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Banche: Il caso Profumo. Ovvero "Unicrack"
di Parvus
Raramente così tante pagine di giornale sono state spese inutilmente come nel caso del recente terremoto ai vertici di Unicredit.
Raramente si è letta una tale quantità di congetture su retroscena e motivi che tanto poco avevano a che fare con le vere ragioni degli avvenimenti.
La verità è che la narrazione giornalistica – indietro di un paio di secoli rispetto alla narrazione storica – non sa affrancarsi dalla “storia dei grandi uomini”. E questo ha risultati tanto più patetici quanto più ci si addentra in vicende che hanno a che fare con la finanza internazionale.
Perché qui – più che altrove – dovremmo abituarci a considerare i supermanager, gli amministratori delegati e i direttori generali per quello che sono: funzionari del capitale.
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La strategia della Federal Reserve
Dream Theater
Quantitative easing , iperinflazione, deflazione , velocità circolazione moneta. Cosa ha in mente Ben Bernanke .
Il D-Day si avvicina, anche se ormai chi è più vicino alla FED ha già illustrato a grandi linee cosa ci svelerà Bernanke ad inizio novembre.
La Federal Reserve , non interverrà con un quantitative easing BOOM ma cercherà di fare un’operazione più graduale. Si partirà con un importo limitato per il primo mese, forse 100-200 miliardi di dollari USA, ben sotto a quanto si pensava, per poi implementare l’importo fino alla fatidica cifra di un trilione, ovvero 1.000.000.000.000 $, per i comuni mortali mille miliardi di dollaroni. Se tutto va bene. Si perchè secondo la banca “amica” per antonomasia, addirittura la cifra potrebbe lievitare fino a 2 trillioni di USD.
Historically, only a relatively small fraction of a Dollar fall is ‘passed through’ into consumer prices… (…) What all this points to is that – in line with the academic literature – the ‘pass-through’ from Dollar declines to US consumer price inflation is small. This in turn means that – if indeed the Fed sees the Dollar as one of its key policy levers for preventing inflation from staying below its mandate for a prolonged period – the Dollar needs to fall a lot further from here…. (…) Ultimately, core CPI inflation remains hostage to the slowdown in rental (shelter) price and services (less shelter) price inflation – a point we have made repeatedly in our research and one of the main reasons why our bond forecasts have been below the forwards over the past 18-months. (Source: GS-FT)
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Batti il precario finché è caldo
di Alessandro Villari*
La sera del 19 ottobre, dopo appena due giorni di discussione, la Camera ha approvato senza ulteriori modifiche il famigerato “collegato lavoro”, aka ddl 1167, aka ddl 1441 (a seconda del ramo del Parlamento). Il disegno di legge conclude quindi definitivamente la sua lunga gestazione con la firma, stavolta obbligatoria, del Presidente della Repubblica, ed entrerà in vigore a stretto giro.
Curiosamente, nessun quotidiano in questi giorni dedica spazio alla questione, che pure è destinata ad avere molti più effetti per molti più italiani rispetto al Lodo Alfano che imperversa su TV e giornali. Quali effetti? Vediamoli.
Certificazione dei contratti e clausole arbitrali
È rafforzata la pratica, già prevista dalla “Legge Biagi” ma fino a oggi pressoché inutilizzata, della certificazione dei contratti. In pratica le parti possono chiedere che una commissione appositamente istituita accerti, anche preventivamente, che il contenuto del contratto di lavoro corrisponda alla reale natura del rapporto, con l’accordo del datore di lavoro e del lavoratore.
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L'economia del disastro globale
Carla Ravaioli intervista Giorgio Lunghini
Decrescita o diverso modello di sviluppo? Le contraddizioni del capitalismo, i ritardi della sinistra sulla questione ambientale, l'assuefazione a considerarci tutti consumatori. E le lungimiranti analisi dell'economista Georgescu-Rogen che già negli anni '70 rifletteva su guerra, demografia, stili di vita

Credo che come valore principale si dovrebbe pensare non tanto alla crescita, quanto a un diverso modello di sviluppo economico, rispettoso della natura. Tuttavia diffido della parola "decrescita", mi pare sia un errore dei sostenitori di questa tesi, peraltro preparati, agguerriti, intelligenti ... Non si tratta di decrescita, ma di adottare stili di vita diversi. Se ciò fosse tecnicamente concepibile, bisognerebbe però vedere se l'umanità è disposta ad aderire a un modello di questo genere: e questo è un problema politico.
Già, la gente ha assunto la crescita ormai come norma di vita.
Certo. Bisogna però ricordare che, per tutta la prima fase del capitalismo, la crescita è stata provvidenziale; e lo è ancora nei paesi poveri. Il superamento delle condizioni di miseria del primo capitalismo, durato in pratica tutto l'800, è stato un fatto straordinario. Quanto poi alla capacità di crescita attuale va detto che non tutto il mondo ne è capace. Alcuni paesi - Cina, India, Brasile - lo sono, e ovviamente aggravano le condizioni ambientali. Ma nel resto del mondo, il capitalismo non è nemmeno più capace di crescita.
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Federalismo fiscale, chi paga?
Domenico Moro*
Il problema della pressione fiscale è molto avvertito nel nostro Paese, soprattutto per il peso eccessivo a carico dei lavoratori dipendenti e dei redditi più bassi. Sotto questo aspetto gli interventi recenti non hanno migliorato le cose, preoccupandosi di ridurre il numero degli scaglioni dell’Irpef nazionale, introdurre addizionali Irpef regionali e aumentare la tassazione indiretta, cioè sui consumi.
La riduzione a cinque degli scaglioni Irpef ha limitato la progressività della tassazione diretta, quella sui redditi, che pesa sui lavoratori dipendenti. Inoltre, le addizionali Irpef regionali, al contrario dell’Irpef nazionale, non rispettano per nulla il criterio di progressività. Ad esempio, nel Lazio l’aliquota addizionale è dell’1,4% per tutti i redditi. Anche in Veneto c’è una sola aliquota, ma è dello 0,9%. In Piemonte, invece, ci sono tre aliquote che però variano in modo non progressivo. Ad esempio, coloro che hanno un reddito inferiore a 15mila euro pagano lo 0,9%; l’aliquota passa all’1,3% con un reddito oltre 15mila euro e all’1,4% oltre i 22mila euro; ma sempre su tutto l’imponibile e non, come avviene a livello nazionale, solo sulla parte che eccede lo scaglione precedente. Il panorama delle addizionali è insomma una vera giungla, in cui ogni regione adotta criteri propri, aumentando la confusione - anche a causa dell’intricato ventaglio di deduzioni (18) detrazioni (39) ed esenzioni fiscali (46) - e la disparità di trattamento dei cittadini-contribuenti lungo lo stivale.
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Terzigno History X
di Antonio Musella
La ribellione delle comunità vesuviane, le reazioni del governo e la questione delle pratiche.
Le immagini della resistenza delle comunità vesuviane in lotta contro le discariche di Terzigno stanno facendo il giro del mondo.
Una insorgenza sociale contro l’ennesimo stupro del territorio in Campania. Una ribellione che assume una parte delle caratteristiche delle mobilitazioni che abbiamo già visto in Campania, a Pianura come a Chiaiano, ma che vive in un contesto di ulteriore esasperazione. La controparte, ancora una volta il governo Berlusconi, prova a gestire nelle medesime forme, assumendo anche i contorni del ridicolo nelle dichiarazioni del premier ed in quelle del sottosegretario Bertolaso, di come provò a gestire la ribellione del 2008.
In mezzo c’è la sedimentazione della coscienza sociale in questi territori intorno al tema della difesa della salute e dell’ambiente, intorno al tema dello smaltimento dei rifiuti, intorno alla difesa strenua e determinata della vita stessa.
Quello che oggi l’esperienza di Terzigno ci offre, magari non è immediatamente collegabile con il tema della sedimentazione di un percorso di autogoverno dei territori, subisce sfumature diverse rispetto all’alfabeto della costruzione delle comunità resistenti, ma di certo ci pone al centro del dibattito politico all’indomani della manifestazione del 16 ottobre, il tema delle pratiche e della loro legittimità sociale.
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La finanza rapace: la nuova modalità di guerra globale
di Michael Hudson
“Gli eventi che stanno per manifestarsi proiettano anticipatamente la loro ombra” – Goethe
Cosa succederebbe se impedissimo alle banche americane e ai loro clienti di creare 1.000 miliardi, 10.000 miliardi o addirittura 50.000 miliardi di dollari sulla tastiere dei loro computer per comprare tutte le obbligazioni e le azioni del mondo, oltre a tutte le proprietà terriere e agli altri asset in vendita, nella speranza di realizzare guadagni in conto capitale e intascare gli spread sull’arbitraggio con una leva sul debito di meno dell’1% del costo dell’interesse? E’ questo il gioco a cui si sta giocando oggi. L’afflusso di credito in dollari nei mercati stranieri perseguendo questa strategia ha fatto salire i prezzi degli asset e delle valute straniere, consentendo agli speculatori di ripagare le propria presenza negli Stati Uniti con dollari più convenienti, tenendosi per sé il passaggio di valuta oltre al margine del tasso di interesse dell’arbitraggio.
La finanza è diventata una nuova modalità di guerra – senza l’aggravio delle spese militari e l’occupazione forzata di un altro paese. E’ una sfida nella creazione del credito per comprare proprietà immobiliari e risorse naturali in tutto il mondo, infrastrutture e la proprietà di obbligazioni e azioni aziendali.
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Quale crescita nella crisi ecologica
Carla Ravaioli intervista Luciano Gallino
Luciano Gallino, come giudica le politiche seguite da quanti hanno responsabilità pubbliche (industriali, economisti, politici) al fine di superare la crisi. Politiche che di fatto si riassumono in rilancio di produzione e consumi, aumento del Pil, insomma crescita... Una linea che nessuno mette in discussione.
Gli interventi postcrisi sono l'esito di un processo di ristrutturazione dell'economia cominciato con Reagan e Thatcher nei primi anni anni 80, cui hanno contribuito anche governi europei guidati da socialisti: dopo aver fabbricato la crisi, tentano ora di porvi rimedio con metodi tipicamente neoliberali. Ma bisogna fare qualche distinzione. Gli Stati Uniti, motore primo del capitalismo finanziario, da cui è partita la crisi, stanno facendo una politica un po' più progressista dell' Europa: salvando le banche, ma anche contenendo la disoccupazione con forti interventi di stimolo, e destinando decine di miliardi a una politica ecologica. Con tutti i suoi limiti, si tratta pur sempre del primo segno di vita della politica nei confronti della finanza. Mentre la Ue, fedele alla strategia di Lisbona, sta andando in tutt'altra direzione.
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Così parlò Marchionne
Vladimiro Giacché
Non inganni l’understatement, l’apparente umiltà del personaggio: “Non ho nessuna intenzione di farvi nessuna lezione. Non sono un professore, né un economista e neppure lontanamente un politico. Sono semplicemente un uomo d’industria”.
Non inganni il tono concreto e alla mano: “Non amate le conferenze e i congressi che riempiono di parole giornate intere senza dire nulla. Ne ho visti centinaia… Non li amo neppure io”.
L’intervento di Sergio Marchionne al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione del 26 agosto scorso è un vero e proprio manifesto politico. E al tempo stesso un’eccellente una paradigmatica espressione dell’ideologia contemporanea.
A partire dalla sua forma discorsiva: quella dell’opposizione. Precisamente quell’opposizione che Hegel – da Marchionne molto citato ma evidentemente poco meditato – detestava: l’“opposizione dell’intelletto”, in cui gli opposti se ne stanno lì, irrigiditi l’uno di fronte all’altro. Una cosa contro il suo opposto, noi contro loro, il bene contro il male. Tutto l’intervento di Marchionne è contrassegnato da questa assenza di dialettica da talk show televisivo.
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Il dopo 16: dentro e oltre...
precariato sociale
Il successo di presenze alla manifestazione del 16 ottobre e ancor più il senso comune della piazza hanno posto sul tavolo gli snodi di un percorso, potenziale, di risposta alla crisi. Un percorso che nessuno tra i soggetti istituzionali oggi dati pare avere la capacità di far suo e per questo, nel caso le sue basi a tutt’oggi ancora fragili si dovessero consolidare, potrebbe dar luogo a dinamiche interessanti. Per intanto la mobilitazione ha smosso le acque stagnanti dello scenario sindacale e politico italiano ben oltre l’oscuramento mediatico pressoché generalizzato di cui è stata fatta oggetto. Vediamo in sintesi.
Sul piano sindacale. E’ la prima volta di una mobilitazione costruita esclusivamente dalla Fiom - la stessa Cgil ha messo molti bastoni fra le ruote, e il corteo non ha mancato di farlo presente a Epifani coi fischi o piantandolo in asso nel bel mezzo del suo discorso a S. Giovanni - su di una piattaforma che riguarda non solo il lavoro ma la società e aprendo un canale di discussione non formale con altri soggetti sociali e organizzati, anche non istituzionali.
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Patacca Cia-Mossad-Wikileaks
di Fulvio Grimaldi
Ti pareva che questa sinistra disastrata, catarrosa e tartagliante nel coro delle volpi e delle pecore al seguito del pastore zufolante, non si tuffasse a corpo morto (NON si fa per dire) nelle sabbie mobili, astutamente occultate da mirti e ginestre, dell’ennesima megatruffa USraeliana? Wikileaks e il suo ambiguo portavoce Assange, inquisito per molestie sessuali e buttato fuori dalla tollerantissima Svezia (ovviamente da “toghe rosse”), se fossero quello di cui si vantano e che gli viene accreditato dalla Grande Armada di canaglie e utili idioti, i centomila squadroni della morte Cia-Mossad in giro per il mondo gli avrebbero già fatto la festa. Invece il ministro dell’offesa Usa, Robert Gates, criminale di guerre Bush, rimesso sugli altari dei sacrifici umani da Obama, ha tranquillamente dichiarato:”Quella roba non ci disturba per niente”. E ti credo! Perché, anzi, puntella con trucchi per gonzi proprio gli obiettivi strategici centrali della criminalità organizzata imperialista. Non ci credete?
Il primo compattatore Wikileaks, tra alcune nefandezze Usa in Iraq, scontate dai tempi di Abu Ghraib, Guantanamo e Bagram, ha sversato nella discarica imperiale un ordigno tossico: sono i pachistani del servizio segreto SIS a guidare, rifornire e incoraggiare i “terroristi Taliban”.
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Il capitale dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2) Pubblicazione e teoria
di Roberto Fineschi
Premessa
Un libro relativamente noto di Jacques Bidet s'intitola significativamente Que faire du Capital? lo credo che si possa essere più radicali e fare un passo indietro chiedendosi che cosa sia Il capitale. Attraverso quest'opera Marx voleva rendere comprensibile il funzionamento della società borghese. Quale però? Quella della Rivoluzione industriale? Oppure voleva elaborare un modello generale che andasse oltre la contingenza, o la limitatezza di fase e che servisse come quadro generale al quale riferire dei sottoperiodi o delle articolazioni ulteriori? Ma in verità il problema non consiste solamente nello stabilire come intendere il testo da un punto di vista teoretico: la domanda può essere estesa all'esistenza stessa di tale testo, soprattutto in considerazione della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA).
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Una proposta alla Fiom
di Guido Viale
La riconversione ecologica del sistema produttivo e del modello di consumo dominanti è un'utopia, come sostiene Asor Rosa sul manifesto del 14.10? Sì, è un'utopia concreta, nel senso che aveva dato a questo termine Alex Langer: un progetto radicalmente alternativo allo stato di cose esistente, ma praticabile. Lo è perché prima o poi - più prima che poi, pochi decenni o pochi anni - il pianeta Terra entrerà in uno stato di sofferenza irreversibile e continuare con l'attuale regime produttivo sarà impossibile. Per la prima volta la questione ambientale si combina in modo incontestabile con quelle dell'occupazione; e con essa del reddito, dei consumi e dell'equità sociale. La vicenda della Fiat di Pomigliano e Termini Imerese rende tutto ciò evidente.
Il prodotto auto è inquinante, sia nell'utilizzo (contribuisce ad almeno il 14% delle emissioni climalteranti), sia nella produzione (dall'estrazione, trasporto e lavorazione di materie prime e risorse energetiche alla produzione e al montaggio di componenti: un impatto almeno equivalente), sia nell'infrastrutturazione (strade, viadotti, gallerie, svincoli, parcheggi, ma soprattutto assetti urbani impraticabili senza automobile: insieme si arriva vicino al 50% delle emissioni).
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Saviano il paladino
di Mario Paravano
Per non farsi mancare nulla e leccare un pò di culi democratici il buon Saviano ieri sera non ha avuto nulla di meglio da dire che lui non vuole finire in un paese antidemocratico come Cuba od il Venezuela. Per strada si è perso Israele, La Colombia e L'Honduras; tanto per rimanere a luoghi in cui "democraticamente" si costruiscono muri, si fa la guerra e si fanno colpi di stato senza per scuotere la sua coscienza di indefesso difensore dei diritti di quelli vessati dalla camorra. Ma si sa Saviano è sionista, non frequenta i barrios di Caracas e neanche si sforza di dare un'occhiata alle ragioni per le quali una nazione viene tenuta in ostaggio, dagli anni 50, con un blocco economico dal suo vicino di casa. Non parliamo poi della Colombia, un posto ameno dove si scoprono fosse comuni piene di oppositori, senza che nessuno dica niente. E dire che lì ne avrebbe di materiale per capire chi e cosa tiene legati i fili della sua camorra al traffico di droga che arriva qui da noi.
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Nicolas...c'est la grève!
Precariato sociale
La mappa delle proteste
Difficile, anzi impossibile, dare un quadro completo della situazione. Le iniziative si moltiplicano non solo a Parigi e nelle altre metropoli (e nelle periferie di queste), ma in tantissime città di media e piccola grandezza. Ospedali, scuole, fabbriche (bloccato dagli operai anche lo stabilimento Peugeut di Sochaux, il più grande in Francia), trasporti: tutti i settori si stanno mobilitando contro questa riforma delle pensioni tanto voluta dal governo Sarkozy.
Il traffico ferroviario risulta ancora in difficoltà in tutto il paese (circola all'incirca un treno su due), le metropolitane funzionano a singhiozzo da ormai due settimane, gli aeroporti hanno cancellato anche oggi circa la metà dei voli. A creare disagi si sono aggiunti da ieri anche i camionisti, lanciando la cosiddetta operation esgargot e provocando code kilometriche sia nella tangenziale di Parigi che in altri punti strategici dell'Exagone.
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Dopo il neoliberismo. Il nuovo ruolo del Sud del mondo*
di Giovanni Arrighi e Lu Zhang
[Un'anticipazione dal cap. 5 di Capitalismo e (dis)ordine mondiale, raccolta degli scritti di Giovanni Arrighi a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, in uscita presso Manifestolibri]

Parte della confusione sorge dalla persistente influenza sulla politica mondiale di vari aspetti del defunto consensus. Come notato da Walden Bello, “il neoliberismo [rimane], semplicemente per forza d’inerzia, il modello standard per molti economisti e tecnocrati che... non hanno più fiducia in esso”.
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UNA CRISI ANNUNCIATA
Italia: va tutto bene .... siamo rovinati
Giancarlo Lutero

Vi si trova un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo.Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, e le ali distese.
L'angelo della storia deve avere questo aspetto.
Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi.
Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che sì è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle.
Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine cresce davanti a lui al cielo.
Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
[Walter Benjamin, Angelus Novus, Tesi di filosofia della storia]
L'angelo della storia di Benjamin, con il suo accumulo rovinoso di macerie e morti, si presta assai bene come suggestiva metafora della condizione attuale della dinamica del processo di riproduzione capitalistica nella provincia italiana dell'impero del capitale transnazionale, così come risulta anche dai dati ufficiali rilasciati dalle istituzioni statali. Un dettagliato resoconto ci è offerto dal Rapporto Annuale - La situazione del paese nel 2009 (scaricabile da http://www.istat.it/dati/catalogo) redatto con gran spiegamento di forze ogni anno dall'Istituto Nazionale di Statistica.
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Lavoro, parola-chiave
di Mario Tronti
Ripartire dal lavoro? Preferisco dire: il lavoro al centro campo. Il campo è l’analisi sociale e l’iniziativa politica. Occorre tornare a “studiare” il lavoro e tornare a farne il terreno privilegiato delle lotte. La fase attuale di crisi capitalistica favorisce il dispiegamento di questa operazione politico-culturale.
Fermiamoci un momento su quest’ultimo punto. Negli anni appena passati, praticamente i tre decenni che stanno alle nostre spalle, ci si era illusi che il capitalismo avesse assunto un assetto definitivo, segnato dalla trionfante globalizzazione neoliberista. Era stata messa in soffitta la lettura marxiana del capitale, non solo come sviluppo, ma anche come crisi. Era stata dimenticata la stessa teoria schumpeteriana dei cicli economici. L’andamento ciclico della produzione/circolazione di capitale - crescita, stagnazione, recessione, ritorno a nuovi livelli, con nuove forme, della crescita - questa è storia, e storia moderna. E si capisce che, in tempi di cancellazione per decreto della storia, si sia potuto commettere questi errori di grammatica.
E l’altro errore, questa volta di sintassi, è che il capitalismo non è solo merce-denaro, e cioè mercato-finanza, ma è, soprattutto, produzione di merci a mezzo di merci, come ci insegnò una volta per tutte un certo Sraffa. Dunque, il lavoro, sì, oggi, ma nella crisi. E la crisi va vista nel duplice aspetto, di maledizione sociale, per il peggioramento che provoca nelle condizioni di vita dei lavoratori, e però di opportunità politica per l’occasione che offre di far ripartire forme di lotta e di organizzazione.
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La deindustrializzazione dell'America e la disputa valutaria con la Cina
Antonio Lettieri
1. Uno dei paradigmi di maggior successo della fine del ventesimo secolo è stato l'emergere della società post-industriale. L'idea è diventata opinione comune. L’origine del cambiamento è stata spiegata con l’avvento della rivoluzione dei computer e la globalizzazione dei mercati. La globalizzazione non è un evento nuovo nella storia del capitalismo. Ma si è presentata in forme profondamente nuove. La divisione internazionale del lavoro è basata, secondo Ricardo, sulla teoria dei "vantaggi comparati": ogni paese ha una propria vocazione naturale e un livello di sviluppo tecnologico che lo induce a concentrarsi su determinate produzioni. Una politica aperta di scambi commerciali avvantaggia in questo modo tutti i paesi che vi partecipano. Senonchè, nella nuova fase della globalizzazione, la divisione internazionale del lavoro si applica non solo ai paesi, ma anche alle imprese che operano a livello globale.
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Karl Marx, un contemporaneo
di Vladimiro Giacchè
Ironie della storia. Mentre in Germania viene festeggiato il 20° anniversario della fine della Repubblica Democratica Tedesca, si assiste ovunque a un grande risveglio di interesse nei confronti di quello che ne fu (inconsapevolmente) il filosofo ufficiale: Karl Marx. Soltanto in Italia da giugno ad oggi sono uscite due biografie: la traduzione del testo di Francis Wheen (Karl Marx. Una vita, Isbn edizioni, p. 400) e il volume di Nicolao Merker Karl Marx. Vita e opere (Laterza, pp. 261). Se il primo testo è avvincente, il secondo riesce a fare il miracolo: ossia a darci una panoramica completa della vita di Marx e delle linee di fondo del suo pensiero.
Merker inizia ricordando che “il pensiero di Marx sta nei suoi scritti”. Non si tratta di una banalità, ma di una doverosa cautela, visto l’uso a dir poco disinvolto che spesso si è fatto del pensiero di Marx. I testi di Marx vanno letti e collocati nel loro contesto storico. Ma non per farne altrettanti “classici” da tenere sullo scaffale, bensì per capire cosa ci possono dire sull’oggi. Questo utilizzo è possibile in quanto la struttura economica della società in cui viviamo è ancora quella descritta da Marx.
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Prendendo la Fiom sul serio
Riccardo Realfonzo
In pochi dubitano che il modello delle relazioni industriali del nostro Paese sia in crisi. Il punto è come uscirne, se spingendo ancora sulle leve della decentralizzazione contrattuale e della flessibilità, come chiedono la Fiat e l’intera Confindustria, ovvero se conservando il peso del contratto nazionale e irrobustendo le tutele del mondo del lavoro, come vorrebbero la Cgil e in particolare la Fiom che, a questo proposito, ha indetto la manifestazione nazionale del 16 ottobre.
Le ragioni dei sostenitori della decentralizzazione e della flessibilità vertono sulle esigenze di competitività del sistema produttivo nazionale. La tesi di fondo è che se le istituzioni del mercato del lavoro non si metteranno al passo con le trasformazioni dell’economia globalizzata, la dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto delle imprese italiane si appesantirà ulteriormente rispetto ai competitor stranieri. Con effetti deleteri, tanto sugli equilibri della bilancia commerciale quanto sui livelli di occupazione. Si tratta di argomentazioni note, che godono di sostegno nella letteratura internazionale, e che hanno ispirato in Italia e in genere nei paesi industrializzati le politiche del lavoro, negli ultimi due decenni almeno.
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L'Inps censura le pensioni dei precari e la Rete si rivolta
Cristina Maccarrone
LE DICHIARAZIONI DELL'INPS E LA "RIBELLIONE" DELLA RETE
Magari alla pensione non ci pensate perché non avete ancora trovato uno straccio di lavoro oppure è un pensiero che mettete da paraltte perché non sapete – visto l’andazzo – neanche se ce l’avrete. Eppure l’argomento è caldo e circola sulla rete, soprattutto dopo le dichiarazioni - riportate da Agoravox e riprese dal blog Conti in tasca di Blogosfere a cura di Eleonora Bianchini - da parte di Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps, Istituto nazionale di previdenza, al Corriere della Sera.
Quando gli è stato chiesto come mai, a differenza degli altri, i parasubordinati – per intenderci tutti coloro che lavorano con contratto a progetto, co.co.co., ritenuta d’acconto, partita Iva, contratto a prestazione occasionale – non potessero sul sito dell’Inps simulare la loro pensione futura, ha così risposto: «Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale». Come dire: meglio che i precari non sappiano a cosa vanno incontro.
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Le lezioni di Giovanni Arrighi
di Giorgio Cesarale
Nel dibattito sulla attuale crisi economica globale è diventato ormai quasi senso comune la critica all’incapacità della scienza economica dominante di indicare e interpretare adeguatamente le cause di questa crisi, e in particolare di uno dei suoi fenomeni più abbaglianti, e cioè il processo di finanziarizzazione. Che legami ha questo processo con ciò che, peraltro impropriamente, si chiama “economia reale”? Che nesso vi è fra questo processo e la vorticosa espansione economica di intere regioni del pianeta (il Sud-est asiatico delle quattro “tigri”, della Cina, del Vietnam ecc.)? Quale ruolo giocano in esso gli Stati, da quelli in ascesa a quelli in più evidente difficoltà? Sono domande cruciali, che obbligano a fornire una risposta alta e convincente. D’altro canto, per rispondere a queste domande è necessario collocare l’attuale crisi e la turbolenza globale che l'accompagna entro un orizzonte storico e geografico più largo. Uno “sguardo corto” sulla crisi è precisamente ciò che può impedire di comprenderla in tutta la sua complessità. E tuttavia è proprio da questo “sguardo corto” che la maggior parte degli osservatori e degli studiosi appare caratterizzata. Le eccezioni sono rare: tra queste c’è Giovanni Arrighi (1937-2009), una delle figure più rilevanti, insieme ad Andre Gunder Frank, Immanuel Wallerstein e Terence Hopkins, dell’approccio “sistemico” allo studio della storia e della struttura del capitalismo globale, dei movimenti sociali anticapitalistici, delle disuguaglianze mondiali di reddito e dei processi di modernizzazione.
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In cauda venenum [a Roma con la Fiom]
Franco Berardi Bifo
Il declino di Berlusconi sembra inesorabile. Ma nessuno di quelli che si prepara a sostituirlo pare intenzionato a lavorare per redistribuire la ricchezza. Ecco perché l'appello della Fiom per il 16 ottobre è quanto mai necessario.
Per quanto sia difficile dire quanto a lungo possa durare l’agonia, sembra comunque probabile che il governo Berlusconi rotoli verso la fine. Cio’ non significa che sia esaurita questa storia di miseria morale, nullità intellettuale e devastazione sociale. Anzi penso il contrario. Per quanto orribile sia quel che il paese ha vissuto negli ultimi sedici anni penso che il peggio debba ancora venire. L’uomo che ha costruito il suo potere sulla corruzione sistematica è ora circondato da lupi il cui appetito è insaziabile. Lo sbraneranno. Per ora lo azzannano esitanti, poi subito si ritraggono, ma lo spettacolo si farà feroce non appena il tiranno sarà vicino a soccombere. La società assiste avvilita, ma il veleno inoculato da decenni sta facendo il suo effetto, e produrrà quel che deve produrre. Il coacervo di forze coalizzato dal regime è stato in equilibrio fin quando si è trattato di spartirsi le spoglie della rapina ai danni della società.
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Violenza, democrazia, diritto internazionale
Danilo Zolo
1. Quale democrazia?
Prima di iniziare questo mio breve intervento sul rapporto fra uso della forza, regimi democratici e diritto internazionale desidero precisare che vorrei fare riferimento a una nozione di democrazia un po' rigorosa, che non si riduca ad una formula retorica o addirittura, come accade spesso nella comunicazione politica occidentale, platealmente propagandistica. Proporrei di lasciare da parte i modelli 'classici' di democrazia - quello partecipativo e quello rappresentativo -, perché troppo esigenti e ormai non realizzabili entro società differenziate e complesse. Potremmo attestarci, in via stipulativa, su una nozione post-classica di democrazia (schumpeteriana, pluralista, minimale), secondo cui un governo democratico è contraddistinto da un grado accettabile di responsiveness e di accountability. Un regime è democratico se le autorità politiche 'rispondono' alle aspettative dei cittadini rispettandone e promuovendone i diritti fondamentali, e se sono 'responsabili': se cioè devono rendere conto delle loro decisioni di fronte ad un elettorato capace di valutazioni sufficientemente autonome e competenti.
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