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Crisi ucraina, la guerra più scontata della storia
di Matteo Bortolon
Numerosi esperti di strategia, diplomatici e figure politiche aveva previsto la strada verso il precipizio delle politiche occidentali verso l’Ucrania, eppure non si è cambiato strada.
La cosa più affascinante della guerra in Ucraina è il gran numero di grandi pensatori di strategia che hanno lanciato avvertimenti per anni che sarebbe arrivata se avessimo continuato sulla stessa strada. Nessuno li ha ascoltati ed eccoci qui.
Il primo è George Kennan, probabilmente il più grande stratega di politica estera americano, l’architetto della strategia americana della guerra fredda. Già nel 1998 aveva avvertito che l’espansione della NATO era un “tragico errore” che alla fine avrebbe potuto provocare una “reazione negativa da parte della Russia”:
«Penso che sia l’inizio di una nuova guerra fredda. Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro. Questa espansione farebbe rivoltare nelle loro tombe i Padri Fondatori di questo paese. Ci siamo formalmente impegnati a proteggere un insieme di paesi anche senza averne i mezzi o una seria intenzione di farlo davvero. [L’allargamento della NATO] è stata solo un atto spensierato da parte di un Senato che non ha reale interesse alla politica estera. Quello che mi infastidisce è quanto sia stato superficiale e mal informato l’intero dibattito al Senato. Sono stato particolarmente infastidito dai riferimenti alla Russia come un paese che muore dalla voglia di attaccare l’Europa occidentale.
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L’alba di tutto, ovvero: non siamo mai stati stupidi
di Lorenzo Velotti
Un giorno d’ottobre 2018, in una Londra decisamente già troppo invernale, entravo nervoso in una classe stracolma. Anche ai lati, per terra, gli spazi scarseggiavano. Riuscii a sedermi per terra, quasi sotto un banco. Il professore, David Graeber, che vedevo in quel momento per la prima volta, era impegnato a scrivere sulla lavagna: “Rousseau; Hobbes; De Lahontan; Kandiaronk…”. Si girò e ci rassicurò: avrebbe chiesto all’amministrazione una classe più grande. Poi cominciò la lezione, con un po’ di studenti costretti a seguire da fuori, sbirciando dalla porta aperta. Fu la prima lezione del corso “Antropologia e Storia Globale”, che si tenne solo quell’anno e del quale gran parte dei contenuti erano relativi al libro che, ci rivelò, stava scrivendo con l’archeologo David Wengrow. Il corso si interrogava sulla relazione tra antropologia e storia, e culminava con le domande: “In che modo la storia è consapevolmente prodotta da chi ne partecipa? Secondo quali dinamiche la potenziale inquadratura narrativa degli eventi diventa un elemento chiave in politica o, addirittura, l’aspetto decisivo dell’azione politica stessa?”
Ora, queste non sono, almeno esplicitamente, le domande che pone il libro L’alba di tutto. Una nuova storia dell’umanità (Rizzoli 2022), che Wengrow e Graeber finirono di scrivere soltanto una settimana prima della prematura morte di quest’ultimo (avvenuta a Venezia nel settembre 2020). Tuttavia, sono domande particolarmente utili da cui partire per cogliere gli aspetti fondamentali di questa ricerca. Infatti, nonostante i sospetti postmoderni nei confronti delle metanarrative, queste ultime sembrano aver costituito, da sempre, un elemento fondamentale nell’intreccio tra storia e azione politica.
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La sinistra petalosa ed euroliberista fomenta la guerra dal salotto di casa
di Nico Maccentelli
Tra gatti russi “rimbalzati” a mostre feline, direttori d’orchestra russi a cui viene imposta abiura sull’operato dei suoi connazionali e messe alla gogna di Dostoevskij come all’Università Milano Bicocca, stiamo assistendo a una campagna isterica antirussa che non si ferma alla sola critica dell’operato bellico delle classi dirigenti putin-dughiniane e oligarchiche ma si estende a una messa al bando culturale che ha tutto il sapore dei righi di libri di nazista memoria. E infatti se mettiamo in correlazione il sostegno che il PD con personaggi come Pittella e la Quartapelle hanno dato al regime di Kiev bypassando gli otto anni di atrocità ucraine in Donbass e i battaglioni nazisti, con queste purghe culturali dal sapore totalitario e hitleriano, il quadro che ne emerge è veramente inquietante per quei pochi spazi di democrazia che ancora permangono dopo due anni di censura e discriminazioni sulla popolazione italiana portate avanti con la gestione criminale e lucrosa della pandemia.
Devono farsene una ragione a sinistra: chi porta avanti con il massimo livore questo schema: espungere dalla nostra società tutto ciò che parla di Russia, non sono le destre, ma una sinistra euroliberista e falsamente dirittoumanitarista che si nasconde dietro le bandiere della pace e a paragoni demenziali sulla nostra Resistenza con la parte belligerante Ucraina per seguire pedissequamente la politica guerrafondaia della Casa Bianca. Infatti, è proprio in questa situazione che si dovrebbero aprire le porte del dialogo, per non scadere nell’escalation e per dare una chanche alla pace come cantava John Lennon. Insieme alla censura isterica vengono del tutto occultatele ragioni russe, che non sono poi così aliene dal buon senso.
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Pace o barbarie
Alba Vastano intervista Paolo Ferrero - Prc, Vice presidente Sinistra europea
Solo pochi giorni fa aleggiavano venti di rinnovato ottimismo per la fase discendente della pandemia e una prudente euforia per il ritorno alla normalità si andava diffondendo da persona a persona, di città in città. ‘La guerra imprevista contro il virus l’abbiamo vinta, per ora,- si vociferava- intanto ci riprendiamo la nostra vita, la nostra libertà’. Non sta andando così e il virus non è il motivo. Cambio di paradigma. Dal 24 febbraio stravolge la nostra vita un’altra guerra. Una guerra vera questa volta, fatta da uomini e con le armi. Una guerra prevista, perché scatenata dai fatti storici precedenti e dal mancato rispetto degli accordi risalenti al 2014 (Minsk) Una guerra scaturita dall’odio fra uomini che del potere ne hanno fatto la ragione della loro squallida e irresponsabile vita, provocando da molto tempo una reazione a catena di violenze e soprusi su popoli indifesi. Oggi, 77 anni dopo la fine del conflitto mondiale, siamo di nuovo sull’orlo del baratro. Ci salverà solo un forte movimento pacifista e l’uscire dal sonno delle ragione che, com’è noto, non può che generare mostri.
Dell’invasione dell’Ucraina, da parte di Putin, delle motivazioni di questo efferato gesto, della storia di lungo corso che c’è dietro, del pericolosissimo precipitare degli eventi da scongiurare avanzi e delle possibili soluzioni, ma anche del miracolo Cuba (nonostante il bloqueo) ce ne parla Paolo Ferrero, del partito della Rifondazione comunista e vicepresidente della Sinistra europea. Ѐ di ritorno da Cuba, dove ha potuto constatare come un Paese, sia pur sottoposto alla pressione imperialista da lungo tempo, ha mantenuto alto il livello di partecipazione popolare e della democrazia. Cuba, nel biennio che ha visto il mondo stravolto dalla pandemia, ha mostrato la sua vera anima basata sulla solidarietà fra i popoli e ha dato vita, grazie al progresso delle scienze biotecnologiche ad un vaccino che ha salvato l’intera comunità cubana. La parola a Paolo Ferrero.
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Guerra in Ucraina, invio di armi e propaganda
Intervista al gen. Fabio Mini
"Negoziare, finirla con il pensiero unico e la propaganda, aiutare l’Ucraina a ritrovare la ragione e la Russia ad uscire dal tunnel della sindrome da accerchiamento non con le chiacchiere ma con atti concreti." E' il pensiero di Fabio Mini, generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, già Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. "E quando la crisi sarà superata, sperando di essere ancora vivi, Italia ed Europa dovranno impegnarsi seriamente a conquistare quella autonomia, dignità e indipendenza strategica che garantisca la sicurezza europea a prescindere dagli interessi altrui", dichiara a l'AntiDiplomatico. E' stato scritto correttamente come le voci più sensate nel panorama della propaganda a senso unico siano quelle dei generali, di coloro che conoscono bene come pesare le parole in momenti come questi. Come l'AntiDiplomatico abbiamo avuto l'onore di poter intervistare uno dei più autorevoli.
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L'INTERVISTA
Dal Golfo di Tonchino alle armi di distruzione di massa in Iraq- e tornando anche molto indietro nella storia - Generale nel suo libro “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?” Lei riesce brillantemente a ricostruire i falsi che hanno determinato il pretesto per lo scoppio di diverse guerre. Qual è l’ipocrisia e il falso che si cela dietro il conflitto in corso in Ucraina?
Il falso è che la guerra sia cominciata con l’invasione russa dell’Ucraina. Questo in realtà è un atto nemmeno finale di una guerra tra Russia e Ucraina cominciata nel 2014 con l’insurrezione delle provincie del Donbas poi dichiaratesi indipendenti.
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Perché John Mearsheimer incolpa gli Stati Uniti per la crisi in Ucraina
Isaac Chotiner intervista John Mearsheimer
Il New Yorker pubblica un'intervista al prof. John Mearsheimer, politologo e studioso delle relazioni internazionali tra i più autorevoli e conosciuti nel suo campo, una assoluta autorità in materia, in cui lo studioso svolge una argomentata e severa critica alla politica estera americana degli ultimi decenni e più in generale dell'occidente, accusati di una pericolosa mancanza di realismo e di una grave miopia nei confronti del vero concorrente degli USA, che non è la Russia, ma la Cina
Il politologo John Mearsheimer afferma da anni che l'aggressione di Putin nei confronti dell'Ucraina è causata dall'intervento occidentale. Gli eventi recenti gli hanno fatto cambiare idea? Mearsheimer è stato uno dei più famosi critici della politica estera americana dalla fine della Guerra Fredda. Forse meglio conosciuto per il libro che ha scritto con Stephen Walt, "The Israel Lobby and US Foreign Policy", Mearsheimer è un sostenitore della politica delle grandi potenze, una scuola di relazioni internazionali realistiche che presume che, in un tentativo egoistico di preservare la sicurezza nazionale, gli stati agiranno in via preventiva per anticipare gli avversari. Per anni, Mearsheimer ha sostenuto che gli Stati Uniti, spingendo per espandere la Nato verso est e stabilendo relazioni amichevoli con l'Ucraina, hanno aumentato le probabilità di una guerra tra potenze nucleari e hanno gettato le basi per la posizione aggressiva di Vladimir Putin nei confronti dell'Ucraina. Infatti, nel 2014, dopo che la Russia ha annesso la Crimea, Mearsheimer ha scritto che "gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità per questa crisi".
L'attuale invasione dell'Ucraina ha rinnovato il dibattito di lunga data sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Sebbene molti critici di Putin abbiano sostenuto che avrebbe perseguito una politica estera aggressiva nei confronti delle ex repubbliche sovietiche indipendentemente dal coinvolgimento occidentale, Mearsheimer mantiene la sua posizione, secondo la quale gli Stati Uniti sono colpevoli di averlo provocato. Di recente ho parlato con Mearsheimer per telefono. Durante la nostra conversazione, che è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza, abbiamo discusso sul fatto se la guerra in corso avrebbe potuto essere evitata, se ha senso pensare alla Russia come a una potenza imperiale e quali sono i progetti di Putin sull'Ucraina.
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Si caelum digito tetigeris
Osservazioni sulla legittimità costituzionale degli obblighi vaccinali
di Alessandro Mangia*
Obbligo vaccinale e legittimità costituzionale: dalla tipologia di autorizzazione EMA all’indennizzo del danno, dall’interesse della collettività al diritto individuale, dalla sperimentazione all’irreversibilità della vaccinazione
1. Una precisazione e un punto di partenza
Per inquadrare adeguatamente le questioni relative alla possibilità di introdurre un obbligo vaccinale diretto, in sostituzione del meccanismo per misura equivalente previsto dal d. l. 6 agosto 2021 n. 111 (c.d. obbligo di Green Pass) (1) , è necessario, prima di tutto, muovere da una corretta ricostruzione della situazione di fatto sulla quale una disciplina del genere pretende di incidere.
E, trattandosi di una situazione in cui è determinante il ruolo degli accertamenti tecnici di settore, è necessario inquadrare la situazione alla luce delle conoscenze disponibili al momento: ciò che, nel discorso comune, viene genericamente espresso in termini di “rinvio alla ‘scienza’”.
La prima precisazione da fare è che il discorso giuridico non è il discorso comune. La ‘scienza’ di cui si è parlato fin troppo negli ultimi mesi è, in realtà, un sapere settoriale, caratterizzato da un suo specifico statuto metodologico, la cui applicazione produce risultati diffusi all’interno di una comunità di riferimento. E non altro (2).
Men che meno può essere oggetto di ‘fede’.
Si tratta di una precisazione sgradevole, ma necessaria, che tocca fare per riportare – almeno fra i giuristi – il discorso sui binari che gli sarebbero dovuti essere propri fin dall’inizio.
E mondarlo da connotazioni (precomprensioni) inquinanti (3). La fede riguarda – o, in un mondo normale, dovrebbe riguardare – qualcos’altro, che, comunque la si metta, esula (o trascende) il discorso razionale. Sicché, se collocata nel mondo del diritto, l’espressione ‘fede nella scienza’ rappresenta un ossimoro. O, al massimo, nel campo delle scienze psicologiche, un ottimo esempio di dissonanza cognitiva.
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Distruzione creatrice, sviluppo economico e decadenza
Un invito a rileggere davvero Schumpeter
di Stefano Lucarelli
1. Dinanzi all’esigenza di uscire dalla crisi economica successiva alla Pandemia, da più parti si è fatto riferimento alla teoria economica di Schumpeter e in particolare alla “distruzione creatrice”. Nel farlo però, si lascia intendere che Schumpeter sia un antesignano della teoria della crescita economica dominante. In queste note sosterrò che siamo piuttosto di fronte ad uno stravolgimento della visione schumpeteriana, a una re-interpretazione infedele dei concetti introdotti da Schumpeter. Un po’ come quando si riduce Adam Smith alla mano invisibile, senza peraltro averne compreso il significato originario[1]. Lo stesso trattamento viene riservato al concetto schumpeteriano di distruzione creatrice, dinanzi dall’esigenza innegabile di fare i conti con un cambio epocale. Cercherò inoltre di mostrare che la teoria dello sviluppo economico schumpeteriana non è riducibile ad una teoria dell’azione imprenditoriale, poiché da un lato essa è una particolare teoria monetaria della produzione, e dall’altro conduce a fare i conti con la stessa evoluzione del capitalismo. Infine, concluderò il mio discorso con alcune note relative al ruolo che la politica assume in una prospettiva schumpeteriana, distinguendo fra ciò che Schumpeter scrive e ciò che invece sostengono gli studiosi che hanno aperto delle linee di ricerca innovative a partire dall’opera schumpeteriana.
2. Il concetto di distruzione creatrice di cui tanto si è parlato a seguito del rapporto sulle politiche post-Covid del Gruppo dei Trenta (il think tank, fondato su iniziativa della Rockefeller Foundation nel 1978)[2] è stato declinato in una prospettiva poveramente darwinista. Si è detto che i governi non dovrebbero sprecare soldi per sostenere le aziende che sono destinate al fallimento, le “aziende zombie”, ma dovrebbero assecondare la “distruzione creatrice” del libero mercato, lasciando queste aziende al loro destino e favorendo lo spostamento dei lavoratori verso le imprese virtuose che continueranno a essere redditizie e che si svilupperanno dopo la crisi.
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Romano Prodi, Segolène Royal, Henri Kissinger: Ecco perché hanno ragione
I “Putin-Versteher” che hanno spiegato le ragioni del conflitto in Ucraina
di Zeno Casella
Agenti di Putin, giustificazionisti, fiancheggiatori, complici del nemico, “Putin-Versteher”. Gli appellativi attribuiti dalla stampa e dagli “intellettuali” occidentali a chi esce dal coro del mainstream atlantista in merito al conflitto in Ucraina sono numerosi e vengono distribuiti ad ampie mani in questi giorni. Ma chi sono, cosa dicono quelli che vengono additati come “agenti del nemico”? Sono davvero persone al soldo di una potenza straniera (come si sarebbe detto negli anni ’50) o trattasi più semplicemente di osservatori indipendenti che propongono una diversa lettura degli eventi? Dopo aver analizzato la posizione di diversi partiti comunisti in merito alla vicenda ucraina (leggi qui), proponiamo qui un’indagine sui pareri non allineati alla propaganda guerrafondaia fomentata da Washington e Bruxelles, la cui appartenenza politica e ideologica è però spesso incontestabilmente – e forse per alcuni sorprendentemente – di matrice europeista e (social)liberale.
La stampa occidentale fomenta la “caccia alle streghe” filo-russe
Sulle nostre colonne abbiamo già parlato della campagna filo-atlantica avviata dal quotidiano LaRegione (leggi qui), il cui vice-direttore Lorenzo Erroi ha ad esempio accusato il Partito Comunista di “schierarsi con il nemico” per aver ricordato (pur pronunciandosi per il cessate il fuoco e l’apertura di negoziati di pace) le responsabilità della NATO nell’escalation in Est Europa. In modo simile, anche il noto giornalista della Radiotelevisione della Svizzera italiana (RSI) Roberto Antonini ha condiviso le parole dello storico italiano Marcello Flores, secondo cui “i giustificazionisti (che) battono sul fatto che la Nato, l’Occidente o Biden individualmente, avrebbero le loro colpe (…) si comporta(no) come agent(i) di Putin all’interno dell’opinione pubblica europea”.
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Etica sociale: protesta No Vax e Liberalismo
di Gerardo Lisco
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Parte I – Breve storia del movimento antivaccinista
Con l’entrata in campo di filosofi come Agamben e Cacciari e di giuristi impegnati sul tema dei Beni Comuni come Ugo Mattei, il movimento No Vax ha avuto una sorta di legittimazione sul piano culturale per così dire di stampo progressista;senza l’intervento dei tre sopra menzionati tale movimento sarebbe passato come appannaggio della sola destra. Il dato storico è che il movimento anti vaccinista non segue la contrapposizione Ancien Regime contro Modernizzatori, come non segue la contrapposizione destra contro sinistra o conservatori contro progressisti. Il dato comune è l’esaltazione della Libertà individuale contro l’invadenza dello Stato che, soprattutto rispetto alle istanze no – vax contemporanee, la fa da padrone. Pertanto il movimento anti vaccinista è da analizzare rispetto al contesto storico nel quale opera. Ed è per questa ragione che il mio intervento prende le mosse proprio dalla storia del movimento anti vaccinista per poi dimostrare come esso, ai giorni nostri sia espressione della cultura politica liberal – capitalista che, recupera il Liberalismo delle origini, ossa la libertà individuale come fondata sul diritto di proprietà di sé stessi. Essendo il Liberalismo e l’esaltazione individualista il fondamento ideologico del movimento no – vax la mia tesi è dimostrare come tale movimento sia funzionale proprio al sistema capitalista egemone dal quale esso trae origine.
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Perché la crisi ucraina e come uscirne. Editoriale
di Fausto Sorini
All’indomani dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia un giornalista chiese a Louis Althusser che cosa pensasse della posizione di condanna del Pcf (di cui il grande filosofo era membro). Egli rispose (cito a memoria): “ Il problema non è condannare o approvare, ma spiegare perchè è avvenuto. E questo il Pcf non lo fa”.
Questo è il metodo con cui Marx21 cerca di porsi anche nei confronti della crisi ucraina. Senza farsi intimidire da una campagna politica e mediatica in corso per cui ogni tentativo di spiegare – senza allinearsi all’isteria anti-russa – viene bollato come “putiniano” e messo al bando.
Per questo ci interessano le valutazioni, di segno anche diverso, che cercano di spiegare le scelte anche più dirompenti della Russia di Putin; soprattutto quando vengono da chi pure non ha mai respinto, diversamente da noi che siamo comunisti, una sua collocazione euro-atlantica. Ma che avverte che, nel frangente attuale, sono in gioco i destini del genere umano, della sicurezza e convivenza pacifica tra le nazioni, ivi compresi quelli del popolo ucraino.
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Nel 2014 un colpo di Stato in Ucraina destituì con violenza il presidente Yanukovic, designato da elezioni regolari internazionalmente riconosciute e poi costretto a fuggire all’estero per non essere ucciso. Il golpe fu organizzato da formazioni neo-naziste sostenute sul campo dall’Ambasciata americana di Kiev e sostenuto, in piazza Maidan, da rappresentanti dell’amministrazione Usa e dell’Ue.
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La persona e lo stato: per una critica del green pass
di Riccardo Mazzetti
Simone Weil a venticinque anni, nel 1934, di fronte all’evoluzione in senso totalitario della Rivoluzione D’Ottobre, alla maturità del fascismo italiano e agli albori del nazismo tedesco, sviluppò alcune “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”. In questo libretto, scritto “in uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita”[1], perché “il trionfo dei movimenti autoritari e nazionalisti distrugge un po’ dovunque la speranza che uomini onesti avevano riposto nella democrazia e nel pacifismo”[2], il lavoro assume il carattere di privilegio, e la scienza, invece di diffondere lo spirito critico tra le masse, “le abitua alla credulità”[3] – insomma scritto in un contesto significativamente parallelo all’oggi – analizza le dinamiche per cui, dall’oppressione della natura sull’esistenza del singolo nelle società primitive, si passi necessariamente all’oppressione dell’uomo sull’uomo nelle società più avanzate. Quando la complessità del processo produttivo è elevata diventa necessaria l’organizzazione sociale, cioè il potere di alcuni sugli altri. Quando poi la conoscenza mette a disposizione saperi, armi e macchine, chi li controlla acquisisce un privilegio sugli altri, così come chi controlla la moneta, nel momento in cui si rende necessario lo scambio di prodotti. Questo privilegio è maggiore a seconda del “grado di concentrazione del potere”[4] e diventa oppressione nella misura in cui chi lo detiene, essendo in costante pericolo di perderlo, è automaticamente spinto a cercare di aumentarlo. Per questo, tecnicamente, “non c’è mai potere, ma solo corsa al potere”[5] e “l’uomo sfugge in un certo qual modo ai capricci di una natura cieca solo per abbandonarsi ai capricci non meno ciechi della lotta per il potere”[6].
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La trappola dell’Antropocene
di Marino Badiale
Appare ormai abbastanza diffuso il riconoscimento del fatto che l’azione umana sul sistema terrestre sia arrivata al punto da mettere in pericolo i principali cicli fisici, chimici e biologici del sistema stesso. La relativa stabilità di tali cicli è stata fino ad oggi il fondamento naturale delle civiltà umane, e metterne in pericolo l’autoriproduzione significa dunque ipotecare il futuro dell’attuale civiltà e spingersi pericolosamente nella direzione di un gravissimo collasso sociale. Nello sforzo di precisare e quantificare questo tipo di problemi, alcuni studiosi hanno elaborato la nozione di “limiti planetari”, limiti che l’umanità non deve superare per evitare un’alterazione profonda dei cicli del sistema [1]. Il più noto di tali problemi riguarda l’alterazione umana del ciclo del carbonio: l’uso di combustibili fossili ha portato, negli ultimi due secoli, all’accumulazione nell’atmosfera di gas a effetto serra, in particolare anidride carbonica, e questo sta iniziando ad alterare il clima del pianeta. Ma anche gli altri limiti individuati dagli studiosi in questione si legano a dinamiche cicliche del sistema terrestre che sono essenziali per la riproduzione della civiltà umana come la conosciamo.
Il fatto che l’azione umana sia arrivata a disturbare aspetti fondamentali della dinamica del sistema-Terra ha portato all’elaborazione della nozione di “Antropocene”, con la quale si vuole indicare l’ingresso in una nuova era geologica, quella, appunto, nella quale l’essere umano è divenuto un vettore di cambiamento geofisico paragonabile alle forze naturali che hanno segnato l’evoluzione del sistema-Terra nei miliardi di anni della sua storia.
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La posta in gioco
di Leonardo Mazzei
La propaganda è assordante, la ragione è oscurata. Inutile soffermarsi sui mille esempi che ce lo dimostrano. Basta accendere la tv, sfogliare qualsivoglia giornale, per averne la riprova in ogni minuto di queste tetre giornate di guerra.
Inutile, seppur doveroso, anche il mostrare l’ipocrisia ed il doppiopesismo della politica e dei media occidentali. In Ucraina muoiono civili e bambini, nelle guerre americane che hanno insanguinato il primo ventennio del secolo invece no. Ma su questo rimandiamo al bell’articolo scritto in proposito da Franco Cardini.
C’è tuttavia un’infamia che le supera tutte, l’attribuzione delle ragioni del conflitto alla presunta malvagità – peggio, alla “pazzia” – di un uomo. Questo modo di presentare le cose ha tanti scopi: criminalizzare l’avversario, rendere nei fatti impossibile qualunque trattativa, preparare il mondo ad un’escalation per mettere in ginocchio la Russia.
Già, l’escalation… A leggere i giornaloni essa sembrerebbe il frutto della supposta avventatezza di Putin. Ma è così? Un gongolante Edward Luttwak, il dottor Stranamore più noto delle nostre tv, ha affermato entusiasticamente il contrario: «C’è un’escalation, ma l’escalation è dal lato occidentale». Difficile non essere d’accordo.
E’ chiaro che siamo entrati in una partita mortale, uno scontro che non ammette vie di fuga, alla fine del quale ci sarà un vincitore ed un vinto, ma ci sarà soprattutto un quadro internazionale profondamente diverso da quello precedente alla crisi ucraina.
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Crisi, pandemia, guerra. Verso la mobilitazione totale
di Carlo Formenti
Questo testo è la prima stesura di un paragrafo della Prima Parte di un corposo lavoro (due volumi) a cui sto lavorando (la Prima Parte sulla crisi del neoliberalismo, la Seconda sui socialismi reali di ieri e di oggi, la Terza sulle prospettive del marxismo rivoluzionario in Occidente). La Prima Parte è stata appena completata (sempre in prima stesura) mentre la Seconda e la Terza richiederanno mesi di lavoro, per cui l'uscita del libro è prevista per i primi mesi del 2023. Pubblicare una parte (sia pure limitata) di un libro ancora in gestazione e con tanto anticipo sulla pubblicazione può apparire una scelta bizzarra, ma mi ha indotto a farlo il precipitare di eventi che ci avvicinano pericolosamente allo scoppio di una Terza guerra mondiale. Questo testo è stato scritto in pochi giorni come una sorta di interludio/appendice alla Prima Parte, con lo scopo di mettere alcune riflessioni teoriche a confronto con l'attualità storica. Si presta dunque ad argomentare il mio punto di vista sulla situazione geopolitica molto meglio dei brevi interventi con cui cerco di contrastare le narrazioni del pensiero unico neoliberale sul mio profilo Facebook. Il lettore troverà una serie di rinvii interni ad altre parti del libro, alcune già scritte altre da scrivere, che non ho ritenuto di eliminare, anche perché non credo possano disturbare la fruizione del testo. Diversamente dal solito, non ho corredato il post con immagini: la valanga di immagini smaccatamente propagandistiche cui siamo sottoposti in questi giorni mi dà la nausea, per cui ho evitato di alimentare questo disgustoso tsunami.
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Il 2007 passerà alla storia come il punto di svolta che ha sancito la fine della guerra di classe fondata sulla globalizzazione e la sua prosecuzione sotto forma di mobilitazione totale.
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La politica è la guerra condotta con altri mezzi
di Pierluigi Fagan
Il generale Fabio Mini, ex capo di stato maggiore del comando NATO per il sud Europa ed autore di vari libri, tra cui uno dal titolo “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?”, ieri commentava i fatti in un programma televisivo.
Chiamato inizialmente ad esprimere un parere a commento complessivo ha detto, con molta cautela come chi sa che le parole vanno pesate con molta attenzione di questi tempi, che quella dei russi è una “guerra al risparmio”. Ha anche detto che ha conosciuto e parlato con generali russi per più di dieci anni, conosce abbastanza bene quello di cui parla. Mini ha ricordato quello tutti gli esperti sanno ovvero che i russi hanno 900.000 affettivi. Secondo lui quel sesto di effettivi usati dai russi in Ucraina sono molto giovani ed inesperti, con mezzo vecchi sebbene ai russi non manchino mezzi molto più efficienti. Ha anche osservato la quasi totale assenza di utilizzo dell’aviazione. Ha tecnicamente definito la strategia sul campo “una guerra limitata per scopi limitati”. Ma da noi viene raccontata un'altra storia, i russi che non conoscono nulla degli ucraini, hanno sottovalutato l'eroica resistenza ed è per questo che dobbiamo continuare a mandargli armi.
Ha anche osservato che l’idea di ridurre la guerra a Putin è sbagliato, non si sa se è Putin che comanda lo Stato Maggiore russo o il contrario o una via di mezzo. E che forse il blocco russo che ha pensato necessaria questa azione, va ben oltre Putin e le Forze Armate. Non ne ha fatto una questione di sondaggi d’opinione su quanti russi l’approvano, evidenziava logiche nel blocco di potere russo e mentalità strategica in senso ampio.
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Il nuovo disordine mondiale /4: Si vis pacem, para bellum
di Sandro Moiso
Accade sempre così: prima si spediscono armi e «istruttori», poi si scopre che non basta e ti sei già avvolto in quella guerra, ne sei una parte e l’unico modo per tentare di slegarti è avvolgerti sempre più sperando di ritrovare il capo della corda. Come sul tavolo prima vengono gettati i fanti, poi si passa alle regine, ai re, agli assi. ( Domenico Quirico, Con le armi consegnate a Kiev siamo già in guerra con Mosca, «La Stampa», 3 marzo 2022)
Scrivere di guerra durante un conflitto in atto, soprattutto nel corso di uno dalle dimensioni e dalle possibili disastrose conseguenze come quello attuale, implica una grave responsabilità, non solo di ordine politico ma ancor più di carattere morale e civile.
Oggi, sotto il bombardamento continuo di una quantità enorme di missili, disinformazione, proiettili, propaganda, immagini di dolore, fake news e autentica merda ideologica, da qualsiasi parte in conflitto provengano, lo implica ancor di più poiché già il solo scriverne con il distacco necessario per non cadere nelle trappole della propaganda embedded rischia di segnare una cesura incolmabile tra la realtà del dolore e della sofferenza sul campo (sia civile che militare) e l’ancor relativa situazione di pace illusoria e privilegio di chi scrive a distanza.
Detto questo, però, occorre lo stesso contrapporsi al conflitto e al suo allargamento, mantenendo uno sguardo di vista che non sia né da tifoseria calcistica, né tanto meno caratterizzato dall’indifferenza travestita da radicalismo, ma che proprio per questi motivi non può fare uso di un linguaggio del tutto asettico.
Nell’Introduzione alle Leggi di Platone, il cretese Clinia individuava nell’azione di chi aveva preparato la popolazione cretese a combattere su un terreno impervio la condanna della «stoltezza della maggior parte di coloro i quali non capiscono che ogni stato si trova sempre in una guerra incessante contro un altro stato finché vive.
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Guerra Ucraina: note sul punto di vista dell’altra metà del mondo
di Alessandro Visalli
Con 141 voti favorevoli, 5 contrari e 35 astenuti è passata all’Onu una risoluzione che condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Hanno votato contro la Russia, la Bielorussia, la Corea del Nord, l’Eritrea e la Siria, voleva votare anche il Venezuela, ma gli è stato impedito con un cavillo. Gli astenuti, posizione molto difficile in questo contesto, sono la Cina, l’India, l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, l’Algeria, l’Angola, l’Armenia, il Bangladesh, la Bolivia, il Burundi, la Repubblica Centro Africana, il Congo, El Salvador, il Kazakistan, il Kyrgystan, il Madagascar, il Mali, la Mongolia, il Mozambico, la Namibia, il Nicaragua, il Senegal, il Sud Africa, il Sud Sudan, il Tajikistan, l’Uganda, la Tanzania, il Vietnam, lo Zinbabwe. Quindi molti paesi asiatici, africani e sudamericani.
La risoluzione chiedeva la fine della guerra ed il ritiro delle forze di invasione.
Si sono espressi con un’astensione paesi che complessivamente comprendono oltre quattro miliardi di persone. Proviamo a vedere quali ragioni avevano.
Sulla stampa cinese. Maria Siow su South Csulina Morning Post[1] si chiede se il rifiuto della Cina e dell’India di condannare la Russia danneggerà la loro reputazione nell’Asean (che ha votato a favore della risoluzione dell’Onu con l’astensione, oltre che di Cina e India, solo di Vietnam e Laos). La posizione cinese è quindi descritta come ambivalente, dal ministero degli esteri che accusa gli Usa di aver provocato la guerra allo stesso Ministro che, tuttavia, si dichiara addolorato per il conflitto e le perdite civili.
Il China Daily[2] descrive, come tutte le altre testate, l’apertura della 13° sessione del NPC nella quale Xi ha proposto l’ampliamento del budget militare del 7,1% (la Cina spende ca 250 miliardi di dollari, gli Usa 780 e la Russia 61 miliardi, l’India 72, la Ue 378 miliardi).
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Quando Foucault parlò con un operaio
L'(in)attuale rispetto di una “star” filosofica per il sapere dei lavoratori
di Andrea Muni
“L’intellettuale serve a mettere insieme le idee, ma il suo sapere è parziale rispetto al sapere dei lavoratori”. Con questo titolo esce su Libération del 26 maggio 1973 una conversazione tra José, operaio della Renault vicino alla Gauche Proletarienne – Sinistra Proletaria (gruppo di estrema sinistra maoista/spontaneista) e il già celeberrimo filosofo Michel Foucault. La splendida e “canonica” traduzione italiana di questo scambio si trova in M. Foucault, “Il discorso, la storia, la verità (Interventi 1969-1984)”, a cura di Mauro Bertani, Einaudi 2001. [Qui la traduzione degli estratti è mia]
A cosa serve andare a ripescare una conversazione in tutti i sensi inattuale come questa? Una conversazione tra quella che, nel 1973, è già una “star” filosofica come Foucault e un operaio della Renault? Serve in primo luogo per apprezzare la dimensione di ascolto, di non-paternalismo e non-pedagogismo che Foucault assume nei confronti di José. In secondo luogo, serve come spunto storico per riflettere sul livello di simpatia e complicità che i grandi intellettuali “militanti” degli anni ’60 e ’70 nutrivano pubblicamente, senza problemi, nei confronti di quelle frange della militanza politica che non disdegnavano di portare la lotta nelle strade, nelle università e nelle fabbriche. A Lens, dopo la morte di un gruppo di minatori per una fuga di gas, nel 1970 i militanti maoisti della GP attaccano fisicamente l’amministrazione della fabbrica. Mentre il processo della giustizia ordinaria procede contro i mao’s, questi convincono niente meno che l’anziano Jean Paul Sartre (e altri importanti intellettuali dell’epoca) a difenderli dall’aggressione della Giustizia e dello Stato borghesi. E’ così che Sartre, per evitare che venga chiuso, assume la direzione del giornale della GP (La cause du peuple), e accetta anche di presiedere le sedute di un tribunale popolare incaricato di giudicare, inversamente, i crimini dei nemici della classe operaia.
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La Transizione digitale come biforcazione storica
di S. Bellucci
La fase storica che stiamo vivendo non è inquadrabile nel concetto di crisi ma in quello di transizione. La rivoluzione tecnologica è anche una rivoluzione sociale e politica e sta producendo i suoi esiti in conflitto con i vecchi assetti del mondo industriale e finanziario. Il lavoro salariato perde la sua centralità pur mantenendo la sua forma di sfruttamento ma ad esso si affiancano nuove forme di estrazione del valore basate sulla logica della gestione dei dati. La lotta si configura tra i modelli centralizzati e quelli decentralizzati e l’abilitazione di produzione diretta di valore d’uso.
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Il fattore chiave per comprendere le trasformazioni in atto e scegliere le opportune linee di azione, attiene alla valutazione della fase. La maggioranza delle analisi parte da una “tradizionale” percezione degli accadimenti e li inquadra all’interno della categoria della “crisi”. All’interno di questo approccio, inoltre, si sviluppa la convinzione di un recupero o della vecchia forma di stabilità (sia economica, sia di modello sociale e statuale) o del possibile “ritorno” a forme di contestazione, conflitto, lotta che consentirono, soprattutto nel secolo lungo del capitalismo industrial-finanziario di acquisire conquiste sociali, diritti, forme di rappresentanza in grado di produrre processi di identificazione e di delega. Questo anche nelle formazioni politiche e sociali che, pur auspicando un cambiamento “generale”, continuano a pensare che esso possa essere prodotto a partire dal “recupero” della “forza” (politica e sociale) che in passato avevano avuto le organizzazioni del mondo del lavoro.
Una sorta di ossimoro storico: per cambiare occorrerebbe ripristinare!
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La guerra in Ucraina, l’Occidente e noi
di Maurizio Lazzarato
In questo articolo Maurizio Lazzarato propone una riflessione sulle cause che hanno provocato l’attuale Guerra in Ucraina, partendo da un’analisi delle più importanti rivoluzioni del XX secolo, durante le quali si sono riconfigurati i rapporti di forza tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del Mondo. Secondo Lazzarato proprio la mancata analisi di quelle rivoluzioni ha fatto si che, dopo il crollo del Muro di Berlino, non siano stati sufficientemente compresi i nuovi assetti strategici e, di conseguenza, che non si sia intravisto il pericolo di nuove inevitabili guerre, come quella scoppiata proprio in Ucraina.
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“La catastrofe è la condizione di vita e il modo normale di esistenza del capitale nella sua fase finale”.
Rosa Luxemburg (1913)
Le parole d‘ordine «No alla guerra», «Pace», «né con Putin, né con Biden» sembrano deboli e impotenti se non trovano la loro forza in un «contro Putin e contro Biden». L'opposizione alla guerra deve fondarsi su una feroce lotta contro le diverse forme di capitalismo e sovranità in lizza tra loro, tutte capaci di dominio, sfruttamento e guerra.
L’appello dei partiti socialisti alla conferenza internazionale di Zimmerwald del 1915 ci ricorda una verità molto semplice, sebbene attivamente dimenticata. La guerra «nasce dalla volontà delle classi capitaliste di ogni nazione di vivere dello sfruttamento del lavoro umano e delle ricchezze naturali dell’Universo» – per cui il nemico principale è, o è anche, nel nostro stesso paese.
Siamo sorpresi, siamo disorientati, come se questa guerra fosse una novità arrivata come un fulmine nel cielo sereno della pace. Eppure, da quando il Dipartimento di Stato nel 1989 ha annunciato la fine della storia, la pace e la prosperità sotto la benevolenza dello Zio Sam, il Pentagono e l’esercito degli Stati Uniti si sono impegnati in una serie impressionante di «missioni umanitarie per la fratellanza tra i popoli»:
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Parla l’imprenditore russo: “Vi dico la verità sulle sanzioni”: Rettifica
Il lato oscuro delle misure imposte alla Russia dalla Comunità internazionale
a cura di Beatrice Nencha
Aggiornamento ore 19.30
Abbiamo rimosso l’intervista ad un imprenditore russo pubblicata stamattina e firmata da Beatrice Nencha. Ad una successiva e più approfondita verifica, infatti, ci siamo resi conto che molte delle cifre fornite dall’imprenditore erano errate. I numeri si discostavano così tanto dalle stime realistiche che abbiamo preferito eliminare del tutto l’intervista. Ce ne scusiamo con i lettori e li ringraziamo per la comprensione.
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La guerra imperialista è la realtà del capitalismo
di Nico Maccentelli
Una realtà sempre possibile, che la deterrenza nucleare del secondo dopoguerra aveva mitigato verso crisi geopolitiche locali, guerre per procura e conflitti limitati. Ma che oggi nasce da due tendenze contrapposte insite nel modo di produzione capitalistico e delle sue formazioni economico-sociali, nei suoi capitalismi (come La Grassa definisce il sistema mondo): la tendenza a imporre un sistema mondo unipolare da parte degli USA e del suo blocco di potenze imperialiste alleate e vassalle… e la crescita di un multipolarismo che è già nei fatti, d parte di neopotenze capitaliste come la Cina, la Russia, l’India e altri attori minori ma con uno sviluppo economico e sociale molto veloce.
Questa contraddizione nasce poi dalle crisi economiche che ciclicamente investono l’intero modo di produzione capitalistico con sovrapproduzione di capitali, quindi la valorizzazione del capitale stesso nella caduta tendenziale del saggio di profitto. Un andamento che ormai ha una sua ciclicità strutturale e che si manifesta con l’ipertrofia finanziaria e l’esplosione di bolle speculative sempre più devastanti.
E’ in questo quadro che si innesca il conflitto ucraino, determinato essenzialmente dall’espansionismo della NATO a est (disattendendo gli accordi fatti nel dopo URSS: non un pollice di allargamento), che pone sotto minaccia nucleare diretta la Russia, potenza ricostituita con un forte dispositivo tecnologico militare.
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Capitan Ucraina
di Pierluigi Fagan
L’attore comico milionario ucraino, arrivato al potere con un partito che era la casa di produzione di un serial televisivo da lui finanziato, prodotto, scritto, diretto ed interpretato dove lui diventava presidente, oggi circondato da giovanotti che sembrano nazisti nazionalisti ma non lo sono, che in certi video pubblici di poco tempo fa tirava su il naso e spalancava gli occhi serrando la mascella senza per questo essere cocainomane, è diventato il nuovo eroe Marvel ed ora conduce fiero l’ennesima puntata del Bene contro il Male. Ma questo non è un film e voi non siete solo gli spettatori.
Ha coscritto la popolazione maschile che ha accompagnato le proprie mogli e figli alla partenza salutandole forse per l’ultima volta. Abbiamo e sempre più avremo milioni di profughi, vedove e orfani, che l’ONU ci avverte creeranno problemi logistici al limite della risolvibilità non per nostra cattiva volontà, ma perché la logistica è la logistica e non si fa con le chiacchere. Ha spinto con le buone e con le cattive uomini civili ad andare contro uno degli eserciti più grandi e potenti del mondo con le molotov. Sta facendo distruggere materialmente grande parte del suo paese e mi fermo qui perché oltre si scade in ciò che non è evidente. Le stesse cose le ha dette padre Alex Zanotelli. Inonda di propaganda di guerra tutti i mezzi possibili, intrattenendosi con tutti i leader occidentali più volte al giorno, ricordandoci che guerra e radiazioni stano venendo da noi, manca poco, sempre meno, in un crescendo di paranoia indotta. Invoca invio armi, uomini, mezzi per il suo tragico Armageddon che non avrà alcun finale alternativo a quello che ogni analista militare conosce già dal primo giorno. Per cosa?
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Il nuovo disordine mondiale /3: i discorsi della guerra
di Sandro Moiso
Si è conclusa l’era della pace (Mateusz Jakub Morawiecki, primo ministro polacco – intervista al «Corriere della sera»)
Data per scontata la fine della pace illusoria che ha dominato il discorso politico degli ultimi decenni in Italia e in Occidente, a seguito degli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina, occorre per meglio comprendere i reali sviluppi degli stessi esporre alcune considerazioni di carattere politico, economico e militare. In particolare sul concetto di guerra-lampo e sulla strategia militare russa; sul riarmo europeo e in particolare tedesco; sull’andamento delle borse che hanno premiato le industrie produttrici di armi o collegate al settore degli armamenti e, infine, sulle ritorsioni di carattere economico adottate dall’Occidente nei confronti della Russia putiniana e delle loro possibili conseguenze sul piano interno russo e su quello militare, guerra nucleare compresa. Compreso, last but not least, un sintetico commento sul linguaggio di guerra dei media di ogni parte coinvolta e di quelli occidentali in particolare.
Linguaggio, propaganda e guerra sono assolutamente indivisibili poiché mentre le esigenze dell’ultima rimodulano obbligatoriamente i primi due elementi, questi, a loro volta, foraggiano e rivitalizzano in continuazione la stessa. In un girotondo in cui i termini tecnici perdono il loro reale significato, distorto a scopo propagandistico, e l’emozionalità sostituisce la razionalità di qualsiasi discorso inerente ai fatti reali. In cui la costante denigrazione e demonizzazione del “nemico” avviene in un contesto in cui, come già affermava Hannah Arendt ai tempi della guerra in Vietnam e dei Pentagon Papers, la “politica della menzogna” è destinata principalmente, se non esclusivamente, ad uso interno e alla propaganda nazionale1.
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