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Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata
di Fabio Vighi
Dopo quasi due anni, eccoci di nuovo qua. Mascherine, distanziamenti, quarantene, restrizioni, lavoro a distanza (per chi ancora ce l’ha), bombardamenti mediatici a tappeto, assolutismo vaccinale e, immancabile, l’ombra lunga di devastanti lockdown – già caldamente sponsorizzati, tra gli altri, dal Fondo Monetario Internazionale. Ma questa volta con l’aggiunta di fiammate inflattive che svalutano il denaro e bruciano i risparmi, spingendo una parte sempre più ampia di popolazione nella spirale del debito e della povertà.
Iniezioni monetarie
A nostro avviso, la funzione profonda dell’emergenza sanitaria può essere compresa se inserita nel contesto macro di pertinenza, ovvero la crisi terminale del modo di produzione capitalistico. La sequenza causale ci pare la seguente: implosione economica – strumentalizzazione pandemica – emergenza democratica. Se dovesse andare a compimento, il cambio di paradigma in atto ci condurrebbe dritti a un modello apertamente autoritario di capitalismo implosivo, sostenuto da allarmi globali spesso sproporzionati rispetto alla minaccia reale. Come dimostrato dalla creazione del capro espiatorio ‘no vax’, il potenziale della propaganda è virtualmente illimitato. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la colpa di un trattamento che non funziona nelle modalità millantate viene affibbiata a coloro che non lo usano.
Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’attuale violenza ideologica è un riflesso quasi pavloviano rispetto all’incombere del collasso economico. Stiamo naufragando in una crisi di sistema che nel 2008 ha assunto per la prima volta un carattere terminale.
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Enrique Dussel, Cinque tesi sul populismo
di Lelio La Porta
Enrique Dussel: Cinque tesi sul populismo, Castelvecchi 2021, EAN:9788832904086, p. 64, € 9
Enrique Dussel, introdotto e tradotto da Antonino Infranca, propone un saggio recente, breve, ma ricco di implicazioni destinate ad una discussione ponderata: Cinque tesi sul populismo1.
I lemmi che l’autore pone al centro dell’attenzione, a ben vedere, sono quelli che occupano le menti delle intellighenzie del mondo intero rispetto al fenomeno che appare nel titolo del libro: rappresentanza, partecipazione, ingovernabilità, democrazia, Costituzione, neoliberismo, globalizzazione, leadership, popolo, popolare; in ultimo, un termine, interpellazione, che può apparire un neologismo, in quanto ci è più familiare l’interpellanza, ma che, nella terminologia dusseliana riveste il significato del riconoscimento da parte del popolo, nel momento in cui rivendica i propri diritti, di possedere e mettere in pratica l’«autocoscienza della propria esistenza come attore collettivo»2, come chiarisce Infranca.
Le cinque tesi di Dussel possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1) il populismo, in America latina, ha connotato positivamente i regimi che hanno avuto inizio dalla rivoluzione messicana del 1910 e si sono poi diffusi nel Continente; 2) il populismo, sempre in America latina, ha assunto un significato denigratorio nei confronti di quei governi che si sono opposti alle direttrici di controllo economico dettate dagli Usa a partire dal 1989; 3) populismo non significa né popolare né popolo; 4) con le parole dell’autore, «la democrazia reale si collega all’organizzazione effettiva della partecipazione politico-popolare»3; 5) in che modo vada esercitata la leadership onde evitare avanguardismo o dittature carismatiche.
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La dolorosa nascita dell’economia*
di Paolo Di Marco
1- l’invenzione di Adam Smith
‘Il fattore cruciale è la capacità del denaro di trasformare la moralità in una questione di impersonale aritmetica-e così facendo, di giustificare cose che altrimenti sembrerebbero scandalose od oscene’..:.e questa quantificazione è strettamente intrecciata alla violenza, quella stessa da cui originano stato e mercato.
Graeber, David. Debt (p.29). Melville House.
Cercando di liberarci dai luoghi comuni che hanno finito per occupare abusivamente la nostra visione del mondo, e in particolare quella dell’economia, ci imbattiamo subito in chi quella teoria ha fondato collo scopo precipuo di liberare la mente dei propri concittadini da un’errata concezione del denaro.
Quello che sembrava allora ovvio era che il denaro coniato dalle reali zecche lì stesso si originasse, quindi dallo stato e dal sovrano in prima istanza. E ciò che Adam Smith si accingeva invece a dimostrare era come il denaro fosse il frutto del lavoro e dell’attività imprenditoriale in primis, e che il compito del governo era solo quello di assicurare la quantità necessaria di conio, lasciando all’industria la libertà di fare il proprio mestiere senza vincoli dannosi.
Così nel 1776 il professore di Filosofia Morale di Glasgow inventò l’economia, vuoi come disciplina vuoi come attività umana. Il procedimento richiama altri già visti recentemente (come Rousseau): si ipotizza una natura umana la cui precipua caratteristica è la propensione allo scambio: tutto è scambio, a cominciare dall’originario baratto dei primitivi fino alla logica e alla conversazione. È questa spinta allo scambio che a sua volta genera la divisione del lavoro, responsabile di tutto il progresso umano e della civilizzazione.(v. 4).
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Culture e pratiche di sorveglianza
Il nuovo ordine mediale delle piattaforme-mondo
di Gioacchino Toni
Attorno alla metà degli anni Dieci del nuovo millennio è emersa con forza l’importanza che nell’odierna economia globale sta assumendo il cosiddetto Platform Capitalism – analizzato pionieristicamente da studiosi come Nick Srnicek1 –, cioè quella particolare forma di business ruotante attorno al modello delle piattaforme web rivelatosi il paradigma organizzativo emergente dell’industria e del mercato grazie alla sua abilità nello sfruttare pienamente le potenzialità della cosiddetta quarta rivoluzione industriale.
Se c’è un settore in cui emerge con chiarezza l’importanza assunta da tale modello questo è il comparto dei media ed è proprio a questo che si riferisce il volume di Luca Balestrieri, Le piattaforme mondo. L’egemonia dei nuovi signori dei media (Luiss University Press, 2021), in cui vengono descritte le trasformazioni culturali e industriali dei media che il “centro del mondo” – che, attenzione, significa certo Stati Uniti ma anche Cina – sta imponendo alle sue periferie.
In generale, quando si parala di “piattaforma” si fa riferimento a «uno spazio per transizioni o interazioni digitali che crea valore attraverso l’effetto network, il quale si manifesta tramite la produzione di esternalità positive» (p. 14). Visto che la creazione di valore deriva soprattutto dalla conoscenza dei clienti e del mercato, diventa fondamentale la capacità di estrazione e di interpretazione dei dati comportamentali dei consumatori.
Essendo la piattaforma a organizzare i flussi di informazione all’interno del network, la sua forza risiede proprio in questa sua capacità di connettere e ottimizzare gli scambi di informazioni tra gli elementi che coinvolge che prima erano invece disseminati lungo una filiera lineare.
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Facciamo uno sforzo e guardiamo oltre la narrazione dominante
di Pier Giorgio Ardeni
Un recente articolo di Piero Bevilacqua sul manifesto del 6 gennaio 2022 – «Il mondo senza natura degli intellettuali no vax» – merita alcuni commenti, che possono essere un’occasione per allargare il ragionamento e guardare oltre la narrazione dominante. Perché sono molteplici i termini della questione che negli ultimi mesi sono andati confondendosi e oggi, di fronte alle ultime iniziative governative, alcuni punti vanno riaffermati con più chiarezza. E perché, inoltre, questa invettiva continua contro chi si oppone ai provvedimenti di legge o semplicemente li contesta va depurata di tutti i pregiudizi e gli argomenti pretestuosi che hanno accomunato i «no-vax» a chi, più articolatamente, ha criticato la generale impostazione della lotta alla pandemia.
Bevilacqua si scaglia contro «le sortite anti-green pass, e sostanzialmente anti-medicalizzazione (anti-vaccini), di filosofi noti e prestigiosi come Giorgio Agamben e Massimo Cacciari» e di «un giurista di rango come Ugo Mattei». Al di là delle sue valutazioni personali sulle posizioni di Agamben, che Bevilacqua definisce «enormità», ciò che il suo pezzo vuole prendere di mira «è la cultura di fondo, l’implicito “inconscio filosofico” su cui si reggono le posizioni di questi studiosi, che non differiscono in nulla rispetto alle vulgate popolari dei no vax di strada». Che le posizioni di Agamben e Cacciari non siano «no-vax», ma specificamente contro il green pass, è noto e non tanto perché limiterebbero la libertà di spostamento ma perché discriminatorie. Tuttavia, Bevilacqua le critica perché tacerebbero sul «fatto che lo spostamento degli individui, in quanto esseri sociali, comporta relazioni e vicinanza con gli altri ed è quindi il vettore unico e universale della trasformazione di una malattia virale in una pandemia planetaria.
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Dalla coincidenza alla convergenza
Lotta operaia e giustizia climatica alla GKN
di Dario Salvetti
Incontro con Emanuele Leonardi e Mimmo Perrotta
Il 23 dicembre 2021 un nuovo proprietario ha acquistato la Gkn di Campi Bisenzio, la fabbrica di semiassi per autoveicoli occupata dagli operai dal 9 luglio, a seguito dell’annuncio da parte della precedente proprietà – il fondo di investimenti britannico Melrose – della chiusura e del licenziamento di tutti i dipendenti. L’arrivo di un nuovo proprietario rappresenta certamente un importante risultato della mobilitazione, che si poneva in primo luogo l’obiettivo della salvaguardia dei posti di lavoro. Tuttavia, il futuro dello stabilimento resta incerto, a partire da quale sarà la sua destinazione produttiva.
[cronistoria minimale:
Durante questi mesi di intensa mobilitazione, il collettivo operaio, con il supporto di ingegneri ed economisti solidali, ha elaborato – e continua a elaborare – proposte per un nuovo piano industriale, nell’ambito di un Polo Pubblico della Mobilità Sostenibile. I dettagli del PPMS non sono ancora interamente noti. La sua valenza politica, invece, è evidentissima: si tratta di pensare la necessaria pianificazione ambientale con le teste degli operai, non su di esse. E vale davvero la pena di sottolineare che tale riflessione si fonda su un rapporto finalmente costitutivo tra sapere operaio ed ecologia politica. Il punto di partenza è che non si può parlare di transizione ecologica senza indicare con chiarezza
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Sraffa e il valore
di Franco Romanò
Esergo
“Tutte le epoche in regresso e in dissoluzione sono soggettive, mentre tutte le epoche progressive hanno una direzione oggettiva.” W. Goethe nei colloqui con Eckermann
«La posizione consapevole significa che lo scopo precede il risultato. Questo è il fondamento dell’intera società umana» (14). 14 Ont. II, p. 739. Lukacs
Sraffa dopo Graziani di Emiliano Brancaccio
L’interpretazione del sistema sraffiano suggerita da Augusto Graziani può essere intesa non come un’alternativa ma come un possibile complemento delle analisi tradizionali di tipo classico-keynesiano. La chiave di lettura grazianea sembra particolarmente adatta a descrivere la dura realtà del comando capitalistico contemporaneo e pare suggerire una interpretazione dello schema di Sraffa in chiave “rivoluzionaria”, critica verso le concrete possibilità del riformismo politico.
Premessa
Il punto di partenza scelto, per ricostruire l’opera di Piero Sraffa, sono Le note di lettura sulle teorie avanzate del valore. Si tratta del resoconto trascritto delle sue lezioni, alternate da altre note e riflessioni. Si tratta di un corpus fortemente magmatico, spesso colloquiale, non sempre chiaro. Il testo su cui ho lavorato è quello che si trova in rete a questo link:
Sraffa Papers Trinity 2.0 Arrangement D2/4 Lecture Notes on the Advanced Theory of Value, 1928-31. Arrangement and Transcriptions by Scott Carter*
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Lavoro materiale o virtuale? Luoghi e tempi nel lavoro nelle Platform work
di Massimo De Minicis, Silvia Donà
Premessa
Il 9 dicembre, per la prima volta nel contesto comunitario, è stata presentata una proposta di regolazione delle diverse tipologie di lavoro realizzato attraverso piattaforme digitali (location based e on web based). La Commissione Europea ha presentato, così, una proposta di direttiva[1]che affronta tre aspetti irrisolti del lavoro su piattaforma: l’errata classificazione dello status occupazionale dei lavoratori coinvolti; la correttezza, trasparenza e responsabilità della gestione algoritmica; l’attuazione e il rafforzamento delle regole da applicare[2]. La direttiva esprimendosi su questi tre punti fondamentali, sembra orientarsi verso l’approccio del governo spagnolo attuato per la sola riclassificazione dei rider delle location based Platform. La Spagna ha riconosciuto nel 2020, infatti, una presunzione di lavoro dipendente per tale tipologia di attività lavorativa, ed è la piattaforma che deve confutare, caso per caso, attraverso una descrizione concreta della prestazione lavorativa, se quella riclassificazione dello status occupazionale è errata[3]. La proposta della direttiva della Commissione Europea non definisce, così, una fattispecie giuridica innovativa e speciale per i lavoratori delle piattaforme, ma attuando un approccio fondato sul “primacy of fact”, richiama una corretta classificazione tra quelle esistenti. La presunzione di subordinazione si basa sulla definizione di criteri atti a verificare, essenzialmente, se la prestazione lavorativa è sottoposta ad un controllo, monitoraggio e valutazione da parte dell’algoritmo. Al verificarsi di due tra i diversi criteri indicati[4]il lavoratore può essere riclassificato come dipendente, con tutte le tutele previste per tale tipologia di lavoro (assicurative, previdenziali e assistenziali).
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Rassegnatevi / 3
L’indignazione fa male alla salute, la volontà non può nulla. E allora? Passivismo unica via!
di Franco «Bifo» Berardi
Indignatevi! è il titolo di un libro di Stéphane Hessel (2010) che ebbe una certa influenza negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando il movimento Occupy tentò di opporsi all’arroganza del ceto dominante e all’impoverimento che venne imposto alla società per ripagare il debito delle banche.
Ci indignammo in gran numero e marciammo nelle vie di New York, di Genova, del Cairo e di Hong Kong, ma l’automa finanziario prevalse, e la logica degli algoritmi costrinse i lavoratori a rinunciare a ogni residuo governo politico sulle vicende dell’economia.
L’estate greca del 2015 fu il momento culminante dell’indignazione, ma anche dell’impotenza: il 62% degli elettori disse No alle ingiunzioni della finanza centrale europea, ma due giorni dopo Alexis Tsipras fu costretto a firmare l’imposizione depredatrice, e a quel punto tutti capimmo che la democrazia era finita proprio dove 25 secoli fa l’avevano inventata.
Da allora abbiamo continuato a indignarci, ma l’indignazione impotente fa male alla salute. E la salute della società è andata di male in peggio, soprattutto quella mentale.
So che non è possibile liberarsi della rabbia con un gesto di volontà, ma è utile sapere che da decenni l’equilibrio mentale della popolazione è corroso dal combinato disposto di indignazione per l’intollerabile, e inesorabilità dell’impoverimento e dell’umiliazione prescritti dalla logica degli algoritmi finanziari.
Poiché la volontà non può nulla contro un sistema di automatismi astratti, è utile elaborare la rabbia perché evolva in estraneità e quindi autonomia.
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Tra maccartismo vaccinale e deriva illiberale chi valuta il rischio strategico?
di Gianandrea Gaiani
In un editoriale intitolato “L’impatto della vaccinazione di massa: scommessa al buio?” pubblicato su Analisi Difesa l’8 agosto 2021, venne posta l’attenzione sul rischio strategico legato a vaccinazioni sperimentali di massa: un tema rimasto inspiegabilmente al di fuori dal pur ampio (anche se schizofrenico) dibattito sul contrasto al Covid.
In quell’articolo venne posto il focus sui rischi legati ai possibili effetti negativi su vasta scala dei vaccini sperimentali, effetti che neppure i produttori erano e sono in grado di valutare nel tempo, ma anche sulle prospettive politiche e sociali legate alle discriminazioni dei cittadini e dei lavoratori, le false informazioni utilizzate per indurli ad accettare la vaccinazione sperimentale, la fitta selva di limitazioni alle libertà individuali imposte con cadenza ora divenuta ravvicinata quanto isterica.
Dopo quasi un anno di “maccartismo vaccinale” e di assurda contrapposizione tra “pro-vax” e “no-vax”, che ha portato a tensioni e spaccature sociali e a una deriva autoritaria che non hanno eguali nella storia recente della Repubblica e dell’Europa, i fatti sembrano purtroppo confermare le valutazioni espresse in quell’editoriale.
Incredibile che nessuno prenda in considerazione il rischio che l’uso di massa di vaccini sperimentali possa minare le fondamenta stesse della società e della Nazione.
In un contesto di sperimentazione di sieri di tipologia mai utilizzata in precedenza e di cui le stesse aziende produttrici non sono in grado di valutare le conseguenze nel tempo né di assumersene la responsabilità, inocularli a gran parte della popolazione espone l’Italia, e tutte le nazioni che utilizzano su vasta scala quei tipi di vaccini, a un rischio strategico di portata mai vista fino ad oggi.
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Michal Kalecki e il marxismo economico del ‘900
di Joseph Halevi e Peter Kriesler (1)
I quindici anni che vanno dalla fine del XIX secolo allo scoppio della prima guerra mondiale, formarono forse il periodo più ricco nella storia dell’economia marxiana. Questa ricchezza – magistralmente presentata e resuscitata da Paul Sweezy nel suo insuperabile classico (1942) The Theory of Capitalist Development (1951 edizione italiana) – era stata molto stimolata dalla natura non unicamente accademica del dibattito. I partecipanti, provenienti dall’Europa di lingua tedesca e dall’impero zarista, che in quegli anni includeva anche la Polonia, si sforzavano di capire le dinamiche di accumulazione del capitale in un contesto che sicuramente non era quello di Marx. Il principale sviluppo tra il periodo in cui scriveva Marx e quello dei dibattiti russo-tedeschi fu il cambiamento della natura del sistema capitalista. Il riferimento è alla forza della concorrenza come intesa da Marx quando scriveva:
Inoltre, lo sviluppo della produzione capitalistica rende costantemente necessario aumentare la quantità del capitale investito in una data impresa industriale, e la concorrenza fa sì che le leggi immanenti della produzione capitalistica siano sentite da ogni singolo capitalista, come leggi coercitive esterne. Essa lo costringe ad estendere costantemente il suo capitale per conservarlo, ma egli non può estenderlo se non per mezzo dell’accumulazione progressiva (tradotto da: Karl Marx, Il Capitale, Vol. 1, cap. 24, https://marxists.architexturez.net/archive/marx/works/1867-c1/ch24.htm, visitato il 3/12/20021).
Questa legge coercitiva della concorrenza si manifesta attraverso la “Legge generale dell’accumulazione capitalistica” che Marx sviluppa nel capitolo 25 del primo volume del Capitale(edizione di Mosca) dandogli il medesimo titolo. La legge consiste nel fatto che: (a) il tasso di profitto e il tasso del salario si muovono, l’uno rispetto all’altro, rigorosamente in direzione inversa, (b) tutto il plusvalore viene automaticamente investito indipendentemente dal fatto che il suo ammontare sia alto o basso.
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La pattumiera della storia
di Sergio Bianchi
A introduzione del corso su Gli autonomi Le storie, le lotte, le teorie (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/gli-autonomi-le-storie-le-lotte-le-teorie), pubblichiamo il Prologo di Sergio Bianchi all’omonimo libro (Vol. I).
«Estremisti», «violenti», «provocatori», «mestatori», «prevaricatori», «squadristi», «diciannovisti», «fiancheggiatori», «terroristi». Questi sono solo alcuni degli epiteti coniati nel corso degli anni Settanta da illustri opinionisti, intellettuali, dirigenti di partito e di sindacato per definire gli autonomi, una variegata area di rivoluzionari attivi in quegli anni nel nostro paese.
Il giorno 7 aprile 1979 un’imponente iniziativa giudiziaria accusò decine di dirigenti e militanti autonomi di essere a capo di tutte le organizzazioni armate attive in Italia e il cervello organizzativo di «un progetto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato».
Il «teorema Calogero», dimostratosi col tempo del tutto infondato, fece da iniziale supporto ad arresti di massa, detenzioni preventive nei carceri speciali, processi durati anni e condanne a lunghe pene.
Ma gli autonomi erano davvero solo quel coacervo di estremismo irrazionale, violento e disperato così come risulta dalle cronache istituzionali dell’epoca?
Non vi è dubbio che la demonizzazione mediatica e la criminalizzazione giudiziaria ebbero la meglio nel consegnarli alla storia successiva con questo drastico giudizio. Resta però il fatto che a trent’anni da quegli eventi nessuno ha voluto o è riuscito a narrare che cosa è stata realmente l’area dell’autonomia operaia, quali sono state cioè le sue origini, le sue basi teoriche, le sue linee politiche e le sue pratiche conseguenti, le sue differenze dai gruppi extraparlamentari e da quelli che animarono la lotta armata.
I «vincitori», protagonisti residui ed epigoni del sistema dei partiti che governarono allora la cosiddetta Prima repubblica, non hanno ovviamente oggi alcun interesse nel promuovere una revisione di quel giudizio. I «perdenti», quelli non direttamente annientati, hanno nei decenni trascorsi adottato un profilo perlopiù silente, forse per effetto dell’interiorizzazione catastrofica di una sconfitta vissuta non solo sul piano politico ma anche su quello, ben più delicato, dell’esistenza nel suo complesso.
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Totalità, critica e mediazione
Dalla crisi del marxismo all’ultimo Fortini
di Andrea Cavazzini
Una discussione su totalità, critica e mediazione è senz’altro un’occasione importante per riprendere questi concetti e riformularne la genealogia e le implicazioni.
Mi pare che si possa iniziare cercando di situare il problema della totalità (e quindi del pensiero dialettico) nella storia discontinua e contraddittoria del movimento comunista, nelle sue crisi e nella sua dissoluzione alla fi del Novecento. Non mi pare necessario insistere sulle ragioni di considerare questa storia come una storia provvisoriamente conclusa: questa constatazione mi sembra non dover essere associata né alla disperazione né all’euforia, ma credo sia imposta dal bilancio della fi del Novecento, a trent’anni dalla dissoluzione dell’URSS e a quarantacinque dalla fi della Rivoluzione Culturale. In compenso, il problema resta interamente aperto rispetto alla possibilità di individuare e riconoscere un’eredità possibile di questa sequenza storica.
Un recupero o un rilancio delle categorie intellettuali associate al marxismo dovrebbero, in qualche modo, farsi carico della storia attraverso cui tali categorie arrivano fino a noi, e del modo in cui le nostre attuali forme di comprensione del mondo dipendono anche da questa storia, dalle riscritture, dalle cancellazioni e dalle deformazioni che essa ha imposto ai concetti e ai discorsi che oggi si offrono alla nostra interpretazione e ai nostri eventuali riusi. Nessun confronto con il pensiero o la teoria di Marx e della tradizione marxista può evitare di costruire una teoria della ricezione che dia un senso non apologetico o metaforico al termine “tradizione”: con ciò’ si vuol dire che l’insieme o gli insiemi di concetti di volta in volta designati da locuzioni come “critica dell’economia politica”, “materialismo storico”, “pensiero dialettico”, eccetera, non possono essere considerati come trasparenti, dati ad una lettura oggettiva, disponibili per un’appropriazione immediata che trascuri o rimuova le storie di cui essi sono i sintomi.
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Note di commento al documento di Assemblea militante
di Michele Castaldo
Scrivo queste note con qualche difficoltà perché si tratta di discutere di un documento, Per un’opposizione di classe alla gestione autoritaria della pandemia, prodotto dai compagni costituitisi in Assemblea militante, un gruppo di compagni di vecchia data e per lo più di storica conoscenza, nei confronti dei quali c’è stima e affetto per un passato di comune militanza. Perché con qualche difficoltà, perché le questioni sono spinose e nel maneggiarle ci si punge. Tralascio quello che non serve per focalizzare alcuni punti, la cui natura teorica ha immediati risvolti politici, come i compagni correttamente indicano fin dal titolo del testo in questione.
Va innanzitutto detto che lo spirito del documento è tutto improntato a un intervento politico sul problema, dunque a non subire passivamente le iniziative dei vari poteri economici, scientifici, politici, culturali e governativi su una questione storica molto complessa. Dunque la critica – se tale è – deve tener conto dell’intento, che volge verso un’azione contro l’insieme dell’impalcatura di potere che da questa pandemia si è costruita.
Inutile nascondersi dietro un dito, bisogna avere nervi saldi e mantenere un necessario equilibrio per evitare le esagerazioni che renderebbero vano lo sforzo che si vuole profondere.
Scrivono i compagni: « Tutti questi morti, e sono la stragrande maggioranza, non hanno niente a che vedere con la diffusione del virus, ma con la strategia di “contrasto” (per non dire di aggravamento) messa in atto dal governo e dai suoi “esperti” selezionati. Si è trattato di una vera e propria strage di Stato di cui forse nessuno renderà mai conto, realizzata proprio in nome della difesa della salute pubblica ».
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Venti anni di euro. Chi ci ha guadagnato?
di Dante Barontini - Guido Salerno Aletta*
A sentir parlare di debito pubblico, il lettore medio cattolico si fa la croce pensando al terrore che gli ispirano i Cottarelli e i Draghi di turno.
Quelli che si sentono “di sinistra” ma non fanno lo sforzo di concepire la società e le classi come un insieme organico, percorso da una feroce lotta di classe, si limitano a far spallucce considerandolo un falso problema oppure una “scusa” con cui i governanti di turno fottono i cittadini, i lavoratori, ecc.
Il che ha un suo fondo di verità, ma solo se si guarda alla superficie del problema.
Sentir parlare di moneta, di tassi di interesse, ecc, per di più in relazione al debito pubblico, provoca reazioni di fuga ancora più rapide. Eppure tutta la gestione politica dell’economia – nazionale o continentale che sia, visto che l’Unione Europea scrive ormai la parte essenziale della legislazione macroeconomica e fiscale dei singoli paesi – passa inevitabilmente per il debito pubblico e la moneta.
Il solo fatto di non averne più una propria, e condividere invece quella “comunitaria” (che è ben diverso da “comune”), ha prodotto una lunga seria di problemi che hanno un riflesso immediato sulla vita quotidiana di tutti noi. Soprattutto per quelli che di moneta in tasca ne hanno poca.
Su questi punti la destra italica, espressione fondamentalmente di una borghesia piccola e media – con scarsa o nulla proiezione internazionale e persino nazionale (a carattere locale, insomma) – ha battuto per anni. Facendo infine identificare la critica dell’euro come “causa” dei molti peggioramenti avvenuti nella condizione di quella classe smandrappata.
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Cile, tra paura e speranza
di Diego Ortolani Delfino
“Oggi in Cile la speranza ha vinto sulla paura”, ha detto la sera di domenica 19 dicembre Gabriel Boric nel suo primo discorso da presidente eletto, davanti a una gigantesca moltitudine di circa 500mila persone che riempiva l’Alameda, dal palco montato per l’occasione fino a Piazza Dignità, così ribattezzata dal popolo a partire dalla ribellione dell’ottobre 2019, a dieci isolati da lì. Si lasciava alle spalle, segnato anch’esso dalla paura, quasi un mese di campagna elettorale per il ballottaggio contro l’ultadestrista José Antonio Kast, una figura politica caratterizzata dalla rivendicazione di pinochetismo, neoliberalismo, xenofobia, patriarcato e omofobia: il Bolsonaro cileno.
Figlio di un militare nazista, Kast aveva riunito per la sua candidatura al secondo turno tutte le destre, dalla più reazionaria fino alle sedicenti “moderna”, liberale o “sociale”, che non hanno esitato, avendo perso il proprio candidato al primo turno, a cadere tra le sue braccia praticamente senza condizioni, di fronte alla minaccia “del comunismo” che secondo lui rappresentava Boric. Kast aveva fatto campagna elettorale, fin dall’inizio, agitando questo spauracchio e tutti i soliti atavismi reazionari, oltre a sventolare la bandiera della “libertà”, nome che danno all’anarcocapitalismo fondamentalista di mercato che invocano le nuove ultradestre, in questa nostra era di crisi permanente e impazzita dell’accumulazione del capitale.
Per questa contesa finale, come era logico, Kast ha cercato di trasmettere la “moderazione” e lo spostamento verso il “centro” tipici dei ballottaggi delle democrazie neoliberali occidentali (e in generale, di tutto il loro sistema politico in un qualsiasi momento dei loro rituali sempre più vuoti, fino all’irruzione ora di queste novità).
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Debito-Pil, il nodo irrisolto
di Roberto Artoni
Il peggiorare del rapporto tra debito pubblico e Pil dipende più dalla bassa crescita che dai saldi di spesa. Serve un quadro europeo per la gestione del debito che eviti attacchi speculativi e lasci spazio a politiche espansive
Sembra esistere un grande consenso sulla necessità di procedere ad una profonda revisione delle regole europee di bilancio, ancora in vigore anche se temporaneamente sospese. Richiamando i termini essenziali, le regole europee prevedono che l’obiettivo di un rapporto fra debito pubblico e prodotto interno, posto al 60%, debba e possa essere raggiunto limitando l’indebitamento annuale al 3%, perseguendo il pareggio del bilancio strutturale (stimato sulla base del prodotto potenziale al netto del ciclo di ogni paese) e vincolando la crescita della spesa pubblica, opportunamente definita, alla crescita del prodotto potenziale.
La pandemia ha reso inapplicabili, al di là di quanto già non lo fossero, queste regole: nel 2020, due anni fa, 10 paesi registravano disavanzi superiori al 3% e 14 superavano la soglia canonica del rapporto debito prodotto. In questo quadro, anche per effetto di una forte caduta dei livelli di attività in tutti i paesi, è stata attivata la clausola generale di salvaguardia, che ha consentito la sospensione dei vincoli di bilancio pubblico nel 2021. La sospensione è stata prorogata per il 2022, anche se sono rimaste in vigore le procedure per la valutazione dei disavanzi successivi. Il problema dell’adozione di nuove regole o del ripristino di quelle vecchie si pone dunque per il 2023.
Il sistema di regole vigenti è giudicato eccessivamente complesso, per il progressivo accumularsi di norme e di eccezioni, e poco trasparente, per il ricorso a stime di grandezze non osservabili e difficilmente quantificabili come il prodotto potenziale. Ne derivano, come da tempo sottolineato, elementi di arbitrarietà nei processi decisionali dell’Unione.
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Cuba al bivio
Un libro a più voci sulla crisi cubana
di Carlo Formenti
Cuba 11J. Protestas, respuestas, desafíos, curato da Julio Carranza Valdés, Manuel Monereo Pérez e Francisco Lopez Segrera ed editato dalla ELAG (Escuela de Estudios Latinoamericanos y Globales) e dalla rivista argentina Pagina 12 è un libro (uscito nel dicembre scorso) che prende spunto dalle manifestazioni di protesta che si sono svolte in alcuni quartieri dell’Avana e in altre città cubane l’estate scorsa, per analizzare le difficoltà che il Paese socialista caraibico si trova a fronteggiare a causa della crisi pandemica e del concomitante inasprimento del bloqueo imposto dall’amministrazione degli Stati Uniti (voluto da Donald Trump e confermato dal neopresidente democratico Joe Biden). Il libro si articola in 16 capitoletti firmati da altrettanti autori (economisti, sociologi, politologi ed esponenti di altre discipline) ed è dedicato ad uno di essi, il sociologo e storico della Rivoluzione cubana Juan Valdés Paz, venuto a mancare lo scorso ottobre. In appendice il testo di un discorso tenuto dal Presidente Miguel Diaz Canel il 18 luglio 2021 e alcune interviste a intellettuali ed artisti, nonché a giovani studenti che hanno partecipato alle proteste.
I punti di vista espressi dagli autori nei sedici testi raccolti nel volume sono articolati e differenziati, per cui è praticamente impossibile riassumere il contenuto del libro. Ho quindi deciso di non stendere un banale elenco delle varie posizioni, bensì di concentrare l’attenzione sui sei contributi che mi sono parsi più stimolanti, raggruppando i temi che vi sono trattati in tre aree: (1) ricostruzione degli adempimenti del regime nei primi trent’anni di vita e delle cause che, a partire dagli anni Novanta, rischiano di metterli a rischio; e valutazione di quali riforme economiche (2) e politiche (3) potrebbero consentire di superare la crisi.
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Il nucleare e le verità degli influencer
di Igor Giussani
Il video di Rick Dufer ‘La Verità sul Nucleare: Ambiente, Scienza ed Energia‘, pubblicato su YouTube il 6 novembre scorso e divenuto abbastanza virale (circa 95.000 visualizzazioni mentre sto scrivendo), si sarebbe potuto ragionevolmente intitolare ‘Quando clickbaiting, bias, ideologismo, cherrypicking, whishful thinking e tutte quelle brutte cose che rimproveriamo sempre agli altri le facciamo noi, allora diventano ottima e corretta informazione’.
Non si può definire altrimenti questa lunga intervista totalmente ‘sdraiata’ con Luca Romano (meglio noto sul Web come ‘L’avvocato dell’Atomo’), dove il liberal tecno-ottimista DuFer lascia campo libero al suo interlocutore senza il minimo contraddittorio per snocciolarci niente meno che la ‘Verità’, ossia un’ora e mezza di propaganda sapientemente ondeggiante tra enfasi delle (presunte) virtù del nucleare e demonizzazione delle rinnovabili.
La mia intenzione originaria era di ribattere colpo su colpo, tramite un articolo o un video reaction, ma le manipolazioni sono talmente tante che ogni tentativo si è rivelato un’impresa titanica. Dopo lunga (quasi due mesi) e sofferta riflessione sul da farsi, ho preferito rimandare alcune questioni a una fonte spesso accusata di essere ‘di parte’ ma che, per esaustività e ricchezza di informazioni, non ha eguali: mi riferisco al The World Nuclear Industry Status Report 2021 (WNISR2021). In particolare per quanto concerne i seguenti punti:
- costi e tempistiche del nucleare: nel video vengono spacciati per attuali quelli relativi al programma francese (completato in massima parte a fine anni Ottanta), totalmente anacronistici a causa dei maggiori livelli di sofisticazione tecnica e degli standard di sicurezza odierni. Del resto, le descrizioni rose e fiori dell’Avvocato cozzano decisamente con le pessime condizioni economiche in cui versa attualmente il colosso energetico transalpino EDF e con il fallimento in cui è incorsa AREVA (vedi qui), che spiegano invece perché il direttore tecnico di Rwe Power Nuclear definisca l’atomo “un business economicamente morto”;
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Fanon l’inattuale
Rileggere I dannati della terra nelle metropoli del «primo mondo»
di Jack Orlando
Tornare a Fanon, ancora e ancora, per leggere la violenza nelle metropoli postcoloniali.
La violenza della razzializzazione, sempre attuale, e la violenza rivoluzionaria che si declina per smantellare le gerarchie sociali e della razza. Un tema, quest’ultimo, che gli scritti dello psichiatra martinicano continuano a illuminano con una radicalità potente e irrinunciabile. Jack Orlando ne ripercorre gli insegnamenti cogliendo l’urgenza politica di mettere a lavoro Fanon nel presente.
Nel 1961, nella intemperie della guerra di liberazione algerina, Frantz Fanon scrive un testo, I dannati della terra, destinato da subito a diventare una pietra miliare nella formazione politica, non solo dei militanti delle lotte di liberazione del terzo mondo ma per tutta la componente antagonista e rivoluzionaria della stagione Sessanta/Settanta.
È abbastanza noto il forte influsso che ebbe questo scritto sul movimento afroamericano. Preso a modello dal Black Panther Party che ne coniugò gli assunti con quelli di Malcolm X e della pedagogia maoista del Libretto Rosso, fu punto di partenza per l’elaborazione di una teoria del colonialismo interno che avrebbe poi influenzato tutto il pensiero nero radicale, di lì a venire: una prima emersione esplicita del problema coloniale dentro le metropoli occidentali e la risposta dei subalterni in seno agli Stati Uniti.
Nel medesimo frangente storico, anche in Italia ed Europa, il pensiero di Fanon entra in contatto con l’esperienza concreta di formazioni politiche rivoluzionarie come i NAP in Italia e la tedesca RAF, per citare due esempi. Pure in assenza di una centralità della linea del colore, come negli USA, Fanon riesce comunque a entrare nelle pieghe del discorso radicale; senz’altro per l’importanza del concetto di «imperialismo» ma soprattutto per la capacità di inanellare un rosario teorico che muovendosi dalla dimensione macroscopica dei fenomeni sociali, arriva giù in fondo al cuore dell’esperienza psichica e individuale del subalterno. In questo senso, la violenza è l’elemento che caratterizza e accomuna su scala globale, a differenti sfumature, l’universo capitalista e Fanon sa offrire lo sguardo e le parole per coglierne la portata.
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Chi ha paura del vaccino?
di Maddalena Loy, giornalista, Elena Dragagna, avvocato, Maria Luisa Iannuzzo, medico legale, Maurizio Rainisio, statistico, Francesca Capelli, sociologa e scrittrice, Remo Bassini, scrittore e giornalista, Thomas Fazi, giornalista e saggista, Gilda Ripamonti, giurista, Marilena Falcone, ingegnere, Maria Sabina Sabatino, storica dell'arte, Luciana Apicella, giornalista, Elena Flati, nutrizionista, Ugo Bardi, chimico, Maurizio Matteoli, pediatra, Clementina Sasso, astrofisica, Sara Gandini, epidemiologa/biostatistica
Il dibattito pubblico si sta infiammando sempre di più intorno al tema della campagna di vaccinazione.
Esattamente un anno fa l'Italia aveva chiarito la propria posizione ufficiale: il vaccino sarebbe stato gratuito e non obbligatorio (1). Tuttavia, alcuni rappresentanti delle istituzioni avevano già allora più o meno esplicitamente anticipato che la volontarietà della vaccinazione sarebbe stata condizionata dal raggiungimento della cosiddetta “immunità di comunità”, o di gregge. Qualora questa non fosse stata raggiunta, compatibilmente con i tempi di distribuzione del vaccino, si sarebbero verificate, a dir loro, le condizioni per promuovere l'obbligo vaccinale o, in alternativa, gli incentivi alla vaccinazione (2).
Questa seconda alternativa, definita “spinta gentile” (in inglese, “nudge”) avrebbe portato ad alcune iniziative come l'istituzione di un “passaporto vaccinale” così da “consentire” ai vaccinati di tornare a partecipare pienamente alla vita pubblica (prendere un treno o un aereo, assistere a un concerto) o addirittura ottenere una riduzione nei tempi di accesso a prestazioni sanitarie non salvavita (3). Il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, dichiarò per primo: "La Campania darà una card a tutti i cittadini vaccinati. Ci auguriamo che i cittadini la possano esibire per andare al cinema, al ristorante con più tranquillità avendo la certificazione di avvenuta vaccinazione” (3bis).
Tra i due estremi di chi attendeva con trepidazione l'arrivo del vaccino e chi, dall'altra parte, rifuggiva non soltanto l'obbligo vaccinale ma il vaccino stesso (i cosiddetti “no-vax”) è da sempre esistita una vasta zona grigia che si è sempre posta domande.
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Cosa possiamo fare?
di Andrea Zhok
Gli ultimi mesi hanno visto un’accelerazione dei processi di dissoluzione dei paradigmi democratici e dei diritti costituzionali inedita nella storia della Repubblica. Che di questa situazione una parte ampia della popolazione italiana non abbia alcuna contezza va registrato con rammarico, ma non può essere un motivo per rimanere alla finestra.
A) Qual è la situazione in cui ci troviamo?
Riassumiamo quanto accaduto negli ultimi mesi sotto il profilo democratico.
• Con la Certificazione Verde si è istituito di fatto un trattamento sanitario obbligatorio sotto mentite spoglie, in violazione dell’articolo 32 della Costituzione.
• Le massive proteste di piazza che si sono succedute per mesi in decine di città italiane sono state ignorate dall’esecutivo e rimosse dalla vista e dal giudizio dai media, salvo nelle occasioni in cui era possibile stigmatizzarne qualche eccesso. L’unica risposta alla protesta di milioni di persone è stata ad un certo punto l’imposizione di un divieto di manifestare, in violazione sostanziale dell’articolo 17 della Costituzione.
• Intanto su molti manifestanti, identificati nel corso di eventi pacifici, senza che gli venisse ascritto alcun reato, hanno iniziato a piovere provvedimenti di DASPO urbani, annuali o triennali.
• Per rendere facile l’operatività dei controlli e l’implementazione del sistema certificativo da inizio ottobre è stata modificata la normativa sulla Privacy, scavalcando il Garante e legittimando di default il trattamento dei dati personali da parte dell’amministrazione pubblica, ogni qualvolta venga dichiarato che tale trattamento avviene per ragioni di pubblico interesse.
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La variante cinese
di Nico Maccentelli
“Uno degli elementi più negativi nel pensiero comunista europeo degli ultimi 30 anni è sicuramente rappresentato da una concezione astratta del “socialismo”. Ridotto a una serie di princìpi totalmente indipendenti dalla realtà storica, validi in modo identico per qualsiasi formazione sociale (europea, asiatica, africana o americana), pressoché impossibili da rispettare concretamente. Una sorta di paradiso originario collocato nel lontano futuro anziché nel passato remoto.”
Inizia così un articolo di Contropiano a firma di Francesco Piccioni su un pezzo di Guido Salerno Aletta, dal titolo: Tra stato e mercato la Cina e l’Occidente neoliberista, attaccando praticamente chi riguardo la Cina di oggi non ripone fiducia nelle “magnifiche sorti” del suo inesistente socialismo.
In realtà l’articolo in questione inizia con un falso storico-temporale che occulta e separa dalla questione cinese odierna un tema fondamentale per tutto il movimento comunista novecentesco e odierno: la lotta contro il revisionismo e ciò che differenzia una sinistra rivoluzionaria da questo. Altrimenti la storiella della “concezione astratta del socialismo” non reggerebbe. E il falso è nella datazione dei 30 anni.
E in realtà non sono 30, bensì 60 anni che questo dibattito divide il movimento comunista, sin dai tempi in cui il maoismo ha rappresentato nello scontro politico con il togliattismo la linea di demarcazione tra una visione rivoluzionaria e una revisionista. E fu proprio la politica rivoluzionaria maoista a fare da incipit a gran parte delle lotte di liberazione antimperialista e alle sinistre rivoluzionarie dalle campagne alle metropoli.
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Il metodo Giacarta
Nicola Tanno intervista Vincent Bevins
Intervista a Vincent Bevins, che in un libro ricostruisce la storia dei massacri di cui si resero responsabili gli Stati uniti in Indonesia, America Latina e nel mondo. In nome dell'anticomunismo si spianava la strada al dominio del capitalismo
Il genocidio indonesiano del 1965-66 resta uno dei buchi neri della memoria collettiva. A differenza di altri esecrabili crimini del Novecento, nella cultura popolare non esiste una conoscenza profonda dell’assassinio di circa un milione di militanti del Partito Comunista Indonesiano (Pki) né delle relative responsabilità degli Stati Uniti d’America. Allo stesso tempo, neanche la sinistra ha introiettato l’avvenimento nella sua memoria storica, né per denunciarlo né per trarne insegnamenti.
A differenza di altri crimini commessi in nome dell’anticomunismo, come quelli commessi in Cile e Argentina, è mancato un momento di riflessione politica sull’ascesa e la caduta del più grande partito comunista del Novecento dopo quelli sovietico e cinese. La storia del Pki viene perlopiù ignorata così come quella dell’importante ruolo dell’Indonesia nel primo ventennio del secondo dopoguerra. Sotto la guida di Sukarno, infatti, l’arcipelago asiatico fu il promotore del movimento dei paesi non allineati che si riunì a Bandung, sull’isola di Java, nel 1955 e che si proponeva di cambiare le regole della politica internazionale al di fuori dei blocchi. La fine di Sukarno e del Pki è anche un caso da manuale di come la Guerra Fredda sia stata vinta dagli Stati Uniti soprattutto attraverso il terrorismo di Stato a colpi di guerra psicologica, bombe e stermini dei militanti di sinistra.
Proprio della dimensione internazionale del genocidio indonesiano tratta il lavoro di Vincent Bevins Il Metodo Giacarta. La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo (2019), che recentemente è stato tradotto da Einaudi. Mentre negli ultimi anni sono stati diversi i lavori che hanno spiegato dettagliatamente come si è arrivati al massacro e le sue conseguenze per l’Indonesia (per esempio quello di Geoffrey Robinson, già intervistato da Jacobin Italia), il testo di Bevins – ex-corrispondente del Los Angeles Times – si focalizza sulle cause e le conseguenze internazionali del massacro e su come esso abbia seguito uno schema che si è ripetuto identico in molte parti del mondo.
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Negatività, totalità e nuove forme della critica
di Giorgio Cesarale
Il Novecento ha voluto realizzare l’idea, ha detto Alain Badiou, ma per realizzarla, si potrebbe aggiungere, ha anzitutto provato a cambiarla.1 Esso è stato infatti un secolo rivoluzionario non solo dal punto di vista sociale e politico o da quello artistico e scientifico, ma anche da quello filosofico. Forme, contenuti, risultati dell’impresa filosofica moderna sono rimasti “spiazzati” da un discorso nuovo, caratterizzato dalla radicale ricombinazione dei materiali consegnati dalla tradizione. Se si dà infatti uno sguardo alla costellazione filosofica del Novecento, dall’ermeneutica alla fenomenologia passando per il pragmatismo e la filosofia analitica, ci si accorge che ciascuna di queste correnti ha inteso effettuare una svolta, capace di proiettare la filosofia fuori da una situazione considerata ormai priva di sbocchi, di ogni autonoma possibilità rigeneratrice. Sennonché, dire “filosofia moderna” significa anche dire, come è noto, “critica”. A quale destino si è perciò dovuta sottoporre la critica, tipico manufatto del pensiero europeo sette-ottocentesco, entro il contesto filosofico novecentesco? È una domanda cruciale, per l’insieme delle implicazioni che reca con sé, e non è perciò un caso che attorno a essa si sia venuta componendo una vasta e articolata riflessione. A tal proposito, la nostra convinzione è che, malgrado le sue difficoltà, tale riflessione debba proseguire, sebbene si tratti di volgerla verso margini inesplorati, o non esplorati con sufficiente energia, come sta peraltro accadendo nel dibattito che su questo tema si sta svolgendo sulle colonne dell’«Ospite ingrato». Le notazioni che seguiranno cercheranno di conferire a questa convinzione un profilo più preciso.
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