Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 1994
La Grande Guerra in arrivo: non "se" ma "quando"
di Konrad Nobile
Il 2024 ha visto un deciso “salto di qualità” nei toni guerreschi usati dalle istituzioni europee e, in genere, occidentali.
Minacce e dichiarazioni fino a poco fa inimmaginabili sono diventate via via realtà, in un crescendo allarmante che pare confermare i peggiori presentimenti sul nostro futuro.
Se infatti il presidente francese Macron ha iniziato a paventare l’invio diretto di truppe in Ucraina, da oltremanica Patrick Sanders, capo dell’esercito britannico, dichiara apertamente che il mondo è alle porte di una nuova grande guerra e che, conseguentemente, vi è la necessità di addestrare i cittadini e prepararli alla battaglia (1).
Dai palazzi di Bruxelles i vertici dell’UE rincarano e, invitando gli Stati europei a prepararsi alla guerra, chiedono di mettere il turbo all’industria bellica e “produrre armi come i vaccini” (2)(3).
Pare proprio che la direzione voluta dai vertici occidentali sia quella di preparare i loro Paesi ad andare incontro a un nuovo conflitto su vasta scala contro chi si oppone, volente o nolente, ai piani e all’egemonia dell’imperialismo (4).
Questo scenario prebellico ha iniziato a prendere concretamente forma nel fatidico febbraio 2022 quando la Russia, entrando direttamente sul suolo ucraino (sul quale la NATO ha messo le sue grinfie dal 2014, anno del golpe “Euromaidan”), ha sferzato un colpo storico all’Occidente minandone l’immagine di assoluto padrone del mondo, immagine già indebolita da tutta una serie di errori e insuccessi (5). Ora gli sviluppi mediorientali avviatisi dopo il 7 ottobre, in parte favoriti proprio dal riverberarsi dello scossone dato dalla Russia e dai derivati entusiasmi delle nazioni oppresse, galvanizzate “dall’Operazione Militare Speciale”, non hanno fatto che ampliare la portata dello scontro e la gravità dei tempi.
- Details
- Hits: 710
Dall’Iran droni e missili contro il “cane pazzo”
di Geraldina Colotti
Il regime sionista, si sa, approfitta del ruolo di vittima perenne per imporre, con la politica dei fatti compiuti e forte del suo ruolo di gendarme degli Usa in Medioriente qualunque violazione dei diritti umani e della legalità internazionale: a cominciare da un’occupazione criminale che, dal 1948, ha espropriato ed espulso il popolo palestinese in una successione di massacri, oggi culminati col genocidio che ha ucciso più di 30.000 persone, un terzo dei quali bambini.
Questa volta, però, Netanyahu ha stabilito un altro primato, compiendo un atto di aggressione inedito: l’attacco aereo al consolato iraniano a Damasco, in Siria che, il 1° di aprile, ha ucciso 16 persone, fra cui due generali dei Guardiani della rivoluzione. Un’ulteriore escalation nella provocazione a Teheran, per allargare il conflitto in Medioriente, tirando per la giacca gli Usa e i loro alleati europei - Francia, Gran Bretagna e Germania. Il governo iraniano ha dichiarato che avrebbe esercitato il proprio diritto all’autodifesa e, il 13 sera, ha fatto partire decine di missili e droni “su dei bersagli specifici all’interno dei territori occupati”: in risposta “ai numerosi crimini commessi dal regime sionista”, nello specifico l’attacco contro la sezione consolare a Damasco. Il mattino di quello stesso giorno, le forze speciali marittime dei guardiani della rivoluzione iraniana si erano impadronite del porta-container Msc Aries, circa un centinaio di chilometri a nord della città emiratina di Foujeyra. Una nave battente bandiera portoghese, ma riconducibile alla società Zodiac che – ha fatto sapere l’agenzia stampa iraniana Irna – “appartiene al capitalista sionista Eyal Ofer”.
Dopo lo schiaffo del 7 ottobre, inflitto dalla resistenza palestinese al regime occupante, il quale ha dato inizio al genocidio programmato da Netanyahu, ci sono stati numerosi attacchi contro navi dirette a Tel Aviv che transitavano nel mar Rosso e nel golfo di Aden o che commerciavano con Israele.
- Details
- Hits: 1251
Si rafforza il processo di de-dollarizzazione del mercato petrolifero globale
di Demostenes Floros
Il 5 settembre 2023, Natasha Kaneva, resposabile JPMorgan per la strategia sulle materie prime, ha dichiarato a Business Insider che “il dollaro americano, uno dei principali motori dei prezzi del petrolio sul mercato globale, sta perdendo la sua antica importanza”[1]. Com’è noto, tra “biglietto verde” e barile sussiste una relazione tendenzialmente inversa: dal momento che il petrolio è scambiato in dollari, quando la valuta statunitense si apprezza, la domanda petrolifera tende a diminuire e con essa il valore dell’“oro nero”.
Più precisamente, gli analisti della banca statunitense hanno calcolato che, nel periodo 2005-2013, a un aumento dell’1% del valore del dollaro ponderato per il commercio ha corrisposto un calo del prezzo del petrolio di circa il 3%. Tuttavia, questo schema è significativamente mutato nel periodo 2014-2022, visto che a un aumento dell’1% del dollaro ha corrisposto un calo del prezzo del petrolio solo dello 0,2%. Ciò, ha portato Jahangir Aziz, responsabile JPMorgan per le economie emergenti, ad affermare che “complessivamente, rileviamo che l’importanza del dollaro [nell’influenzare il prezzo del barile] è diminuita significativamente tra il 2014 e il 2022”.
Questo cambiamento, evidenzia JPMorgan, è dovuto al fatto che ogni giorno sempre più petrolio non viene venduto in dollari, ma nelle valute nazionali dei partecipanti alle transazioni, a partire dallo yuan, ma non solo.
Nello specifico, secondo i dati della banca statunitense, nel 2023, il 20% del commercio globale di petrolio – pressoché 40.000.000 b/g a fronte dei circa 100.000.000 b/g consumati – è stato regolato in valute diverse dal dollaro (all’incirca 8.000.000 b/g)[2].
- Details
- Hits: 868
Quando il polemos si fa prassi
Recensione a Lenin, il rivoluzionario assoluto di Guido Carpi
di Andrea Rinaldi
«Il cammino del rivoluzionario è pertanto un cammino anche solitario, o almeno non al centro del benvolere dell’opinione pubblica, spesso lontano dall’amicizia, sicuramente non benvisto dalla società civile, "la merda" come la chiamava Lenin. La storia di Lenin è quindi una storia di esilio, di critiche feroci, ma anche di carisma, di centralità politica da una posizione numericamente minoritaria e di coraggio tattico». Pubblichiamo oggi, nell'anniversario della scrittura delle Tesi d'Aprile, una recensione di Andrea Rinaldi a Lenin, il rivoluzionario assoluto (1870-1924) di Guido Carpi (Carocci, 2023). Sempre sulla figura del grande rivoluzionario, sarà presto disponibile per DeriveApprodi, Che fare con Lenin? curato dallo stesso Andrea Rinaldi, con contributi di Guido Carpi, Rita di Leo, Maurizio Lazzarato, Gigi Roggero, Damiano Palano, Mario Tronti.
* * * *
Majakovsky aveva paura che «una corona» avrebbe potuto «nascondere la sua fronte così umana e geniale e così vera» e «che processioni e mausolei» avrebbero offuscato la «semplicità di Lenin». Guido Carpi, che di Majakovsky e di Lenin si intende, è riuscito nell’impresa, non banale, di togliere Lenin dalla sua teca nella piazza Rossa di Mosca, rimuovere la corona e darci un libro vivo: non una ricostruzione agiografica, come nel mito staliniano, né una noiosa critica umanitaria tipica della moderna storiografia liberal, ma un’attuale rappresentazione di Lenin, fusione inscindibile di teoria e prassi, di politica e rivoluzione.
Questi due poli della lettura classica della vita e delle opere di Lenin, mito e incubo, potrebbero sembrare opposti, ma sono in realtà strettamente complementari.
- Details
- Hits: 1371
Intelligenza artificiale. O della “guerra all’umano”
di Antonio Cantaro
L’IA è sempre più una meta-tecnologia in guerra con l’umano che ci comanda di “Agere sine Intelligere”. L’uomo connesso è sempre meno un uomo relazionale. Nessun Dio ci salverà, solo una mobilitazione collettiva può farlo
Sostiene Luigi Alfieri che essere uomini è essere in relazione. L’uomo è un essere relazionale, ‘naturalmente relazionale’. Proverò ad aggiungere una postilla a questa, da me condivisa, tranchant contro-antropologia filosofica.
Naturalmente relazionale, naturalmente artificiale
Una postilla insita in un cruciale passaggio del suo discorso ‘empirico’: «L’origine immediata della mia vita è molto concreta, molto corporea, molto biochimica. Non un supremo atto creativo dell’Essere, ma l’unione sessuale di due corpi e un corpo materno dentro cui a poco a poco è maturato il mio come una sorta di parassita simbiotico. Poi una separazione dolorosa, atrocemente traumatica per entrambe le parti: un corpo emerge dall’altro, si strappa dall’altro. Ma la separazione non è totale, perché uno dei due corpi continua ad avere bisogno dell’altro, dall’altro ricava nutrimento, cura, protezione. Nessuno viene al mondo come soggetto razionale capace di libera autodeterminazione e responsabile di sé, ma come esserino inerme urlante e scalciante, capace a stento di respirare e bisognoso di tutto. Ma la cosa straordinaria è che il bisogno ottiene risposta, che qualcuno, in cambio di niente, è disposto a dare all’esserino urlante tutto ciò che gli consente di sopravvivere, di nutrirsi, di stare al caldo, di crescere, di imparare a parlare e a pensare».
L’uomo, dunque, “impara a parlare e a pensare” per il tramite di parole che non nascono da Lui, “ma che vengono da fuori”. Da un linguaggio, da un artificio che dà alle parole i suoni, un ordine grammaticale e sintattico, un senso. L’uomo è ab origine il suo linguaggio (da ultimo E. Dell’Atti, 2022), un essere naturalmente artificiale.
- Details
- Hits: 543
Il nodo Israele fa scomparire l'Ucraina dai radar
di Paolo Arigotti
La notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile 2024 l’Iran ha lanciato contro Israele un attacco con centinaia di droni e missili: si calcola che siano stati utilizzati circa 170 droni, 30 missili da crociera e 120 missili balistici.
Leggere in questo episodio un atto terroristico e/o un nuovo capitolo della conflittualità tra la Repubblica Islamica e lo stato ebraico sarebbe a dir poco riduttivo. Teheran, appellandosi all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che contempla il diritto all’autotutela in attesa delle eventuali misure assunte dal Consiglio di sicurezza, ha motivato l’azione come ritorsione rispetto all’attacco del primo aprile scorso, contro la propria sede diplomatica di Damasco, che provocò la morte di tredici persone (sei delle quali cittadini siriani), tra cui il generale Mohammad Reza Zahed, ufficiale delle Guardie Rivoluzionarie e altri sei membri dello stesso corpo.
Il raid israeliano era stato criticato in termini piuttosto blandi da diversi leader occidentali, pur ricevendo la condanna del segretario dell’ONU Antonio Guterres, per la violazione della Convenzione di Vienna del 1961 (quella che sancisce l’inviolabilità delle sedi diplomatiche ); gli stessi leader occidentali, però, si sono affrettati a chiedere la condanna iraniana per le azioni del 13 e 14 aprile.
In una recente intervista, la professoressa Hanieh Tarkian, docente di studi islamici, ha parlato di superiorità morale dell’Iran, che ha attuato una rappresaglia in conformità al diritto internazionale, prendendo di mira obiettivi militari e senza provocare vittime, oltretutto agendo in piena autonomia e senza il supporto degli alleati regionali; Hezbollah si è limitata ai consueti attacchi dal territorio del Libano.
- Details
- Hits: 807
Engels oggi: genere, riproduzione sociale e rivoluzione
di Marnie Holborow
È sorprendente quanto spesso nei resoconti marxisti sull'oppressione delle donne si trascuri Friedrich Engels. Lo si liquida come un determinista, eccessivamente economicista e addirittura non marxista. Heather Brown, nel suo importante lavoro su Karl Marx e la questione di genere, considera Engels un "meccanicista grossolano" rispetto a Marx.[1] Un più recente giudizio sostiene che quanto scritto da Engels sulle donne rappresenti «una revisione di Marx».[2] Lise Vogel, una scrittrice di riferimento su Marx e la questione di genere, ritiene Engels responsabile delle successive, errate spiegazioni dualistiche capitalismo-e-patriarcato circa l’oppressione delle donne.[3]
Per altri teorici marxisti della riproduzione sociale, Engels semplicemente non figura nella discussione. In una raccolta del 2017 sulla teoria della riproduzione sociale e basata sull'economia politica marxista, Engels non viene menzionato nemmeno una volta a pieno titolo, ma solo come co-autore con Marx.[4]
Eppure Engels, a differenza di Marx, ha dedicato un intero libro alle origini dell'oppressione femminile: L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, che metteva in discussione la visione accettata della famiglia nucleare come naturale e universale. È rimasto il testo di riferimento per molte donne socialiste del passato, come Eleanor Marx, Clara Zetkin, Rosa Luxemburg e Alexandra Kollontai, così come per quelle delle generazioni successive, come Claudia Jones e Angela Davis. In occasione del centenario della pubblicazione di L'origine della famiglia, femministe di diverso orientamento hanno ritenuto Engels talmente importante da dedicare un volume alla rivalutazione della sua eredità.[5] Se si include anche il libro di Engels sulla vita operaia del XIX secolo a Manchester, descritto da Eric Hobsbawm come pionieristico e che conteneva intuizioni anticipatrici sul cambiamento dei ruoli di genere, la tesi che Engels abbia poco da offrire riguardo all'oppressione di genere semplicemente non regge.
- Details
- Hits: 755
Per una teoria minimale del capitale
Invito alla lettura e alla collaborazione
di Autori Vari
Riprendendone l’indice e la concisa presentazione segnaliamo ai lettori un lavoro, ancora in evoluzione ma già abbastanza maturo, prodotto da un gruppo di persone di varia provenienza tra le quali naturalmente alcune legate alla nostra rivista. Tratta di questioni, diciamolo francamente, intellettualmente complesse e tendenzialmente demoralizzanti: è noto l’aforisma nietzschiano che spiega come gli abissi non si possano guardare a lungo, ma qui vogliamo invece ricordare quello che — forse rendendosi conto di come stava raccontando sempre la storia di cose, belle e umane, andate perdute — ripeteva Ivan Illich: «Non dimentichiamo mai che tutto il tempo è benedetto, anche questo nostro tempo in cui ci è capitato di vivere». Come i curiosi vedranno si tratta di un’antologia in quattro lingue, c’è ancora molto lavoro da fare sia per le traduzioni sia per un controllo che vorremmo meticoloso. Altri apporti sarebbero benvenuti. (red)
Scopo e autori
È ormai disponibile una vasta letteratura che implicitamente contiene e fertilmente sviluppa un nucleo teorico veritativo (cioè pienamente confermato dal processo storico) che trova origine in una serie di intuizioni di Marx. Va tuttavia riconosciuto che, nella mole dei manoscritti e opere dello studioso, i testi seminali di quel nucleo sono dispersi e in netta minoranza rispetto a quelli che propongono tesi diverse e anche contrapposte (queste peraltro in gran parte confutate dalla critica dei fatti).
- Details
- Hits: 1149
L’inquietudine di Lenin. L’attualità del suo pensiero a cento anni dalla sua morte
di Salvatore A. Bravo
L’inquietudine politica di Lenin
Una delle ultime opere di Lenin è stata pubblicata sulla Pravda il 4 marzo 1923. Il lungo articolo “Meglio meno, ma meglio” non è solo una sintesi critica del percorso tormentatissimo della Rivoluzione bolscevica, tra Prima Guerra mondiale e guerra civile, ma anche “testamento politico” nel quale Lenin si spinge a ipotizzare, su dati materiali e oggettivi, previsioni geopolitiche ed economiche che avrebbero potuto rompere l’assedio militare ed economico di cui l’Unione Sovietica era oggetto.
“Meglio meno, ma meglio”(in russo Лучше меньше, да лучше, Lučše men’še, da lučše) è da allora diventato un detto della lingua russa che invita alla qualità dell’azione da preferire alla quantità.
Lenin scorge nella Russia sovietica la sindrome del fare senza la qualità, perché presa dalla trappola dell’accerchiamento. Il prevalere della quantità sulla qualità non è casuale, dato che la lunga guerra non poteva che condurre a una notevole quantità di provvedimenti e il “fare” era spesso deficitario della qualità. Lenin nella sua solitudine, mentre la salute declinava (sarebbe deceduto il 21 gennaio 1924) non poteva non constatare i limiti della Rivoluzione sovietica e indicare i processi per risolverli. Per poter rafforzare la Rivoluzione essa andava sottoposta a critica radicale in modo da intervenire e fare tesoro degli errori. Il problema si poneva in modo stringente per l’elezione dei Commissari del popolo, i quali avevano il compito di controllare i settori produttivi e di stimolarne la crescita:
“Per poter migliorare il nostro apparato statale, l’Ispezione operaia e contadina, a parer mio, non deve correr dietro alla quantità e non deve aver fretta.
- Details
- Hits: 1047
Democrazia o barbarie
di Pierluigi Fagan
Wendy Brown: Il disfacimento del demos. La rivoluzione silenziosa del neoliberismo, Luiss University Press, 2023
Buon libro questo della Brown. In particolare, mi piace il suo linguaggio, pulito, chiaro, attinente al discorso e poco indulgente allo svolazzo.
E mi piace o meglio riscontro, la sua struttura del discorso. Purtroppo, una buona parte del testo è dedicata alla analisi ravvicinata, simpatetica ma spesso critica, della famosa lezione di M. Foucault su Biopolitica al College de France 1978-79 (un caso di prescienza), nel quale però il francese -per primo-, individuò il nucleo inquietante di ciò che poi abbiamo imparato a conoscere come neoliberismo. Invero MF, individua un neoliberismo particolare, la versione sociale tedesca, ma lasciamo perdere. Brown gli fa le pulci e spesso coglie nel segno.
In sostanza, Brown individua una lotta ordinativa fondamentale per determinare il governo della società. L’ordinatore economico in versione estremista neoliberista o l’ordinatore politico in versione naturale quindi democratica. Homo oeconomicus vs Homo politicus. Tempo speso a lavorare e consumare, tempo speso a interessarsi della gestione comune della società di cui siamo soci naturali.
Evita di entrare nei maggiori dettagli della versione democratica c.d. “diretta” o “delegata”, ma ribadisce che l’opposto del neoliberismo non è il socialismo o altra forma economica ma il ritorno del primato politico basato sulla prima persona.
Io non capisco perché nessuno mai ammetterebbe che la gestione di sé stessi sarebbe meglio affidarla ad altri, ma quando si parla si società non ha problemi invece a dirlo o sostenerlo convinto pure. Mi manda ai matti, non riesco proprio a capirne la logica.
- Details
- Hits: 709
Il nuovo disordine mondiale / 25: Fratture della guerra estesa
di Sandro Moiso
«Grand Continent», Fratture della guerra estesa. Dall’Ucraina al metaverso, LUISS University Press, Roma 2023, pp. 170, 18 euro
«Grand Continent» è una rivista online consacrata alla geopolitica, alle questioni europee e giuridiche e al dibattito intellettuale con lo scopo di “costruire un dibattito strategico, politico e intellettuale”. Nata nell’aprile 2019, è pubblicata dal Groupe d’études géopolitiques, associazione indipendente fondata presso l’École normale supérieure nel 2017. A partire dal 2021 è integralmente pubblicata in cinque lingue diverse: francese, tedesco, spagnolo, italiano e polacco.
Gli articoli sono scritti da giovani ricercatori e universitari, ma anche da esperti e intellettuali di vario indirizzo, come: Carlo Ginzburg, Henry Kissinger (†), Laurence Boone, Louise Glück, Toni Negri(†), Olga Tokarczuk, Thomas Piketty, Élisabeth Roudinesco e Mario Vargas Llosa.
«Grand Continent» ha animato un ciclo di seminari settimanali presso l’École normale supérieure, nonché un altro di conferenze trasmesse da Parigi in numerose città europee e divenuto un libro, Une certaine idée de l’Europe, pubblicato dall’editore Flammarion nel 2019 (con scritti di Patrick Boucheron, Antonio Negri, Thomas Piketty, Myriam Revault d’Allonnes ed Elisabeth Roudinesco). Gli articoli della rivista sono stati ripresi in numerosi quotidiani e media internazionali.
Fratture della guerra estesa è il secondo volume cartaceo di «Grand Continent», il primo pubblicato anche in italiano. Uscito per la LUISS University Press, pur presentando contenuti per molti punti di vista ampiamente discutibili, si rivela comunque di grande interesse per chiunque voglia affrontare i problemi connessi all’attuale età della guerra e della crisi dell’ordine occidentale del mondo seguito sia alla fine della guerra fredda e alla fine dell’URSS che alla successiva crisi apertasi con la fine della globalizzazione o, almeno, di ciò che l’Occidente intendeva come tale.
- Details
- Hits: 1233
I lavoratori digitali (platform worker): problemi e prospettive
di Mauro De Agostini
Sul tema dei lavoratori digitali (platform worker) riportiamo questo articolo di Mauro De Agostini dal n. 6/marzo 2023 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe”
“Prima di internet, sarebbe stato difficile trovare qualcuno e farlo sedere per dieci minuti a lavorare per te, per poi licenziarlo passati quei dieci minuti. Ma con la tecnologia, in realtà, puoi davvero trovarlo, pagarlo una miseria e poi sbarazzartene quando non ti serve più” (1) questa frase dell’imprenditore americano Lukas Biewald descrive alla perfezione la nuova realtà creata dal capitalismo delle piattaforme.
Una situazione tutt’altro che marginale visto che (secondo stime ufficiali) attualmente risultano attive nella sola Unione europea circa 500 piattaforme digitali che nel 2022 impiegavano almeno 28 milioni di lavoratrici/ori, destinate a diventare 43 milioni entro il 2025, un nuovo proletariato digitale privo di ogni tutela. (2)
Piattaforme “web-based” e “location-based”
Alcune piattaforme, dette “web-based”, operano esclusivamente online arruolando persone (magari in un altro continente) per ottenere prestazioni come traduzioni, lezioni, consulenze, servizi di call center o di chat, oppure per svolgere microlavori come trascrivere una registrazione audio, riconoscere una immagine, risolvere un captcha, leggere uno scontrino. In questi casi ogni singola prestazione fa storia a sé ed è pagata separatamente, non esiste alcuna continuità nel rapporto di lavoro, dirigenti, lavoratori e clienti non si incontrano mai fisicamente tra loro. In tutti questi casi si parla di “crowdwork”, letteralmente “lavoro nella folla”, perché si offre il proprio lavoro in rete a una massa potenzialmente infinita di clienti che poi ti “scelgono”, magari per quell’unica micro-prestazione.
- Details
- Hits: 884
Per un nuovo ordine multipolare, contro unipolarismo USA e dominio del capitale finanziario
di Alessandro Valentini
Per un soggetto politico rivoluzionario all’altezza del XXI secolo, non si può prescindere dalla lezione teorica e pratica marxista che ci viene oggi dall’Oriente, rispetto a un marxismo occidentale ingessato o mal interpretato, in una parola agonizzante
Un nuovo tornante della storia
Con l’inizio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina siamo a un nuovo tornante della storia, una di quelle situazioni nuove che si presentano dopo tantissimi anni, un tornante paragonabile alla Rivoluzione francese o a quella dell’Ottobre del 1917.
Per questa ragione è da respingere la tesi, cara anche a una certa sinistra, che la guerra in Ucraina sia una guerra imperialistica tra gli USA e la NATO da una parte e la Russia e i suoi alleati dall’altra, simile al grande conflitto mondiale del 1914/18. Il confronto storico è più simile alla grande coalizione che fu costituita in Europa per soffocare la Rivoluzione francese o alla guerra civile nella giovane Repubblica dei soviet tra i bianchi, sostenuti attivamente da una coalizione occidentale, e i bolscevichi, dopo la presa del potere nel 1917, allo scopo di restaurare il regime zarista. È evidente che in Francia il fine era quello di riportare al potere la monarchia assolutista e in Unione Sovietica di impedire che le idee rivoluzionarie socialiste potessero diffondersi in tutto l’Occidente.
Dal capitalismo al dominio del capitale finanziario
Alla base dello scontro, politico e militare, vi è la volontà da parte dell’Occidente collettivo di contrastare, anche con la guerra, la costruzione di un ordine mondiale multipolare. La cosiddetta “guerra mondiale a pezzi” ha questo segno chiaro, netto, e si è potuta scatenare solo dopo che gli accordi di Bretton Woods, che nel 1944 avevo stabilito la convertibilità del dollaro in oro, furono messi in discussione da Nixon nel 1971.
- Details
- Hits: 1373
A proposito del proletariato esterno
Meriti e limiti del pensiero di Zitara
di Carlo Formenti
Nei miei lavori ho più volte citato le idee “eretiche” del marxista calabrese Nicola Zitara (1), pur senza approfondire nei dettagli il suo contributo teorico e limitandomi a evidenziarne le convergenze con gli autori della scuola della dipendenza, come Samir Amin e gli altri membri di quella che Alessandro Visalli definisce “la banda dei quattro" (2). La lettura di un recente libro di Angelo Calemme (La Questione meridionale dall’Unità d’Italia alla disintegrazione europea. Contributo alla teoria del socialismo di mercato, Guida editori), mi stimola a riprendere la riflessione sul pensiero di Zitara (3) per discutere le sfide teoriche che questo autore ci ha lasciato in eredità e che ora Calemme rilancia, da un lato mettendone in luce i meriti, dall’altro esasperandone, a mio avviso, i limiti. Nelle pagine che seguono seguirò un percorso in quattro tappe: nella prima esaminerò gli argomenti con cui Zitara e Calemme difendono la tesi secondo cui il Regno delle Due Sicilie era, al momento dell’unificazione nazionale, più avanzato di tutti gli altri stati preunitari sulla strada della modernizzazione economica; nella seconda analizzerò il loro punto di vista sull’unificazione come processo di asservimento coloniale del Meridione da parte della monarchia sabauda; nella terza riprenderò le loro analisi sulla composizione di classe della società meridionale; nell’ultima discuterò la proposta di una rivoluzione nazional popolare finalizzata alla autonomizzazione del Meridione e alla sua conversione in una formazione socialista di mercato.
I.
Ripartendo dalla tesi di Zitara, il quale, confrontando i dati economici relativi ai vari staterelli italiani preunitari, ne estrae l’evidenza di un indiscutibile primato del Regno borbonico, Calemme mette tale primato in relazione con l’influenza politico culturale esercitata dai maggiori esponenti della scuola illuminista napoletana (Galiani, Intieri e Genovesi su tutti).
- Details
- Hits: 1015
A 75 anni, l’Alleanza Atlantica si fonda su una narrazione fittizia
di Roberto Iannuzzi
La NATO è un anziano boss, costretto a mentire a se stesso pur di prolungare il proprio declinante potere, perpetuando una scia di divisioni e conflitti nel vecchio continente e nel mondo
L’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico è stata definita dai suoi sostenitori l’alleanza più “duratura” e “di maggior successo” della storia. Quest’anno, la NATO celebra i 75 anni di vita. Per festeggiare la ricorrenza, il consueto vertice annuale dell’Alleanza si terrà a Washington, dove i ministri degli esteri degli originari 12 paesi membri firmarono il trattato il 4 aprile 1949.
La data è stata ricordata, la scorsa settimana, da una frettolosa celebrazione a Bruxelles, sede del quartier generale dell’organizzazione, ormai estesa a ben 32 paesi.
L’atmosfera è stata tuttavia guastata dalle preoccupazioni su come rafforzare le difese ucraine, tenuto conto che l’atteso pacchetto di aiuti statunitensi da 60 miliardi di dollari è tuttora bloccato al Congresso, e che un’eventuale elezione di Donald Trump alla Casa Bianca creerebbe ulteriori problemi alla coalizione che sostiene Kiev.
Una NATO “a prova di Trump”
“Trump-proofing” è l’espressione all’ordine del giorno nei corridoi di Bruxelles – rendere la NATO “a prova di Trump”. Nel quartier generale dell’Alleanza serpeggia il timore reale che, se il comportamento degli USA nei confronti dell’organizzazione dovesse cambiare a seguito di una nuova presidenza Trump (essenzialmente all’insegna di un crescente disimpegno americano), la NATO stessa potrebbe addirittura cessare di esistere.
Da qui l’esigenza di discutere i possibili modi per “isolare” il ruolo della NATO in Ucraina dalle incertezze della politica americana.
- Details
- Hits: 894
Pensiero debole o debolezza del pensiero?
Considerazioni sul “comunismo ermeneutico” di Gianni Vattimo
di Salvatore Muscolino
Il 19 settembre 2023 è morto il filosofo italiano Gianni Vattimo che con la sua proposta di un “pensiero debole” è riuscito a guadagnarsi una notorietà anche all’estero al pari di filosofi come Emanuele Severino o Giorgio Agamben.
In questo breve contributo non intendo certamente ripercorrere tutto l’itinerario del suo pensiero quanto piuttosto riflettere su alcuni aspetti, a mio avviso, problematici del cosiddetto “pensiero debole”, in particolare nel suo legame con il “comunismo”. In un libello pubblicato nel 2007 intitolato ECCE COMU. Come si ridiventa ciò che si era, Vattimo sostiene infatti il legame profondo tra il “pensiero debole” e l’istanza ideale del comunismo. Considerato il fatto che egli è consapevole dell’apparente contraddizione tra il “pensiero debole”, che si inscrive all’interno della svolta postmoderna, e un “pensiero forte” come quello di Marx che rappresenta a tutti gli effetti una di quelle grandi narrazioni criticate da Lyotard, l’operazione da lui tentata va nella stessa direzione di altre proposte avanzate negli ultimi anni: individuare un presunto ideale del marxismo irriducibile alle deformazioni scientiste e positiviste (di cui sarebbero responsabili i successori di Marx) e che potrebbe rappresentare lo strumento per “resistere” al modello neoliberista oggi dominante.
A rendere altresì interessante la sua posizione è la circostanza per la quale Vattimo dichiara che la sua rielaborazione del “comunismo” si muove all’interno della cornice cattocomunista che da sempre lo avrebbe influenzato per cui marxismo, cristianesimo/cattolicesimo e “pensiero debole” si intreccerebbero tra loro in un mix particolare che rende questa operazione certamente originale e complessa in quanto si muove a un livello di discussione molto elevato che riguarda questioni delicate come il rapporto religione/metafisica/violenza, la secolarizzazione, il fondamento dei sistemi politici democratici…
- Details
- Hits: 2920
Lenin a Wall Street: imperialismo e centralizzazione nel XXI secolo (I)
di Andrea Pannone
A 100 anni dalla morte di Lenin (21 gennaio 1924) e nel pieno di una fase storica nuovamente caratterizzata dalla contrapposizione diretta tra superpotenze mondiali, una riflessione critica sul concetto di imperialismo formulato dal leader bolscevico nel 1917 assume una specifica rilevanza. Partendo da qui, questo scritto si focalizza sul nesso tra eccesso di capacità produttiva e centralizzazione internazionale dei capitali alla luce del processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale che sta caratterizzando il XXI secolo. La nostra tesi, infatti, è che i connotati assunti da questi tre fenomeni negli ultimi quindici anni concorrano in modo decisivo a interpretare la natura delle recenti tensioni belliche tra alcune nazioni.
Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo paragrafo si esamina la categoria centrale della teoria dell’imperialismo di Lenin ossia il concetto di esportazione di capitale in eccesso. Nel secondo paragrafo si cerca di evidenziare l’attuale rilevanza di questa categoria concettuale alla luce di quella che può essere considerata una sua proxy: gli investimenti diretti esteri. Nel terzo paragrafo si esamina il nesso tra eccesso di capacità e centralizzazione del capitale nella sua evoluzione storica, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Il quarto paragrafo analizza la crescente influenza delle oligarchie economico-finanziarie sulle politiche degli Stati e sulle relazioni internazionali. Il quinto paragrafo conclude evidenziando il ruolo dei conflitti bellici nell’equilibrio instabile tra gruppi di potere che perseguono logiche di accumulazione diverse.
Pubblichiamo oggi la prima parte dello scritto (A.P.)
* * * *
I. L’esportazione di capitali in eccesso e la teoria dell’imperialismo di Lenin
- Details
- Hits: 1167
I missili di aprile
di Scott Ritter
L'attacco di rappresaglia dell'Iran contro Israele passerà alla storia come una delle più grandi vittorie di questo secolo
Scrivo sull’Iran da più di due decenni. Nel 2005 ho compiuto un viaggio in Iran per accertare la “verità di fondo” su quella nazione, verità che ho poi incorporato in un libro, “Target Iran”, che illustrava la collaborazione tra Stati Uniti e Israele per creare una giustificazione per un attacco militare all’Iran volto a far cadere il suo governo teocratico. A questo libro ha fatto seguito un altro, “Dealbreaker”, nel 2018, che ha aggiornato questo sforzo USA-Israele.
Nel novembre 2006, in un discorso alla School of International Relations della Columbia University, ho sottolineato che gli Stati Uniti non avrebbero mai abbandonato il nostro “buon amico” Israele fino a quando, ovviamente, non lo avremmo fatto. Cosa potrebbe far precipitare un’azione del genere, chiesi? Feci notare che Israele era una nazione ubriaca di arroganza e di potere e che, a meno che gli Stati Uniti non avessero trovato un modo per togliere le chiavi dall’accensione dell’autobus che Israele stava guidando verso l’abisso, non ci saremmo uniti a Israele nel suo viaggio suicida da lemming.
L’anno successivo, nel 2007, durante un discorso all’American Jewish Committee, ho sottolineato che le mie critiche a Israele (da cui molti tra il pubblico si sentirono fortemente offesi) provenivano da una preoccupazione per il futuro di Israele. Sottolineai la realtà che ho trascorso la maggior parte del decennio cercando di proteggere Israele dai missili iracheni, sia durante il mio servizio in Desert Storm, dove ho avuto un ruolo nella campagna contro i missili SCUD, sia come ispettore delle Nazioni Unite, dove ho lavorato con l’intelligence israeliana per assicurarmi che i missili SCUD dell’Iraq fossero eliminati.
- Details
- Hits: 1007
La sinistra sedotta dalla guerra*
di Lelio Demichelis
Dei tre secoli di guerra mondiale alla biosfera, all’uomo e alla libertà è complice anche ciò che oggi resta delle sinistre e del marxismo, adeguatosi alle esigenze del capitale e della tecnologia
È utile rileggere Rosa Luxemburg e la sua Crisi della socialdemocrazia, scritta in carcere nel 1915 e pubblicata agli inizi del 1916, opera famosa per la frase “socialismo o barbarie” e dove tutto è contenuto in quella “o”disgiuntiva che le sinistre hanno sempre più dimenticato. Testo nato dopo che la socialdemocrazia tedesca, rinnegando se stessa, la sua storia e gli ideali dell’internazionalismo in nome del nazionalismo e della difesa della patria, aveva approvato i crediti di guerra e legittimato l’entrata nella prima guerra mondiale della Germania contro – la storia sembra ripetersi – la Russia zarista. Ma con la differenza non da poco che allora la sinistra aveva rinnegato se stessa e la lotta di classe davanti al nazionalismo e alla guerra militare, mentre oggi (in realtà da troppo tempo) ha rinnegato se stessa e la lotta di classe (analogamente ha fatto la sinistra illuministica per quanto riguarda ragione e libertà e autonomia individuale) davanti al neoliberalismo ma soprattutto davanti alla tecnica, perché anche i marxismi sono sempre stati positivisti e industrialisti e per lo sviluppo crescente delle forze produttive. La fabbrica era il modello (Marx e Gramsci) per la società socialista ma senza il capitalismo. Senza capire, il marxismo, che la causa vera dell’oppressione sociale (ancora Simone Weil) era proprio la fabbrica con la sua divisione tra chi comanda (oggi, un algoritmo/piattaforma) e chi deve eseguire (noi tutti forza-lavoro digitalizzata nella società-fabbrica), non la proprietà dei mezzi di produzione. E non vedendo, il marxismo, che anche la tecnica – parte della razionalità strumentale/calcolante-industriale – è totalitaria, antiumanistica ed ecocida di per sé.
- Details
- Hits: 1198
Il “piùEuropa” e il male della banalità
di Eugenio Pavarani
Gabriele Guzzi, attraverso le pagine di LIMES, ha lanciato l’invito a sviluppare una discussione franca sugli effetti della moneta unica per la nostra economia. Credo che abbia voluto individuare un target specifico e che si sia rivolto, in particolare, a chi ancora non ha capito che l’euro non è soltanto una moneta ma è anche un potente strumento a supporto di un’ideologia che sta profondamente modificando la costituzione materiale del nostro Paese e sta fortemente penalizzando la nostra economia. È lodevole l’intento di comunicare con coloro che non hanno ancora maturato la consapevolezza dello “iato tra l’immagine edulcorata di Europa e l’Europa reale che si fa ogni anno più insostenibile”. Comunicare e stimolare il dibattito, d’accordo; ma che cosa comunicare? e, soprattutto, come comunicare?
Credo che tutti coloro che conoscono le argomentazioni proposte da Guzzi nel suo articolo, e le condividono, si siano anche domandati, prima o poi, come si possa impostare, sul piano del metodo, una comunicazione mirata sul target individuato. L’articolo di taglio scientifico è il medium adeguato? (gli esperti della comunicazione insegnano che “il medium è il messaggio”). Sul piano del metodo, c’è un enorme problema di fine tuning, di adeguatezza della comunicazione in relazione al target se si tiene conto, soprattutto, delle barriere da superare che sono costituite, da un lato, dalla complessità del tema (sotto questo aspetto è molto apprezzabile l’evidente sforzo di chiarezza espositiva che permea l’intero articolo), complessità che richiede, da parte dell’interlocutore, una preliminare base di conoscenza del lessico e degli strumenti concettuali dell’economia.
- Details
- Hits: 1012
Non bisogna mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa
di Sandro Moiso
City Lights e Collettivo Adespota (a cura di), Quando muoiono le insurrezioni. Italia 1922 – Germania 1933 – Spagna 1936-1939, Edizioni Colibrì, Milano 2024, pp. 400, 25 euro
Per battere Franco, occorreva prima battere Companys e Caballero.
Per sconfiggere il fascismo, bisognava prima schiacciare la borghesia e i suoi alleati stalinisti e socialisti. Bisognava distruggere da cima a fondo lo Stato capitalista e instaurare un potere operaio che sorgesse dai comitati di base dei lavoratori […]. L’unità antifascista non è stata altro che la sottomissione alla borghesia. (Manifesto dell’Union Communiste, Barcellona, giugno 1937)
Il titolo di questa recensione, ripreso da Andrea Pazienza, serve a rendere bene l’idea del contenuto del testo appena pubblicato dalle Edizioni Colibrì e della necessaria e irrinunciabile radicalità dell’opposizione di classe al capitalismo, alle sue guerre e ai suoi sgherri fascisti, in divisa o meno che questi siano. Ma anche a ricordare, a un mese dalla sua scomparsa, Stefano Milanesi, militante NoTav e rivoluzionario, al quale questo libro sarebbe probabilmente piaciuto.
In un’epoca di ritornante e ammorbante dibattito politico e mediatico sul pericolo rappresentato dal fascismo per l’ordine democratico e il buon vivere civile, in entrambi i casi “borghesi”, la lettura dei testi contenuti nella raccolta curata dalla Calusca City Lights e dal Collettivo Adespota si rivela assolutamente necessaria, se non indispensabile ed essenziale.
- Details
- Hits: 1064
Capitalismo o neofeudalesimo? Un’introduzione
di Jodi Dean
Come pensare insieme la crisi della riproduzione sociale, l’intensificarsi delle disuguaglianze economiche e la riduzione dell’orizzonte politico? In Capitalismo o neofeudalesimo? Jodi Dean delinea le coordinate per reinterpretare i mutamenti globali del modo di produzione capitalistico e proporre una nuova ipotesi finalizzata a comprendere la fase attuale dello sviluppo del capitalismo stesso. Su Scenari proponiamo un estratto del libro.
1. Panoramica
Che cosa definisce il capitalismo contemporaneo? Come lo descriviamo? Quali sono i suoi tratti salienti? È addirittura corretto descrivere il nostro presente come capitalista? La mia ipotesi è che il capitalismo stia diventando qualcosa d’altro, qualcosa che possiamo proficuamente descrivere come neofeudale. Le dinamiche proprie del capitalismo si stanno avviluppando su se stesse in una sorta di sussunzione assoluta, con nuovi signori e nuovi servi, con una micro-élite di miliardari delle piattaforme e un massiccio settore di servizi, ovvero di servitori. Nel chiederci se l’ipotesi neofeudale abbia senso, se il capitalismo stia veramente diventando qualcosa di diverso, dobbiamo tenere a mente che il capitalismo si è sempre sovrapposto ad altri modi di produzione, su cui ha fatto leva e che ha sfruttato a suo vantaggio. Il capitalismo li deteriora, smantellando le condizioni a cui essi si erano adattati e assoggettandoli a leggi a loro estranee.
Da alcuni anni ormai sono alle prese con la questio ne posta da McKenzie Wark: “e se non fossimo più nel capitalismo, ma in qualcosa di peggiore?” [1]. Sulle prime pensavo che tale questione fosse assurda: certo che siamo nel capitalismo, in un capitalismo veramente orribile, estremo e neoliberale; in un capitalismo che ha abbandonato il compromesso a esso imposto dai movimenti operai nel XX secolo e procede a briglia sciolta nella sua corsa al profitto. Ma più esaminavo la questione, meno l’idea di un capitalismo eterno e sempre in grado di adattarsi diventava convincente. Harry Harootunian, ad esempio, critica l’immagine di un “capitalismo compiuto in occidente”.
- Details
- Hits: 1351
Attraversando il PNRR. Parte II (III)
di Emiliano Gentili, Federico Giusti, Stefano Macera
Pubblichiamo la terza puntata della seconda parte dello studio sul PNRR condotto da Emiliano Gentili, Stefano Macera e Federico Giusti. Dopo aver analizzato, nella prima parte, il contesto economico italiano e la strategia perseguita dall’Unione Europea nella programmazione del Piano, nel nuovo articolo, gli autori analizzano l’idea di politica energetica dell’Ue e dell’Italia ed esaminano alcuni investimenti previsti dal PNRR particolarmente significativi per lo sviluppo dell’economia italiana, con particolare riferimento alla filiera dei semiconduttori, dell’idrogeno e della logistica, ai processi di digitalizzazione industriale.
Qui la prima puntata, qui la seconda.
* * * *
IV. La digitalizzazione industriale
La Missione 1, Componente 2 del Pnrr italiano vuol dare impulso a processi di digitalizzazione e innovazione industriali, nonché a «un’infrastruttura di reti fisse e mobili ad altissima capacità (Very High Capacity Network)»[1]. Investire per rendere le imprese più tecnologiche sarebbe un inutile sperpero di risorse nel caso in cui il territorio nazionale non offrisse una capacità di connettività sufficiente all’utilizzo ottimale delle nuove tecnologie.
Se da un lato, dunque, questa Componente elargisce soldi pubblici per gli investimenti in tecnologia e in ricerca e sviluppo, supportando poi in maniera più corposa alcuni settori strategici dal punto di vista comunitario[2], dall’altro «include importanti investimenti per garantire la copertura di tutto il territorio con reti a banda ultra-larga (fibra FTTH, FWA e 5G), condizione necessaria per consentire alle imprese di catturare i benefici della digitalizzazione e più in generale per realizzare pienamente l’obiettivo di gigabit society»[3].
- Details
- Hits: 919
Nichilismo adattivo e capitalismo
di Salvatore Bravo
Il capitalismo nell’attuale fase logora ogni memoria identitaria al fine di rendere i soggetti funzioni del sistema, perché vi sia l’esodo dal capitale è fondamentale domandarsi che cosa il capitalismo: violenza e dominio mediante l’adorazione idolatra del plusvalore.
Vi è la violenza percettiva e la violenza psichica, entrambe nella loro azione coordinata producono e disseminano in ogni punto della comunità saccheggiata tensione e privazione. L’abbondanza materiale è consustanziale alla privazione ontologica del bene e dei fini oggettivi.
Il capitalismo deforma la natura umana, bombarda “gli stati canaglia” e saccheggia l’ambiente; a livello psichico sottrae memoria, contenuti e identità per rendere i soggetti flessibili e adattivi. La percezione del mondo è alterata dal frastuono delle immagini e dei suoni, si tutto regna la cinesi della dispersione. La velocità mito e croce della modernità divide il soggetto da se stesso e dalla comunità. Non si ascolta il corpo vissuto, le relazioni si consumano velocemente, per cui la percezione è distorta al punto da fondare il soggetto deterritorializzato, regna la scissione in ogni direzione relazionale. L’alterazione è tale che il soggetto diviene incapace di distinguere il mondo reale dall’immaginario indotto. Confusione e caos sono i mali in cui il soggetto precipita.
Per trasformare i popoli in materiale inerte il capitalismo sottrae loro la lingua e la storia. Senza lingua non vi è logos, ma solo un soggetto sempre più simile al “niente”.
Il caso italiano è emblematico: l’anglo-italiano si coniuga con l’ostracismo perenne alla tradizione culturale e filosofica italiana.
- Details
- Hits: 1231
Il 2024: l’anno di Vladimir Putin
di Fulvio Bellini
“Dici che Hitler è morto da così tanti anni, 80 anni. Ma il suo esempio continua a vivere. Le persone che hanno sterminato ebrei, russi e polacchi sono vive. E il presidente, l’attuale presidente dell’Ucraina di oggi, lo applaude nel parlamento canadese, fa una standing ovation! Possiamo dire di aver sradicato completamente questa ideologia se ciò che vediamo accade oggi? Questo è ciò che è la denazificazione nella nostra comprensione. Dobbiamo sbarazzarci di coloro che sostengono questo concetto e sostengono questa pratica e cercano di preservarla: ecco cos’è la denazificazione. Questo è ciò che intendiamo.”
Vladimir Putin intervistato da Tucker Carlson, 9 febbraio 2024
Premessa: il ritorno della Realpolitik
La recente intervista a Vladimir Putin da parte di Tucker Carlson, da taluni qualificata come l’intervista del secolo forse esagerando, è stata però una delle più rilevanti rilasciate dal presidente russo da quando è in carica, e ormai sono passati 25 anni. I numerosi temi toccati erano formalmente indirizzati al popolo americano, ma sostanzialmente diretti ad alcune élite presenti su entrambe le sponde dell’Atlantico: sulla costa occidentale alla classe dirigente definita dei “texani” (si ricorda che le altre sono quelle dei “bostoniani” e dei “californiani”), cioè ai rappresentanti dell’America più profonda e tradizionale e che si appresta a ridare il proprio appoggio a Donald Trump alle prossime elezioni presidenziali; su quella orientale alle élite che si erano recentemente riunite a Davos, per il loro tradizionale simposio, tanto formale nei summit ufficiali, quanto sostanzioso in quelli riservati.
Page 80 of 610