di base è nato dall’esigenza di trovarsi, dal fatto di essere sempre stati legati a livello ideologico a una visione della società che vede il lavoro al centro quantomeno del ragionamento politico, una visione che però non aveva gli strumenti adeguati per leggere la realtà che si trovava di fronte: andavamo davanti ai luoghi di lavoro a distribuire il volantino ma non riuscivamo a parlare con i lavoratori, ad avere con loro una relazione, proprio perché il nostro approccio era puramente ideologico. In più si aggiungeva la constatazione che quel lavoro che i media raccontavano non esistere più, o perlomeno essere confinato a una parte marginale delle nostre vite, di fatto lo vivevamo direttamente, o anche indirettamente perché disoccupati e studenti che si andavano a formare per poi inserirsi nel mercato del lavoro.
Eravamo di fronte quindi a una mancata considerazione di quel campo che è al centro sia della nostra esperienza individuale e collettiva sia, anche se in modo rovesciato, del discorso pubblico – se pensiamo a qual è il centro dell’operato del governo Renzi, iniziato con una riforma che, a parole, doveva garantire una maggiore occupazione e risolvere il problema del dualismo del mercato del lavoro, e si è tradotta in un un abbassamento generalizzato delle condizioni complessive, con i due passaggi del Jobs Act che prima ha peggiorato il dualismo con la semplificazione dei contratti a termine e poi ha messo in atto l’attacco più violento con l’abolizione dell’articolo 18.
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Il fordismo individualizzato e lo storytelling della sharing economy
di Lelio Demichelis
Non crediamo più a Babbo Natale e neppure alle sue renne, però crediamo alla rete, ai motori di ricerca, a Facebook e oggi anche alla sharing economy. Abbiamo creduto – e in molti lo credono ancora - che la rete fosse libera e democratica e magari anche un poco anarchica. Che si potessero fare le rivoluzioni via Facebook e via Twitter. Credendoci, abbiamo adottato senza accorgercene ma pieni di tecno-entusiasmo il nuovo dizionario che veniva proposto e imposto, necessario per la costruzione di una nuova lingua universale, omologante, pedagogica, a una sola dimensione (tecnica & economica), fatta per integrare tutti in rete, per diventare tutti capitalisti, competere contro tutti, crederci individui liberi e libertari, essere in una nuova era, in una nuova economia, in una vita tutta nuova.
Recentemente l’abbiamo definita come LII, Lingua Internet Imperii - attualizzando le riflessioni e il titolo del libro Lingua Tertii Imperii del filologo tedesco Victor Klemperer. Analisi di come il nazismo sia arrivato a conquistare il potere anche usando la parola e non solo la violenza, attivando un processo minuzioso, incessante e pervasivo di sostituzione del senso delle parole con quello dettato/richiesto dall’ideologia nazista, dando cioè alle parole un significato progressivamente diverso (e a farlo condividere) da quello che avevano per tradizione e per dizionario. Una trasformazione della lingua e del linguaggio utile/necessaria alla costruzione e poi alla accettazione di massa (il conformismo, oggi si chiama effetto rete) della nuova lingua del potere e alla introiezione da parte di ciascuno di ciò che il potere voleva (e che vuole oggi: la connessione di tutti con tutti e con la rete e con il mercato, ma tutti rigorosamente separati dagli altri, incapaci di fare società e di autonomia, ma attirati da tutto ciò che fa comunità).
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L’Italia è una repubblica fondata sull’inconsapevolezza
di Fant Bancario Precario
Ma una testa oggi che cos’è?
E che cos’è un nemico?
E una marcia oggi che cos’è?
E che cos’è una guerra?
Si marcia già in questa santa pace
con la divisa della festa.
Senza nemici né scarponi e
soprattutto senza testa!
Per l’Italia, il cambio di paradigma produttivo (l’entrata nel postfordismo) può essere fatto risalire al 1979 [meglio: alla c.d. legge Prodi n. 95 del 3 aprile 1979 (quante coincidenze)]. Da quel momento finanziarizzazione, derelizione del welfare, privatizzazione e mutazione del proletario in consumatore e produttore di se stesso, procedettero a tappe forzate.
In questo periodo (per quanto a mia conoscenza, e senza pretesa di esaustività) si sono susseguiti numerosi provvedimenti che – nella vulgata di consumatori-imprenditori-politicanti (tutti immancabilmente e falsamente) traditi – sono entrati nella (cattiva) coscienza comune come salva banche:
- la disciplina della fideiussione omnibus limitata nell’importo risale al 1992, che “salvò″ dalla nullità le fideiussioni di tale tipologia che non recavano indicazione del limite massimo garantito (indicazione oltre un decennio dopo, estesa dalla Cassazione alle lettere di patronage)
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Riflessioni antropologiche sulla violenza e sulla guerra
di Alessandra Ciattini
La guerra, da sempre, scandisce col suo tocco gelido l’intero percorso dell’umanità, disseminandolo di discriminazione, persecuzioni, barbarie, violenza, morte. Le motivazioni “umanitarie” dietro alle quali si celano gli spietati aggressori odierni, burattinai di una società occidentale stanca e lacerata, svelano con chiarezza quanto, per dirla col saggista Césaire, “una civiltà che gioca con i propri principi sia una civiltà moribonda”
La storia umana è un mattatoio
In una celebre pagina Hegel sviluppa una serie di considerazioni assai amare e tristi sulla vicenda storica umana, anche se poi – come è noto - riesce a trovare in essa un processo progressivo ed emancipatorio. Egli sottolinea l'universale transitorietà, che travolge Stati e individui, per opera della natura e della volontà umana; osserva che quadri terribili scaturiscono dalla riflessione sulla storia che possono suscitare in noi un profondo e inconsolabile cordoglio; conclude che, stante tale analisi complessiva e sconsolata, la storia umana può definirsi un mattatoio “in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli Stati, la virtù degli individui” [1]. Questa pagina di Hegel richiama alla mente un celebre sonetto del Belli, Er caffettiere filosofo, scritto nel 1833 (siamo, dunque, nella stessa fase storica anche se in un contesto differente), nel quale il poeta compara tristemente gli uomini ai chicchi del caffè che vengono inesorabilmente macinati e che, pertanto, sono tutti destinati trasformarsi in polvere, finendo annientati nella gola della morte, nonostante essi si spostino ed entrino in conflitto tra loro [2]. Il caffettiere si trasforma in filosofo perché, prendendo spunto dalla sua semplice e quotidiana attività, la cui descrizione sembra addirittura evocare l'aroma del caffè macinato, trova in essa una splendida metafora concreta con la quale rappresentare la disperante vicenda umana.
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È un attacco ai risparmi degli italiani
Così ha vinto la Germania di Schaeuble
R. Santilli intervista Vladimiro Giacchè
Lo schema di garanzia europea dei depositi bancari scompare dalle conclusioni dell'ultimo vertice Ue dei capi di Stato e di governo. E adesso la situazione per le banche italiane si complica ulteriormente
A fare il punto è l'economista Vladimiro Giacchè, autore, tra l'altro, di due testi molto conosciuti e apprezzati come "Anschluss - L'Annessione", e il recente "Costituzione italiana contro Trattati europei, il conflitto inevitabile".
Giacchè è presidente del Centro Europa Ricerche di Roma e collaboratore di Micromega e il Fatto Quotidiano.
"Ancora una volta - dice Giacché ad AbruzzoWeb - è stata data vinta al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, il quale aveva affermato che non avrebbe fatto passare la mutua garanzia dei depositi fra le banche europee. Questa è la ciliegina sulla torta di una unione bancaria che è stata costruita in un modo tale che non riduce, ma enfatizza le asimmetrie tra i sistemi bancari nazionali dell’Eurozona".
Il tutto mentre ancora non si placano le polemiche sul crack delle quattro piccole banche - Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti - da anni in grave difficoltà ma "miracolate" grazie al decreto "salva-banche" del governo italiano "aggrappato" alle regole europee.
"L'unione bancaria - spiega Giacchè - si fonda su tre pilastri: il primo è la sorveglianza della Banca centrale europea sulle banche europee, il secondo è il Resolution Mechanism, il sistema accentrato per la gestione delle crisi bancarie nei paesi aderenti all’area euro, e il terzo quello che avrebbe dovuto essere la mutua garanzia tra le banche a livello europee.
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Xylella: indagati gli esperti, stop alle eradicazioni
di Gaetano de Monte
Sequestrati dalla Procura di Lecce gli ulivi da abbattere. Dieci indagati tra dirigenti della Regione, docenti dell’Università di Bari e ricercatori del Cnr. Dovranno rispondere di: diffusione colposa di malattia delle piante; falso materiale e ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici; getto pericoloso di cose e deturpamento di bellezze naturali
Li hanno definiti, con spregio, visionari e santoni. Persino irresponsabili. Sono i cittadini, le associazioni ambientaliste e i comitati, che - sorti in ogni angolo della Puglia - da un anno a questa parte stanno conducendo una dura battaglia per contrastare il piano governativo che prevede l’eradicazione di migliaia di ulivi secolari. Blocchi stradali, presidi notturni, originali pratiche di disobbedienza civile, ricorsi al Tar, momenti di informazione e sensibilizzazione. È articolata e varia la grammatica della protesta sorta attorno alla cosiddetta emergenza xylella. E comprende anche esposti e denunce alla magistratura competente per territorio.
Poche ore fa è arrivato il primo pronunciamento della Procura di Lecce, che da mesi indaga sull’affaire xylella: “inerzie, imperizie e negligenze configurabili a carico degli organi istituzionalmente preposti alla gestione del fenomeno” scrivono il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e il sostituto Roberta Ricci motivando il decreto di 58 pagine con cui è stato disposto il sequestro preventivo di “tutte le piante di ulivo interessate da operazioni di rimozione immediata, previste in esecuzione del Piano degli interventi approvato dal capo del Dipartimento della Protezione civile e dal Commissario delegato”. Non solo.
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Lavoro bene comune: un manifesto
di Domenico Tambasco
L’età delle espulsioni inaugurata dalle dottrine neoliberiste ha nel Jobs Act la sua apoteosi, espressione della “legislazione delle espulsioni” applicata alla merce-lavoro. È tuttavia giunto il momento di contrastare questa brutale deriva, affermando con forza la centralità della teoria dei beni comuni anche nel lavoro. Un manifesto che, lontano dalle astratte teorizzazioni, può costituire il luogo di discussione per una radicale e rinnovata azione politico-sociale
Nel continuo ed incessante processo di estrazione di valore della merce-lavoro[1] imposto dalle dottrine gestionali neoliberiste, un ruolo fondamentale rivestono le tecniche di “espulsione” dei soggetti che, considerati inadatti al processo di feroce selezione del sistema o giunti all’ultimo anello della catena di transazioni organizzativo-produttive, sono brutalmente allontanati dal “sistema” (spesso con il sigillo della legge), scarnificati di ogni umanità.
Del resto, la nostra è “l’età dell’espulsione”[2], un periodo in cui “la spoliazione e la distruzione… l’immiserimento e l’esclusione di masse crescenti di persone che non hanno più valore come lavoratori e consumatori… possono essere considerate il tratto saliente del capitalismo avanzato della nostra epoca rispetto a quello tradizionale”[3].
Si tratta di “una terza, incipiente fase storica, caratterizzata dalle espulsioni delle persone dai progetti di vita, dall’accesso ai mezzi di sussistenza, dal contratto sociale, cardine delle democrazie liberali. Ben piu’ di un mero aumento della disuguaglianza e della povertà”[4].
L’espulsione, dunque, è la categoria concettuale che, icasticamente, meglio consente di rappresentare il metodo utilizzato dal “capitalismo avanzato” nello stoccaggio di “scarti” in proporzionale aumento rispetto ai frenetici ritmi di produzione; raffigura “a tutto tondo” l’integrale esclusione dal circuito economico e sociale.
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La Francia, l’Argentina, il Venezuela e noi
di Renato Caputo
Nuovi scenari e nuove sfide si aprono per la sinistra di classe in Italia alla luce delle recenti elezioni in Francia, Argentina e Venezuela. È necessario comprendere i limiti e gli errori, anche inconsapevoli, che hanno portato le sinistre di queste nazioni a delle sconfitte che avranno conseguenze nefaste sui loro paesi e più in generale sugli equilibri internazionali. La tragedia ha senso solo se si conclude con la catarsi, ossia con la capacità del pubblico, attraverso la compassione e il terrore dinanzi alla sconfitta dei personaggi in cui si impersona, di non ripeterne gli errori superandone i limiti
I risultati dei ballottaggi delle regionali francesi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, la destra radicale del Fronte nazionale non è riuscita a conquistare nessuna regione trovandosi dinanzi dove era più forte un fronte delle altre principali forze politiche in nome dei valori della Repubblica. La rotta della “sinistra” di governo è stata inoltre arginata in cinque macroregioni dalla ricostruzione dell’unità delle “sinistre”. In tal modo i valori repubblicani appaiono salvi, l’incubo che pareva mettere in discussione lo stesso processo di unificazione europea sembra esorcizzato. Così già prima dei ballottaggi anche in Italia si sono levate le voci dei sindaci eletti grazie all’unità delle “sinistre” che auspicano, per evitare il grave errore di una separazione fra “sinistra radicale” e “sinistra moderata”, che favorirebbe i populisti di destra, un’alleanza elettorale con il Pd. Tale soluzione è stata al momento scartata dai principali esponenti di “Sinistra italiana”, in quanto resa impraticabile dalla volontà di Renzi di rompere i ponti alla sua sinistra, per costruire con forze di destra il Partito della nazione. Ciò non toglie che, a loro avviso, quandunque e ovunque prevalga invece lo spirito del centro-sinistra sia necessario sfruttare l’occasione per rilanciare la prospettiva ulivista. A tale scopo vi sarebbe bisogno di costruire una “sinistra di governo”, che favorisca la ricostruzione dell’alleanza con la sinistra moderata e il centro democratico per sconfiggere anche in Italia i populismi.
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Terrorismo e guerra: conflitto di civiltà o strategia imperiale del caos?
di Lorenzo Dorato
E' ormai trascorso quasi un mese dagli attentati di Parigi! La distanza temporale consente di osservare con maggior lucidità i fatti e il contesto politico che li circonda.
La forza dell'evento è stata con tutta evidenza enorme, sia per la sua estrema brutalità oggettiva, sia per la gigantesca enfasi mediatica dedicata cui si accompagna l'alto livello di allerta esasperato in queste settimane dalle autorità politiche di molti paesi europei.
A ciò si è aggiunta la concatenazione convulsa e contraddittoria di reazioni internazionali e più di recente il cruento episodio della strage di San Bernardino in California dai contorni ancora assai poco chiari.
Uno scenario confuso che lascia spiazzati e rivela il caos politico internazionale in cui da ormai molti anni siamo immersi.
In questi giorni è stato possibile misurare il tenore delle reazioni espresse dal governo francese e dai governi dei vari paesi europei e di tutto il mondo. Lo scenario internazionale che si sta delineando è decisamente fosco e vede simultaneamente apparenti azioni concertate da parte di un’immaginaria e retorica alleanza internazionale anti-terrorismo e la realtà di una guerra più o meno silente tra potenze giocata a colpi di provocazioni (la più clamorosa delle quali è stata sicuramente l’abbattimento dell’aereo russo da parte della contraerea turca).
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Ci siamo! Feld sull'esproprio (con backstage e un abbraccio ai veneti)
di Alberto Bagnai
(...pubblico al volo. Ci saranno refusi...)
L'intervista rilasciata oggi a Fubini (tanto nomini...) da Lars Feld chiarisce finalmente una volta per tutte qual è il bivio di fronte al quale siamo. Feld dice chiaro e tondo che dobbiamo rivolgerci alla Troika per ricapitalizzare le nostre banche.
Il ragionamento passa per alcuni semplici e prevedibili snodi:
1) le banche italiane sono in crisi ("restano correzioni da fare nei bilanci delle banche");
2) questi problemi devono essere risolti col bail-in perché così prevede l'Unione Bancaria (è il SRM, Single Resolution Mechanism, secondo pilastro dell'unione);
3) l'Unione Bancaria prevede anche un fondo di garanzia europeo (è l'EDIS, European Deposit Insurance Scheme), ma quello la Germania non lo vuole perché "sarebbe un modo di esternalizzare i problemi delle banche di certi paesi verso altri paesi" (leggi: i tedeschi non vogliono pagare);
4) resta quindi solo la strada del bail-in, leggi esproprio;
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Expo 2015. Lo spettacolo, il kitsch, la violenza
di Giovanna Cracco
“Il kitsch è la negazione assoluta della merda, in senso tanto letterale quanto figurato: il kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile.”
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere
L’Expo di Milano si è concluso. Prima dell’inaugurazione e durante l’apertura è stato criticato, seppur da una minoranza di persone e dell’opinione pubblica, da diverse angolazioni: le inchieste della magistratura per corruzione, la quantità di denaro pubblico speso, la gestione del lavoro, con la creazione della figura del ‘lavoratore volontario’. Dopo sei mesi, la chiusura ha registrato un trionfo di dichiarazioni positive, per il numero di biglietti staccati e la carrellata di ospiti illustri, politici e non, che nei 180 giorni hanno varcato l’ingresso, e la Rai non si è fatta mancare uno spot finale celebrativo.
Di fatto, Expo è stato politicamente, culturalmente e mediaticamente un successo: che i visitatori siano stati realmente 21,5 milioni oppure meno, che l’incasso della vendita dei biglietti abbia davvero coperto i costi o prodotto una perdita, non ha importanza. Una enorme massa di persone ha innanzitutto deciso di andarci, e in secondo luogo ne è uscita, nella grande maggioranza, entusiasta. Ogni criticità legata all’Esposizione (che anche Paginauno ha espresso sulle sue pagine), ogni pensiero negativo opposto alla sua stessa realizzazione, sul piano valoriale o economico, sono stati spazzati via dal consenso che ha raccolto.
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Jobs Act: cronaca di un fallimento annunciato
Valeria Cirillo, Dario Guarascio, Marta Fana
Gli incentivi monetari forniti alle imprese non si sono concretizzati in nuova occupazione a tempo indeterminato, ma hanno piuttosto favorito la trasformazione di contratti temporanei in contratti ‘permanenti’
Come risposta alla crisi del 2008, le economie della periferia europea hanno adottato politiche deflattive con l’obiettivo di recuperare competitività e far ripartire crescita ed occupazione. Il tutto in completa ottemperanza ai dettami della visione neoliberista che egemonizza l’agenda di politica economia europea. In Italia, la legge 183 del 2014, evocativamente denominata ‘Jobs Act’, ha svolto un ruolo chiave determinando uno storico cambiamento nell’equilibrio delle relazioni industriali. Portando a completamento il percorso di riforma cominciato all’inizio degli anni 90, il Jobs Act ha sancito un definitivo livellamento verso il basso delle tutele dei lavoratori. Le più rilevanti modifiche introdotte dalla legge riguardano: i) l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale a ‘tempo indeterminato’, pensata per divenire la forma prevalente nel sistema italiano, che elimina ogni obbligo di reintegro del lavoratore nel caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (tranne nei casi di dimostrata discriminazione o di licenziamento comunicato oralmente); ii) l’introduzione della videosorveglianza per mezzo di dispositivi elettronici – misura che ha dato adito a forti polemiche circa la violazione della privacy e delle libertà individuali; iii) la completa liberalizzazione dell’uso dei contratti atipici.
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Le vere cause della crisi delle Banche Popolari
Domenico Moro e Marco Rosati
La tragica vicenda del pensionato suicida di Civitavecchia e la disperazione di centinaia di obbligazionisti delle quattro banche (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di Risparmio di Chieti) che, a seguito del Decreto “Salva Banche “ del Governo Renzi, hanno visto azzerati i loro risparmi costituiti da obbligazioni subordinate, hanno suscitato un forte dibattito politico ed economico. In assenza di una analisi più approfondita tale dibattito rischia di rimanere schiacciato nella cronaca mediatica e nella polemica funzionale alla Lega di Salvini, che, non a caso, ha immediatamente organizzato una manifestazione ad Arezzo, sede della Banca Etruria, a difesa dei risparmiatori danneggiati. Questa vicenda, a nostro avviso, non parla solo di speculazione finanziaria o di comportamenti perseguibili penalmente, ma soprattutto dei profondi cambiamenti che interessano ed interesseranno il sistema bancario italiano ed europeo da qui al 2019, data di nascita di quella Capital Market Union che è un altro pilastro della integrazione valutaria, economica e finanziaria dell'area Euro.
A maggio del 2015, nelle sue Considerazioni finali il Governatore di Banca d'Italia elencava chiaramente i cambiamenti epocali a cui sarebbe andato incontro il sistema bancario e finanziario italiano: dall'accelerazione delle aggregazioni delle banche popolari e di credito cooperativo, alla nascita di una o più bad bank per la gestione dei crediti deteriorati o in sofferenza, stimati in circa 350mld di euro; dalla velocizzazione delle procedure di recupero dei crediti, alla nuova funzione finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti (che ricordiamo utilizza il risparmio postale) e infine al meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, il cosiddetto Bail-in, appunto.
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Il nemico non è più astratto
di Sandro Chignola
«La guerra d’aggressione come crimine internazionale»: è il libro uscito postumo di Carl Schmitt. Edito in Italia dal Mulino, nasce dal parere che il giurista scrisse su richiesta dell’industriale Flick, uno dei principali esponenti economici del regime nazista
Si dice che solo dal punto di vista di chi sia sconfitto sia dato comprendere i processi di lunga durata. Solo chi abbia perso tutto si volge all’onda che lo ha travolto cercando di scorgerne le profondità e di identificarne i ritmi e le correnti. Non è il respiro breve del vincitore, inebriato del presente della conquista, quello capace di confrontarsi con i tempi dilatati della storia. Reinhart Koselleck, la cui biografia annovera anni di prigionia in Urss dopo lo sbandamento della Wehrmacht, ha scritto pagine importanti a questo proposito.
Uno dei suoi maestri, Carl Schmitt, è nel 1945 uno di questi sconfitti assoluti. Da tempo in rotta con il nazismo, cui imputa di aver approfondito il solco tra legalità e legittimità per aver ridotto il diritto a «un’arma velenosa» nelle mani del Partito, preda di una quotidiantà estremamente difficile – non riceve da mesi lo stipendio, vive in una Berlino devastata dai bombardamenti, subisce un primo arresto da parte dei militari sovietici -, si definisce allora, non senza una certa auto accondiscendenza, «annientato e calpestato» come «lo sconfitto della guerra giusta degli altri». I suoi interessi teorici si sono spostati sul terreno del diritto internazionale. Da mesi sta portando avanti la stesura del Nomos della terra. Rimane comunque un grande professore di diritto.
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La nemesi migratoria
di Dino Raiteri
Il fatto nuovo circa gli ormai decennali flussi di migranti e rifugiati sta nell’essersi trasformati in vero e proprio esodo. Ad un certo punto è esploso un impulso collettivo verso un determinato obiettivo, come quando, ad esempio, una popolazione, prima passiva insorge tutta insieme, contro una certa situazione. Qui l’impulso è di fuggire da qualcosa, guerra, miseria o, semplicemente, vita quotidiana che non si vuol più vivere nel luogo d’origine: la guerra in Siria non è scoppiata ieri, né i migranti dal Mediterraneo o dalle porte orientali dell’Europa sono apparsi ieri. Ma oggi ha preso corpo un’ansia(quasi una frenesia) corale: verso l’Europa e il suo nord, terra promessa! Da pochi mesi un’improvvisa fiumana di Siriani si sta riversando in Europa. I movimenti sono caotici(gli stati e le varie organizzazioni internazionali paiono impotenti) e non si trova nessun Mosè a guidare l’esodo. C’è poi spazio per dietrologie? Ad es. la fiumana dei Siriani è manovrata da qualcuno? Fantasie? Come sempre lo rivelerà la storia.
Lasciamo stare il ruolo miserevole dell’Europa in questi ultimi anni, connotato da provvedimenti campanilistici, decisioni “Europee” confuse, accordi operativi controversi e di incerta efficacia(non si è stati in grado approntare, questo già da tempo, campi Europei di accoglienza alle frontiere del nostro continente ove far sostare in modo decente i migranti per controllarli e smistarli), paura di affrontare l’organizzazione dei trafficanti di esseri umani(non parliamo di affrontar l'Isis attestato in Libia; forse si arriverà, al massimo, a un accordo per far instaurare là un improbabile governo unitario). Evidentemente l’Europa non è una grande potenza: meno male che non ha forti nemici, altrimenti rischierebbe di venir conquistata!
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Arrigo Cervetto a cinquant'anni dalla nascita di Lotta Comunista
Attilio Folliero intervista Dante Lepore
Cinquant'anni fa, nel dicembre del 1965, usciva il primo numero di Lotta Comunista, l'organo ufficiale dell'omonimo partito fondato da Arrigo Cervetto assieme a Lorenzo Parodi. Per parlare di Arrigo Cervetto, delle sue idee, della concezione del partito abbiamo intervistato Dante Lepore, che per anni è stato militante di Lotta Comunista; ha conoscito Arrigo Cervetto e collaborato con lui nella fondazione della sede torinese di Lotta Comunista.
Ricordiamo che Arrigo Cervetto T nato a Buenos Aires, Argentina, il 16 aprile del 1927 ed è morto a Savona il 23 Febbraio 1995. Nella foto a lato, Arrigo Cervetto durante la partecipazione alla Terza Conferenza Nazionale dei GAAP, svoltasi a Livorno il 26 e 27 settembre 1953.
D. Il Partito, la formazione del partito del proletariato, del partito di classe è uno degli aspetti fondamentali del marxismo. Arrigo Cervetto ha affrontato tale questione. Qual è la concezione del partito in Arrigo Cervetto?
R. Questa domanda, pur nell’apparente semplicità, è complessa, dato che riconduce alla genesi e maturazione di un problema, quello del partito di classe, che non è una mera astrazione concettuale e mai era stato precedentemente posto allo stesso modo e che lo stesso Cervetto dovette sviluppare in una complessa vicenda storica.
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Ttip e Tppa: accerchiare la Cina
di Maurizio Brignoli
Viaggio nella crisi. Parte VIII. Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo
Accordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds
Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa, Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di scontro con la Cina.
Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi multinazionali.
Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono riassumibili fondamentalmente in tre punti principali:
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Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà
Washington e Londra tifano per una nuova Somalia
di Federico Dezzani
Nel resort marocchino di Skhirat è stato firmato il 17 dicembre l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico: il documento, non ratificato dai parlamenti di Tobruk e di Tripoli ha il valore della carta straccia ed il nuovo esecutivo patrocinato dagli angloamericani attraverso l’ONU ha l’unico scopo di chiedere un intervento militare internazionale in Libia. Washington e Londra non hanno alcun desiderio di pacificare il Paese e lavorano per la propagazione dell’ISIS nell’intero Nord Africa: come in Siria, Ankara e Doha collaborano introducendo i miliziani e contrabbandando petrolio. Solo l’Egitto e la Russia hanno l’interesse ad evitare l’implosione dell’ex-colonia italiana, mentre una coalizione internazionale a guida ONU la trasformerebbe in una nuova Somalia.
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Un accordo di facciata, per coprire le vere intenzioni di Londra e Washington
Ha il sapore di una stanca riproposizione di un film già visto e rivisto, della messa in onda di un programma trito e ritrito, lo spettacolo proiettato il 17 dicembre nelle sale del resort di Skhirat, località balneare della Marocco bene: dopo mesi di estenuanti trattative è firmato l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico, presieduto dal premier Faiez Al-Serraj.
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Banche, credito e risparmio: l’Europa viola la Costituzione
di Alessandro Somma
Dopo l’unione monetaria, un’altra sciagura incombe sull’Europa: l’unione bancaria, il sistema unificato di vigilanza sulle banche nazionali.
Il suo avvio è stato preceduto lo scorso anno da una misura destinata a stimare lo stato di salute delle varie banche, a tal fine sottoposte a uno stress test. L’idea non era malvagia, giacché la speculazione finanziaria cui si sono dedicate, e tutt’ora si dedicano, costituisce una delle principali cause della drammatica crisi che stiamo vivendo. Stupisce però che l’Europa sia molto preoccupata della tenuta delle banche, ma nel contempo conduca politiche che portano al dissesto dei sistemi di sicurezza sociale, almeno altrettanto indispensabili a fronteggiare la crisi. Se quei sistemi fossero sottoposti a stress test, emergerebbe ciò che si vede a occhio nudo: che la perdita di posti di lavoro, incredibilmente affrontata con la precarizzazione e la svalutazione del lavoro, richiede di lenire la macelleria sociale con risorse decisamente più ambiziose di quelle contemplate dal culto dell’austerità.
Stupisce poi che, per fronteggiare la finanziarizzazione dell’economia, la politica richieda la solidità patrimoniale di chi la incalza, invece di vietare le pratiche che si reputano dannose. Evidentemente si sconta qui uno dei principali limiti ideologici del neoliberalismo, che non ammette ostacoli alla libertà di mercato, pensando che per tutelare i cittadini sia sufficiente imporre freddi standard qualitativi o meri obblighi informativi.
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Mario Mineo e il modo di produzione statuale
di Giovanni Di Benedetto
È probabile che le profonde contraddizioni interne al capitalismo precipiteranno l’intero pianeta in una crisi sempre più drammatica, segnata da un intensificarsi ulteriore di guerre, terrorismi, oppressione e sfruttamento. Gli sviluppi dell’aggressione militare in Medio Oriente per il controllo delle risorse energetiche e della guerra al terrorismo dell’Isis non promettono nulla di buono. La natura costituente della crisi, che sta originando una radicale riorganizzazione dei processi produttivi, è dimostrata dall’impossibilità, da parte degli interessi delle forze dominanti, a operare, a livello nazionale e internazionale, forme di mediazione sul terreno della redistribuzione della ricchezza sociale o della stessa gestione dei rapporti di potere economico e politico. D’altra parte, è pur vero che possono aprirsi, all’interno di questo scenario catastrofico, tenui spiragli alla critica al sistema capitalistico, sebbene i rischi di derive reazionarie e regressive (si veda il voto tributato a Marie Le Pen alle ultime elezioni regionali in Francia) non possano essere per nulla sottovalutati. A patto che, una volta elaborata l’analisi sulle cause della crisi economica e di civiltà, si sia in grado di avanzare un progetto alternativo di società capace di unificare i conflitti, le lotte e i numerosi focolai di rivolta per dare luogo a forme nuove e vitali di aggregazione sociale.
Si tratta allora di lavorare alla costruzione di un progetto razionale che prenda atto, in primo luogo, della necessità di uno sforzo conoscitivo, per così dire di lunga durata, con il fine di costruire un’ipotesi di lavoro che sappia proporre uno sbocco produttivo, da una prospettiva democratica e comunista, alla questione del che fare. E dunque, è ancora possibile pensare a un’uscita dal capitalismo e alla costruzione di formazioni sociali che possano vivere e realizzare un processo di transizione verso il socialismo? E se sì, non è forse doveroso porre come condizione preliminare quella di riconoscere, senza per questo ricadere in attese messianiche come quelle in auge ai tempi della Seconda Internazionale, che questa urgenza deve essere un’ipotesi strategica capace di interessare tutta un’epoca storica? Gli scritti teorici di Mario Mineo (1920-1987), intellettuale di vaglia del panorama politico siciliano e palermitano della seconda metà del Novecento, si rivelano, da questo punto di vista, di inaspettata attualità.
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La remontada di Podemos
La sfida della radicalità democratica e plurinazionale
di Andrea Moresco
Alla fine la remontada che si respirava e invocava da settimane c’è stata. Il verdetto uscito ieri delle urne di tutta Spagna ci consegna una parziale ma decisiva remontada da parte di Podemos, che supera il 20% dei voti totali ma non il PSOE (22,11%), raggiungendo soltanto uno dei due obiettivi che la rincorsa delle ultime settimane poteva porsi e ritrovandosi così un gradino sotto alla tradizionale forza di centro-sinistra nella trattativa – improbabile – per un eventuale governo di coalizione con gli stessi socialisti. D’altra parte, la significativa attestazione elettorale della formazione guidata da Pablo Iglesias è a tutti gli effetti decisiva nel sancire la fine del bipartitismo e dei meccanismi della rappresentanza tradizionale che caratterizzano la Spagna dal ’78 ad oggi. Se il PP (Partito Popular) e PSOE vorranno ora governare potranno farlo solo con un governo di larghe intese, magari comprensivo di un appoggio più esteso al centro, per esempio di Ciudadanos, sulla scia di quanto accaduto in Italia nel febbraio 2013: un’opzione sicuramente da “ultima spiaggia”, dato l’esplicito rifiuto di questa possibilità dichiarato in campagna elettorale da ambo, ma ad oggi quanto meno valutata da fazioni dell’uno e dell’altro partito – a patto che Mariano Rajoy sia disposto a lasciare alla guida di un governo di Grosse Koalition la sua attuale vice-presidente Sorana Saez de Santamaria. E’ Podemos e non Ciudadanos a segnare la crisi definitiva della “vecchia politica” spagnola e metterne a nudo la comune vocazione neoliberale mascherata dalla chimera della stabilità nazionale: la riforma della legge elettorale, l’indiscutibile appartenenza della Catalogna alla Spagna, il rigoroso rispetto dei vincoli di bilancio europei e il sostegno nella guerra anti-IS sarebbero i punti d’incontro per un governo di transizione a larghe intese.
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La grande tranvata
La vera Europa dei veri trasferimenti al tempo dell'Unione Bancaria
di Quarantotto
1. Oggi ho comprato il FQ per leggermi l'articolo di Alberto Bagnai sul salvataggio delle ormai famose "4 banche".
Con l'occasione, nello sfogliare, con un comprensibile filo di angoscia, le pagine del giornale, mi sono imbattuto in un articolo che rappresenta il complemento del pezzo di Alberto, in quanto prospetta lo scenario molto più ampio del nostro futuro all'interno dell'Unione bancaria. Cioè, ben al di là delle "4-banche-4".
Di questo scenario abbiamo ampiamente parlato qui e qui (almeno...).
L'articolo in questione, non casualmente, è di Marco Palombi (pag.5): un giornalista fra i meno versati nella tiritera autorazzista e moralista che tende a nascondere, in tutti i modi, le assolutamente prevalenti cause euro-necessitate dell'attuale (strisciante e innescata) crisi bancaria diffusa.
Questa, come è utile sempre ripetere, è determinata dalla contrazione ("distruzione montiana"), per via di politiche fiscali €uroimposte, della domanda interna, e dalle conseguenti insolvenze nell'economia "reale",effettivamente alla base dell'attuale prospettiva di crisi sistemica bancaria, da sanare, appunto, con il bail-in (a carico nostro).
2. L'articolo di Palombi è "eloquente" perchè, in essenza, si limita a riportare (criticamente) alcuni significativi passaggi dell'audizione di Carmelo Barbagallo alla commissione finanze della Camera, svoltasi lo scorso 9 dicembre.
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