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I tentacoli della Nato dall’Europa all’America Latina
di Geraldina Colotti
Spesso, e comprensibilmente, si domanda agli analisti internazionali se vi sarà un cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti a seconda che alla Casa Bianca governi un presidente repubblicano o uno democratico. Premesso che, per un marxista, è sempre buona norma sfuggire i manicheismi e guardare alla situazione concreta nei suoi rapporti di classe, determinati storicamente, rilevare che, a livello internazionale, l’essenza della politica estera nordamericana non presenta discontinuità effettive, non è una presa di posizione ideologica.
“Tutto cambia perché niente cambi” è uno schema che ben si attaglia alla strategia Usa nel mondo. Sia esso ammantato da una ruspante retorica trumpista o da un più persuasivo “multilateralismo” alla Biden, alla base del modello politico nordamericano nel mondo resta l’idea fondante della supremazia armata. Un paradigma che si alimenta e alimenta gli interessi del complesso militare industriale, supportato, rilanciato e attualizzato dai suoi motori ideologici, scuole di pensiero e media.
Su questa base, gli Usa si credono i gendarmi del mondo, legittimati a una corsa agli armamenti per proteggersi da un sempiterno pericolo, sia all’interno che nelle proprie zone di influenza, che perciò brulicano di basi militari a stelle e strisce. Un apparato che necessita, di tanto in tanto, di mettersi alla prova, per dimostrare agli alleati-sudditi che vale la pena pagare per garantirsi la pace mediante il prestigio vicario di quella supremazia armata.
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Dove non è il luogo e quando non è il momento
Lenin, Luxemburg, i populisti: lotta di classe e sviluppo del capitalismo
di Gigi Roggero
Il saggio di Gigi Roggero che pubblichiamo per la prima volta in italiano, suddiviso in due parti, [qui la seconda parte) è stato scritto nel 2012 per un volume curato dagli studiosi militanti della rivista polacca «Praktyka Teoretyczna». Come indicato nel sottotitolo, viene trattato il rapporto critico tra Lenin, Luxemburg e i populisti russi rispetto alla questione dello sviluppo del capitalismo. Più precisamente, da un lato viene tratteggiata in chiave genealogica la polemica di Lenin contro i populisti dell’ultimo decennio dell’Ottocento, sbiaditi eredi di una grande tradizione rivoluzionaria; dall’altro, vengono analizzate le ricchezze e i vicoli ciechi della lettura luxemburghiana dell’accumulazione del capitale. Lungi dall’essere un tema di semplice interesse storiografico, la tensione dell’intero testo è volta all’evidenziazione dell’attualità e della posta in palio politica di quel dibattito apparentemente remoto.
* * * *
Nel settembre 1870 Marx definì l’insurrezione una follia. Quando però le masse si sollevano, Marx vuole marciare con loro, imparare insieme con loro nel corso della lotta, e non solo declamare istruzioni burocratiche. Egli comprende che il tentativo di determinare in anticipo le prospettive con assoluta precisione sarebbe ciarlataneria o sconfortante pedanteria. Al di sopra di tutto egli pone il fatto che la classe operaia fa di propria iniziativa, eroicamente, con abnegazione, la storia universale.
(V.I. Lenin, Prefazione alla traduzione russa delle lettere di K. Marx a L. Kugelmann)
La sera m’aveva avvolto nel vivifico umore delle sue lenzuola crepuscolari, la sera mi aveva posato le palme materne sulla fronte rovente. Io leggevo ed esultavo, ed esultando, spiavo la misteriosa curva della retta di Lenin.
(I. Babel’, L’Armata a cavallo)
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Un’altra Europa con Giavazzi
di coniarerivolta
Negli ultimi giorni del 2021, il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron hanno preso carta e penna e scritto una lettera al Financial Times, dall’altisonante titolo “Le regole fiscali dell’Unione Europea vanno riformate, se vogliamo mettere in sicurezza la ripresa”. Una lettura superficiale della missiva potrebbe far pensare a un attacco, garbato ma fermo, ai cosiddetti ‘falchi’ che, appena passata la tempesta della pandemia, vorrebbero un ripristino rapido dell’austerità imposta dal Patto di Stabilità e Crescita, sospeso negli ultimi due anni e che tornerà in vigore a partire dal 2023. Una sorta di manifesto politico della nuova Europa che verrà, forgiata nella solidarietà degli ultimi due anni e negli enormi, ci dicono Draghi e Macron, sforzi messi in campo per arginare le conseguenze economiche della pandemia.
La lettera è, in massima parte, deliberatamente vaga e generica, limitandosi ad una enunciazione di principi che ruota intorno alla constatazione che le regole fiscali europee, imperniate sul Patto di Stabilità e Crescita, vanno aggiornate e riformate, alla luce del nuovo scenario globale e delle molte sfide che ci aspettano.
Come dicevamo, la lettera è sì generica, ma è anche particolarmente esplicita nel delineare l’orientamento strategico di un pezzo di padronato europeo, in particolare su come usare l’architettura dell’UE per riprendere a macinare profitti: alle soglie del terzo anno di emergenza sanitaria, l’economia è rallentata in misura talmente violenta che si rende necessario un deciso intervento pubblico, per rimettere in moto la produzione e ridare vigore agli utili, messi a repentaglio dalla mazzata che la pandemia ha inferto al potere d’acquisto di milioni di persone.
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Il capitale contro i beni comuni/3
di Ian Angus
"Il capitale contro i beni comuni" è una serie di articoli sul primo capitalismo e l'agricoltura in Inghilterra.
In questa terza parte si discute dei riformatori protestanti del XVI secolo che si opposero alla crescente spinta verso la privatizzazione della terra.
La prima parte ha discusso il ruolo centrale della proprietà condivisa e dei diritti comuni alle risorse nell'agricoltura pre-capitalista. Nel 1400 quel sistema cominciò a mostrare le prime crepe, iniziando la transizione dal feudalesimo al capitalismo.
La seconda parte ha discusso i processi conosciuti come "enclosure". Alla fine del 1400, i proprietari terrieri cominciarono a sfrattare i piccoli fittavoli per aumentare i profitti, spesso creando grandi allevamenti di pecore. Nel 1530 questo cambiamento fu intensificato quando Enrico VIII si impadronì delle vaste terre della chiesa e le vendette a investitori che imposero affitti più gravosi e con una durata temporale minore. Le due trasformazioni gemelle che Marx chiamò accumulazione originaria - la terra rubata che diventa capitale e i produttori senza terra che diventano lavoratori salariati - erano ben avviate quando migliaia di contadini si ribellarono ai cambiamenti nel 1549.
Contro l'enclosure: gli uomini del Commonwealth
Devo minacciar loro la dannazione eterna, siano essi gentiluomini o qualunque cosa siano, che non cessano di unire casa a casa, e terra a terra, come se solo loro dovessero acquistare e abitare la terra." - Thomas Cranmer, Arcivescovo di Canterbury, 1550 [1].
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IA: né intelligente, né artificiale
di Tiziano Bonini
Il Palaquium gutta è un albero che si trova principalmente in Malesia e produce un lattice naturale bianco latte, chiamato guttaperca. Alla fine del 19° secolo, questo albero, finì per essere il centro del più grande boom tecnologico dell’epoca vittoriana. Era stato da poco inventato il telegrafo e il mondo aveva appena iniziato ad essere connesso da chilometri di cavi elettrici per la comunicazione in tempo reale, tramite codice Morse. Nel 1848 lo scienziato inglese Michael Faraday pubblicò uno studio su The Philosophical Magazine sulle potenzialità del lattice di Palaquium gutta come isolante elettrico. Da quel momento, la guttaperca divenne un materiale preziosissimo, perché fu vista come la soluzione al problema dell’isolamento dei chilometrici cavi telegrafici che dovevano resistere alle condizioni ambientali del fondo degli oceani. Con la crescita del business globale dei cavi sottomarini, crebbe anche la domanda di tronchi di gutta di palaquium. Lo storico John Tully descrive come i lavoratori locali malesi, cinesi e dayak fossero pagati una miseria per i pericolosi lavori di abbattimento degli alberi e di raccolta del lattice. Il lattice veniva lavorato e poi venduto attraverso i mercati commerciali di Singapore al mercato britannico, dove veniva trasformato in chilometri di guaine per cavi elettrici sottomarini.
Una palaquium gutta matura poteva produrre circa 300 grammi di lattice. Ma nel 1857, il primo cavo transatlantico era lungo circa 3000 km e pesava 2000 tonnellate – richiedeva quindi circa 250 tonnellate di guttaperca. Per produrre una sola tonnellata di questo materiale erano necessari circa 900.000 tronchi d'albero. Le giungle della Malesia e di Singapore furono spogliate, e all'inizio del 1880 la palaquium gutta si estinse.
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La rabbia americana e la pazienza cinese
di Carlo Formenti
Giacomo Gabellini: Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell'ordine economico statunitense, Mimesis , 2021
Per chi voglia approfondire i motivi che hanno innescato la Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina, un recente saggio di Giacomo Gabellini (Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense, Editore Mimesis) è una lettura a dir poco preziosa. Si tratta di un lavoro corposo, corredato da un’ampia mole di analisi, informazioni e notizie di carattere storico, economico e geopolitico che attraversa un secolo abbondante di storia – dalla seconda metà del secolo XIX a oggi – per descrivere ascesa, consolidamento e crisi dell’egemonia americana. Ricostruirne tutti i contenuti sarebbe impossibile senza scrivere decine di pagine, per cui mi accontento qui di illustrarne alcuni passaggi. Il testo che segue è organizzato in due sezioni: la prima dedicata al percorso evolutivo dell’imperialismo Usa, la seconda alla sfida lanciatagli dall’emergere della Cina come potenza globale. Le due sezioni non rispecchiano il peso reciproco che l’autore attribuisce agli argomenti in questione, nel senso che al secondo ho dedicato più spazio rispetto a quello concessogli dall’autore: la metà della recensione a fronte di un’ottantina di pagine sulle 400 del libro.
I. Storia di un ciclo egemonico
Il paradigma teorico che inspira il saggio di Gabellini è quello tracciato dallo storico Fernand Braudel (e arricchito dall’economista Giovanni Arrighi). Braudel, ricorda Gabellini, riteneva che le fasi di espansione finanziaria siano il sintomo che preannuncia la fine di un ciclo egemonico e la conseguente riconfigurazione del quadro geopolitico mondiale.
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Althusser, quel filoso… vietico
di Nico Maccentelli
Per Marx edito da Editori Riuniti (1973), è una raccolta di saggi di Luis Althusser che in questo caso non tratterò come filosofo, bensì nella sua dimensione politica dell’epoca, quando l’URSS, nel bene e nel male, rappresentava un’alternativa di carattere socialista al sistema capitalista per una bella fetta di umanità. Ho sempre pensato che questa questione non vada trattata con le sole lenti dell’ideologia, né per essere esegeti di quell’esperienza, né per demonizzarla a priori. Sulle lenti di una analisi politica c’è ancora molto da fare. Quello che però qui mi interessa è vedere l’impostazione althusseriana di quegli anni (stiamo parlando degli anni ’60, fino alla metà) in merito a questa questione. Per questo, dei saggi contenuti in questo pregevole libro da bancarella (trovato fortuitamente), mi interessa affrontare solo il capitolo relativo all’URSS, ossia al socialismo reale e all’analisi di classe che Althusser ne trae, per formulare il concetto di “umanesimo socialista”.
Luis Althusser è stato un grande intellettuale e filosofo marxista, che tuttavia risentì sul piano dell’analisi concreta del socialismo dei limiti che l’intellettualità come la militanza comuniste dell’epoca avevano.
Riporto due sue frasi che riguardano la sua adesione al passaggio kruscheviano allo “Stato di tutto il popolo”, che si sarebbe poi cristallizzato nella Costituzione Sovietica del 1977:
«L’Unione Sovietica, impegnata oggi sulla via che dal socialismo (a ciascuno secondo il suo lavoro) la porterà al comunismo (a ciascuno secondo i suoi bisogni), lancia la parola d’ordine: tutto per l’Uomo, e affronta temi nuovi: libertà dell’individuo, rispetto della legalità, dignità della persona.1
(…)
Per più di quaranta anni, in URSS, attraverso lotte gigantesche, l’«umanismo socialista», prima di esprimersi in termini di libertà della persona, si è espresso in termini di dittatura di classe. La fine della dittatura del proletariato apre nell’URSS una seconda fase storica.
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Non fare cose tanto per fare, piuttosto non fare niente!
di Dr. Malcolm Kendrick
Qui di seguito, trovate un articolo del Dr. Malcolm Kendrick, medico scozzese. La sua specialità è la cardiologia, ma io lo definirei semplicemente un genio della medicina. Non sto esagerando: come definite voi un “genio”? Io direi “qualcuno che capisce cose che gli altri non capiscono.” Ma aggiungerei anche “e che riesce a spiegare agli altri quello che ha capito.”
Secondo questa definizione, Kendrick è effettivamente un genio; non perché ha inventato cure miracolose (quelli che lo fanno, di solito fanno più danni che altro), ma perché è in grado di spiegare cose utili a quelli che ne hanno bisogno: il primo dovere di un medico, come dice in questo testo, citando William Osler. “Uno dei primi doveri del medico è quello di educare le masse a non prendere medicine.” Se masticate bene l’inglese, leggetevi il suo libro “The Clot Thickens” (letteralmente, “il grumo si inspessisce” https://drmalcolmkendrick.org/books-by-dr-malcolm-kendrick/the-clot-thickens/ ). Nel libro, spiega il meccanismo delle malattie cardiocircolatorie in un modo talmente brillante e chiaro che cambierà la vostra vita per sempre (questo se siete possessori di un apparato cardiocircolatorio, se siete dei bot, non vi interessa)
Qui, Kendrick rivede un po’ tutta la storia del COVID19 e fa una critica devastante della massa di errori, fesserie, calcoli sbagliati e disastri vari che hanno punteggiato la storia della gestione dell’epidemia negli ultimi due anni. E’ un po’ lungo, ma vale la pena di leggerlo anche solo per come descrive il disastro delle mascherine in termini di “bioplausibilità” – il concetto che se una cosa sembra plausibile, allora deve essere vera. Sicuro, come no?
Non vi dico altro, prendetevi una mezz’oretta di tempo e leggetevelo. Imparerete molte cose.
(Prof. Ugo Bardi)
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È la contraddizione che muove il mondo
di Vladimiro Giacché
Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020
1. Una fine e un inizio
«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri. La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.
Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo.
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La fine del mondo non avrà luogo
di Gilles Dauvé
[VI episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org; marzo 2021]
«L'apocalisse di cui vi si dice non è quella vera». (Armand Robin, Poèmes indésirables, 1943-‘44)
Il catastrofismo, che – come abbiamo visto nell'episodio precedente – a volte può tingersi di marxismo, ha il vento in poppa: un mondo sull'orlo del collasso ci sta travolgendo, è urgente agire... o forse no, se è già troppo tardi. Ma di quale collasso stiamo parlando?
1. Collassato
Il collasso è un'immagine che colpisce: qualcosa o qualcuno crolla. Ma l'estinzione o la scomparsa di una società, più che coincidere con uno shock o una rottura, avviene dopo un declino generalmente accompagnato da una trasformazione di lungo periodo, che spesso si estende su un arco di diversi secoli, ed è raro che la decomposizione non sia anche una ricomposizione.
«Non è perché le “risorse” stanno diventando più scarse e (quasi) tutte le attività saranno rilocalizzate radicalmente, che le attuali strutture organizzative delle nostre società scompariranno, e che il produttivismo si arresterà. A questo proposito, la rappresentazione del “picco” (che in realtà è più simile a un plateau) della produzione di combustibili fossili comporta un grosso difetto. Viene sottinteso, e a volte esplicitamente affermato, che la rarefazione di queste energie causerebbe il collasso del capitalismo. Ma la scarsità non porta alla fine dei rapporti di produzione (al contrario). Il produttivismo andrà fino in fondo, fino all'ultima goccia, se avrà campo libero. Non ci sarà una fine meccanica del capitalismo [...], ci sarà “solo” una riallocazione delle “risorse” disponibili […] e una maggiore intensità nei rapporti di sfruttamento e nell'estrazione delle materie prime. [...] L'elettricità non scomparirà, i tagli di corrente saranno sporadici. Internet non si spegnerà da un giorno all'altro: una parte della popolazione si troverà scollegata, con un accesso alla rete sempre più oneroso.» (Jérémie Cravatte)
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Pandemia e strategia economica: una trama inestricabile
di Alastair Crooke
Tre anni fa, parlando degli sforzi per far rientrare in patria dall’Asia i posti di lavoro persi dai colletti blu americani, avevo detto ad un professore americano dell’US Army War College di Washington che questi posti di lavoro non sarebbero mai ritornati. Erano perduti per sempre.
Il professore aveva replicato che era proprio così, ma che ero io a non capire il punto. L’America non si aspettava, né voleva, che ritornasse in patria la maggior parte di quei banali posti di lavoro dell’industria manifatturiera. Avrebbero dovuto rimanere in Asia. Le élite, aveva continuato, volevano solo i posti di comando del settore tecnologico. Volevano la proprietà intellettuale, i protocolli, le metriche, il quadro normativo che avrebbe permesso all’America di caratterizzarsi ed espandersi nei prossimi due decenni di evoluzione tecnologica globale.
Il vero dilemma però, secondo lui, era: “Cosa bisognerebbe fare di quel 20% della forza lavoro americana che non sarà più necessaria, che non servirà più per il funzionamento di un’economia a base tecnologica?”
In effetti, quello che il professore aveva sottolineato era solo uno dei tanti aspetti di un dilemma economico fondamentale. Negli anni settanta e ottanta le aziende statunitensi si erano impegnate a delocalizzare in Asia il costo del lavoro. In parte per tagliare le spese e aumentare la redditività (e così era stato) ma anche per una motivazione più profonda.
Gli Stati Uniti sono sempre stati un impero espansionistico, sempre alla ricerca di nuove terre, di nuovi popoli e delle loro risorse umane e materiali da sfruttare. Il movimento in avanti, la continua espansione militare, commerciale e culturale è la linfa vitale di Wall Street e della sua politica estera.
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Il nuovo ruolo del Presidente della Repubblica, da garante della Costituzione a garante dei trattati europei
di Paolo Cornetti e Thomas Fazi
Come è ormai risaputo, il 24 gennaio terminerà il mandato settennale di Sergio Mattarella e il Parlamento italiano e i rappresentanti regionali saranno chiamati allo scrutinio segreto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Malgrado questo evento non abbia ottenuto grandi attenzioni al di fuori del nostro paese, la scelta che ne conseguirà sarà determinante per tutto il continente europeo.
Generalmente, si ritiene che il presidente abbia un ruolo puramente cerimoniale e simbolico, e in effetti per la maggior parte della vita repubblicana è stato effettivamente così. D’altronde dovremmo essere una democrazia parlamentare, con il governo che si regge sulla fiducia delle Camere elette dal popolo.
Eppure, nella sua veste ufficiale di “garante” o “guardiano” della Costituzione, il presidente della Repubblica detiene un potere notevole. I governi, infatti, devono ottenere la sua “approvazione”, in quanto egli nomina (o “approva”) il Presidente del Consiglio e gli altri ministri. Inoltre, tutte le leggi approvate dal Parlamento devono essere firmate dal Presidente della Repubblica, il quale ha anche il potere di sciogliere le Camere, per esempio a seguito di una crisi di governo. Ciò significa che il Colle detiene a tutti gli effetti la capacità di decidere se indire nuove elezioni o meno.
Ma i poteri presidenziali non finiscono qua, dal momento che la carica più alta dello Stato ha la facoltà di ratificare i trattati internazionali, è comandante in capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio superiore della magistratura. Infine, non molti ne sono a conoscenza, ma il Presidente della Repubblica può esercitare la sua influenza anche attraverso le strutture tecnocratiche del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in particolare l’onnipotente Ragioneria Generale dello Stato e la Banca d’Italia.
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Ritorno a Reims
di Alberto Prunetti*
Recensendo «Retour à Reims (Fragments)» Alberto Prunetti avverte il rischio che le storie working class vengano neutralizzate. Eppure queste biografie operaie aiutano a liberarsi dalle zavorre che ci portiamo dietro
Da un po’ di giorni ricevevo inviti a guardare il documentario francese Retour à Reims (Fragments) di Jean-Gabriel Périot. E sempre mi sottraevo. Ho un rapporto complesso, di attrazione e distanziamento, con l’opera di Didier Eribon a cui il documentario si ispira esplicitamente. Quando la lessi la prima volta mi ritrovai risucchiato in quelle pagine, assediato da flashback della mia infanzia. Quello che mi allontanava però dal memoir di Eribon era la mia traiettoria personale: per me gli studi non erano stati un elemento di mobilità sociale. Dopo la laurea non avevo fatto alcun dottorato, non ero entrato nel mondo della classe media intellettuale ma ero andato a lavorare in pizzerie e ristoranti per dieci anni. Avevo anche pulito merda di cavalli in resort di lusso in Italia. Non ero insomma un transfuga di classe e la classe media si guardava bene dall’accogliermi tra le sue braccia. Anzi, mi sfruttava alacremente.
Certo, me n’ero andato dalla mia città natale, con il suo altoforno che languiva e gli alti tassi di disoccupazione. Ma ero rimasto nella classe lavoratrice, saltando dalla padella alla brace, finendo a pulire cessi a Bristol, senza prendere nessun ascensore sociale. E quando ho provato a raccontare le mie disavventure working class in Gran Bretagna, un giornale conservatore, il Daily Mail, mi ha descritto come un «very sweary, grizzled old Italian Lefty», ossia un «volgare sinistrorso attempato», con il sottinteso che gente come me non dovrebbe scrivere libri ma stare al suo posto, a condire pizze con l’ananas e il prosciutto cotto.
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Mea culpa, mea maxima culpa.... ovvero, chi o cosa ha ritardato la ricerca sulle profilassi antivirali per il Covid-19?
di Michele Di Mascio
Prologo
Attraverso un dialogo immaginario tra madre e figlia[ref1], si dipana il racconto dell’angoscia famigliare alla notizia di positività al SARS-CoV-2 di una delle due, scandito dalla loro navigazione frenetica online per rispondere alla domanda…e adesso cosa bisogna fare? Ma ѐ saltando da un sito all’altro che le due realizzano che altre domande restano senza risposta..
Come mai le prime due pillole per le profilassi anti-Covid da fare a casa (Molnupiravir e Paxlovid) sono giunte al traguardo insieme, visto che una delle due pillole, il Molnupiravir, esisteva già da diversi anni prima della pandemia?
Come mai lo studio di fase uno del Molnupiravir (lo studio di tossicità fatto su 120 volontari sani per il costo di un appartamento nella periferia di Washington) ѐ stato postato online a distanza di un anno dall’inizio della pandemia, senza far troppo rumore, quando nel frattempo diversi studi sui vaccini e gli anticorpi monoclonali avevano già completato, sotto i fari dei media accesi giorno e notte, la fase uno, due e tre?
Come mai nessuno ha pensato nella decade precedente di trasformare il Remdesivir (un farmaco simile al Molnupiravir ma, al contrario di quest'ultimo, disponibile solo nella sua versione endovena) in farmaco da somministrare in pillola o in una via alternativa di somministrazione per poterlo utilizzare, all’occorrenza, a casa e non in ospedale?
Quante vite sarebbero state risparmiate, quante terapie intensive sarebbero state evitate e che effetto una profilassi antivirale da fare a casa avrebbe avuto se disponibile sin dai primi giorni del contagio?
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L’ultima mossa di Draghi & Co. per coprire una gestione criminale e fallimentare della pandemia
di Tendenza internazionalista rivoluzionaria
Come prima, peggio di prima
Il governo Draghi che in un intero anno non ha fatto nulla per rafforzare le strutture sanitarie con massicce assunzioni di medici e infermieri; che ha deliberato, anzi, la loro ulteriore riduzione di qui al 2026, relegando la sanità all’ultimo posto nelle poste di spesa del PNRR; che non ha fatto un passo per apprestare un protocollo di terapie adeguate ai primi sintomi e per aiutare i medici di famiglia nella loro attività; che non ha messo mano al piano di prevenzione finito nei cassetti da 15 anni; che non ha mosso un dito per potenziare al massimo i trasporti pubblici urbani e interurbani; che non ha preso alcun provvedimento per sdoppiare le classi pollaio; che non ha imposto alle aziende alcuna seria misura di prevenzione dei contagi; che ha progressivamente rinunciato ad ogni tracciamento della diffusione del virus; che ha ridotto i giorni di quarantena; che ha consentito all’Inps di non considerare più la quarantena fiduciaria come malattia; questo governo ha infine trovato la magica soluzione per stroncare la riaccensione della pandemia in corso: obbligare gli over-50 a vaccinarsi.
Ciò, a fronte di un tasso di vaccinazione del 94% per gli over-80, del 92% degli over-70, del 90% per gli over-60, dell’86,5% degli over-50, ed in presenza di una nuova variante (la omicron) che secondo diversi studi buca gli attuali vaccini. Lo ricordiamo tutti: all’inizio l’informazione ufficiale utilizzava la scarsa conoscenza su contagi e immunità per propagandare la certezza che si sarebbe raggiunta l’immunità di gregge con il 70-80% dei vaccinati; ora perfino la soglia 90% è ritenuta insicura.
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La Costituzione, un faro al lumicino
Alba Vastano intervista il professor Paolo Maddalena*
Intervista al professor Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale. “I danni che Draghi sta apportando all’economia italiana sono incalcolabili. Si pensi che egli non si preoccupa dei licenziamenti che stanno avvenendo in massa e, come già detto, ha addirittura ritenuta legittima l’ infausta e incostituzionale “delocalizzazione di impresa”. In proposito ricordo che l’art. 41 della Costituzione sancisce che “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla libertà , alla sicurezza, alla dignità umana” (Paolo Maddalena)
Immensa confusione e sconcerto dilaga nel mondo, specie in quest’ultimo (auspicabile) e un po’ disperato colpo di coda della pandemia che imperversa ormai da un biennio, limitando di fatto la normalità della vita di tutti i popoli. In Italia, di ora in ora, riceviamo, tramite i monitor sempre connessi, le ultime news che ci informano di nuove direttive governative a tutela della salute pubblica. Direttive che, solo l’attimo seguente, vengono smentite o aggiornate. Si percepisce chiaramente che la bussola che dovrebbe indicare l’iter maggiormente utile per limitare i danni, derivanti dal diffondersi del virus, è stata smarrita e noi, marinai senza capitani affidabili, presi da smarrimento per la perdita del pensiero critico, siamo costretti a fidarci di chi ha fallito o ad adottare il faidate. In realtà la bussola c’è, ma chi dovrebbe farne il primo strumento di orientamento nella rotta da seguire, non trova o non vuole trovare il Nord. E ha fatto impazzire l’ago. Sta ancora a noi, riprendendoci la facoltà del pensiero autonomo e critico, riportare l’ago della bussola sul Nord. Là dove è posizionato da ben 76 anni il faro che illumina il nostro cammino: La Costituzione. Un faro ridotto al lumicino, per incapacità dei governanti che si sono succeduti, di applicarne correttamente le leggi.
Ne parliamo con un grande giurista e costituzionalista, il professor Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, autore del saggio “La Rivoluzione costituzionale”, sua ultima opera ( http://www.blog-lavoroesalute.org/la-rivoluzione-costituzionale/).
* * * *
Alba Vastano: Professore, siamo ormai a ridosso delle elezioni del Presidente della Repubblica. Con lei, illustre Costituzionalista, prima di parlare degli aspetti politici che circondano questo avvenimento importante, parliamo di Costituzione.
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Multinazionali, poteri forti locali, movimenti alternativi territoriali
(ovvero come liberarsi dall’abbraccio soffocante delle multinazionali)
di Moreno Biagioni
L’influenza delle multinazionali in Toscana
In Toscana, in particolare nell’area Firenze/Pisa, si sta verificando sempre più spesso quanto sia nefasta l’influenza, il potere, la possibilità di incidere sulla vita delle persone che abitano un determinato territorio, da parte delle multinazionali, cioè di questi modernissimi “padroni del vapore” che risultano lontani e inafferabili – in quanto privi di quella “corporeità” che caratterizzava in buona parte le controparti padronali di un tempo -.
Soffermiamoci, a titolo esemplificativo, su alcuni casi.
La vertenza GKN innanzitutto: le sue maestranze hanno come avversaria la finanziaria Mellrose, che ha licenziato con una mail, dalla sua sede inglese, senza alcun confronto preventivo, oltre 400 lavoratori (soltanto una dura lotta, che ha coinvolto l’intera società, non solo fiorentina, e su cui torneremo in seguito, ha impedito i licenziamenti immediati).
La ragione di questo comportamento è che Mellrose ritiene opportuno delocalizzare la produzione in un paese in cui le retribuzioni e i diritti di chi lavora sono minori. E’ necessario quindi opporsi alle delocalizzazioni (e nel contempo, con una visione “internazionalista”, sempre più necessaria, sostenere l’impegno dei lavoratori del paese in cui si vuole delocalizzare per maggiori retribuzioni e diritti).
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Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata
di Fabio Vighi
Dopo quasi due anni, eccoci di nuovo qua. Mascherine, distanziamenti, quarantene, restrizioni, lavoro a distanza (per chi ancora ce l’ha), bombardamenti mediatici a tappeto, assolutismo vaccinale e, immancabile, l’ombra lunga di devastanti lockdown – già caldamente sponsorizzati, tra gli altri, dal Fondo Monetario Internazionale. Ma questa volta con l’aggiunta di fiammate inflattive che svalutano il denaro e bruciano i risparmi, spingendo una parte sempre più ampia di popolazione nella spirale del debito e della povertà.
Iniezioni monetarie
A nostro avviso, la funzione profonda dell’emergenza sanitaria può essere compresa se inserita nel contesto macro di pertinenza, ovvero la crisi terminale del modo di produzione capitalistico. La sequenza causale ci pare la seguente: implosione economica – strumentalizzazione pandemica – emergenza democratica. Se dovesse andare a compimento, il cambio di paradigma in atto ci condurrebbe dritti a un modello apertamente autoritario di capitalismo implosivo, sostenuto da allarmi globali spesso sproporzionati rispetto alla minaccia reale. Come dimostrato dalla creazione del capro espiatorio ‘no vax’, il potenziale della propaganda è virtualmente illimitato. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la colpa di un trattamento che non funziona nelle modalità millantate viene affibbiata a coloro che non lo usano.
Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’attuale violenza ideologica è un riflesso quasi pavloviano rispetto all’incombere del collasso economico. Stiamo naufragando in una crisi di sistema che nel 2008 ha assunto per la prima volta un carattere terminale.
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Enrique Dussel, Cinque tesi sul populismo
di Lelio La Porta
Enrique Dussel: Cinque tesi sul populismo, Castelvecchi 2021, EAN:9788832904086, p. 64, € 9
Enrique Dussel, introdotto e tradotto da Antonino Infranca, propone un saggio recente, breve, ma ricco di implicazioni destinate ad una discussione ponderata: Cinque tesi sul populismo1.
I lemmi che l’autore pone al centro dell’attenzione, a ben vedere, sono quelli che occupano le menti delle intellighenzie del mondo intero rispetto al fenomeno che appare nel titolo del libro: rappresentanza, partecipazione, ingovernabilità, democrazia, Costituzione, neoliberismo, globalizzazione, leadership, popolo, popolare; in ultimo, un termine, interpellazione, che può apparire un neologismo, in quanto ci è più familiare l’interpellanza, ma che, nella terminologia dusseliana riveste il significato del riconoscimento da parte del popolo, nel momento in cui rivendica i propri diritti, di possedere e mettere in pratica l’«autocoscienza della propria esistenza come attore collettivo»2, come chiarisce Infranca.
Le cinque tesi di Dussel possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1) il populismo, in America latina, ha connotato positivamente i regimi che hanno avuto inizio dalla rivoluzione messicana del 1910 e si sono poi diffusi nel Continente; 2) il populismo, sempre in America latina, ha assunto un significato denigratorio nei confronti di quei governi che si sono opposti alle direttrici di controllo economico dettate dagli Usa a partire dal 1989; 3) populismo non significa né popolare né popolo; 4) con le parole dell’autore, «la democrazia reale si collega all’organizzazione effettiva della partecipazione politico-popolare»3; 5) in che modo vada esercitata la leadership onde evitare avanguardismo o dittature carismatiche.
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La dolorosa nascita dell’economia*
di Paolo Di Marco
1- l’invenzione di Adam Smith
‘Il fattore cruciale è la capacità del denaro di trasformare la moralità in una questione di impersonale aritmetica-e così facendo, di giustificare cose che altrimenti sembrerebbero scandalose od oscene’..:.e questa quantificazione è strettamente intrecciata alla violenza, quella stessa da cui originano stato e mercato.
Graeber, David. Debt (p.29). Melville House.
Cercando di liberarci dai luoghi comuni che hanno finito per occupare abusivamente la nostra visione del mondo, e in particolare quella dell’economia, ci imbattiamo subito in chi quella teoria ha fondato collo scopo precipuo di liberare la mente dei propri concittadini da un’errata concezione del denaro.
Quello che sembrava allora ovvio era che il denaro coniato dalle reali zecche lì stesso si originasse, quindi dallo stato e dal sovrano in prima istanza. E ciò che Adam Smith si accingeva invece a dimostrare era come il denaro fosse il frutto del lavoro e dell’attività imprenditoriale in primis, e che il compito del governo era solo quello di assicurare la quantità necessaria di conio, lasciando all’industria la libertà di fare il proprio mestiere senza vincoli dannosi.
Così nel 1776 il professore di Filosofia Morale di Glasgow inventò l’economia, vuoi come disciplina vuoi come attività umana. Il procedimento richiama altri già visti recentemente (come Rousseau): si ipotizza una natura umana la cui precipua caratteristica è la propensione allo scambio: tutto è scambio, a cominciare dall’originario baratto dei primitivi fino alla logica e alla conversazione. È questa spinta allo scambio che a sua volta genera la divisione del lavoro, responsabile di tutto il progresso umano e della civilizzazione.(v. 4).
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Culture e pratiche di sorveglianza
Il nuovo ordine mediale delle piattaforme-mondo
di Gioacchino Toni
Attorno alla metà degli anni Dieci del nuovo millennio è emersa con forza l’importanza che nell’odierna economia globale sta assumendo il cosiddetto Platform Capitalism – analizzato pionieristicamente da studiosi come Nick Srnicek1 –, cioè quella particolare forma di business ruotante attorno al modello delle piattaforme web rivelatosi il paradigma organizzativo emergente dell’industria e del mercato grazie alla sua abilità nello sfruttare pienamente le potenzialità della cosiddetta quarta rivoluzione industriale.
Se c’è un settore in cui emerge con chiarezza l’importanza assunta da tale modello questo è il comparto dei media ed è proprio a questo che si riferisce il volume di Luca Balestrieri, Le piattaforme mondo. L’egemonia dei nuovi signori dei media (Luiss University Press, 2021), in cui vengono descritte le trasformazioni culturali e industriali dei media che il “centro del mondo” – che, attenzione, significa certo Stati Uniti ma anche Cina – sta imponendo alle sue periferie.
In generale, quando si parala di “piattaforma” si fa riferimento a «uno spazio per transizioni o interazioni digitali che crea valore attraverso l’effetto network, il quale si manifesta tramite la produzione di esternalità positive» (p. 14). Visto che la creazione di valore deriva soprattutto dalla conoscenza dei clienti e del mercato, diventa fondamentale la capacità di estrazione e di interpretazione dei dati comportamentali dei consumatori.
Essendo la piattaforma a organizzare i flussi di informazione all’interno del network, la sua forza risiede proprio in questa sua capacità di connettere e ottimizzare gli scambi di informazioni tra gli elementi che coinvolge che prima erano invece disseminati lungo una filiera lineare.
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Facciamo uno sforzo e guardiamo oltre la narrazione dominante
di Pier Giorgio Ardeni
Un recente articolo di Piero Bevilacqua sul manifesto del 6 gennaio 2022 – «Il mondo senza natura degli intellettuali no vax» – merita alcuni commenti, che possono essere un’occasione per allargare il ragionamento e guardare oltre la narrazione dominante. Perché sono molteplici i termini della questione che negli ultimi mesi sono andati confondendosi e oggi, di fronte alle ultime iniziative governative, alcuni punti vanno riaffermati con più chiarezza. E perché, inoltre, questa invettiva continua contro chi si oppone ai provvedimenti di legge o semplicemente li contesta va depurata di tutti i pregiudizi e gli argomenti pretestuosi che hanno accomunato i «no-vax» a chi, più articolatamente, ha criticato la generale impostazione della lotta alla pandemia.
Bevilacqua si scaglia contro «le sortite anti-green pass, e sostanzialmente anti-medicalizzazione (anti-vaccini), di filosofi noti e prestigiosi come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari» e di «un giurista di rango come Ugo Mattei». Al di là delle sue valutazioni personali sulle posizioni di Agamben, che Bevilacqua definisce «enormità», ciò che il suo pezzo vuole prendere di mira «è la cultura di fondo, l’implicito “inconscio filosofico” su cui si reggono le posizioni di questi studiosi, che non differiscono in nulla rispetto alle vulgate popolari dei no vax di strada». Che le posizioni di Agamben e Cacciari non siano «no-vax», ma specificamente contro il green pass, è noto e non tanto perché limiterebbero la libertà di spostamento ma perché discriminatorie. Tuttavia, Bevilacqua le critica perché tacerebbero sul «fatto che lo spostamento degli individui, in quanto esseri sociali, comporta relazioni e vicinanza con gli altri ed è quindi il vettore unico e universale della trasformazione di una malattia virale in una pandemia planetaria.
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Dalla coincidenza alla convergenza
Lotta operaia e giustizia climatica alla GKN
di Dario Salvetti
Incontro con Emanuele Leonardi e Mimmo Perrotta
Il 23 dicembre 2021 un nuovo proprietario ha acquistato la Gkn di Campi Bisenzio, la fabbrica di semiassi per autoveicoli occupata dagli operai dal 9 luglio, a seguito dell’annuncio da parte della precedente proprietà – il fondo di investimenti britannico Melrose – della chiusura e del licenziamento di tutti i dipendenti. L’arrivo di un nuovo proprietario rappresenta certamente un importante risultato della mobilitazione, che si poneva in primo luogo l’obiettivo della salvaguardia dei posti di lavoro. Tuttavia, il futuro dello stabilimento resta incerto, a partire da quale sarà la sua destinazione produttiva.
[cronistoria minimale:
Durante questi mesi di intensa mobilitazione, il collettivo operaio, con il supporto di ingegneri ed economisti solidali, ha elaborato – e continua a elaborare – proposte per un nuovo piano industriale, nell’ambito di un Polo Pubblico della Mobilità Sostenibile. I dettagli del PPMS non sono ancora interamente noti. La sua valenza politica, invece, è evidentissima: si tratta di pensare la necessaria pianificazione ambientale con le teste degli operai, non su di esse. E vale davvero la pena di sottolineare che tale riflessione si fonda su un rapporto finalmente costitutivo tra sapere operaio ed ecologia politica. Il punto di partenza è che non si può parlare di transizione ecologica senza indicare con chiarezza
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Sraffa e il valore
di Franco Romanò
Esergo
“Tutte le epoche in regresso e in dissoluzione sono soggettive, mentre tutte le epoche progressive hanno una direzione oggettiva.” W. Goethe nei colloqui con Eckermann
«La posizione consapevole significa che lo scopo precede il risultato. Questo è il fondamento dell’intera società umana» (14). 14 Ont. II, p. 739. Lukacs
Sraffa dopo Graziani di Emiliano Brancaccio
L’interpretazione del sistema sraffiano suggerita da Augusto Graziani può essere intesa non come un’alternativa ma come un possibile complemento delle analisi tradizionali di tipo classico-keynesiano. La chiave di lettura grazianea sembra particolarmente adatta a descrivere la dura realtà del comando capitalistico contemporaneo e pare suggerire una interpretazione dello schema di Sraffa in chiave “rivoluzionaria”, critica verso le concrete possibilità del riformismo politico.
Premessa
Il punto di partenza scelto, per ricostruire l’opera di Piero Sraffa, sono Le note di lettura sulle teorie avanzate del valore. Si tratta del resoconto trascritto delle sue lezioni, alternate da altre note e riflessioni. Si tratta di un corpus fortemente magmatico, spesso colloquiale, non sempre chiaro. Il testo su cui ho lavorato è quello che si trova in rete a questo link:
Sraffa Papers Trinity 2.0 Arrangement D2/4 Lecture Notes on the Advanced Theory of Value, 1928-31. Arrangement and Transcriptions by Scott Carter*
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Lavoro materiale o virtuale? Luoghi e tempi nel lavoro nelle Platform work
di Massimo De Minicis, Silvia Donà
Premessa
Il 9 dicembre, per la prima volta nel contesto comunitario, è stata presentata una proposta di regolazione delle diverse tipologie di lavoro realizzato attraverso piattaforme digitali (location based e on web based). La Commissione Europea ha presentato, così, una proposta di direttiva[1]che affronta tre aspetti irrisolti del lavoro su piattaforma: l’errata classificazione dello status occupazionale dei lavoratori coinvolti; la correttezza, trasparenza e responsabilità della gestione algoritmica; l’attuazione e il rafforzamento delle regole da applicare[2]. La direttiva esprimendosi su questi tre punti fondamentali, sembra orientarsi verso l’approccio del governo spagnolo attuato per la sola riclassificazione dei rider delle location based Platform. La Spagna ha riconosciuto nel 2020, infatti, una presunzione di lavoro dipendente per tale tipologia di attività lavorativa, ed è la piattaforma che deve confutare, caso per caso, attraverso una descrizione concreta della prestazione lavorativa, se quella riclassificazione dello status occupazionale è errata[3]. La proposta della direttiva della Commissione Europea non definisce, così, una fattispecie giuridica innovativa e speciale per i lavoratori delle piattaforme, ma attuando un approccio fondato sul “primacy of fact”, richiama una corretta classificazione tra quelle esistenti. La presunzione di subordinazione si basa sulla definizione di criteri atti a verificare, essenzialmente, se la prestazione lavorativa è sottoposta ad un controllo, monitoraggio e valutazione da parte dell’algoritmo. Al verificarsi di due tra i diversi criteri indicati[4]il lavoratore può essere riclassificato come dipendente, con tutte le tutele previste per tale tipologia di lavoro (assicurative, previdenziali e assistenziali).
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L'eterno "Drang nach Osten" europeo
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Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
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Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
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Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
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Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto