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Habermas: anche una storia della filosofia
di Leonardo Ceppa
1. Una possibile idea di filosofia
Nella Prefazione dell’ultima opera (Auch eine Geschichte der Philosophie, Suhrkamp 2019) si nasconde il sale della gigantesca impresa. Che idea ha oggi Habermas della filosofia? Che compito vuole assegnarle? Nella cultura contemporanea è domanda grandiosa. Di fronte a questo libro ci chiediamo: si tratta del dettagliato racconto di uno sviluppo storico (che perlustra gli stadi secolari attraverso i quali si è formata la proposta di una filosofia postmetafisica) oppure di un’intuizione teorica proiettata all’indietro, che per un verso organizza a posteriori il passato e per l’altro verso si presenta ora (a fine carriera) in tutta la sua potenza come dichiarazione esistenziale, rivoluzione antipositivistica, battaglia argomentativa? Non vogliamo banalizzare la questione al vecchio circolo, tra filosofia e storia della filosofia, di cui prende coscienza ogni matricola studentesca. Come tutti sanno, a differenza delle altre materie scientifiche, della filosofia non si può raccontare la storia senza prima disporne di una implicita idea teorica, ma di tale idea non ci si impadronisce, senza prima averla trafugata (magari senza saperlo) ai materiali di una venerabile storia istituzionale.
Soggettivamente, Habermas si trova impigliato in una trappola. Si vergogna del sollievo (eigentlich unseriös) di non dover daccapo consultare la dilagante letteratura secondaria, di non dover ripetere dimostrazioni più volte sviluppate nei decenni precedenti.
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Elsa Fornero e la logica surreale del contabile neo-liberista
di Thomas Fazi
La logica surreale del contabile neoliberista: «Visto che non ci sono abbastanza giovani lavorativamente attivi per sostenere le pensioni degli anziani, dobbiamo far lavorare gli anziani fino alla morte, impedendo così a un numero crescente di giovani di accedere a un lavoro». In questo articolo spiego perché questa logica - oltre a cadere palesemente in contraddizione con se stessa - non abbia alcun fondamento economico.
Tra i tanti miti che continuano ad essere propagandati sul funzionamento dell’economia, uno dei più perniciosi riguarda senz’altro la spesa pensionistica e la sua presunta insostenibilità, uno dei mantra della politica italiana da almeno vent’anni. L’idea di fondo è che il “normale” nonché effettivo funzionamento dei sistemi pensionistici, e nella fattispecie di quello italiano, consista nel prelevare una certa percentuale dalla busta paga del lavoratore che poi viene “accantonata” in una sorta di “cassetta” previdenziale a cui lo Stato attingerà una volta che il lavoratore è andato in pensione per finanziare la pensione dello stesso.
A qualcuno che basi la sua concezione dell’economia sulla “saggezza convenzionale” – dunque alla maggior parte dei cittadini, ahinoi –, tale sistema potrebbe parere avere una sua logica. Peccato che questa rappresentazione del funzionamento del nostro sistema pensionistico non solo non abbia alcun senso, ma non corrisponda neanche alla realtà. Non ha senso perché gli Stati, a differenza di noi comuni mortali, non “risparmiano” oggi per aumentare la propria capacità di spesa un domani. La stessa idea che un surplus del bilancio pubblico rappresenti un risparmio nell’accezione tradizionale del termine, cioè una somma che viene “messa da parte” per poter essere spesa un domani, è errata: esso certifica semplicemente che in un dato periodo le entrate dello Stato sono superiori alle uscite, ma quei soldi non vengono accantonati, vengono effettivamente distrutti, tramite una semplice operazione contabile (giacché non paghiamo le tasse con i contanti ma per mezzo di trasferimenti bancari). Da ciò si evince come l’idea che lo Stato “metta da parte” i nostri contributi oggi per poi restituirceli un domani non abbia alcun senso.
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Tre tesi sullo sviluppo economico cinese
di Bollettino Culturale
Cercheremo con questo lavoro, sollecitato a sinistra da testi interessanti sullo sviluppo cinese come “La Cina è capitalista?” di Rémy Herrera e Zhiming Long o “Il socialismo con caratteristiche cinesi. Perché funziona?” di Zhang Boying, di analizzare nel dettaglio la questione Cina.
Inizieremo il saggio analizzando tre distinti approcci alla questione: quello di Li Minqi, già intervistato su questo sito, di Giovanni Arrighi e di Samir Amin.
L'approccio di Li Minqi è sviluppato nel libro “The Rise of China and the Demise of the Capitalist World-Economy”.
Contrariamente all'opinione prevalente che vede la rapida crescita della Cina come prova dell'indiscutibile successo del libero mercato, Li Minqi offre un'interpretazione molto diversa dell'integrazione della Cina nel sistema capitalista. Sulla base della teoria del Sistema-Mondo, analizza l'ascesa della Cina nel contesto dell'evoluzione storica del capitalismo globale e alla luce dei suoi effetti economici ed ecologici; così afferma che l'integrazione della Cina nei mercati mondiali aiuta a rivelare i limiti storici del capitalismo mondiale.
Vede l'ingresso della Cina nel sistema capitalista con la sua domanda di risorse e la successiva pressione sul "sistema-mondo" come un fattore importante alla base dell'imminente fine del sistema mondiale capitalista. Semplicemente non c'è abbastanza per tutti per sostenere una Cina (e India) in crescita a livelli di consumo occidentali.
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Cuba e la guerra egemonica dell’Occidente contro gli “Stati canaglia”
di Gianni Fresu
Il ritorno dei democratici alla Casa Bianca ha coinciso con una nuova durissima offensiva contro Cina, Russia e tutto il composito fronte dei cosiddetti “Stati canaglia”, la cui finalità è sbarrare il passo a qualsiasi ipotesi di sviluppo multipolare della politica internazionale e ripristinare l'incontrastato dominio degli Stati Uniti sul mondo, rimediando alla profonda crisi di immagine e di relazioni che Washington ha vissuto negli ultimi anni.
In tal senso vanno lette le preoccupazioni di UE e USA emerse nei recenti incontri tra i vertici delle rispettive istituzioni: il rischio che parte importante dei fondi del Recovery plan possa finire nei bilanci delle aziende cinesi, dato che, come abbiamo potuto leggere sui giornali, “sul mercato europeo praticamente non esistono capacità tecnologiche e dimensioni aziendali” adeguate ai progetti di riconversione ecologica del piano. Da tali preoccupazioni emergono due valutazioni di ordine generale utili a sviluppare il nostro discorso: 1) la Cina sta vincendo la sfida tecnologica con l'Occidente, a suo tempo persa dall'URSS; 2) UE e USA basano le proprie istituzioni sulla mistica ideologica del primato del mercato, ma, in concreto, il “laissez faire” è sacro solo quando soddisfa i nostri interessi. Se così non è, qualsiasi mezzo di contrasto protezionistico è ritenuto lecito, alla faccia di tanta retorica sulle capacità di autoregolamentazione del mercato. Tutto ciò dimostra il relativismo di valori e la mai risolta pretesa di supremazia coloniale delle società liberaldemocratiche occidentali sul resto del mondo.
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Vent’anni invano
di Militant
A vent’anni di distanza da Genova, riproponiamo l’intervento che Paolo Cassetta svolse all’assemblea fondativa della rete politica nazionale “Noi saremo tutto” (maggio 2012). Nonostante la distanza temporale tanto dall’oggi, quanto da Genova, potrebbe apparentemente rendere superata la diagnosi, molte delle questioni centrali dell’estrema sinistra italiana dell’ultimo quarantennio sono qui evocate e affrontate con rara precisione. I problemi del movimento operaio italiano si confermano dunque sistemici, forse irrisolvibili. Vent’anni di smobilitazione sembrano ormai costituire qualcosa di più di una semplice fase transitoria, costringendoci in qualche modo a fare i conti non più (solo) con i nostri limiti soggettivi. Che pure, in questa ritualistica celebrazione mainstream dell’”evento” Genova, permangono ancora imperturbati. Come evidenzia l’autore, continuiamo a pensare le giornate di mobilitazione genovesi come “evento” generazionale, e non come esperienza – una delle tante – del movimento operaio e anticapitalista italiano, da cui ricavare lezioni e smentite. Il ricordo, dunque, degenera immediatamente nell’epopea, alimentando quel presentismo incapace di fare i conti con se stessi e con il proprio passato. Delegando a Repubblica o al Corriere della Sera quella critica dell’evento, ovviamente sviante e interessata, che alle nostre latitudini continua a partorire apologie commemorative inutili a capire tanto Genova quanto il futuro della sinistra anticapitalista italiana.
* * * *
Nosce te ipsum
Appunti sulle condizioni soggettive della sinistra anti-capitalistica italiana
di Paolo Cassetta
Il dato da cui vorrei partire, macroscopico, innegabile, e anche un po’ scontato, è quello della crisi attuale. Si tratta evidentemente della più seria crisi economica degli ultimi anni.
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Cuba: considerazioni critiche, costruttive, fuori dagli stereotipi
di Angelo Baracca
L’attacco contro Cuba ha sollevato, oltre che la resistenza di quel popolo e la solidarietà internazionalista, anche riflessioni di ogni genere. Amichevoli o ostili, critci solidali o distruttivi. E considerazioni spesso astratte sul “socialismo”, su cui torneremo ben volentieri. Qui, intanto, ospitiamo volentieri la riflessione di Angelo Baracca, scienziato e compagno da sempre
Cuba sta affrontando i momenti forse più drammatici dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Ma con poche eccezioni i commenti che si leggono ricadono sotto un paio di stereotipi, pro o contro l’attuale governo: così non si va da nessuna parte, e tanto meno si aiutano il popolo e il governo cubani a superare in avanti l’impasse.
L’esperienza della Rivoluzione cubana è per noi un punto fermo dal quale non si può prescindere, ma a poco servono a mio parere le difese “d’ufficio”: è certo pregiudiziale denunciare con sempre più forza l’inumano bloqueo e le interferenze sempre più pesanti dell’imperialismo yankee, ma se vogliamo dare un contributo che non sia sterile, dobbiamo riflettere anche sul fronte delle insufficienze, magari degli errori, del governo cubano.
Non mi illudo certo di dare un contributo decisivo, ma di contribuire ad una riflessione al di là degli schemi contrapposti. Anche nel movimento – in particolare fra i giovani che spesso non hanno neanche assistito alla caduta del Muro di Berlino – molte cose non sono neanche conosciute.
Cerco di sviluppare un ragionamento di prospettiva generale e di respiro ampio.
Alle origini dell’imperialismo yankee
C’è un detto molto comune nei paesi dei Caraibi: “Povero (ad esempio Messico), così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti!”
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L’utopia della de-mercificazione della forza-lavoro
di Domenico Laise
La mercificazione della forza-lavoro è una condizione necessaria per l’esistenza del modo di produzione capitalistico. Di conseguenza, la “de-mercificazione” della forza-lavoro è incompatibile con il modo di produzione capitalistico. È, cioè, la sua negazione
Dal tempo in cui Marx scriveva il Capitale ad oggi sono mutati molti aspetti nel modo in cui il lavoro viene organizzato ed erogato. L’introduzione di tecnologie come le piattaforme digitali, per esempio, ha generato quello che, da molti autori, viene chiamato il “capitalismo digitale”. Ma, nonostante queste “mutazioni”, alcuni aspetti essenziali del modo di produzione capitalistico non hanno subito modifiche sostanziali. Uno di questi aspetti è la “mercificazione della forza-lavoro”, ovvero la riduzione della forza-lavoro a merce. Da questo dato di fatto occorre ripartire per dare solide basi teoriche anche alle analisi delle forme moderne di erogazione e organizzazione tayloristiche del lavoro. Da questo incontestabile dato di fatto occorre ripartire per illustrare scientificamente l’esistenza dello sfruttamento del lavoro umano, anche nel capitalismo digitale
Per illustrare la natura di alcune forme moderne del lavoro conviene prendere le mosse da un caso concreto e abbastanza noto: il lavoro con piattaforma digitale del food delivery. Attraverso l’uso di algoritmi di ottimizzazione, la piattaforma digitale Deliveroo è in grado di gestire le attività di un’ampia rete di lavoratori (una rete di fattorini o rider), disponibili just in time. Altri noti esempi di lavoratori impiegati e coordinati su piattaforme digitali sono gli autisti di Uber e i lavoratori dei magazzini di Amazon.
Una prima difficoltà che emerge nell’analisi del lavoro del food delivery è quella di individuare la natura del lavoro del driver che consegna il cibo. Sorge il seguente quesito: il driver è un lavoratore subordinato, etero-diretto dalla piattaforma, oppure è un lavoratore autonomo che sceglie quando e quanto lavorare e che si auto-dirige come un imprenditore di sé stesso?
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Le origini della Rivoluzione Cinese
di Salvatore Tinè
La fondazione del Partito Comunista Cinese il 1° luglio del 1921 a Shangai costituisce certamente un passaggio fondamentale nella lunga e complessa vicenda della rivoluzione cinese. Tale avvenimento è infatti destinato a segnare una svolta decisiva nel processo rivoluzionario che, iniziato in Cina con il crollo dell’Impero e l’avvento della Repubblica nel 1911, già nel 1919 con il cosiddetto Movimento del 4 maggio aveva impresso nel paese una poderosa spinta verso una profonda modernizzazione politica e culturale del paese.
Le grandi manifestazioni studentesche e giovanili contro il trasferimento dei diritti della Germania sullo Shantung al Giappone deciso dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale con il Trattato di Versailles sono la prima grande manifestazione del carattere insieme nazionale e antimperialista della Rivoluzione cinese. Le decisioni ratificate nel Trattato di Versailles rivelavano il carattere del tutto illusorio e demagogico dei 14 punti di Wilson e delle idee di autodeterminazione dei popoli che le avevano ispirate. Esse dimostravano come nell’epoca dell’imperialismo, anche dopo la fine della prima guerra mondiale, non esisteva per la Cina una prospettiva riformista e pacifica di conquista dell’unità e dell’indipendenza nazionali, ma solo una prospettiva democratico-rivoluzionaria. Il tema della modernizzazione al centro del sommovimento culturale della Cina teso al superamento della vecchia cultura feudale e alla conquista delle idee e dei valori di una cultura nuova e scientifica si intreccia a quello patriottico della difesa dell’indipendenza e dell’autonomia nazionale della Cina.
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La BCE non cambia strategia. Così il debito rischia di soffocare l’eurozona
di Enrico Grazzini
Nella “Strategic Review” della Banca Centrale Europea nessun accenno alle svolte di politica monetaria necessarie per uscire dalla tremenda crisi dell’economia reale: helicopter money e cancellazione dei debiti degli stati
La montagna non ha partorito neppure un topolino. La Banca Centrale Europea di Christine Lagarde ha concluso all’inizio di luglio la Strategic Review, la revisione strategica avviata nel gennaio 2020, con dei risultati che definire modesti sarebbe un eufemismo. Non è cambiato quasi nulla. Le novità non sono cattive ma non c’è assolutamente nessun cambiamento strategico, casomai qualche modifica tattica. La BCE continuerà a “navigare a vista” anche nell’epoca post-Covid e dei cambiamenti climatici ma continuerà anche a non avere gli strumenti sufficienti per affrontare le grandi sfide del presente e del futuro. Bisogna essere chiari a riguardo: la crisi economica e finanziaria provocata dal Covid è paragonabile a quella prodotta da una guerra. I debiti privati (soprattutto) e pubblici sono schizzati alle stelle. L’Italia per esempio a causa del Covid è passata dal 135 al 160% di debito pubblico su PIL, cioè un debito insostenibile. Il PIL è crollato del 9%. Finiti i sussidi, migliaia di aziende falliranno e centinaia di migliaia di lavoratori finiranno sul lastrico. La BCE è il maggiore creditore del debito pubblico italiano e finora ha assorbito quasi tutti i nuovi debiti legati alla crisi del Covid ma non è certamente detto che continuerà a farlo in futuro. Di fronte alla possibilità di una nuova crisi la BCE, nonostante la strategic review, potrebbe non avere nessun mezzo risolutivo. Anzi potrebbe essere costretta ad alzare i tassi di interesse, cioè il costo del debito.
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L’identità negata
di Sebastiano Isaia
Vicissitudini del “corredo identitario umano” ai tempi del dominio totalitario del Capitale
Qui di seguito consegno alcune (confuse e rapsodiche) riflessioni sul disagio esistenziale dei nostri tempi. Mi scuso per le ripetizioni di parole e concetti che non mi è stato possibile eliminare. Spesso, nel mio caso, economia di pensiero ed economia di tempo non collaborano per dare buoni frutti.
Diciamolo francamente: il “pensiero unico” è sempre quello degli altri. Il nostro pensiero è sempre e puntualmente refrattario e ostile al “pensiero unico”, esattamente come suggerisce il marketing di alto target: «Esci dalla massa e asseconda la tua personalità». E il pensiero dominante, che in ogni epoca storica fa capo alla classe dominante, se la ride e se la gode, per così dire. La nostra identità (sessuale, politica, ideologica, nazionale, in una sola parola: esistenziale) è invece ridotta a brandelli, a una poltiglia perennemente alla ricerca di surrogati che gridano vendetta al cospetto della cruda verità delle cose. La moltiplicazione delle identità di ogni genere mette in luce fino a che alto grado di frammentazione, di dispersione e incoerenza è giunta la nostra cosiddetta personalità. L’ossessiva – quanto frustante e illusoria – ricerca di un’identità forte è l’altra faccia della medaglia.
Questa frantumazione identitaria è peraltro assai utile al Capitale, il quale ha bisogno di allargare sempre di nuovo le sue possibilità di produzione e di vendita. Si tratta di un complotto oggettivo, per così dire, ordito dal Capitale contro gli esseri umani ridotti al rango di consumatori.
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Disvisioni. Servitù volontaria e cecità selettiva ai tempi del Covid-19
di Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni*
1. Weird fiction
Cominciamo dalla “trama ontologica” di un romanzo uscito qualche anno fa. In un’epoca imprecisata ma contemporanea, in zona balcanica, due città che tutto – storia, lingua, geografia – apparenta, hanno imboccato vie diverse. Besźel ha scelto di vivere un tempo più lento, fatto di strade tranquille e polverose, edifici un po’ malandati ma a loro modo accoglienti, poche automobili e l’ubiqua presenza di vecchi caffè e bancarelle. È una città in cui non succede molto e dove l’economia procede lenta, più sul valore d’uso che su quello di scambio. Ul Qoma si è invece tuffata decisa nel flusso della modernità e ha quindi i suoni, i colori e le geometrie di tutte le grandi metropoli internazionali; i grattacieli e il traffico incessante di auto lussuose testimoniano di un’economia in rapida espansione, animata da un’umanità in piena “grande trasformazione” antropologica. Come accade anche nella penisola dei campanili, la rivalità fra le due città nasce proprio dalla vicinanza geografica: così i cittadini dell’una non perdono occasione per ironizzare sul modo di vita dell’altra e ciascuna sprezza, e segretamente desidera, ciò che l’altra ha.
Uno scenario piuttosto normale, salvo per un dettaglio: Besźel e Ul Qoma occupano lo stesso spazio geografico; non sono solo spazialmente contigue, ma sovrapposte, coincidenti. Sono poche le strade, gli edifici e le piazze che appartengono integralmente a una sola città: la maggior parte degli spazi urbani è condiviso fra le due secondo ritagli variabili (può capitare, ad esempio, che il basamento di un edificio sia in entrambe le città, i primi piani appartengano a Ul Qoma e gli ultimi piani a Besźel).
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Le transizioni gemelle
Il capitalismo sui binari del verde e del digitale
di Alessandro Montebugnoli e Franco Padella
Secondo un’opinione ormai diffusa, alimentata dalle istituzioni di governo dell’economia globale, l’uscita dalla crisi generata dal Covid 19 può inaugurare una nuova fase di sviluppo del capitalismo, di ampio respiro, trainata dalle ondate di innovazioni tecnologiche intitolate alla transizione ecologica e ai prossimi passi della rivoluzione digitale. L’articolo si interroga sulla credibilità di questa prospettiva: quanta strada può fare il capitalismo sui binari del verde e del digitale? A quale velocità può andare? E quanto si può sperare che il viaggio risulti confortevole?
1. I piani di recovery destinati a portarci fuori dalla crisi generata dal Covid 19 hanno sancito due orientamenti già rilevabili quando la pandemia doveva ancora insorgere.
Il primo consiste in un mutato atteggiamento nei confronti delle politiche ‘fiscali’, di spesa pubblica. Verso la metà degli scorsi anni Venti, complice la debolezza della ripresa dopo la crisi del 2008, il lungo dominio delle strategie di tipo monetario ha cominciato a essere contestato a vantaggio di cospicui interventi a sostegno della domanda aggregata, destinati a fare la differenza rispetto agli equilibri che stanno nelle corde dei mercati. Per la verità, sviluppi del genere si sono registrati soprattutto negli Stati uniti, dove la necessità di un nuovo fiscal activism, di stampo keynesiano, è tornata alla ribalta nel vivo del dibattito innescato alla fine del 2013 da Lerry Summers circa la possibilità di una futura, ma già iniziata, Secular Stagnation1. Non così in Europa, dove soltanto la pandemia, in effetti, è riuscita a rompere la gabbia del fiscal compact, e soltanto pro tempore, in chiave emergenziale: convintamente quanto all’entità delle risorse messe in campo nel fuoco della crisi, ma non esattamente in linea di principio.
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Arriva la Grande Depressione?
di Visconte Grisi
Cominciamo con alcune notizie sulla pandemia riportate sulla stampa. Il 20 maggio Adnkronos riporta la proposta avanzata dal presidente e amministratore delegato Pfizer Albert Bourla, di rinnovare anno dopo anno il vaccino contro il Covid-19, come per l'influenza stagionale. Gli fa eco Ugur Sahin, co-fondatore e amministratore delegato di BioNTech: “Ci sono prove crescenti che il Covid-19 continuerà a rappresentare una sfida per la salute pubblica per anni”[1]. Al netto degli evidenti interessi economici della multinazionale del farmaco, che comunque continua a fare il bello e il cattivo tempo sulla fornitura dei vaccini, non è improbabile che la previsione suddetta possa rivelarsi realistica, vista la proliferazione delle varianti del virus, di cui quella Delta si diffonde al momento attuale con grande rapidità. Del resto anche il vaccino per l'influenza stagionale deve essere ripetuto ogni anno per il manifestarsi di varianti del virus influenzale. E poi, anche al di là delle varianti del virus, non risulta che, nell'anno trascorso, si sia fatto qualcosa per rimuovere le cause della pandemia, e non è possibile che ciò avvenga in futuro rimanendo entro i limiti del modo di produzione capitalistico teso, come si sa, alla ricerca spasmodica di profitti in ogni angolo della terra, cosa che ha portato alla attuale devastazione ambientale. Per il momento comunque si parla già di una terza dose di vaccino da praticare in autunno quando, guarda caso, si ridurrà l’azione dei raggi solari Uva e Uvb che “nel giro di poche decine di secondi uccidono completamente il Sars-Cov-2”, come ha dimostrato uno studio italiano pubblicato recentemente[2].
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Rafforzare la prima linea
Farmaci generici per la cura del Covid-19
di Eduardo Missoni
Il 10 maggio scorso il ministro della sanità del piccolo stato indiano di Goa, Vishwajit Rane, ha annunciato che a tutti i cittadini sopra i 18 anni si somministrerà l’Ivermectina nel tentativo di abbattere la mortalità dovuta al Covid-19.
È immediatamente intervenuta l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricordando che l’OMS è contraria all’uso dell’ivermectina nel Covid-19 e cita – stranamente – le linee guida di BigPharma.
Fin dall’inizio della pandemia di Covid-19 il maggiore impatto è stato sulle unità di terapia intensiva per far fronte all’insufficienza respiratoria acuta che sviluppava una percentuale elevata di pazienti ospedalizzati.
Nonostante una vasta ricerca e le crescenti evidenze circa la sicurezza e l’efficacia di diverse sostanze e farmaci generici, le autorità sanitarie nazionali e internazionali (EMA, OMS) hanno continuato a raccomandare solo “cure di supporto” e, come nel caso italiano “vigile attesa”, evitando altre terapie al di fuori di studi randomizzati controllati, di fatto sottovalutando e persino ostacolando la possibilità di fronteggiare l’epidemia a livello dell’assistenza di base, della medicina comunitaria e familiare.
La strategia di contenimento della pandemia fin dall’inizio è stata individuata nello sviluppo e poi nella somministrazione universale di vaccini, presentando questa soluzione per lo più come l’unica via percorribile per far “ripartire” l’economia e ritornare alla “normalità”, ivi incluso il superamento delle misure basiche di controllo come il mantenimento di una distanza fisica atta a limitare il contagio, il frequente lavaggio delle mani e l’igienizzazione delle superfici, l’uso delle mascherine e, naturalmente, l’isolamento delle persone positive al virus, nonché le misure di più ampio impatto sociale quali i diversi livelli di “lockdown”.
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Teoria del valore-lavoro, totalità dello sviluppo ed egemonia della classe operaia
di Eros Barone
L’oggettività del valore delle merci si distingue da Mrs. Quickly perché non si sa dove trovarla. In diretta contrapposizione all’oggettività rozzamente sensibile dei corpi delle merci, nemmeno un atomo di materiale naturale passa nell’oggettività del valore delle merci stesse. Quindi potremo voltare e rivoltare una singola merce quanto vorremo, ma come cosa di valore rimarrà inafferrabile. Tuttavia, ricordiamoci che le merci posseggono oggettività di valore soltanto in quanto esse sono espressioni di una identica unità sociale, di lavoro umano, e che dunque la loro oggettività di valore è puramente sociale, e allora sarà ovvio che quest’ultima può presentarsi soltanto nel rapporto sociale tra merce e merce.
Karl Marx 1
1. L’unica merce che produce valore
L’analisi che Marx conduce nel I libro del Capitale mostra una rete di scambi in cui si incrociano quantità di lavoro differenti, in una parola scambi ineguali. Si tratta allora di comprendere quale posto hanno questi processi nell’analisi complessiva di Marx, al fine di comprendere, fra le altre cose, l’importanza politica che tali problemi assumevano agli occhi dello stesso Marx. E qui si colloca una pietra angolare dell’analisi della società capitalistica, poiché all’interno di quella rete di scambi esiste uno scambio che assolve un ruolo assiale, definendo la società capitalistica e determinandone la differenza rispetto alla società mercantile: lo scambio tra salario e forza-lavoro.
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L’Economist e il mito del libero mercato
Grace Blakeley intervista Alexander Zevin
La storia del giornale liberista per eccellenza racconta il modo in cui il pensiero liberale si adatta ai diversi contesti. Ed evidenzia la sua eterna tensione con la democrazia
Marx una volta definì l’Economist «la tribuna dell’aristocrazia della finanza». In qualità di rivista dominante del liberalismo d’élite, ha svolto un ruolo importante nel plasmare e promuovere l’ideologia liberale, attraverso i suoi cambiamenti e continuità, dalla sua fondazione nel 1843 ad oggi.
Alexander Zevin, assistente professore di storia alla City University di New York e redattore della New Left Review, ha recentemente pubblicato un nuovo libro, Liberalism at Large: The World According to the Economist, che approfondisce la storia del liberalismo attraverso la lente di osservazione dell’Economist.
In una puntata del podcast di Tribune, A World To Win, Grace Blakeley di Tribune ha discusso con Zevin della storia dell’ideologia liberale, se è in crisi e come evolverà dopo aver plasmato l’ordine mondiale.
* * * *
Che cos’è il liberalismo?
Il mio libro scarta alcune idee su cosa sia il liberalismo per arrivare a una definizione migliore. Mi riferisco alle analisi secondo cui il liberalismo inizia nel diciassettesimo secolo con John Locke e le sue idee e teorie politiche o con Adam Smith nel diciottesimo secolo con La ricchezza delle nazioni e cose del genere. Io sostengo che il liberalismo emerge davvero e deve essere compreso nel suo contesto storico nel periodo sulla scia delle guerre napoleoniche: questo è il momento in Europa, Spagna e poi in Francia, in cui le persone si descrivono per la prima volta come liberali.
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I bigotti del bene
di Andrea Zhok
Oggi pezzo assai interessante, e sconcertante, sulla prima pagina del Corriere.
L'autore è Emanuele Trevi, che salvo omonimie, risulta essere uno scrittore e critico letterario.
L'articolo prende di petto il rifiuto vaccinale.
Premesso, a scanso di equivoci, che your most humble servant è vaccinato e non è un 'No-Vax', il modo in cui il Trevi sostiene le sue tesi "anti-No-Vax", gli argomenti che vengono sollevati, meritano davvero qualche riflessione, soprattutto se pensiamo che la collocazione dell'editoriale lo rende automaticamente espressione ufficiale della "borghesia illuminata" italiana.
Scrive Trevi (il maiuscoletto è di mio inserimento, come sottolineatura):
<<Questa è la verità: sono tra noi. Non amano Donald Trump, non affermano che la Terra è piatta, non sono aggressivi o rimbecilliti. Sono attori, musicisti, commercianti, gente che viene alle presentazioni dei libri, gente che incontri a cena. Con il no vax classico, condividono solo un sordo rancore per il sapere scientifico. Non saprebbero mai e poi mai definire una cellula o una proteina, ma prendono decisioni gravi come quella di non vaccinarsi in base a consigli dell’insegnante di yoga, o perché un amico di un amico lavora in un certo posto ed è sicuro che.
IGNORANO INSOMMA CHE L’ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA È FIDARSI DI CHI SA, certamente controllando che il sapere non diventi un’usurpazione, ma consapevoli che il sapere è una lenta conquista che costa lacrime sangue, non una ricerca su google.
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Angelo Del Boca: uno storico in difesa dei senza voce
di Matteo Dominioni
Dalla penna di uno dei suoi principali allievi, una nota biografica sul lavoro politico ed intellettuale di un uomo e di uno storico che controcorrente ha raccontato l’indicibile e contribuito a svelare il rimosso coloniale in Italia
Angelo Del Boca nacque a Novara nel 1925 dove passò l’infanzia. Dalla fine della guerra, visse a Torino dove lavorò come giornalista. Inviato della «Gazzetta del popolo» di Torino, trascorse lunghi periodi all’estero. Scrisse memorabili reportage, diede un contributo fondamentale per la defascistizzazone degli studi coloniali, lasciò preziose memorie sulla lotta di liberazione.
Offriamo qualche spunto di riflessione per ricordare uno dei più importanti intellettuali contemporanei, innovatore nell’ambito giornalistico e in quello della storiografia, per la metodologia e i temi trattati.
L’uomo
Chi ha avuto la fortuna di conoscere Angelo Del Boca e di collaborare con le sue numerose fatiche editoriali, ha apprezzato il suo forte senso di giustizia e l’apertura mentale di stare sempre dalla parte dei deboli. Non era solamente coerenza politica la sua, ma era un modo di porsi di fronte al mondo e agli altri che maturò durante la lotta di liberazione. Crebbe in un ambiente non fascista – racconta che la madre «l’avevo vista più volte sputare sul ritratto di Mussolini, che tenevamo in cucina, ma non era un’antifascista, era soltanto una donna stanca di scucire denaro per le costose divise dei figli» – ma durante la guerra dovette arruolarsi con la Repubblica sociale italiana per evitare rappresaglie contro la famiglia. Tornato dall’addestramento in Germania, disertò e raggiunse i partigiani del piacentino.
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La MMT spiega la crisi dell’Eurozona ed il ruolo della moneta?
Un commento a Bonetti e Paesani
di Angelantonio Viscione
Nell’articolo “La MMT dalla teoria alla prova dell’Eurozona”, Alessandro Bonetti e Paolo Paesani ripercorrono sul Menabò i cardini della Teoria della Moneta Moderna per offrire una chiave di lettura ed alcuni spunti di riflessione riguardo la recente storia della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona. Bonetti e Paesani, infatti, nella parte finale del proprio contributo confrontano brevemente l’interpretazione dell’eurocrisi avanzata dai teorici MMT con quelle di altri filoni di ricerca, allo scopo di stimolare un dibattito che immerga la teoria economica nell’esperienza dell’eurocrisi e viceversa. Partendo proprio da dove si conclude il contributo dei due autori, questo articolo evidenzia più da vicino alcuni caratteri peculiari della crisi dei debiti sovrani, per poi offrire un ulteriore spunto di riflessione di tipo teorico.
Innanzitutto, la crisi che ha colpito le economie europee tra il 2008 ed il 2009 ha riguardato i debiti sovrani, generalmente, solo in seguito ai piani di salvataggio adottati dagli Stati dell’Unione monetaria. Lo riconosceva lo stesso ex vice-presidente della Banca centrale europea, Vítor Constâncio, in un ormai celebre discorso tenuto ad Atene nel 2013 in cui sosteneva che, contrariamente ai debiti pubblici, è stato il livello complessivo del debito privato ad aumentare di ben il 27% durante i primi sette anni dell’Ume ed, in modo particolare, in Paesi che successivamente sarebbero stati sotto forte pressione come Grecia (+217%), Irlanda (+101%), Spagna (+75,2%) e Portogallo (+49%), mentre la crescita ripida del debito pubblico sarebbe iniziata solo dopo – e non prima – lo scoppio della crisi finanziaria.
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Pluriverso e politica dell’amicizia
di Luigi Pellizzoni
Postfazione al volume Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, Orthotes Editrice 2021
Questo libro può essere letto in molti modi; o forse è più opportuno dire da molti versi. È uno di quei testi in cui si può partire da punti differenti e dirigersi in direzioni altrettanto divergenti, cogliendo assonanze e dissonanze tra temi, concetti, riflessioni. Lo dice il titolo: non c’è una sola maniera di concepire il mondo, di stare al mondo, di immaginare relazioni umane e oltre-che-umane, cercando vie d’uscita dal vicolo cieco in cui la modernità si è cacciata. Tuttavia – punto a mio avviso cruciale – il pluriverso, che il libro alimenta prima e più che descrivere, non è un caleidoscopio di (in)differenze; non descrive o dichiara una realtà puramente differenziale, equivalente nella e per la sua infinita variazione. Questa è la realtà del capitale; quella che in particolare il capitalismo tardo-moderno cerca in tutti i modi di imporre. Una realtà in cui la forma-merce ha raggiunto un’estensione e un’intensione che oltrepassa di molto l’analisi di Polanyi, poiché in gioco non è più la produzione di un’immagine fittizia di parti o elementi del mondo per poterli scambiare sul mercato, ma la rivelazione del carattere originario e integrale di merce del mondo intero. Una realtà cui molti autori, nella loro critica della società capitalista e dell’ontologia cartesiana che ne ha costituito la cornice originaria di senso, si sono fin troppo avvicinati, se pure non hanno contribuito a costruirne le basi; tesi, quest’ultima, sostenuta da autori come Luc Boltanski e Eve Chiapello1 o Paolo Virno2 a proposito dell’acquisizione a fini controrivoluzionari della “critica artistica” dei movimenti degli anni ’70, e rinnovata a proposito del sempre più sistematico impiego della decostruzione scientifica a fini reazionari.3
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Per una rilettura delle riletture dei “bienni rossi”*
di Marco Riformetti
Introduzione
Nell’ambito del corso di Storia del movimento operaio e sindacale abbiamo avuto modo di leggere il testo di Steven Forti dedicato ai bienni 1919-1920 e 1968-1969 (FORTI [2009]).
Questo nostro intervento intende essere una sintetica analisi critica di quel testo che peraltro ripropone meritevolmente alla riflessione dei lettori e degli studiosi un’epoca storica – il biennio 1919-1920, detto “rosso” – di grandissima rilevanza per la storia del movimento operaio italiano (e se diciamo epoca, al singolare, e non epoche è perché malgrado l’intenzione dichiarata nel titolo in realtà il testo di Forti si sofferma quasi esclusivamente sul primo biennio rosso e accenna solo fugacemente al secondo – quello del 19681969 –).
Del resto, pur essendo certamente stimolante, il parallelo tra i due “bienni rossi” deve essere accolto soprattutto come suggestione. Basta infatti confrontare le premesse storiche – per il primo biennio: la Grande guerra e soprattutto la Rivoluzione d’Ottobre, con le relative conseguenze politiche e sociali…; per il secondo biennio: la rinascita del movimento operaio seguita al cosiddetto “miracolo italiano”, il ciclo di lotte di liberazione anti-imperialiste e anti-coloniali… – con gli esiti storici – per il primo biennio: la contro-rivoluzione fascista e la repressione del movimento operaio e “democratico”…; per il secondo biennio: lo sviluppo politico negli anni ‘70, i movimenti delle donne e dei giovani, la “strategia della tensione”, la guerriglia metropolitana… – per constatare che le similitudini sono piuttosto relative e spesso incentrate solo sul comune ricorso al termine “consigli” e sul relativo accostamento tra il movimento dei Consigli di fabbrica e delle occupazioni del 191920 e l’azione dei Consigli di fabbrica (in special modo nel triangolo industriale del Nord-Ovest, Milano-Torino-Genova) durante il cosiddetto “autunno caldo”.
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Dall’esame di Stato “alla tessera per competenze"
di Fernanda Mazzoli
Si impone ormai all’evidenza che la pandemia è stata utilizzata come formidabile acceleratore nei più svariati ambiti di processi già in atto da tempo. L’Esame di Stato non poteva rimanere estraneo a questa dinamica: la riproposizione, anche per il 2021, di una forma semplificata, senza le due prove scritte nazionali e con la commissione tutta interna, salvo il Presidente, coglie al balzo le criticità sollevate da un anno in buona parte in DAD per traghettare l’esame verso nuove modalità. Il nuovo assetto, da cui germoglieranno ancora altre trasformazioni, non dovrebbe né stupire, né scandalizzare, in quanto è perfettamente coerente con le politiche scolastiche attuate dai tanti governi succedutisi dalla fine del secolo scorso ad oggi. La matrice di tali politiche, da collocarsi nell’ottica dell’apprendimento permanente, è da ricercarsi nel Libro Bianco di Edith Cresson (1995), documento cruciale da cui dobbiamo partire per fare il punto sulle nuove modalità di svolgimento dell’esame e per avanzare ipotesi su futuri sviluppi. Esso mette in discussione il titolo di studio come canale esclusivo o privilegiato per l’occupazione e suggerisce una soluzione più flessibile: una “tessera personale delle competenze” sulla quale andrebbero riportate conoscenze e competenze acquisite via via dal titolare nel corso di tutta la sua vita attiva. Vengono individuati come partners di diritto degli Istituti d’istruzione nel processo di formazione (e nel riconoscimento delle competenze maturate) innanzitutto le imprese, e poi le associazioni, gli enti territoriali, i movimenti dei consumatori, le agenzie specializzate in settori come turismo, energia ed ambiente. Non è azzardato ritenere che in un futuro non molto lontano il peso crescente degli attestati conseguiti in ambito extrascolastico e certificati da una pluralità di organismi accreditati come formatori (imprese, associazionismo, società private con finalità culturali, organi territoriali) tenderà, se non a sostituire, sicuramente ad integrare in modo decisivo l’esame conclusivo del ciclo di studi secondari. A questo servirà il Curriculum dello studente.
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Navi, container, treni, metalli: il grande disordine
di Vincenzo Comito
Le catene di approvvigionamento merci e materiali – chip ma anche di rame, terre rare e altri minerali necessari alla transizione energetica – sono supercongestionate. Al fondo di questo caos che inciderà sui prezzi, gli obiettivi climatici della Cina, l’inadeguatezza delle reti di trasporto e la speculazione
Prima la pandemia, poi la tendenziale e forte ripresa dell’economia, insieme ad alcuni incidenti casuali (quale il blocco del canale di Suez e il recente focolaio di pandemia che ha rallentato le operazioni del terminal container cinese di Yantan-Shenzhen), con sullo sfondo l’accelerarsi della transizione ecologica e il boom dell’elettronica, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a portare una grande confusione in alcuni settori dell’economia a livello mondiale. Partendo da quello dei trasporti internazionali e da quello dei metalli, il marasma si è esteso alla rottura nelle catene di approvvigionamento delle merci e ad un aumento dei prezzi di alcuni prodotti a livello globale e comunque a scossoni violenti, persino stupefacenti, come ha indicato qualcuno, del sistema del commercio internazionale. Questa confusione dovrebbe durare ancora soltanto per qualche tempo su alcuni fronti, mentre su degli altri dovrebbe invece accompagnarci a lungo.
Così, per quanto riguarda il primo aspetto, quello transitorio, sembra ormai compromessa, almeno parzialmente, la consegna delle merci natalizie da parte della Cina al resto del mondo. Non solo, la carenza di rifornimenti di chip dovrebbe durare ancora un anno mentre dovremo probabilmente convivere a lungo con la carenza e con rilevanti aumenti dei prezzi di alcuni metalli.
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Quell’anti-Maastricht della BCE
di Sergio Cesaratto
Lo scorso 8 luglio 2021 Christine Lagarde ha presentato la revisione della strategia monetaria della BCE (ECB 2021a) in linea, peraltro, con quanto fatto anche dalla Federal Reserve americana. Commentiamo qui alcune novità salienti di tale revisione integrando alcuni estratti del volume Sei lezioni di moneta – La politica monetaria com’è e come viene raccontata, in uscita per Diarkos il prossimo settembre
L’inflazione si fa simmetrica (né troppa né troppo poca)
Gli obiettivi finali sono la parte più squisitamente “politica” della politica monetaria, e tipicamente includono la stabilità dei prezzi, la piena occupazione e la crescita; questi sono obiettivi decisi dai politici, in genere coprendosi le spalle con qualche teoria economica che giustifica il peso maggiore dato all’uno rispetto all’altro obiettivo. I politici, scrisse Keynes nella Teoria Generale, sono ispirati più o meno inconsapevolmente dalla teoria di qualche economista defunto parecchi anni prima. La BCE, come vi è forse già noto, ha come obiettivo primario quello della stabilità dei prezzi, avendo tuttavia facoltà di tradurre tale obiettivo generale in un target finale più preciso. Praticamente dalla nascita dell’euro la BCE ha tradotto il proprio obiettivo in quello di un tasso di inflazione annuo inferiore, ma vicino, al 2%. Solo in subordine la BCE ha libertà di sostenere gli obiettivi della crescita e dell’occupazione. Il mandato della Federal Reserve americana attribuisce invece uguale importanza alla bassa inflazione e all’alta occupazione. La Nuova Zelanda, per anni campionessa dell’inflation targeting, nel 2018 ha affiancato l’obiettivo della piena occupazione a quello della stabilità dei prezzi (Tooze 2021). Un po’ triste per l’Europa, nevvero? A consolarci, al principio del luglio 2021 la BCE ha presentato, in anticipo sulle previsioni, una revisione della propria strategia di politica monetaria in cui l’obiettivo del 2%, da realizzarsi nel “medio periodo”, diventa “simmetrico” (la nuova strategia è diventata operativa con la riunione del Comitato direttivo della banca centrale del 22 luglio 2021).
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Marx: un’introduzione alla critica dell’economia politica
di Adelino Zanini
Riprendendola da Genealogie del futuro (ombre corte, 2013) pubblichiamo un’altra fondamentale lezione per comprendere le basi marxiane della critica dell’economia politica. In questo testo Adelino Zanini, utilizzando in particolare il Libro primo de Il capitale, ripercorre i concetti, il metodo e gli obiettivi principali dell’analisi di Marx, a partire dalla critica degli economisti classici (Smith, Ricardo, Malthus). Per mostrare come il progetto del Moro di Treviri non fosse quello di scrivere un peraltro impossibile «libro corretto» di economia politica, ma di forgiare uno strumento teorico di parte, utile a interpretare-per-sovvertire la realtà sociale.
* * * *
1. Non ho di certo la presunzione di affrontare i molti aspetti inerenti alla critica dell’economia politica in Marx – questione assai articolata, da un punto di vista tematico e storiografico, poiché numerosi sono i problemi connessi ai testi, differenti per maturazione, difficoltà e sistematicità, e (superfluo il ricordarlo) innumerevoli le interpretazioni, alcune davvero «epocali». Vorrei semplicemente ragionare su Marx e la critica dell’economia politica, sviluppando un’argomentazione del tutto basilare, forse utile per coloro che, per ragioni, diciamo così, generazionali, meno abbiano frequentato quei testi che, per le generazioni precedenti, erano stati «formativi».
A tal proposito sarà necessario partire dalla definizione stessa, se è lecito utilizzare questo termine. Critica dell’economia politica è locuzione che ha in effetti un valore fondativo: non solo il titolo dato da Marx al testo del 1859 (Zur Kritik der Politischen Ökonomie) e il sottotitolo de Il capitale.
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A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
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A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
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